Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

04 gennaio 2012

Immigrati in quarta classe Lo spot di Trenitalia fa discutere i blogger
Le immagini e la replica «Non solo extracomunitari nella Standard: In altre foto si vedono bambini, famiglie, professionisti. E in Premium un'araba»
Corriere della sera, 04-01-2012
Gianni Santucci e Giacomo Valtolina
MILANO - Per la Rete è stata pensata la campagna pubblicitaria (foto sul sito, video su Youtube ) e in Rete è scoppiata la polemica. A scorrere le immagini che illustrano il nuovo Frecciarossa, per prima cosa si scopre che sparisce la tradizionale divisione tra prima e seconda classe, e ne appaiono quattro nuove. A fianco di ciascuna rinnovata categoria, un'illustrazione. Manager al lavoro nella sala riunioni della «executive»; uno scompartimento vuoto per la «business»; due ragazze che chiacchierano in «premium»; una famiglia di immigrati in «standard», la meno costosa. E da questa sequenza la Rete si è scatenata contro il «razzismo di Trenitalia». Il primo a far notare la cosa è stato Alessandro Gilioli, nel suo blog sul sito de L'Espresso . Ieri è arrivata la risposta dell'azienda: «Oggi, per fortuna, anche l'Italia è un Paese multietnico e Trenitalia, con i suoi 2 milioni di viaggiatori al giorno, ne è il primo testimone».
L'indignazione per la «gaffe razzista» delle Fs s'è gonfiata tra blog, Twitter e Facebook : «Stavolta hanno toppato alla grande», «campagna grottesca degna di un film di Fantozzi», «le Fs sono finite fuori dai binari». Anche se mossa dall'intento di «mostrare le nuove famiglie italiane» (come sostiene l'azienda), la campagna si prestava comunque all'altra interpretazione. Probabilmente per evitare di alimentare le polemiche, ieri sera dal sito di Trenitalia l'immagine incriminata è stata rimossa. Resta però «impigliata» in altre migliaia di indirizzi del web, reperibile insieme agli innumerevoli commenti che denunciano la divisione in quattro classi dei treni e che mettono all'indice la scelta di «chiudere» l'accesso al bar per le carrozze di categoria più bassa. «Un nuovo apartheid», attaccano i blog e i social network.
Ieri in giornata Trenitalia ha diffuso una nota per spiegare che la foto incriminata «è una delle tante scelte per il livello Standard e pubblicate sui vari media del Gruppo Fs. Basta guardare sul sito e ci si accorge che per il livello Standard ci sono famiglie, bambini, adulti, anziani, professionisti, eccetera, anche non "di colore"». Resta comunque il fatto che nella serie iniziale di foto (scelta, gaffe o coincidenza che sia stata) la sequenza poneva la sorridente famiglia immigrata nell'ultima classe.
Argomenta però ancora l'azienda: «È anche falso il fatto che per gli altri livelli di servizio siano state scelte solo persone "bianche". Tra i vari video del nuovo Frecciarossa pubblicati sul sito, infatti, in quello relativo al livello più alto della gamma, l'Executive, si rappresenta una riunione di lavoro nella sala meeting: ebbene tra i vari manager, uno è di colore. Nel video della classe Premium c'è poi una ragazza araba. E ancora, sparsi per i vari livelli ci sono irlandesi, cinesi ecc...».



TASSA PER GLI IMMIGRATI: SBAGLIATA E INSPIEGABILE
l'Unità, 04-01-2012  
Marco Pacciotti
FORUM IMMIGRAZIONE DEL PD
Parlarne in questa fase economica, nella quale si chiedono ulteriori sacrifici a tutti noi, potrebbe sembrare «sconveniente», forse impopolare. Ma la giusta richiesta di equità fatta e solo in parte recepita dal Governo Monti, proprio perché giusta va ribadita sempre e per tutti. Mi riferisco all'incredibile tassa aggiuntiva, eredità del pacchetto sicurezza Maroni, che prevede un esborso dagli 80 ai 200 euro per la richiesta o rinnovo dei permesso di soggiorno e della carta di soggiorno degli immigra- ti. Imposta aggiuntiva poiché si somma ad altre e che trova una giustificazione nel foraggiare il fondo rimpatri e non meglio precisati costi riguardanti la sicurezza e le politiche di integrazione.
Dobbiamo dire con nettezza che riteniamo ingiusta questa ennesima tassa. In primis perché colpisce in modo discriminatorio persone in base alla loro nazionalità e non su base di reddito o di altri criteri economici comprensibili. In secondo luogo perché si tratta di donne e uomini che già largamente contribuiscono all'erario pubblico con un gettito Irpef di oltre 6 miliardi di euro, pari al 4,1% del totale e rendono i conti nel nostro sistema pensionistico più vitali con un contributo stimato dall'Inps in 7,5 miliardi di euro, pari al 12,9% dei versamenti. Ricevendo indietro servizi infinitamente inferiori. Una boccata di ossigeno importante per le nostre casse, che ci arriva da migranti che invece, come dimostrano i dati della Fondazione Leone Moressa, condividono le ristrettezze economiche degli altri italiani e percepiscono salari medi di 987 euro netti mensili, circa il 23% in meno di quelli degli italiani.
Un reddito annuo che fa dire a circa il 64% delle famiglie composte da stranieri di non essere in grado di poter affrontare ipotetiche spese impreviste di 750 euro o nel 28% dei casi di dichiarare di avere difficoltà nell'acquistare abiti. Sacrifici che li accomunano agli italiani, anche se in percentuali decisamente maggiori, ma che non gli impedisce di essere Cittadini esemplari per il nostro fisco. Inspiegabile quindi questo provvedimento ideato da Maroni e Tremonti che diabolicamente persevera nell'alimentare l'idea falsa e sbagliata che i migranti stando in Italia godano di un privilegio e che questo vada ripagato attraverso l'imposizione di una simile tassa. La realtà è ben diversa e va ribadita con forza. Il sistema paese e la nostra comunità, necessitano di questa «energia vitale» come la defini il Presidente Napolitano riferendosi ai ragazzi di origini straniera nati o cresciuti in Italia. Ne abbiamo bisogno per non diventare un paese vecchio, ne abbiamo bisogno per rendere più creativa e vitale la nostra cultura, ne abbiamo bisogno per la nostra economia e per il nostro sistema welfaristico. Rendersi conto di questo significa costruire un Italia più coesa e forte, cosa che tutti dovremmo desiderate.»



Per il permesso di soggiorno si verseranno duecento euro
Il raddoppio Metà degli introiti serviranno a finanziare il fondo rimpatri. L' aumento scatterà a partire dal 30 gennaio. Prelievo più che raddoppiato rispetto agli 80 euro attuali
Corriere della sera, 03-01-2012
Francesco Di Frischia
ROMA - Se gli italiani piangono per i pesanti rincari del nuovo anno non se la passano meglio gli immigrati che, oltre all' aumento del costo della vita, saranno costretti a fare i conti con un' inattesa stangata: dovranno versare da 80 a 200 euro per poter chiedere o rinnovare il permesso di soggiorno, praticamente il doppio di quanto previsto finora. Una novità già bollata come «ingiusta, odiosa e incomprensibile» dalle loro associazioni: «I migranti già pagano le imposte lavorando e ora si chiede loro un ulteriore balzello per il solo fatto di essere stranieri», sottolinea Filippo Miraglia dell' Arci. Il contributo era già previsto dalla legge sulla sicurezza del 2009 ma era rimasto inapplicato. Un decreto firmato a ottobre scorso dagli allora ministri dell' Interno, Roberto Maroni, e dell' Economia, Giulio Tremonti, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre e lo rende operativo a partire dal prossimo 30 gennaio. L' importo del «contributo per il rilascio e rinnovo del permesso di soggiorno» varia in base alla durata del permesso: 80 euro se è compreso tra 3 mesi e 1 anno, 100 euro se è superiore a 1 anno e inferiore o pari a due anni, 200 euro per i «soggiornanti di lungo periodo», la cosiddetta «carta di soggiorno». L' esborso si aggiunge al contributo di 27,50 euro per il rilascio del permesso di soggiorno elettronico. La nuova tassa, però, non sarà applicata ai permessi per i minori, agli stranieri che entrano in Italia per sottoporsi a cure mediche e ai loro accompagnatori, così come a chi chiede un permesso per asilo, richiesta d' asilo, protezione sussidiaria o motivi umanitari. Il contributo non tocca neanche chi chiede solo di aggiornare o convertire un permesso di soggiorno già in corso di validità. Un aspetto paradossale del nuovo balzello è che la metà degli introiti che se ne ricaveranno servirà a finanziare il «Fondo rimpatri», quello cioè dal quale lo Stato attinge per rimandare in patria i migranti clandestini. L' altra metà andrà al Viminale per spese di ordine pubblico, sicurezza e per finanziare gli sportelli unici e l' integrazione. Contro la nuova tassa si scaglia Roberto Di Giovan Paolo, senatore del Pd: «È l' ultimo odioso lascito del governo Berlusconi. Soldi che sembrano fondamentali per le nostre casse. E pensare che il centrodestra continua a considerare gli stranieri cittadini di serie B». Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell' Arci, sottolinea: «Particolarmente odioso è il fatto che con quei soldi ci pagheranno i rimpatri. Lo Stato scarica insomma sui migranti regolari l' onere si rimandare a casa gli irregolari. È un' ingiustizia, una cosa incomprensibile se non in un' ottica discriminatoria. Speriamo che il governo Monti faccia qualcosa». Inoltre gli immigrati contestano le eccessive lungaggini per ottenere i permessi, quando le pratiche dovrebbero per legge essere espletate entro 20 giorni dalla domanda. Ed Elvio Pasca, di «Stranieri in Italia»: «Sarebbe quanto meno ingenuo sperare che il governo Monti rinunci a questo contributo: 5 milioni di immigrati regolari, costretti a pagare periodicamente da 80 a 200 euro per rimanere in Italia, sono una gallina dalle uova d' oro, senza paura che gli italiani storcano ulteriormente il naso. Qualcuno magari penserà pure: "Giusto che facciano sacrifici anche loro"».



IMMIGRATI: LOY (UIL), GOVERNO RITIRI TASSA PER PERMESSO DI SOGGIORNO
(AGENPARL) - Roma, 03 gen - "Il governo ritiri la tassa per il permesso di soggiorno. Al rispetto dei doveri da parte dei cittadini deve corrispondere il rispetto dei diritti da parte dello Stato. Il decreto che introduce un “contributo” per il rinnovo ed il rilascio del permesso di soggiorno (da 80 a 200 euro a seconda della durata) si configura come un’ingiusta “tassa di soggiorno” che va ad aggiungersi alle tante altre sopportate dai cittadini (stranieri e non), senza che, a dovere certo, corrisponda uguale fruibile diritto. In effetti, è ben noto che l’Amministrazione dello Stato è incapace di rinnovare il permesso in venti giorni come prescrive la legge e il servizio reso arriva con ritardi a volte insopportabili. Così come ingiusta e insopportabile è questa nuova tassa, introdotta nel 2009 con il “pacchetto scurezza” . Invitiamo dunque il Governo a fare un passo indietro seguendo la direzione dell’equità e della solidarietà". Così in una nota Guglielmo Loy, segretario confederale Uil.



La moschea a Genova Un percorso di dialogo che divide la giunta
Due anni fa il voto all'unanimità sul progetto ma con l'approssimarsi di primarie e elezioni Idv si dice contraria all'insediamento del luogo di preghiera. Martedi in consiglio in votazione la mozione della Lega Nord
l'Unità, 04-01-2012
JOLANDA BUFALINI    
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Salah Hussein è un Cittadino genovese di origine palestinese, è in Italia da 25 anni, si è laureato a Genova in ingegneria, fa il mediatore culturale, ha sei figli, il più piccolo di pochi mesi, il più grande, 19 anni, è già all'università. È uno dei principali protagonisti nella storia della moschea di Genova, segnata dalla volontà di costruire attraverso il dialogo e l'integrazione, l'apertura, la trasparenza e il rispetto, fin nell'affidamento a un architetto genovese, Claudio Timossi, per «avere un progetto strutturalmente non estraneo all'ambiente. - spiega Hussein- Nei complesso ci sarà un caffè, uno spazio dibattiti dove tutti i genovesi, anche non Credenti, potranno venire».
Però è una storia che rischia di non avere un lieto fine a causa delle beghe dei parti ti che affilano le armi per le prossime elezioni. La delibera di giunta che, nel dicembre 2009, approvò la decisione di collocare la moschea al Lagaccio fu votata all'unanimità, ma ora i consiglieri dell'Idv (maggioranza) dicono «no», la moschea non va costruita dove si è deciso. E la maggioranza rischia la spaccatura già martedì prossimo, quando sarà posta in votazione una mozione della Lega Nord. Nell'Idv è soprattutto contrario al luogo di culto il deputato Giovanni Paladini, che se l'è presa con l'assessore alla cultura Andrea Ranieri (Pd), reo di voler portare a conclusione la vicenda prima della fine della consigliatura. Troppa fretta per l'esponente Idv: «A tre mesi dalle primarie e a sei dalle elezioni, Ranieri ci vuole fare perdere». Paladini è un politico navigato, con un curriculum che spesso ha suscitato polemiche, ex sindacalista del Sap (il sindacato autonomo di polizia), votò contra una commissione di inchiesta regionale sul G8 di Genova, è arrivato all'Idv dalla "filiera" Ppi, Margherita, Pd.
Spiega Andrea Ranieri: «Rinviare ora vuol dire costruire mai, mentre prioritario è il rapporto con la comunità islamica che ha risposto positivamente, anche attraverso una discussione interna difficile, alle richieste del Comune».
LA STORIA
La storia inizia undici anni fa, alla fine dei 2000, quando la comunità musulmana acquistò un capannone in via della Coronata. «La politica internazionale e la tragedia dell'11 settembre ritardarono tutto», racconta Hussein, ma nel 2005 (sindaco Pericu) viene approvato il progetto di riqualificazione urbana. Racconta Andrea Ranieri che la nuova giunta di Marta Vincenzi valutò che la Coronata è «una zona sovraccarica della città, la Strada troppo stretta».
Nel 2007 viene siglato un patto di intesa, con tre punti qualificanti: la comunità islamica avrà in concessione per 90 anni un terreno al Lagaccio, in pagamento dà in cambio parte del capannone acquistato nel 2000 in modo che il comune possa allargare la Strada della Coronata. Inoltre la comunità islamica genovese si impegna a creare una fondazione e uno statuto in cui è proclamato il rispetto della Costituzione, dei diritti delle persone e di genere, della democrazia. La fondazione sarà proprietaria della moschea e quindi soggetto garante della trasparenza della gestione. Non è poco: i beni islamici sono gestiti in Italia da un'unica organizzazione, Al Waks.
Spiega Salah Hussein: «Il dialogo con la città era il nostro intento, abbiamo discusso e siamo andati su questa Strada che non ci è costata poco, economicamente e emotivamente». Avevano già un progetto approvato, ma a tutt'oggi sono in affitto, hanno convinto Al Waks a dare loro autonomia, «rassicurando che il percorso di condivisione con la città è nell'interesse dell'islam». Oggi la fondazione c'è, ha uno statuto avanzatissimo, único in Italia, Hussein ne è il presidente: «Un nuovo rinvio - dice - produrrebbe delusione, darebbe spazio al pessimismo di chi crede che ogni dialogo sia inutile». A Genova la comunità musulmana conta molte famiglie già alla seconda generazione, molti sono Cittadini italiani che chiedono alla amministrazione il rispetto di un diritto: «La moschea è un luogo importante anche per i non osservanti, nei momenti di festa, per i matrimoni, per le esequie ai defunti».
E c'è un altro aspetto sottolineato da Andrea Ranieri: «La vocazione di Genova porto del Mediterraneo, il futuro della città si gioca nel rapporto con i paesi delle primavera arabe. Anche in questi giorni lo vediamo con l'Expò 2015, Milano conta molto sul- le nostre relazioni con Rabat, Tunisi, Algeri. Sono scelte strategiche che non possono essere messe a rischio dal voto di quartiere».



Genova, la moschea spacca il centrosinistra
la Repubblica, 04-01-2012  
AVA ZUNINO
GENOVA-—L'anno sotto la lanterna comincia con la disfida della moschea: il progetto che il sindaco Marta Vincenzi (Pd) ha messo a punto con la comunità islamica, mette a rischio l'alleanza tra Pd e Idv a pochi mesi dalla fine del mandato. Ma non solo. La Lega nord già parla di ricominciare i presidi e i cortei tra la gente del quartiere che dovrà ospitare il nuovo edificio. Il coordinatore ligure del partito di Di Pietro, il deputato Giovanni Paladini, ha detto no alla realizzazione dell'edificio di culto della comunità islamica genovese nel popoloso quartiere del lagaccio. E martedi in consiglio comunale si va alla conta nel centrosinistra perché si voterà una mozione della Lega Nord che dice la stessa cosa: come si comporteranno i di pietristi? Faranno alleanza con la Lega? «Voteremo contro per non mettere in difficoltà l'amministrazione comunale e perché la Lega in realtà non vuole la moschea. Noi la vogliamo, ma non lì. Però chiederemo che venga ridiscussa la questione per vedere se esiste una via d'uscita», dice Nicolò Scialfa, capogruppo di Idv e mediatore ormai da mesi nei rapporti tra il suo partito e il Pd.
La via d'uscita, cioè spostare il progetto in un altro quartiere, secondo l'assessore alla cultura Andrea Ranieri non esiste. «Per la prima volta in Italia abbiamo condotto la comunità islamica su un terreno di democrazia, chiedendo la costituzione di una fondazione con uno statuto di modello europeo, costituita dai componenti della comunità genovese, perché non volevamo che la partita fosse gestita da centrali nazionali e internazionali islamiche — spiega Ranieri — Per loro è stata una scelta dura e ora rimetterla in discussione potrebbe creare dei brutti contraccolpi, compreso il fatto che l'imam se ne dovrebbe andare: l'hanno contestato perché ritenuto troppo dialogante». Ranieri aggiunge che «tutti i beni in italia della comunità islamica sono intestati ad una unica società, noi abbiamo fatto in modo che una delle loro proprietà fosse intestata ad una fondazione di islamici genovesi. Non era mai successo».



Immigrazione in una terra di emigrati. Il caso della Sicilia
Gaianews, 04-01-2012
Giusy Cerniglia
Sbarchi a LampedusaTorna l’attenzione su due fenomeni che hanno caratterizzato l’ultimo ventennio, la nuova ondata di emigrazione e il rilevante flusso migratorio che la Sicilia, da tempo terra di accoglienza e di transito, vive con numerose problematiche. Un interessante seminario di studi, promosso dal Craces (Centro Ricerca Attività Socioculturali all’Estero e in Sicilia) a Siracusa presso l’hotel Mercure lo scorso 29 dicembre è stato incentrato sul tema “Criticità e prospettive del mondo globale”.
L’incisivo intervento della dottoressa Alessandra Russo, dirigente generale del dipartimento Lavoro ed Emigrazione della Regione Sicilia, che ha argomentato sui risultati di un monitoraggio e studi sul fenomeno migrazione/immigrazione significante e che ne ha delineato emergenze e nuove connotazioni sia di carattere culturale che economico.
Due secoli fa, in Italia iniziava quel fenomeno di emigrazione, quell’esodo di contadini e disperati nullatenenti che partivano verso paesi lontani in cerca di fortuna perché la loro terra – la loro patria improduttiva e lacerata dalle innumerevoli crisi agrarie e dall’arretratezza tecnologica e da un sistema feudale radicato – non aveva lasciato loro altra alternativa.
Oggi, anche se in modo diverso, si ripropone un nuovo flusso di emigrazione verso tutti i paesi del Nord Europa, verso le Americhe  e i paesi  Asiatici; i nostri figli neolaureati cercano mercati del lavoro in grado di saper apprezzare la loro professionalità e la loro preparazione. Fuggono i nostri ingegneri, i nostri medici, i nostri “cervelli” perché il mondo del lavoro non riesce ad assorbire la richiesta di lavoro specializzata di neolaureati.
Nella migliore delle ipotesi, pur di non “partire”, i nostri giovani sono costretti ad  accettare contratti come ricercatori per soli 800 euro mensili.
D’altra parte oggi l’Italia è anche terra di immigrati, gente disperata, affamata, disposta a fare anche i lavori più dequalificanti e faticosi, e tra questa gente non mancano persone di cultura, laureati che il nostro ordinamento giuridico non riconosce e sottovaluta.
Il dott. Nino Arena, giornalista e autore del libro “Sullo stesso barcone”,  ci invita a riflettere sulla  reazione negativa  che noi italiani  abbiamo  quando sentiamo parlare di immigrati,  extracomunitari, sull’associazione mentale  del termine “immigrato” con  la sensazione di pericolo, con il sinonimo di clandestino.
Anche se al primo impatto psicologicamente rifiutiamo ogni forma di accoglienza, in realtà finiamo poi con affidare a questi nostri fratelli i nostri affetti più cari, i nostri figli e i nostri familiari, quando li assumiamo come baby sitter o badanti.
In effetti il fenomeno immigrazione vede direttamente coinvolto il mondo della scuola, non solo per il suo compito di accoglienza e integrazione, ma soprattutto per il suo ruolo fondamentale di formazione e qualificazione. La scuola di oggi, se da un versante promuove e finanzia scambi culturali e progetti di accoglienza e azioni di reciproco arricchimento culturale alla ricerca di radici comuni con altre popolazioni, dall’altro lato manca completamente di mediatori culturali e linguistici capaci di farsi portatori di istanze ed esigenze elementari di bambini e ragazzi provenienti da altre culture. Agli “altri” non rimane altro che accettare e subire la nostra cultura e le nostre usanze.
La massiccia presenza di queste nuove comunità nel nostro tessuto sociale è un dato rilevante, le oltre 93 etnie presenti nella sola Sicilia sono una nuova realtà con cui dobbiamo fare i conti, e quando sentiamo parlare di villaggio globale dobbiamo pensare all’emergenza di un impegno concreto volto a superare ogni ostacolo materiale e psicologico per una vera integrazione, che è presente oggi in casi sporadici. Una proficua attività di rete tra scuola,  istituzioni e agenzie economiche e formative è senz’altro un punto di partenza vincente, come ad esempio si propongono di fare lo stesso Crases e l’Assessorato regionale siciliano del Lavoro e dell’immigrazione.



Romeni e Bulgari assumibili senza restrizioni di settore
Giornale radio rai, 04-01-2012
Basta con le restrizioni imposte ai cittadini romeni e bulgari che vogliono lavorare in un altro Paese dell'Ue. Da oggi potranno essere assunti in tutti i settori senza passare per lo Sportello Unico per l’immigrazione
ROMA -Libero accesso di romeni e bulgari al mercato del lavoro dell’Unione Europea: l'Italia non rinnova le deroghe ai trattati di integrazione europea. Salgono così a 17 i Paesi comunitari che hanno liberalizzato il mercato del lavoro subordinato. Il Parlamento di Strasburgo lo aveva chiesto in una risoluzione approvata lo scorso 15 dicembre. I promotori della risoluzione erano Partito popolare europeo, Socialdemocratici, Alleanza dei liberali e democratici, Verdi. La risoluzione chiedeva ai 10 Stati dell’Unione europea (tra cui l’Italia) che hanno ancora in vigore le “misure transitorie” di abolirle e di accettare bulgari e rumeni nel proprio mercato del lavoro entro la fine del 2011. Secondo il Parlamento, infatti, non erano stati evidenziati effetti negativi in quegli Stati membri che avevano accettato senza limiti romeni e bulgari. Anzi, una comunicazione della Commissione europea dell’11 novembre scorso affermava che avevano avuto un impatto positivo. E così il nostro Paese abbandona il doppio binario per la loro assunzione. Fino ad oggi, infatti, erano stati liberalizzati solo alcuni settori: agricoltura, turistico-alberghiero, domestico e di assistenza alla persona, edile, metalmeccanico, dirigenziale e altamente qualificato, stagionale. In questi casi con i lavoratori romeni e bulgari si potevano stipulare direttamente i contratti di lavoro, come se si assumessero lavoratori italiani. Da oggi il discorso vale anche per gli altri settori, senza l’autorizzazione dello Sportello Unico per l’immigrazione. Si tratta solo di una formalità ma che allungava e complicava la vita si all’imprenditore che al lavoratore. Il Governo Monti decide, quindi, di non prolungare le norme che limitano il lavoro di bulgari e romeni fino al dicembre 2013.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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