Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 giugno 2012

Rivedere la tassa sul permesso di soggiorno, facilitare i ricongiungimenti, sanzionare lo sfruttamento lavorativo e misure straordinarie per gli immigrati colpiti dal terremoto. Sono le richieste dei sindacati al Governo sull’immigrazione.
Confronto con il Governo sul Tavolo Immigrazione: nota congiunta di Cgil, Cisl e Uil.

Immigrazioneoggi, 11-06-2012
Rivedere la soprattassa sul permesso di soggiorno che in questo momento di crisi penalizza le famiglie, ratificare “presto e bene” la direttiva europea che sanziona lo sfruttamento di lavoratrici e lavoratori immigrati irregolari, prevedere misure straordinarie per fronteggiare il particolare disagio in cui si trovano le famiglie immigrate residenti nelle zone colpite dal terremoto in Emilia Romagna.
Sono alcune delle richieste avanzate da Cgil, Cisl e Uil al Governo nel corso di un incontro del Tavolo Immigrazione svoltosi la scorsa settimana. La riunione, definita “un approfondimento di merito con i Ministeri dell’Integrazione, dell’Interno e del Lavoro, alla presenza del ministro Andrea Riccardi e della sottosegretaria al Lavoro Cecilia Guerra” ha permesso ai sindacati di ribadire la propria posizione, secondo cui “è urgente decidere su profughi, tassa di soggiorno e applicazione corretta delle direttive europee”.
Secondo una nota congiunta firmata dai tre sindacati, i segretari Confederali Vera Lamonica (Cgil), Liliana Ocmin (Cisl) e Guglielmo Loy (Uil) hanno posto l’accento sulla necessità di ratificare presto e bene la direttiva europea n. 52 che “sanziona lo sfruttamento di lavoratrici e lavoratori immigrati irregolari, prevedendo nel contempo una norma transitoria, in fase di applicazione, volta a consentire l’emersione di questi lavoratori e tale da non penalizzare le aziende e le famiglie”. In questo senso – informa la nota – “il Governo ha predisposto un decreto legislativo che ha già ricevuto il parere positivo delle Commissioni parlamentari, che hanno anch’esse richiesto la necessità di una norma transitoria finalizzata ad una regolarizzazione selettiva”. Per i sindacati si tratta di un aspetto di “primaria importanza perchè in Italia vi è un numero rilevante di lavoratori irregolari, in particolare immigrati, che lavorano in condizioni di particolare sfruttamento”. “Un provvedimento – scrivono i sindacati – che faciliti l’emersione dunque consentirebbe, oltre a legalizzare lavoro e tutele, di evitare la concorrenza sleale nonché un cospicuo introito fiscale e contributivo a beneficio di tutto il Sistema Paese”.
Cgil, Cisl e Uil – continua la nota – “hanno insistito anche sulla necessità di rivedere la soprattassa sul permesso di soggiorno che, in questo momento di crisi, penalizza e pesa fortemente sui redditi delle fasce più deboli e delle famiglie immigrate che vivono e lavorano nel nostro Paese”.
Inoltre, sono state affrontate altre questioni e avanzate altre richieste: in particolare “misure straordinarie per fronteggiare il particolare disagio in cui si trovano le famiglie immigrate residenti nelle zone colpite dal terremoto in Emilia Romagna” e una “risposta urgente, richiamando una precedente lettera unitaria inviata proprio al ministro Riccardi ed alla ministra dell’Interno Severino, sui lunghissimi tempi di attesa, due anni, per le domande di ricongiungimento in alcuni territori; la ratifica della Convenzione OIL n.189/2011 e della Raccomandazione OIL n. 201/2011 sul lavoro dignitoso per le lavoratrici e i lavoratori domestici”.
La nota sindacale informa che è stata registrata “la disponibilità del Governo, che ha mostrato attenzione ed interesse per le proposte del sindacato, rimarcando però la necessità di un approfondimento delle tematiche fra i ministri competenti, in particolare con quello dell’Interno”. “Sono stati programmati altri incontri, ma occorre fare presto”, affermano i sindacati, sottolineando che “dette questioni, se non affrontate con tempestività e concretezza, possano determinare o accentuare tensioni a fronte invece di necessario buon senso, responsabilità e coesione sociale”.



G3, baby mamme figlie di immigrati. Ma esiste un’eta giusta per fare i genitori?
Corriere della sera, 11-06-20112
Rania Ibrahim

Mia nonna ebbe il suo primo figlio all’età di 13 anni, il primo di quattordici figli. Sono venuta al mondo 9 mesi e 12 giorni dopo il matrimonio dei miei genitori, mia madre aveva appena compiuto 18 anni. Che dire: precisa dalla nascita! Il mio primo figlio ”ho avuto all’età di 27 anni, dopo circa 3 anni di matrimonio. Nel mio caso, in Italia o in generale nel mondo occidentale, nessuno si stupirebbe, anzi mi sento spesso dire dalle mie amiche italiane che avrei dovuto aspettare ancora un po’ e godermela di più. Eppure, per i miei parenti ero quasi Matusalemme, definita “scaduta”. La mia cara nonna mi ricordo che quando le diedi la lieta notizia al telefono, esclamò: “Finalmente, era ora figlia mia, ci hai fatto preoccupare”. Ogni anno in vacanza, mi guardava la pancia e diceva, “Niente ancora? Ma stai bene, ma tuo marito funziona?” Un vero incubo.
Ho conosciuto mamme minorenni molto più “mature” e consapevoli del ruolo e del dono ricevuto di mamme attempate, spesso “immature” e ancora alla ricerca di un senso materno forse poco presente o magari mai esistito, spesso forzato, ma vista l’età dato per scontato e certo. Vi ricordate il film Juno, la liceale con il pancione e la sua storia ambientata tra i banchi di scuola? Un film sul fenomeno sociale delle mamme minorenni e sulla difficoltà di scelte spesso dolorose. La pellicola suscitò dibattiti e polemiche perché accusata di aver esaltato il boom delle baby-mamme negli USA, rendendolo un fenomeno cool. Ho seguito negli ultimi anni Teen Mom, un docu-reality ambientato negli Stati Uniti in onda su MTV, dove si presentavano le vicende di ragazze divenute precocemente madri. Un programma che intrecciava la delicatezza dei momenti più intimi legati al parto, dai primi giorni con il neonato alle coccole dei piccini, con la realtà cruda e dura di famiglie borderline, spesso con genitori in carcere, disoccupati o tossicodipendenti, che hanno affrontato anche il complicato tema dell’adozione dei neonati. Alcune puntate erano un vero pugno nello stomaco.
    Ma qual è l’età giusta per avere figli?  Bisogna realmente aspettare di essere maturi, e quando succede? Chi può definire l’età giusta per sentirsi pronti a fare “il genitore”? Come ci si dovrebbe porre davanti alle differenze culturali e religiose riguardanti l’età definita “adatta” per concepire un figlio? Come si vive una maternità precoce in un Paese straniero e quali sono le dinamiche interne alle famiglie di queste giovani mamme, magari figlie della prima generazione di immigrati arrivate in Italia tramite la prassi dei ricongiungimenti famigliari?
Tante domande, alle quali potremmo trovar risposta magari seguendo le puntate di G3 Piccole mamme crescono, docu-reality (da cui è tratta la foto) in onda su Babel tv (Sky 141) e dal 9 giugno ogni sabato alle 14.30 in esclusiva free su Cielo (DTT, canale 26) che affronta per la prima volta il tema della gravidanza in età adolescenziale tra le “nuove Italiane”. Il programma si ispira al rapporto di Save the Children sulle madri adolescenti in Italia.
    Nel 2008 le “piccole mamme” in Italia erano oltre 10.000, di cui il 18% di origine non italiana. Puo? l’incontro degli usi e costumi dei Paesi di origine con le abitudini di vita italiane aver contribuito a trasformare delle adolescenti in “piccole mamme”?
Personalmente non credo che le cause di una gravidanza precoce possano essere solo il risultato di una mancata integrazione. Sicuramente può averlo alimentato, ma non credo possa definirsi una causa diretta. Il dialogo nelle famiglie, il rapporto di serenità e fiducia, l’educazione all’affettività e a una sessualità consapevole, sono determinanti nella nostra crescita, condivisibili e auspicabili in tutte le famiglie a prescindere dalle origini. Ammetto che la condizione di queste baby mamme, che hanno concepito figli fuori dal matrimonio, per chi come me è di fede islamica, rappresentano casi minimi, avrebbe creato una condizione realmente disastrosa e la cronaca spesso ci riporta casi estremi di maternità non accettate, con conseguenze anche pesanti per le giovani ragazze. E’ ovvio che sono casi sporadici e comportamenti criminali assolutamente da condannare.  Ma non condivido neppure il fenomeno dei matrimoni tra adolescenti legalizzati in certi Paesi o peggio ancora se si parla dei casi delle spose bambine, ancora oggi presenti in alcune realtà che accettano mamme 3G solo se sposate.
    Insomma è giusto chiedere a chi decide di lasciare il proprio Paese, di abbandonare i suoi usi e costumi, la propria tradizione e chiedere invece di abbracciare e rispettare, non solo le leggi, ma anche tutto il codice comportamentale, sociale del paese d’arrivo, in questo caso l’Italia?
Beh, per alcune pratiche tribali arcaiche o pericolose, assolutamente sì. Beatrice Coletti, l’autrice del programma ha dichiarato :«Abbiamo deciso di realizzare “Piccole Mamme Crescono” per raccontare una realta? poco conosciuta in Italia. Durante le riprese del programma siamo rimasti stupiti perche?, oltre alla questione della maternita?, sono emersi temi che non immaginavamo, come il punto di vista sulla cittadinanza delle mamme teenager e sul futuro anche “giuridico” dei loro figli. Tutto cio? ci fa riflettere sul futuro che attende i bambini nati in questo periodo: la terza generazione di nuovi italiani». Come conferma Arianna Saulini di Save the Children: “Il programma di Babel Piccole Mamme Crescono rappresenta uno spaccato di maternita? complesso con un taglio centrato sulla giovane mamma di origine non-italiana, che contestualmente ai problemi di essere una mamma teen spesso, purtroppo, deve affrontare anche quelli dell’integrazione nel nostro Paese. Il programma -spiega la Saulini- vuole far riflettere su come l’impatto culturale che affrontano i giovani venuti in Italia per vari motivi, tra i quali il ricongiungimento familiare, possa influire a volte significativamente sulle scelte e il percorso di vita degli stessi”.
    Mi chiedo se fosse stato così essenziale scindere il fenomeno tra madri italiane e nuove italiane.
Insomma mi sarebbe piaciuto vedere giovani straniere e italiane affrontare le loro vicende, sottolineando indubbiamente le differenze, ma esaltando le similitudini, qualora ve ne fossero, anche se comprendo le scelte di Babel tv di produrre un programma dove si evidenzia la condizione delle nuove italiane, essendo un canale tematico dedicato ai nuovi cittadini. Un parallelismo tra le famiglie, mi avrebbe comunque arricchito ulteriormente. Ho già visto un paio di puntate e mi ha colpito la serenità dei genitori delle baby-mamme, sicuramente affievolita ed elaborata nel corso degli anni dopo una serie di vicissitudini anche difficili, ma ancora di più la maturità delle giovani mamme, assolutamente lodevoli nell’affrontare la vita e i sacrifici, con dignità e consapevolezza.
    Un’ultima domanda. Mi chiedevo, ma se queste ragazze sono mamme 3G, se andiamo avanti di questo passo io tra qualche anno verrò definita come una nonna 4G e bisnonna di 5G? Speriamo di no.



Immigrazione: due sbarchi in Calabria, sono 156, 68 minori
Giunti con due yacht, anche una famiglia con otto figli
(ANSA) - CROTONE, 10 GIU - Ci sono stati due sbarchi di immigrati in provincia di Crotone. Il gruppo piu' consistente (113) e' arrivato a Strongoli, mentre a Isola Capo Rizzuto sono giunti in 43. Sono afghani, siriani, iraniani e iracheni. Sono stati abbandonati dagli scafisti dopo avere viaggiato a bordo di due yacht partiti da Izmir, in Turchia. Del gruppo fanno parte 68 minori. Molti i genitori con figli al seguito. Una coppia afghana ha portato i suoi otto figli, la gran parte dei quali minorenni. (ANSA).



Immigrati, video shock di Repubblica: La violenza nei Cie
Tisscali, 11-06-2012
Roma, 11 giu. (LaPresse) - Tentativi di fuga sedati col getto degli idranti e col lancio di lacrimogeni all'interno del cortile, e immigrati contusi, che mostrano le ferite alla telecamera. Sono le immagini rubate da un telefonino di un migrante dentro il Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Milo, alle porte di Trapani, una struttura aperta nel 2011, pubblicato dal quotidiano Repubblica. Nel video si vedono immigrati costretti a mangiare a terra tutti i giorni, perché la mensa c'è ma non è mai stata usata per paura che una rivolta usi i tavoli e le sedie. Matite e penne sequestrate, le camerate perquisite continuamente. Nel tentativo di uscire le persone recluse sono disposte a ingerire pile elettriche e lamette, e arrivano persino a cucirsi le labbra, gli occhi, in un gesto estremo di protesta.
All'ingresso nella struttura, spiega Repubblica, le forze dell'ordine costringono i migranti a rompere la telecamera del telefonino, una pratica già denunciata a LaPresse anche dai migranti del Cie di Torino. E anche la pratica di cucirsi labbra e occhi è già stata documentata a Torino, mentre quella di ingerire pile e lamette è ormai così diffusa che neanche viene più registrata dalle cronache. All'origine di tutto la permanenza fino a 18 mesi dentro una struttura detentiva di persone non accusate di alcun reato, che sono lì per essere identificate ed espulse. Ma nelle quali sono frequenti i casi di chi, in Italia da anni, finisce dentro per un problema amministrativo. Come quello, documentato da Repubblica, di Klay Aleya, arrivato regolarmente in Italia nel 1988. Residente a Nettuno, alle porte di Roma, nel 2009 ha fatto richiesta di rinnovo del permesso. Ma la macchina burocratica per lui si è inceppata, ad oggi aspetta ancora una risposta. E' stato fermato e portato al Cie di Ponte Galeria a Roma per poi essere trasferito nel nuovo Cie di Trapani. O quello di un croato di 61 anni scappato in Italia ai tempi della guerra nella ex Jugoslavia, e che là risulta morto. Dietro le sbarre in attesa di una espulsione impossibile.
Le immagini recuperate da Repubblica mostrano persone arrampicate sul recinto metallico esterno che, tentando la fuga, a 5 metri di altezza, vengono colpite dal getto degli idranti delle forze dell'ordine che cercano di bloccarli, rischiando di farli cadere di sotto. All'origine della rivolta, denunciano gli stessi migranti, uno di loro colpito da una manganellata, che mostra alla telecamera l'occhio tumefatto. Fuori dal recinto, a due passi dall'autostrada, i segni della rivolta: scarpe perse nella fuga, indumenti, frammenti di suppellettili.




Cie, le galere fuorilegge
La Repubblica, 09-06-2012 RE LE INCHIESTE
Sono i centri in cui gli extracomunitari senza documenti dovrebbero vivere (non essere imprigionati) in attesa di identificazione. Dentro tensione e violenza testimoniati dai nostri video esclusivi. Sono vere e proprie prigioni inutili allo scopo perché dopo 18 mesi pochi vengono identificati e molti fuggono.

Lo scandalo dei centri di identificazione dove gli ospiti diventano detenuti
La Repubblica, 09-06-2012
Sono 12 le prigioni amministrative italiane e c'è in programma di aprirne altre 4. Piene di persone che non hanno commesso reati ma dovranno restarci anche 18 mesi.  Da Trapani a Gradisca d'Isonzo è un sistema infernale con appalti milionari e violazioni dei diritti umani. Una task force governativa per verificare le condizioni
Il ministero dell'Interno ha annunciato, in questi giorni, una task force per verificare le condizioni di detenzione. Il Partito democratico manda una delegazione di parlamentari a ispezionare le strutture dall'11 al 25 giugno. "Un nuovo tipo di istituzione totale" li ha chiamati l'Ong Medici per i diritti umani. "Cattivi cestini" che producono mele marce, istituzioni che rendono cattivi e razzisti in cui si diventa 'non persone', scrive Clelia Bartoli, docente di Diritti Umani all'Università di Palermo nel libro "Razzisti per legge. L'Italia che discrimina". Sono i Cie, i Centri di detenzione amministrativa per stranieri senza permesso di soggiorno e stanno alla base delle politiche europee ed italiane sull'immigrazione. In Italia stanno spuntando come funghi. Da Trapani a Gradisca d'Isonzo, ce ne sono 12 aperti e altri 4 in programma a breve e medio termine. Trapani è l'unica città ad averne due sul suo territorio, ma il governo pianifica di aprirne un terzo. La location scelta è la pista abbandonata dell'ex aeroporto militare Chinisia. E se nella città siciliana le istituzioni locali non si sono pronunciate, a Bari invece il comune e la Regione Puglia hanno appoggiato l'azione legale degli avvocati Luigi Paccione e Alessio Carlucci che hanno chiamato il ministero dell'Interno sul banco degli imputati per avere istituito "un carcere non dichiarato, extra ordinem". Il tribunale del capoluogo pugliese ha accettato la loro azione popolare, con cui chiedono la chiusura del Cie. L'udienza per le violazioni dei diritti umani si terrà l'11 luglio.
LA MAPPA DEI CIE
"Cie" è un acronimo per addetti ai lavori. Non si possono chiamare "carceri", sono "centri di identificazione e di espulsione". Dentro non ci sono "reclusi", ma "ospiti" in attesa di un documento, un passaporto, un lasciapassare che non arriva mai. I migranti che fuggono non "evadono" perché non stanno commettendo un reato, "si allontanano arbitrariamente". Le rivolte per guadagnarsi la libertà diventano "danneggiamenti". È il linguaggio della burocrazia. Serve a dare un'apparenza di normalità tecnica a un sistema violento, repressivo e kafkiano, iniziato con l'istituzione dei Cpt (Centri di permanenza temporanea) della legge Turco-Napolitano e degenerato nei Cie, centri di identificazione e di espulsione, voluti da Roberto Maroni quando era ministro dell'Interno. I giorni di detenzione previsti all'inizio erano 60, poi sono triplicati per due volte, passando a sei mesi nel 2009, a 18 mesi nell'agosto 2011. È il tempo massimo previsto dalla direttiva europea sui rimpatri per casi eccezionali, ma in Italia è stato recepito come la regola.
Un anno e mezzo dietro triple file di sbarre alte da cinque a sette metri, telecamere che registrano ogni movimento e la sorveglianza di carabinieri, poliziotti, finanzieri e militari. Poco importa se le gabbie sono dipinte di giallo, se i muri delle stanze sono colorati di blu o di rosso. Chi sta dentro ha un unico pensiero per 24 ore al giorno: come riuscire a scappare. Sente di subire un trattamento ingiusto perché non ha commesso reati per finire in gabbia. Dentro le celle, a differenza del carcere, non si può tenere niente: una sedia, una matita, una penna. Perfino i tappi delle bottiglie sono vietati. Ogni piccolo oggetto può essere usato per autolesionismo. Ci si taglia, ci si cuce la bocca, si ingoiano pile e altri corpi estranei. Così, sperano i rinchiusi dei Cie, andranno in ospedale e da lì sarà più facile scappare.
Ozio forzato perché non c'è nulla da fare, disagio e frustrazione perché nessuno sa quanto tempo esattamente dovrà stare rinchiuso in attesa di un rimpatrio che forse arriverà domani, o forse non arriverà mai. Molti escono per scadenza dei termini con un foglio di via, collezionano decine di espulsioni e poi rientrano nel Cie al successivo controllo dei documenti. "L'unico modo per sfogare la rabbia è spaccare qualcosa che c'è intorno. Si genera così violenza contro gli arredi o contro se stessi" dice Alberto Barbieri, coordinatore dei Medu (Medici per i diritti umani). Nel Cie di Torino Barbieri ha scoperto "una cosa grottesca": l'agility dog. Una volta a settimana, "i reclusi vengono fatti assistere agli spettacoli di cani che saltano nei cerchi e fanno percorsi a ostacoli". A Torino nel 2011 ci sono stati 156 atti di autolesionismo, 100 per ingestione di corpi estranei e 56 per ferite di arma da taglio. Un terzo dei reclusi assume psicofarmaci. Senza prescrizione di uno psichiatra. Anche a Roma, nel centro di Ponte Galeria, il 50 per cento dei trattenuti è sotto ansiolitici.
Nel rapporto "Le sbarre più alte", Medu riferisce che nel Cie capitolino sono stati internati 820 romeni negli ultimi due anni. Prima nazionalità per presenze nel 2010 e terza nel 2011. Un abuso evidente, visto che i romeni non hanno bisogno del permesso di soggiorno perché sono cittadini europei.
I governi sono convinti di non poter fare a meno dei centri di identificazione e di espulsione. Ma in tempi di spending review, sembrano un inutile spreco sulla pelle di alcune migliaia di indesiderati sociali. Le cifre parlano chiaro: si stima che gli immigrati irregolari in Italia siano circa 500 mila. Ma in totale nel 2010 sono entrate nei Cie circa 7 mila persone, di cui solo il 48 per cento è stato rimpatriato. Il sottosegretario all'Interno Saverio Ruperto, lo scorso 10 maggio, ha detto alla Camera che la percentuale è salita al 50 per cento nel 2011, ma ha fornito un dato incompleto perché non si sa il numero di trattenuti nei Cie dopo il 2010, né quanti rimpatri sono stati fatti e verso quali Paesi. Sempre secondo il sottosegretario, gli interventi di ampliamento e costruzione di nuovi Cie porteranno a 700 nuovi posti, il totale sale così a circa 2000.  Da quando i tempi di detenzione si sono allungati, servono altre strutture. Nessuno considera il fatto che l'inasprimento della pena ha sortito effetti contrari a quello che si voleva ottenere. Il numero degli ingressi e dei rimpatri continua a diminuire. Questo vuol dire che il sistema si avvita su se stesso, internando sempre e solo alcune categorie di persone. Basta guardare l'esempio di Ponte Galeria, dove i reclusi sono stati 3.206 nel 2009, 2.172 nel 2010 e 2.049 nel 2011. La percentuale dei rimpatriati, sul totale delle presenze nel centro capitolino, è passata dal 48% del 2009 al 47% del 2010, al 39% nel 2011. In compenso, le rivolte, le fughe di massa e le repressioni violente come quelle che si vedono nel video esclusivo, sono all'ordine del giorno in tutti i centri italiani.


Gli abitanti del carcere perfetto Unica colpa essere stranieri
Sono dietro le sbarre senza aver commesso alcun reato. Si rifiutano di scontare la pena. Tentano la fuga, ma non tutti riescono a farlo. Dentro c'è anche chi è stato intrappolato dalla burocrazia: dissidenti politici che non esistono per il loro paese, cittadini europei, padri di bambini nati in Italia arrivati più di venti anni fa
la Repubblica, 09-06-12
RAFFAELLA COSENTINO e ALESSIO GENEVOSE
TRAPANI - Alla fine dell'autostrada Palermo-Trapani, nascosto dalle siepi, c'è il nuovo centro di identificazione ed espulsione (Cie) di contrada Milo a Trapani. Inaugurato a luglio 2011 questo centro, al contrario di molti altri ricavati in edifici come ex ospizi o comunità per tossicodipendenti, è stato progettato e costruito per essere un Cie modello. La struttura è praticamente inaccessibile dall'esterno e si trova lontano dal centro abitato. Una torre centrale domina i cinque settori in cui si divide, alti cancelli color giallo canarino separano le aree. Il modo in cui è stato realizzato fa pensare all'occhio del sorvegliante che penetra la vita dei sorvegliati costantemente, con l'intento di rendere la permanenza una punizione esemplare. Un Panopticon di ultima generazione pensato per la detenzione amministrativa, il carcere perfetto  ideato dal filosofo inglese Jeremy Bentham che lo definì "un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e in quantità mai vista prima". Oggi che il centro è aperto quel progetto sembra fallito del tutto.
I reclusi rifiutano di scontare una pena ingiusta, prolungabile fino a diciotto mesi. L'unico modo che hanno di opporsi è quello di ribellarsi e tentare di scappare dalla gabbia. Le barriere architettoniche interposte tra loro e il mondo esterno non servono a fermali. Abbiamo visto come idranti e lacrimogeni vengono utilizzati per contrastarli, ma anche quelli non bastano. I più giovani si arrampicano sul recinto, mentre alcuni tengono impegnati gli agenti altri saltano dall'altro lato e si danno alla macchia. Spesso li si vede correre sull'autostrada, camminano per giorni prima di trovare un centro abitato. Circa una settimana fa sono scappati in centodiciotto. A detta dei finanzieri di guardia, è stata una notte "intensa" quella. Ma non tutti hanno l'energia per tentare la fuga. Qui dentro finiscono anche padri di famiglia, persone in età da pensione, residenti in Italia da decenni e che sono in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno.
E' il caso di Klay Aleya, nato in Tunisia nel 1962 e arrivato regolarmente in Italia nel lontano1988. Gli hanno contestato l'ingresso illegale nel 2010 ma lui è residente a Nettuno, dal suo arrivo ha sempre lavorato come pittore edile. Klay è per giunta sposato e convive con una cittadina europea dal 2001. Nel 2009 ha fatto richiesta di rinnovo del permesso presentando tutti i documenti necessari. Ma la macchina burocratica per lui si è inceppata, ad oggi aspetta ancora una risposta. E' stato fermato e portato al Cie di Ponte Galeria a Roma per poi essere trasferito nel nuovo Cie di Trapani. Il suo avvocato, Serena Lauri, ha presentato ricorso contro il decreto di espulsione, nel frattempo l'unico modo che abbiamo per parlare con lui è da dietro le sbarre. Le stesse sbarre che lo tengono lontano dalla moglie e dal lavoro.
Poi ci sono i casi impossibili da rimpatriare. Quelli che i consoli non riconoscono. Nel Cie di Trapani molti reclusi hanno fatto la spola diverse volte con l'aeroporto di Palermo, dove il console tunisino dovrebbe fare il riconoscimento 'sotto bordo'. Ma la Tunisia non è obbligata a riprendersi tutti. A quanto pare, gli accordi bilaterali prevedono il rimpatrio di chi è arrivato irregolarmente dopo il 5 aprile 2011. Chi è in Italia da molti anni e soprattutto chi ha scontato anni di carcere per reati come lo spaccio di droga, difficilmente ottiene il nulla osta del consolato per essere riportato indietro. Tutte persone che prima o poi verranno rilasciate per scadenza dei termini, dopo aver scontato per diciotto mesi un castigo senza delitto. Un signore croato di sessantuno anni ci racconta di essere un disertore. Lui i documenti non li ha mai potuti fare per paura di essere rintracciato. All'epoca era scappato da un paese in guerra, se fosse rimasto avrebbe dovuto prendere parte al conflitto che ha devastato l'ex Jugoslavia tra il  '91 e il '95. Da allora si nasconde in Italia, per il suo paese lui è una persona morta. Per l'anagrafe non esiste più.
Mohammed invece ha fatto nove anni e mezzo di carcere, viveva ad Ancona con la famiglia e sperava di tornare dalla moglie che ha un regolare permesso di soggiorno e dalla figlia, nata in Italia. Invece, il giorno in cui ha finito di scontare la pena, la polizia lo ha preso all'uscita dal penitenziario e l'ha portato fino a Trapani. Lo Stato italiano deve ancora riuscire a identificare una persona che è stata un decennio fra le sbarre. L'articolo 15 del Testo Unico sull'Immigrazione prevede che lo straniero autore di un reato venga identificato contestualmente alla reclusione in carcere. Ma questa norma non è mai applicata. E oltre la metà dei reclusi nei Cie, in qualche centro anche l'80 per cento, sono ex detenuti. Un modo semplice per tenere i centri sempre pieni. Il risultato è che nella stessa gabbia convivono onesti lavoratori, giovani migranti appena entrati illegalmente, persone nate in Italia da genitori stranieri che per qualche motivo non hanno la cittadinanza italiana e persone che hanno compiuto crimini più o meno gravi.


"Una detenzione peggiore del carcere" Giuliano Amato boccia i Cie
Non reggono più davanti alla Costituzione. Secondo il giurista, ex titolare del Viminale e attuale consigliere del premier Mario Monti sui fondi ai partiti, i centri sono una "prigione per reietti, nella quale non valgono le garanzie"
la Repubblica, 09-06-2012
RAFFAELLA COSENTINO
La Commissione Diritti Umani del Senato ha pubblicato un rapporto in cui definisce le condizioni di internamento nei Cie "peggiori di quelle delle carceri". La detenzione lunga fino a un anno e mezzo è stata bocciata dalla Commissione Onu per l'eliminazione delle discriminazioni razziali (Cerd). Abbiamo chiesto a un giurista come Giuliano Amato se i Cie reggono la prova della costituzionalità. Amato, ministro dell'Interno con il governo Prodi, emanò una circolare per l'identificazione degli stranieri in carcere. Norma mai applicata, con un circolo vizioso Cie - carcere che vede rinchiusi per detenzione amministrativa ex carcerati assieme a colf, badanti, muratori e operai che hanno perso il lavoro. In un contesto di "promiscuità" evidenziato più volte dai parlamentari.
Il tempo massimo di reclusione nelle prigioni amministrative è triplicato. Sono luoghi generatori di violenza ed esclusione. Servono veramente a rimpatriare i migranti irregolari o sono uno sperpero di un fiume di denaro pubblico?
"Rispondo così: credo sia impossibile farne a meno, penso sia intollerabile usarli per un tempo così lungo e per finalità che non sempre corrispondono a quelle prescritte dalla legge. Sono diventati luoghi in cui si mette la gente di cui non si sa che altro fare. In più sono luoghi nei quali non si vogliono creare le necessarie distinzioni tra le tipologie umane, per cui capita che vi siano padri di famiglia costretti a patire la convivenza con persone assai pericolose, è una detenzione peggiore di quella carceraria".
Con i 18 mesi di trattenimento sono diminuti il numero di persone che si riesce a internare nei Cie e i rimpatri. Ma è legale la detenzione di una persona così a lungo solo per identificarla?
"Lo ritengo una forzatura. Fossi rimasto ministro dell'Interno mi sarei opposto al prolungamento fino a un anno e mezzo, anche per motivi eccezionali. Anche se la direttiva europea è precisa nel definire questi casi, io ritenevo questa clausola sbagliata. Tre mesi bastano. Se non hai identificato uno straniero in 90 giorni, non lo identifichi più. La disciplina italiana, poi, ha reso ordinaria la deroga. Per questo merita di essere rivista. L'esilissimo fondamento costituzionale sul quale si reggeva il centro di identificazione e la restrizione della libertà personale a cui esso dà luogo non tiene più, costituzionalmente collassa".
Nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, sono stati internati quasi mille romeni negli ultimi due anni. Ma sono cittadini europei, com'è possibile?
"Non so proprio cosa dire davanti a una cosa simile. Questa è la prova che il Cie è in realtà una sorta di carcere per reietti, nel quale non valgono le garanzie del carcere. Capisco che noi abbiamo avuto fenomeni di delinquenza da parte di cittadini romeni e quindi che ne sia stata deliberata l'espulsione, cosa che la legislazione comunitaria consente, ma che siano finiti lì è qualcosa che può solo lasciare stupefatti".


Il business tra emergenze e appalti Ecco come si muovono i soldi nei centri
Quello dell'identificazione è un giro di affari che fa gola a tutti. Il Viminale ha tagliato i fondi, ma solo nel 2011 ha stanziato più di 18 milioni di euro. Gli enti gestori fanno a gara per un posto tra guerre giudiziare e interrogazioni parlamentari. Il loro compito è di "umanizzare" i centri, ma secondo l'Ong Medici per i diritti umani "non sono in grado di modificare le criticità di fondo" di la Repubblica, 09-06-2012
RAFFAELLA COSENTINO e ALESSIO GENOVESE
Costruire, mantenere, riparare e gestire i Cie è una spesa enorme, di cui non si riesce a quantificare l'ammontare esatto a causa della scarsa trasparenza da parte della pubblica amministrazione. Mettendo insieme una serie di dati sparsi e incompleti si ottengono cifre da capogiro. Realizzare un posto letto nel centro di identificazione ed espulsione di Torino è costato 78mila euro, come ermerge da una relazione tecnica del servizio studi della Camera dei Deputati del 2008. Relazione che accompagnava la legge 186 del 2008 con la quale furono stanziati fino al 2010 fondi per 78 milioni di euro per la costruzione di nuovi Cie per un totale di mille posti in più. 18 milioni di euro sono stati erogati all'inizio dell'anno dal governo Monti per i nuovi centri di Santa Maria Capua Vetere (Ce) e Palazzo San Gervasio (Pz). Quest'ultimo era stato chiuso in fretta e furia dal Viminale un anno fa, dopo la nostra inchiesta "Guantanamo Italia", con cui denunciavamo le condizioni disumane di una tendopoli temporanea per tunisini trasformata in una gigantesca gabbia in soli tre giorni. Ma nel frattempo il tempo massimo di internamento nei Cie è triplicato e quindi serve una maggiore capienza.
La legge del precedente governo che ha portato le detenzione amministrativa da 6 a 18 mesi ha previsto una spesa totale ad hoc di altri 120 milioni fino al 2014, suddivisi in 40 milioni annui per tre anni.  Non sono state quantificate le spese sostenute in questi anni dal ministero dell'Interno attraverso le prefetture per riparare i danni delle rivolte e per innalzare le misure di sicurezza. Incendi e proteste distruttive hanno reso inagibili dei settori in molti centri, come a Torino, Milano e Gradisca d'Isonzo, e hanno portato a chiudere interamente quelli di Caltanissetta e Crotone per oltre  due anni. Il primo ha riaperto a fine marzo, il secondo sarà presto di nuovo in funzione. A Roma sono stati impiantati dei pannelli trasparenti completamente lisci al di sopra delle sbarre per impedire le fughe di massa dal tetto.
Un capitolo a parte è la gestione dei servizi nei Cie, appaltata dalle prefetture a realtà molto note in campo umanitario, ad esempio la Croce Rossa, oppure a cooperative e organizzazioni spesso di impronta cattolica, come le Misericordie o il consorzio Connecting People. Gli appalti si fanno parzialmente in deroga alla legge, grazie all'emergenza immigrazione, dichiarata nel 2002 e da allora prorogata ogni anno da tutti i governi.
Il dato complessivo del giro d'affari degli enti gestori è di 18 milioni e 607 mila euro solo per il 2011, stanziati dal ministero dell'Interno. I singoli appalti variano. A Ponte Galeria, il Cie della capitale, il più grande d'Italia, la convenzione con la cooperativa Auxilium è di 41 euro al giorno a persona. Moltiplicando per una media di 240 presenze, si arriva a 3 milioni e 600mila euro l'anno. Per il Cie Brunelleschi di Torino, la Croce Rossa prende un budget annuale di 3.646.538 euro per 210 posti. La funzione degli enti gestori dovrebbe essere quella di "umanizzare", ma l'Ong indipendente Medici per i diritti umani, dopo alcune ispezioni, conclude che sono: "ruote più o meno efficienti all'interno di un iniquo ingranaggio  -  quello dei Cie - di cui non sono in grado di modificare, se non in modo alquanto marginale, le criticità di fondo".
In compenso, la macchina della detenzione amministrativa è abbastanza redditizia. Come dimostra il fatto che per aggiudicarsi gli appalti si scatenano guerre giudiziarie, ricorsi, interrogazioni parlamentari, anche ora che i bandi di gara sono al ribasso, sotto i 30 euro, per il taglio di risorse al Viminale. E in alcune aree economicamente depresse, come Crotone e Trapani, sono nuove fabbriche di posti di lavoro.
A Modena e a Bologna i centri erano gestiti fino a pochi giorni fa dalle Misericordie presiedute da Daniele Giovanardi, fratello dell'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio con Berlusconi, con budget attorno ai 70 euro al giorno a persona. Ma ora subentra il consorzio siracusano "Oasi" che ha offerto 28 euro e 50 centesimi. L'interrogazione parlamentare presentata dal senatore Carlo fa pensare che si tratti quasi di un affare di famiglia. Giovanardi ha fatto la radiografia alla new entry fra i consorzi privati gestori di Cie. Così apprendiamo che Oasi "è stato costituito in Siracusa il giorno 22 dicembre 2011 da tre soci fra cui il signor Marco Bianca,  che era socio della cooperativa Alma Mater che aveva ottenuto dalla prefettura di Siracusa a trattativa privata un finanziamento di 438.000 euro per il centro immigrati di Cassibile, voluto dal Comune di Siracusa;  la cattiva gestione del centro ha costretto il Comune di Siracusa nel 2010 ad aprire un contenzioso con la cooperativa Oasi per mancanza di rendicontazione; il pubblico ministero di Siracusa nel gennaio 2010 aveva chiesto il rinvio ha giudizio di Marco Bianca per truffa aggravata ai danni dello Stato, non accolto dal giudice dell'udienza preliminare". Bianca, intervistato da Repubblica Bologna, ha precisato che il procedimento penale contro Alma Mater "si è concluso con assoluzioni piene" e che "tutto è successo prima che venisse costituito il Consorzio, in cui la onlus non è mai entrata".
Oasi ha fatto il suo ingresso nel mondo dei Cie riuscendo a strappare l'appalto del Cie di Trapani Milo a Connecting people, il consorzio trapanese che nella città d'origine gestisce particamente tutti i centri per migranti. Un affare  da sei milioni e seicentomila euro iva esclusa per tre anni. Connecting people però non molla. E si trova ancora all'interno del centro perché dopo aver perso il ricorso, ha fatto appello contro la decisione dei giudici. Dopo un altro contenzioso giudiziario, il consorzio trapanese ha ottenuto la gestione del Cie di Gradisca d'Isonzo. La Procura di Gorizia sta indagando per presunte irregolarità nelle dichiarazioni relative alle forniture di materiali per l'assistenza alla persona. Nell'inchiesta è coinvolto anche il viceprefetto per falso ideologico. Ma il consorzio dichiara sul suo sito di "non sapere nulla" dell'indagine.  "Se è vero che c'è un'indagine, noi siamo tranquilli. Non abbiamo niente da nascondere" dice il presidente di Connecting People, Giuseppe Scozzari.



marche sanspapiers    
La marcia ribelle dei migranti e Sans-Papiers
l'Unità, 09-06-2012
In un’Europa che arresta, rinchiude ed espelle, i migranti e i senza documenti hanno deciso di marciare, attraversando frontiere, verso il Parlamento europeo di Strasburgo. Per chiedere la libertà di circolazione, la regolarizzazione di tutti “sans-papiers”, l’esercizio totale dei diritti dei migranti e la protezione dei richiedenti asilo.
Partita lo scorso 2 giugno da Bruxelles, tre giorni fa ha fatto tappa a Schengen, luogo simbolico di un Trattato che ha tradito la sua missione emancipatrice. Il 2 luglio prossimo, la Marcia dei diritti avrà come tappa finale la sede delle istituzioni europee, il Parlamento europeo di Strasburgo. La Coalizione Internazionale dei Sans-papiers e migranti (CISPM), porterà ai deputati un “Quaderno di proposte” – una specie di “Cahier de doléances” del Terzo Stato della rivoluzione francese – per superare le leggi discriminatorie e fare proposte concrete su diritti e cittadinanza, scaturite da lotte storiche, come quella dei Sans Papiers in Francia con l’occupazione della chiesa St-Bernard di Parigi o la lotta italiana nata in memoria di Jerry Essan Masslo e quelle di molti altri paesi.
Itinerante e transfrontaliera, la Marcia attraverserà nove frontiere e farà tappa in cinque paesi europei tra cui l’Italia, per affermare il diritto a migrare e ribellarsi e leggi repressive, arbitrarie e sempre più xenofobe: arresti etnicamente selettivi, espulsioni illegali, violenze di Frontex e detenzioni arbitrarie in centri di detenzione per solo migranti (nessun reato oltre a quello di essere in posizione irregolare). Una “criminalizzazione” normativa e politica crescente che ha per risultato di negare al migrante suoi diritti sulla base di chi è: origine geografica, colore della pelle, “straniero”. Si sta oggi costruendo in Europa, una specie di “minorità migrante”, amalgamata come “clandestina”, con qualificazione ideologica di una “differenza”, fino a farne una sorta di neo-razza (come dimostra lucidamente Clelia Bartoli nel suo ultimo libro “Razzisti per legge”, 2012 Laterza).
La Marcia dei migranti ha anche lo scopo di rammentare ai Paesi europei, che hanno rimosso la propria memoria, la storia della colonizzazione. Quei migranti irregolari, oggi emarginati ed esclusi, hanno per nonni i soldati e operai dell’inizio secolo, che hanno sudato nelle mine o morirono per le potenze occidentali nelle trincee della prima e seconda guerra mondiale, gettando le basi della libertà sulla quale si è costruita l’Europa. Sono i figli degli ex colonizzati. Non ci dimentichiamo.

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