Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 dicembre 2013

Poveri Cie, due giorni senza capire e farsi capire
l'Unità, 12-12-2013
Italia-razzismo
I centri di identificazione e di espulsione (Cie) in Italia, (in cui, lo ricordiamo, vengono trattenuti i migranti privi di regolare titolo di soggiorno in attesa di essere identificati ed eventualmente espulsi), sono sempre più luoghi sprovvisti degli standard minimi necessari a garantire un’accoglienza dignitosa. Le strutture attive sono, a oggi, cinque, mentre altre sette sono chiuse per ristrutturazione o per insufficienza di fondi dedicati alla gestione. Ciò è una conseguenza delle gare d’appalto indette per l'amministrazione dei Centri, il cui criterio fondamentale come è risultato ultimamente pare essere quello del massimo ribasso.
La conseguenza è che i 21 euro a persona al giorno stanziati per la gestione dei Cie determinano condizioni e problematiche insostenibili se si vogliono assicurare i servizi minimi previsti dalle linee guida del ministero dell'Interno. Problematiche evidenti anche nei casi – rari per la verità – nei quali il costo «procapite pro die» (per dirla con il linguaggio burocratico) risulti più alto. È questo, ad esempio il caso dei mediatori culturali che – come recitano gli stessi capitolati d’appalto relativi ai servizi di gestione dei centri – dovrebbero essere sempre previsti al fine di «garantire le elementari esigenze di comunicazione ed interrelazione con gli ospiti». Talvolta, ma dovremmo dire spesso, non è così.
Un’assenza, ad esempio, all’origine delle traversie e degli equivoci nei quali è incorsa una donna somala che si era presentata, qualche giorno fa, in Questura per formalizzare la richiesta di asilo. La signora – che non parla alcuna lingua, tranne la propria ed ha evidentemente bisogno di un mediatore – viene trasferita in un Cie di zona perché in precedenza non aveva ottemperato a un decreto di espulsione. Un assenza, quella del mediatore, che ha reso impossibile alla signora comprendere le informazioni di base: orari e regole; quali erano i propri diritti; a quali servizi poteva avere accesso; persino dove era capitata e come poter uscirne.E invece a causa dell’assenza di un mediatore che parlasse la sua lingua è stata due giorni, dal trattenimento all’udienza con il giudice di pace, senza poter parlare con qualcuno. La signora somala è stata dunque 48 ore senza capire nulla di ciò che le stava accadendo. Questo fatto è pesato soprattutto quando la mattina del secondo giorno è stata fatta salire su un’auto e condotta fuori dal centro. Il suo primo pensiero, rivelatosi per fortuna errato, è stato quello del rimpatrio. Quando invece si è trovata in un palazzo e non all’aeroporto, ha immaginato che quello poteva essere il tribunale dove si sarebbe tenuta l’udienza di convalida del trattenimento al Cie. Il suo avvocato, nonostante non fosse stato avvisato in tempo, è riuscito ad arrivare e a impedire la convalida, e impedire che la signora passasse un intero mese (o forse più) senza comunicare.
Capita così che una persona può rimanere per due giorni senza informazioni e in balia degli eventi e che la spiegazione che viene fornita è che i mediatori siano previsti solo quando sono presenti più ospiti di una determinata lingua e nazionalità. Come non è accaduto per una donna somala, sola e priva di qualsiasi mezzo di comunicazione.



Sbarchi. Bruxelles: "Più solidarietà tra Stati Ue e cooperazione"
Il vicepresidente della Commissione Šef?ovi?: “La tragedia di Lampedusa ha sottolineato i limiti delle politiche nazionali. Aiutare gli Stati sotto pressione serve a tutti”
stranieriinitalia, 12-12-2013
Roma - 12 dicembre 2013 - “La tragedia di Lampedusa ha reso dolorosamente chiaro che abbiamo bisogno di intensificare le operazioni di controllo delle frontiere e migliorare la nostra capacità di individuare le barche nel Mediterraneo . Ha anche sottolineato i limiti delle politiche nazionali per affrontare un problema grande e complesso come i flussi migratori illegali, mostrando la necessità di una maggiore assistenza agli Stati membri con particolari problemi di migrazione e di vera solidarietà”.
Lo ha detto ieri a Maroš Šef?ovi?, vicepresidente della Commissione Europea, intervenendo davanti alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo. Un discorso in vista del Consiglio europeo che riunirà capi di Stato e di governo la prossima settimana.
“Vorrei ricordare che la Commissione sta stanziando 50 milioni di euro ( compresi i finanziamenti di emergenza) , e in sostegno dell’ Italia , in particolare, sono stati giù stanziati 30 milioni, anche per operazioni di sorveglianza delle frontiere nel quadro del mandato di Frontex . La natura dei problemi richiede tale sostegno, a beneficio di tutti noi” .
“Al fine di migliorare la lotta contro la tratta , il contrabbando e la criminalità organizzata – ha aggiunto Šef?ovi? -  la cooperazione pratica e lo scambio di informazioni deve essere rafforzata anche con i paesi terzi. Bisogna rafforzare i programmi regionali di protezione, in particolare per l'Africa del Nord. I nostri sforzi di reinsediamento possono essere migliorati e, insieme con gli Stati membri, dovremmo capire come aprire nuovi e migliori canali legali per entrare in Europa , ad esempio per lavoratori stagionali, studenti e ricercatori”.
Infine, ha concluso vicepresidente della Commissione Europea, “ dobbiamo intensificare la nostra cooperazione con i paesi terzi . Ad esempio, nuove discussioni in materia di migrazione , mobilità e sicurezza dovrebbero essere intavolate  con alcuni paesi del Mediterraneo meridionale , in particolare con l'Egitto , Libia, Algeria e Libano”.


    
    
"Figli dei campi", la condizione dell'infanzia rom in Italia. L'Associazione 21 luglio: "Un futuro senza diritti"
Il libro bianco sulla condizione dell'infanzia rom che analizza le condizioni di vita dei minori e delle loro famiglie negli insediamenti formali, informali e nei centri di accoglienza per soli rom a Roma, Milano, Napoli, Torino, Pisa, Lecce, Cosenza, Palermo, Latina e San Nicolò d'Arcidano, in provincia di Oristano, dove vivono 18 mila rom e sinti dei 40 mila totali che vivono nei "campi" nel nostro Paese
la Repubblica, 12-12-2013
DANILO GIANNESE
ROMA - Nonostante i proclami delle istituzioni, che hanno sottolineato la necessità improcrastinabile di passare da una logica emergenziale ad una logica d'inclusione, l'Italia continua ad attuare nei confronti di rom e sinti una politica discriminatoria che ghettizza tali comunità nei cosiddetti "campi nomadi". Questa politica ha ripercussioni devastanti soprattutto sui minori i cui diritti umani, dall'alloggio adeguato all'istruzione, dalla salute al gioco sino al diritto alla famiglia, risultano violati in maniera sistematica.
Il rapporto "Figli dei campi". In concomitanza con la Giornata mondiale dei Diritti umani indetta dalle Nazioni Unite, l'Associazione 21 luglio ha presentato davanti alla Commissione Straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato "Figli dei campi", libro bianco sulla condizione dell'infanzia rom in emergenza abitativa in Italia. Il rapporto, finanziato grazie al contributo dell'otto per mille della Chiesa valdese, analizza le condizioni di vita dei minori rom e delle loro famiglie negli insediamenti formali, informali e nei centri di accoglienza riservati a soli rom in 9 città italiane: Roma, Milano, Napoli, Torino, Pisa, Lecce, Cosenza, Palermo, Latina e San Nicolò d'Arcidano, in provincia di Oristano. In questi centri risiedono 18 mila rom e sinti dei circa 40 mila totali che vivono nei "campi" nel nostro Paese.
Bollati come nomadi. In Italia la politica dei "campi nomadi" ha preso avvio a partire dagli anni Ottanta con l'attuazione di apposite Leggi regionali, basate sul presupposto che rom e sinti siano "nomadi" e non stanziali. Da allora, nonostante questo presupposto sia da considerarsi ormai infondato e superato, come peraltro sottolineato nella Strategia Nazionale di Inclusione di Rom, Sinti e Caminanti adottata dal governo italiano nel 2012,  le amministrazioni locali insistono nell'individuare nel "campo nomadi" il solo luogo possibile dove relegare le comunità rom e sinte, alimentando stereotipi e pregiudizi negativi nei loro confronti.
I ripeturi sgomberi. La violazione del diritto ad un alloggio adeguato, perpetrata anche attraverso ripetuti sgomberi forzati che non rispettano gli standard internazionali, ha un effetto devastante anche sugli altri diritti dei minori. Negli insediamenti formali, informali e nei centri di accoglienza per soli rom i bambini rom e sinti cadono vittime delle cosiddette patologie da ghetto (malattie infettive, ansie, fobie e disturbi del sonno) con una frequenza ben maggiore di quanto non avvenga nella società maggioritaria. In questo modo il loro diritto alla salute risulta fortemente compromesso.
Gli ostacoli all'istruzione. Vivere nei "campi" rappresenta un ostacolo importante anche per il pieno godimento del diritto all'istruzione. I minori sono infatti penalizzati dall'ubicazione degli insediamenti formali al di fuori del tessuto urbano, lontano dagli istituti scolastici, e dalla mancanza di spazi adeguati per lo studio all'interno delle abitazioni. Le politiche predisposte dalle istituzioni per le comunità rom e sinte in emergenza abitativa non contemplano poi né il diritto al gioco dei bambini né tantomeno le attività ricreative, artistiche e culturali, elementi fondamentali per un sano sviluppo intellettivo, affettivo, cognitivo e relazionale dei minori. Infine, sottolinea il rapporto, i minori rom e sinti che vivono nei "campi" hanno ben 40 probabilità in più di essere dichiarati adottabili rispetto a coetanei non rom, un dato che rivela la violazione del loro diritto alla famiglia.
La vera emergenza. "La vera emergenza non è quella inventata dal Governo italiano nel 2008, peraltro dichiarata illegittima dalla Cassazione lo scorso aprile, ma l'emergenza rappresentata dalla discriminazione cumulativa che subiscono i minori rom e le loro famiglie", afferma Carlo Stasolla, presidente dell'Associazione 21 luglio. "Questa emergenza - continua Stasolla - va affrontata non l'anno prossimo o il prossimo mese, ma oggi, perché ogni giorno che passa è un giorno in più che molti minori rom passano a giocare in mezzo ai rifiuti, in luoghi dove è difficile fare i compiti, dove non si possono invitare amici non rom per la vergogna e dove semplicemente non si può costruire un futuro fatto di diritti".
L'appello. L'Associazione 21 luglio ha lanciato un appello nazionale con raccolta firme per chiedere a otto Presidenti di Regione di abrogare le Leggi regionali che istituiscono i "campi nomadi" in Italia. Il rapporto "Figli dei campi" sarà presentato al pubblico mercoledì 11 dicembre all'Auditorium San Fedele di Milano all'interno dell'evento.



Colf e badanti. Nel nuovo Isee deduzione totale per i non autosufficienti
Nella definizione dell’ “indicatore della situazione economica equivalente” si potranno dedurre completamente retribuzioni e contributi versati. Assindatcolf: “Bene, estendere il meccanismo anche alla dichiarazione dei redditi”
straneriinitalia, 12-12-2013
Roma  -12 dicembre 2013 – Nella riforma dell’Isee appena varata dal governo, che entrerà in vigore nel 2014, c’è una buona notizia per le famiglie che si rivolgono a colf e badanti per assistere persone non autosufficienti. Per calcolare l’”indicatore della situazione economica equivalente”, indispensabile per accedere a molte prestazioni sociali, potranno infatti dedurre completamente i soldi spesi per pagare quei lavoratori domestici, tra retribuzioni e contributi versati.
A segnalare la novità è l Associazione dei datori di lavoro domestico (Assindatcolf), che parla di “un iniziale passo delle Istituzioni verso  un Welfare più attento ai bisogni delle famiglie che assumono un lavoratore domestico per l’assistenza alle persone non autosufficienti” e stima in 12.000/15.000 euro l’anno il costo sostenuto da queste famiglie.
Il nuovo sistema, spiega l’associazione,  prevede che, nella definizione dell’ISEE, in caso di disabili, si tenga conto di una franchigia (€4.000, €5.500 e €7.000) modulata in base al grado di disabilità del soggetto ovvero: media, grave o non autosufficiente. Inoltre, solo per le persone non autosufficienti, c'è la possibilità di dedurre dai redditi nella definizione dell’ISEE, tutte le spese sostenute e certificate per i collaboratori domestici o per l’assistenza alla persona.
Assindatcolf spera che questa possibilità in futuro venga prevista anche per le persone con disabilità media o grave. E,  soprattutto, che “ il concetto di deduzione integrale dei costi del personale domestico assunto per l’assistenza a persone disabili non venga usato solo per la definizione dell’ISEE, ma venga applicato anche in sede di determinazione  dell’imponibile fiscale per il pagamento delle imposte sui redditi, generando a favore delle famiglie una riduzione delle tasse da versare allo Stato”.

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