Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

03 marzo 2015

Agli immigrati triplichiamo le spese
Business dell'immigrazione incontrollata: La Prefettura di Roma per il 2015 prevede 27 milioni di euro. Gli extracomunitari arrivano in Centro, Parioli e Prati
Il Tempo.it, 03-03-2015
Vincenzo Bisbiglia
Raddoppiano, anzi quasi triplicano i costi per l'accoglienza dei migranti nel circuito della Prefettura di Roma. E ora, come promesso dal sindaco Ignazio Marino, le strutture per ospitare i rifugiati politici arriveranno anche nelle zone della «Roma bene», ovvero nel Centro Storico, ai Parioli e nel quartiere Prati. È stato infatti appena pubblicato il bando 2015, che rivede molte delle condizioni economiche e geografiche per l'assegnazione dei posti alle cooperative che vorranno investire nel business dell'immigrazione incontrollata. Gli uffici di via IV Novembre hanno previsto, per un periodo di 8 mesi che va dal 1 maggio al 31 dicembre di quest'anno, una cifra che supera i 27 milioni di euro (per la precisione, 27.311.375 euro). Quasi il triplo, se consideriamo che nel 2015 la somma impiegata dalla Prefettura si era attestata sui 10 milioni di euro. A far lievitare i costi, sicuramente l'arco temporale del bando, che nel 2014 era di soli 5 mesi (da agosto a dicembre), ma anche il numero dei migranti ospitati, che sale dai 2.358 del 2014 ai 3.185 del 2015, ben 827 posti letto in più. Nel testo precedente, poi, era specificato quanti di questi posti riguardavano persone già presenti in città (nello specifico, nel 2014 erano 1.278, più della metà), mentre per il 2015 questo dato non viene fornito. Resta fissato in 35 euro il costo pro-capite giornaliero per ciascun ospite, cifra rimasta invariata rispetto al 2014, ma cresciuta di circa 5 euro nel confronto con il 2013. Ogni struttura non potrà ospitare più di 100 persone.
Costi a parte, la vera novità del bando è rappresentata dalla divisione in 7 lotti geografici. I primi 4 riguardano la città di Roma. Ed ecco che nel Lotto 1 fanno capolino per la prima volta i quartieri della città bene: 508 posti a disposizione (per 4.356.100 euro) per le strutture che volessero aprire dei centri d'accoglienza nei municipi 1 (Centro Storico), 2 (Parioli-Trieste-San Lorenzo), 3 (Nomentana) e nell'ex 17 (Prati). Una vera novità che ricalca le dichiarazioni del sindaco Ignazio Marino risalenti a settembre 2014, all'indomani degli scontri di Corcolle: «Abbiamo diversi quartieri che non ospitano nessuno, quindi credo si debba fare una distribuzione più equa». In particolare il riferimento era al Municipio 6 (Borghesiana, Tor Bella Monaca, Giardinetti) in cui si concentrano tuttora il 40% dei rifugiati politici.
In realtà, il grosso dei centri d'accoglienza, almeno per quanto riguarda il circuito della Prefettura, si sposterà a Roma Sud e sul litorale. Sono previsti 787 posti da distribuire fra i Municipi 10 (Ostia), 11 (Marconi-Magliana), 12 (Pisana) e il Comune di Fiumicino, per un totale di 6.748.525 euro da assegnare. Roma Ovest completa il grosso dell'infornata di posti letto con 242 persone da distribuire fra i Municipi 13 (Aurelia), 14 (Monte Mario), 15 (Cassia-Flaminia) e ancora ex 17 (Prati). Soltanto 89 i nuovi migranti che arriveranno nei Municipio dal 4 al 9, ovvero nei quartieri di Roma Est già densi e teatro di tensioni sociali (si pensi alla crisi di Tor Sapienza). Completano il bando gli altri tre lotti per il resto della Provincia di Roma: 390 posti nei comuni del litorale nord e del bracciante, altri 398 fra Valle dell'Aniene, area Tiburtina e Valle del Sacco e 771 per Castelli Romani e litorale sud. Oni municipio capitolino non potrà ospitare più di 200 persone (sono 100 per i comuni sotto ai 50mila abitanti).
Sembrano essere maggiormente stringenti, nel nuovo bando, i criteri per l'assegnazione dei cosiddetti «servizi per l'integrazione»: punti in più per chi propone altre ore di corsi di italiano e di «diritti e doveri e condizione dello straniero», e anche per chi organizza appuntamenti di formazione e orientamento per il proprio personale.
 
 
 
Primo, secondo e frutta per due volte al giorno
il menù del Grand Hotel Italia prevede porzioni abbondanti e "di prima qualità". Per fare un esempio: fra i 100 e i 150 grammi di pasta o riso a seconda del condimento
Il Tempo.it, 03-03-2015
Vincenzo Bisbiglia
Benvenuti al "villaggio vacanze Prefettura di Roma", dove l'"accoglienza" è una cosa seria. Soprattutto a tavola. Già, perché non sia mai che a persone che affrontano la fame, la sete e rischiano la morte per arrivare nel nostro Paese, scappando da guerre, genocidi e carestie, possano essere serviti pasti "normali", magari aderenti con quelli che i tanti poveri già presenti sul territorio nazionale ricevono nelle mense dei servizi sociali e degli enti di carità. E invece, il menù del Grand Hotel Italia prevede porzioni abbondanti e «di prima qualità». A pranzo e a cena. Qualche esempio? Cominciamo dai primi. E attenzione alla bilancia: fra i 100 e i 150 grammi di pasta o riso a seconda del condimento, oppure 80 grammi di pasta e 100 grammi di legumi. Al primo deve sempre seguire il secondo: 120 grammi di carne rossa, ma se la carne è bianca devono essere 200 grammi; attenzione, perché se poi il pollo ha l'osso, allora i grammi devono salire a 250. Accanto al secondo, si può scegliere fra 2 uova, 100 grammi di formaggio o 180 grammi di verdura. Attenzione poi, perché non devono mai mancare 2 panini (50 grammi ciascuno), e 1,5 litri di acqua minerale al giorno, in caso di necessità anche oltre.
Questo per quanto riguarda pranzo e cena. Ma a colazione che fai, solo due biscotti, un caffè e via? Neanche per sogno: il "breakfast" è continentale: "La prima colazione - si legge - sarà composta da 1 bevanda calda (200 cc a scelta, latte, caffè, tè), fette biscottate (2 fette), 1 panetto di burro, 1 confezione di marmellata o miele, in alternativa biscotti preconfezionati, per monoporzioni da 80 grammi". E attenzione, perché "il menù non potrà essere variato salvo i casi di comprovata emergenza», ma in ogni caso 2dovrà essere assicurato a tutti i commensali una disponibilità minima di 1 primo piatto" (è "ammessa anche la pizza"), 1 secondo piatto, che può essere costituito anche da formaggi e affettati, "a seconda le scelte religiose", e poi "1 tipo di frutta o yogurt, o 2 volte a settimana un dolce monoporzione e bevande come sopra indicato". Attenzione poi, perché «i generi alimentari dovranno essere di prima qualità e garantiti a tutti gli effetti di legge per quanto riguarda la genuinità".
Ora, è evidente che non si può e non si deve mettere in dubbio la necessità di fornire, a persone che vengono in Italia a chiedere asilo politico, un vitto dignitoso per tutto il tempo che serve. D'altro canto ci sono due fattori che saltano subito agli occhi. Il primo è che il menù descritto cozza evidentemente con quello fornito non solo ai poveri nostrani, ma anche, ad esempio, nelle mense scolastiche del Comune di Roma. D’altro canto, chi vigila che tutte queste portate vengano effettivamente erogate dai gestori dei centri d'accoglienza? Le segnalazioni da parte di numerose associazioni per la tutela dei migranti sembrano porre diversi dubbi. E il cibo, si sa, costa caro. Soprattutto se i soldi sono dei cittadini.
 
 
 
«Io e la cittadinanza presa dopo vent`anni (e tanto studio)»
Il caso della donna che non parla l`italiano
Corriere della sera, 03-03-2015
Leonard Berberi
Quasi vent`anni di residenza, costellati da un diploma, una laurea, un master e tre lavori. E una fila interminabile di giorni di attesa, dalla domanda di cittadinanza (inviata il i° dicembre 2008) all`appuntamento in Comune, quando - con poche, emozionanti parole pronunciate di fronte a un funzionario (svogliato) - io, albanese, pur legato al mio Paese, sono diventato quello che sognavo: un cittadino italiano. a pagina 24
Un diploma. Una laurea. Un master. Un lavoro. Un percorso di crescita umana (e culturale) in questo Paese. Una domanda di cittadinanza. Altri documenti da inviare a Roma per la pratica. Un sito consultato quasi ogni giorno per seguire l`iter. Un`attesa di fatto lunga vent`anni. Millenovecentotrentanove giorni (oltre cinque anni) di vera e propria burocrazia anche se la legge di anni ne prevede due. 
Poi la luce in fondo al tunnel: un appuntamento in Comune, poche, emozionanti, parole pronunciate di fronte a un funzionario (svogliato), quindi la festa per una giornata - 24 marzo 2014 - sognata da anni, pure dagli amici. Sono un cittadino italiano. Finalmente. 
Un calvario. Ma sono stati anni che mi hanno consentito di imparare la lingua della nuova casa, di conoscerne usi e costumi. Di integrarmi. Perché è l`essenza della cittadinanza. 
Le sfumature, ovvio, non si possono ignorare. Perché è più facile e veloce «italianizzarsi» per i piccoli (avevo 9 anni quando sono venuto qui, in peschereccio, dall`Albania) che per i grandi. Perché i bimbi hanno la possibilità di studiare, andare in gita e socializzare, mentre mamma e papà devono badare alla famiglia. 
Fa discutere la vicenda di Rani Pushpa, un`indiana di 56 anni, alla quale il sindaco del suo paesino, nel Varesotto, ha negato il giuramento. Motivo? «Non sa l`italiano», secondo il primo cittadino. La donna ha minacciato di andare in tribunale, il prefetto di Varese ha deciso che Rani Pushpa deve giurare e quindi diventare italiana. Perché - ha spiegato - il marito è cittadino di questo Paese e per lei la naturalizzazione è «un diritto soggettivo per il quale non è previsto che si debba verificare l`integrazione di una persona». E quindi «la conoscenza dell`italiano non è indispensabile». 
L`interpretazione del prefetto è impeccabile. Lo stabilisce la legge. Legge che però risale al 1992 (quando i migranti in Italia erano 500 mila), oggetto di diverse proposte di modifica (sempre arenate in Parlamento) e di un requisito - la conoscenza della lingua e della cultura italiana - che non è vincolante. Con un paradosso: chi vuole la Carta di soggiorno (valida cinque anni) deve - tra le altre cose - superare un test di lingua. Chi chiede la naturalizzazione no. 
Nel Regno Unito chi aspira a diventare cittadino di Sua Maestà deve sapere bene la lingua e conoscere gli usi e i costumi locali. In Francia bisogna dimostrare di conoscere in modo sufficiente il francese e anche la Costituzione. In Germania è previsto l`esame di lingua. In Olanda si deve superare un test anche sulla società con domande di politica, economia, trasporti. In Italia chi verifica il tasso di integrazione? Di fatto nessuno. Non le Prefetture. Non le amministrazioni comunali o regionali. Del resto le norme non lo richiedono. Così l`acquisizione della cittadinanza diventa un semplice (e lungo) passaggio burocratico. Una sequenza di requisiti. La residenza legale (almeno io anni), un lavoro (almeno negli ultimi tre anni al momento della domanda di naturalizzazione), un reddito sufficiente per non gravare sulle casse dello Stato, nessun guaio con la giustizia. 
Tutti elementi importanti. Ma perché non lo è - per legge - anche la lingua? E perché non lo sono la conoscenza della geografia e della storia di questo Paese, dei passaggi culturali, e persino degli «errori», che ci hanno portato fin qui? 
Oggi cinque milioni di persone vivono in Italia con un permesso di soggiorno. Molti si trovano qui da così tanto tempo da aver chiesto la naturalizzazione. Altri faranno domanda a breve. Tutti contribuiranno a cambiare il volto di questo Paese. Tutti, a meno di modifiche, giureranno di essere fedeli alla Repubblica e «di osservare la Costituzione e le leggi dello Stato» con una formula pensata ventitré anni fa. Qualcuno lo farà senza nemmeno capirle, quelle parole. 
 
 
 
2 marzo 2015: i rifugiati detenuti a Schwäbisch Gmünd continueranno a disobbedire
Melting Pot Europa, 03-03-2015
Un articolo di Paolo Rosi, che ringraziamo.
Germania - Lunedì 2 marzo diversi attivisti per i diritti dei rifugiati si incontreranno per le strade di Schwäbisch Gmünd (una città tedesca nella provincia del Baden-Württembergs), Hamburg, Wuppertal, Berlin, Frankfurt ed Erfurt. La protesta avrà come obiettivo, ancora una volta, la limitazione delle libertà personali da parte del governo tedesco nei confronti di migranti, rifugiati e richiedenti asilo.
Con un comunicato diffuso lo scorso 25 febbraio, i rifugiati detenuti nel centro di Schwäbisch Gmünd hanno indetto la manifestazione del 2 marzo in risposta all’imminente arresto di una decina di loro compagni. Secondo quanto si legge, queste persone rischiano l’arresto per il mancato pagamento di un precedente illecito amministrativo: “A seguito di un controllo di polizia, avvenuto durante il viaggio a Jena per un incontro sulla resistenza autonoma dei rifugiati e sulle lotte anti-deportazione, dieci di noi sono stati multati di 130,50 euro per aver intenzionalmente rotto l’isolamento del famoso lager nel quale siamo obbligati a vivere e per aver violato il Residenzpflicht”.
Il Residenzpflicht, parola traducibile in “dovere/obbligo di residenza”, è di fatto uno strumento di limitazione della libertà personale a tempo determinato nei confronti dei migranti che chiedono asilo allo stato tedesco. La norma, infatti, vieta la circolazione tra regioni diverse per un periodo di almeno tre mesi. Restrizione estendibile nei casi in cui un determinato soggetto sia stato giudicato colpevole di un qualsiasi reato, sia stato anche solo accusato di detenzione illecita di stupefacenti o sia oggetto di concrete misure per terminarne la residenza in un centro (compresa la deportazione, quindi).
È proprio quest’ultima postilla che anima da tempo le proteste di avvocati e costituzionalisti, essendo di fatto una miniera di discrezionalità per l’azione delle forze dell’ordine. Preoccupa, in parole povere, la facilità con la quale risulta possibile obbligare all’immobilità i richiedenti asilo senza che vi siano comprovati motivi di ordine pubblico.
La detenzione amministrativa dei migranti, del resto, è un tema scottante anche in Germania e gli attivisti di Schwäbisch Gmünd hanno dimostrato di saper interpretare diverse lotte politiche, promuovendo istanze di resistenza al governo che vanno dal rifiuto dei sistemi di videosorveglianza nel “lager che li ospita” - come lo definiscono loro stessi - fino alla critica delle politiche securitarie di limitazione della libertà di movimento.
Sempre nel loro comunicato, leggiamo come le proteste portate avanti negli ultimi tempi abbiano prodotto una situazione distintamente conflittuale tra autorità, cittadini e attivisti del centro richiedenti asilo: “La lotta espone i rifugiati a diverse forme di persecuzione. Siamo stati così umiliati e definiti “sobillatori” dagli ufficiali pubblici per giustificare un processo di criminalizzazione che ci dipinge come nemici dell’ordine pubblico e della sicurezza. Le nostre foto sono state persino pubblicate sui giornali locali. Da allora riceviamo minacce e lettere anonime che cercano di scoraggiare ulteriori proteste, ma anche fogli di via trimestrali e ulteriori limitazioni all’interno del Lager per rifugiati”.
Gli attivisti concludono infine l’appello alla manifestazione di lunedì 2 marzo con un proclama di disobbedienza civile e legale dal sapore piuttosto radicale, di per sé rispondente al processo di criminalizzazione in atto nei loro confronti: “Rifiutiamo il pagamento delle multe. Rifiutiamo qualsiasi arresto silenzioso. Rifiutiamo di accettare ogni persecuzione istituzionale dei rifugiati di Schwäbisch Gmünd e della Germania”.
Lotte politiche di questo tipo contestano il razzismo istituzionale che ben sappiamo accompagnare le pratiche detentive dei migranti entro i confini europei. Nei Cie e Cara d’Europa, luoghi oscuri di sospensione spazio-temporale, l’assunto egualitario della legge sembra infatti non trovare presa e le carte dei diritti umani sembrano venire eluse quando non apertamente violate. In questo contesto assumono peso specifico la protesta e la disobbedienza degli attivisti di Schwäbisch Gmünd, pratiche che palesano quanto rifugiati, migranti e richiedenti asilo siano pronti a ritagliarsi spazi politici sempre più estesi all’interno dei regimi democratici europei.
 
 
 
Tensione al Cara: scontri tra migranti e polizia, lanciati sassi e lacrimogeni
E' successo dopo le 13. Durante le fasi più accese della protesta, culminate con il lancio di alcuni sassi contro la polizia, sono rimasti feriti, ma in modo lieve, un paio di agenti e altrettanti migranti
FoggiaToday.it, 02-03-2015
Scontri al Cara di Borgo Mezzanone: migranti contro polizia
Attimi di panico, nel primo pomeriggio di oggi, al Centro per richiedenti asilo politico di Borgo Mezzanone, che per alcune ore è stato “occupato” da una cinquantina di migranti africani, ospiti della struttura. E’ successo tutto dopo le 13 di oggi, quando gli ospiti del Cara hanno attuato una insolita protesta: al cambio turno degli operatori della cooperativa che gestisce la struttura, gli stessi hanno allontanato in malo modo i dipendenti, impedendo al turno seguente di poter accedere nei locali del Cara.
Per riportare l’ordine nella struttura, è stato necessario l’intervento della polizia, giunta sul posto con una trentina di agenti. Al centro della protesta dei migranti, l'ennesimo rifiuto, da parte della prefettura, della concessione dei permessi di soggiorno; per lo stesso motivo, gli stessi sfilarono giorni fa, nelle strade di Foggia, fino a giungere dinanzi al Palazzo del Governo cittadino.
Durante le fasi più accese della protesta, culminate con il lancio di alcuni sassi contro la polizia, gli agenti hanno dovuto utilizzare anche alcuni lacrimogeni. Feriti, ma in modo lieve, un paio di agenti e altrettanti migranti. Fallito, quindi, in una manciata di ore il tentativo di “occupazione” della struttura: al momento, la situazione è tornata alla normalità e gli operatori della cooperativa hanno potuto rientrare nel Cara e riprendere le loro attività. Oltre i cancelli, gli agenti richiamati nella borgata continueranno a monitorare la situazione.
 
 
 
Nuovi volontariati: Monica, tutrice di un minore straniero
Madre di due figli, 53 anni, da un mese assiste un ragazzo Guineano che vive in Italia senza la famiglia: “E’ un impegno che ho sempre desiderato”. Parte in aprile a Bologna un corso di formazione
Redattore sociale, 01-03-2015
BOLOGNA - Fino a qualche mese fa la sua unica occupazione era prendersi cura della famiglia, dei suoi due figli, e dare ripetizioni ai bambini del paese, Castel San Pietro Terme in provincia di Bologna. Oggi Monica Goretti, 53 anni,  ha un nuovo ragazzo a cui dedicare le sue cure: si chiama Fati, ha 17 anni e viene dalla Guinea Bissau. Monica è la sua tutrice, un lavoro volontario con i minori stranieri non accompagnati, ovvero ragazzi e ragazze che si trovano in Italia senza i loro genitori. Le loro sono storie drammatiche, fatte di solitudine e spesso di povertà. E per questo il lavoro di Monica è importantissimo e utile, anche, per coronare un suo vecchio sogno: aiutare i più fragili. E chi meglio di tanti minorenni che affrontano da soli il viaggio sui barconi per arrivare in Italia in cerca di un futuro diverso? Così, dopo aver letto la notizia del corso per tutori volontari organizzato dai comuni di Bologna e Ferrara, in collaborazione con il Garante regionale per l’infanzia e la cooperativa sociale Camelot, non ci ha pensato due volte e si è lanciata in quest’avventura. “Quando ho visto la notizia ho pensato che dovevo assolutamente farlo - racconta Monica - Nella mia vita ho scelto di fare un percorso diverso, ma ho sempre voluto occuparmi dei temi legati all’immigrazione”.
Da un mese Fati fa parte della sua vita e durante le ore che passano insieme, lei lo aiuta a confrontarsi con la – spesso incomprensibile – burocrazia italiana, lo accompagna ai ricevimenti scolastici, ai musei e lo aiuta a esercitarsi con l’italiano. “Quello che facciamo come volontari non è solo seguirli nelle cose pratiche ma anche ascoltarli e passare del tempo con loro. Fare delle attività di tipo educativo - dice Monica - Ogni sabato lo accompagno in biblioteca e qui cerchiamo dei libri in portoghese in modo che possa leggere nella sua lingua oppure lo aiuto con la sua casella di posta elettronica”. Fati studia per diventare elettricista e la maggior parte della sua giornata è divisa tra i corsi d’italiano la mattina, la scuola il pomeriggio e il centro d’accoglienza la sera. “Lui è impegnato e quindi non ci vediamo tutti i giorni. Quando però ha bisogno di qualcosa mi chiama e ci mettiamo d’accordo dove incontrarci”.
Il progetto di formazione per tutori volontari è ancora in fase di sperimentazione. Ma oggi a Bologna a dare una mano ai servizi dello Sprar minori e alle diverse associazioni che si occupano di minori stranieri non accompagnati, ci sono già cinque persone. Con il nuovo anno il comune di Bologna ha deciso di continuare in questo percorso cercando di coinvolgere maggiormente il territorio. Per questo dal 14 aprile partirà un nuovo percorso di formazione a cui hanno aderito oltre alla coop Camelot anche le Officine cooperative e l’Asp di Bologna. Gli aspiranti seguiranno sette incontri in cui  esperti del settore e rappresentanti delle principali istituzioni coinvolte nei percorsi di presa in carico sociale dei minori tratteranno i principali argomenti che riguardano gli aspetti formali della tutela legale, la rete dei servizi, gli attori del territorio e il sostegno psicologico. “Alla fine del corso sono previste alcune attività laboratoriali - racconta Chiara Giudoreni, della coop Camelot - che  vedono la partecipazione di tutori volontari già attivi sul territorio bolognese. In questo modo i volontari spiegano come comportarsi nelle più diverse situazioni di vita di un minore nel nostro Paese”. (Dino Collazzo)
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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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