Rosarno e la protesta degli immigrati
La sera di giovedì a Rosarno, nella Piana di Gioia Tauro, alcune centinaia di immigrati, in prevalenza irregolari, si sono riversatati nelle strade della città rovesciando cassonetti e incendiando automobili.
La protesta è nata nel pomeriggio, dopo che colpi di fucile ad aria compressa avevano fatto una decina di feriti: una “spedizione punitiva” che li ha raggiunti nei capannoni dove vivono. La protesta è continuata nella giornata di venerdì. Ma chi sono questi manifestanti? Uomini, sotto i trent’anni, provenienti da  paesi africani. Si stima che siano dai 3 ai 5mila, lavoratori stagionali che raccolgono uva, arance, olive e pomodori. A seconda della stagione, si spostano dalla Puglia alla Campania dalla Calabria alla Sicilia. Le loro condizioni di vita invece non cambiano: non hanno una casa, vivono in edifici fatiscenti, senza materassi, acqua e bagni; guadagnano dai 20 ai 25 euro per 12/14 ore al giorno e, di questa paga, sono costretti a versare una “quota” ai soprastanti che li ingaggiano. È un lavoro semi-schiavistico e, talvolta, schiavistico in senso proprio (controllo “militare” sull’attività svolta, organizzazione gerarchica, trasferimenti coatti, punizioni crudeli). Il quadro di riferimento in cui tutto ciò si colloca non è, in primo luogo, quello razzismo-antirazzismo: è, piuttosto, quello del lavoro servile all’interno di un’ organizzazione criminale (in Calabria, nelle mani delle’ndrine). E  il razzismo aggiunge un elemento di oppressione e discriminazione. In ogni caso, è certo che i fatti di questi giorni sono tutt’altro che imprevisti: già nel dicembre 2008, sempre a Rosarno, due immigrati erano stati feriti da una analoga “spedizione punitiva”. Allora la reazione fu sostanzialmente pacifica.
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