Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 febbraio 2012

Cittadinanze umane
Italia-razzismo 22.02.2012
Da giovedì 23 a sabato 25 febbraio si terrà a Roma la prima edizione di  Cittadinanze umane, l’evento organizzato da due associazioni Incontri di Civiltà e Blue Desk, che intende promuovere una diversa modalità di discussione sul tema dell’immigrazione con particolare attenzione alla cittadinanza. Il punto di partenza è la produzione di stereotipi sull’immigrazione attraverso i mass media.
L’accostamento di concetti quali migrazione e criminalità ha da tempo occupato le cronache di quotidiani e telegiornali, soddisfacendo il bisogno di rassicurazione di lettori e ascoltatori, confermati nell’idea che è lo straniero a costituire la prima minaccia sociale. In questo contesto, fatalmente, risulta sottaciuto il lavoro di chi utilizza una chiave di lettura diversa. Ricorre, cioè, a un metodo fondato sull’analisi dei dati ricavati da ricerche sul campo in grado di evidenziare tutta la complessità del fenomeno e non la riproposizione di luoghi comuni, che agiscono in senso contrario. Una complessità da ricondurre al fatto che si sta parlando di persone e non di cose. Persone con biografie differenti tra loro e che si ritrovano raggruppate nella categoria di migranti. Ma anche questo approccio, in realtà, potrebbe essere riduttivo se si riduce a filantropia. Ecco perché la persona migrante deve essere accolta come soggetto titolare di diritti che deve poter far valere, se si vuole che diventi un soggetto titolare anche di doveri. Ecco perché a condurre uno dei numerosi dibattiti di Cittadinanze umane sarà Queenia Pereira de Oliveira, una ragazza della Rete G2 che, nonostante sia nel nostro Paese da sempre, non ha ancora la cittadinanza italiana.



Permessi più lunghi per gli immigrati La Lega: è assurdo
Sono in arrivo gli sconti sulla tassa
Corriere della sera, 22-02-2012
Alessandra Arachi
ROMA — La tassa di soggiorno per gli immigrati si dimezzerà. O, meglio, verrà raddoppiata la durata del permesso di soggiorno, lasciando invariato il costo che era stato fissato dal decreto Maroni-Tremonti. Un provvedimento che era stato annunciato da tempo dai ministri dell'Interno Anna Maria Cancellieri e per la Cooperazione e l'Integrazione Andrea Riccardi e che potrebbe vedere luce già in questa settimana. Anna Maria Cancellieri aveva voluto chiamarla una vera «rivoluzione».
Dal 30 gennaio scorso in virtù del decreto Maroni-Tremonti gli immigrati dovevano pagare 80 euro per un permesso di soggiorno della durata da tre mesi ad un anno, 100 per quello valido da uno a due anni e 200 euro per la carta di soggiorno. Una tassa che ieri mattina aveva fatto lanciare un grido di allarme al ministro Riccardi in audizione al Senato: «Esiste il rischio che i cittadini stranieri diventino irregolari: la Caritas dice che 600 mila permessi di soggiorno rilasciati in un anno sono scaduti e non sono stati rinnovati. Mi auguro che parte di questi siano tornati nel proprio Paese, ma una percentuale stimabile intorno a 350 mila persone rischia di finire nel circuito dell'irregolarità».
Ma non solo soldi. Accanto all'aspetto economico i tecnici dei due ministeri stanno lavorando all'informatizzazione delle procedure dei permessi di soggiorno e delle domande di cittadinanza per renderle più celeri e meno burocratiche.
Era stato sempre lo stesso ministro Riccardi ad annunciarlo ieri mattina: «Con il ministro Cancellieri siamo d'accordo per eliminare tutte quelle norme vessatorie, quei ritardi inspiegabili, quelle lentezze burocratiche che rendono umiliante per gli stranieri la richiesta di permessi, certificati, documenti». Il provvedimento potrebbe finire sul tavolo del consiglio dei ministri già venerdì prossimo sotto forma di decreto. Ma potrebbe anche non passare affatto da Palazzo Chigi e il ministro Cancellieri potrebbe quindi proporlo come emendamento al decreto sulle liberalizzazioni. O, anche, si potrebbe scegliere la terza via di un decreto interministeriale che agirebbe sulle tabelle economiche delle tasse degli immigrati contenute nel decreto fatto dal precedente governo.
Di qualsiasi soluzione si tratti si starebbe comunque parlando di tempi molto rapidi, visto che era fallita la corsa contro il tempo che il governo avrebbe voluto fare per non lasciare entrare proprio in vigore il decreto Maroni-Tremonti.
Una corsa e una modifica che lascia di stucco l'ex-ministro dell'Interno leghista Roberto Maroni: «Non ha senso modificare quegli importi», dice. E poi spiega: «Con il ministro Tremonti li avevamo già fissati sotto la soglia della media europea. Evidentemente sono contrario ideologicamente a questo intervento. Ma lo sono anche in maniera pratica: proprio adesso che si stanno chiedendo tantissimi sacrifici, far pesare sugli italiani le tasse degli immigrati è una discriminazione al contrario. Una discriminazione nei confronti degli italiani».
Grande plauso all'azione del governo arriva invece da parte del Pd con le parole della deputata (ed ex ministro) Livia Turco: «Le indiscrezioni sul provvedimento che il governo sta predisponendo per correggere l'insopportabile tassa sugli immigrati ci confermano che, archiviata l'era della Lega al governo, il Paese torna a ragionare con serietà e senza paure, perché anche gli interventi sull'immigrazione sono necessari per la crescita del Paese».



I clandestini sono tanti? Il governo raddoppia la durata dei permessi
La Caritas lancia l'allarme: ad almeno 350mila stranieri non è stato rinnovato il permesso di soggiorno. E il governo vuole raddoppiarne la durata: da un anno si passa a due
il Giornale.it, 21-02-2012
Sergio Rame
Il governo tecnico si prepara a mettere mano anche alle politiche migratorie. Secondo fonti vicine all'esecutivo, infatti, tra le linee del decreto che sarà varato nei prossimi giorni verranno introdotte l'informatizzazione delle domande e il raddoppio della durata dei permessi di soggiorno.
Il decreto correggerà, inoltre, la tassa di soggiorno a carico degli immigrati (da 80 a 200 euro) entrata in vigore lo scorso 30 gennaio con il decreto Maroni-Tremonti.
Oggi, al Senato, il ministro per l’Integrazione Andrea Riccardi ha spiegato le linee guida dell'azione del governo sulle politiche migratorie. Con la collega all'Interno Annamaria Cancellieri, Riccardi è d’accordo a eliminare le "norme vessatorie", i "ritardi inspiegabili" e le "lentezze burocratiche che rendono umiliante per gli stranieri la richiesta di permessi, certificati, documenti". Seonco il ministro, infatti ci sarebbe il rischio che gli stranieri diventino irregolari. La Caritas parla di 600mila permessi di soggiorno rilasciati tra il 2009 e il 2010, scaduti e mai più rinnovati. Alla commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, Riccardi ha fatto presente che c'è una percentuale non trascurabile (all'incirca 350mila persone) che rischia di finire nel circuito dell’irregolarità. "Il problema dell’immigrazione - ha spiegato il ministro - non deve diventare emergenza, ma deve essere affrontata nella logica della stabilità di queste presenze, della compatibilità e dell’integrazione".
Con il raddoppio della durata dei permessi, il governo Monti intende garantire un risparmio ai richiedenti. Ad esempio, il contributo è fissato a 80 euro per i permessi di durata compresa tra tre mesi e un anno. Raddoppiando la durata di validità dei documenti (che diventa da sei mesi a due anni), lo straniero risparmia la metà dell’importo dovuto. Lo stesso vale per i 100 euro pagati da chi chiede il permesso di durata compresa tra uno e due anni. Accanto all’aspetto economico, i tecnici dei ministeri del Viminale e dell'Integrazione si stanno impegnandi a spingere sull’informatizzazione delle procedure dei permessi di soggiorno e delle domande di cittadinanza per renderle più veloci e meno burocratiche in modo da far risparmiare anche l’amministrazione dello Stato.
Il governo si prepara a rivedere anche i Centri di identificazione ed espulsione (Cie). Proprio per questo Riccardi e la Cancellieri andranno, al più presto, a visitarli. Pur non essendo di competenza del suo dicastero, Riccardi ha spiegato che "essendo l’integrazione materia così prossima" i due ministeri hanno deciso di "lavorare insieme". "I Cie sono una risposta solo parziale al problema vogliamo verificare a fondo non solo la loro funzione - ha spiegato Riccardi - ma anche la vivibilità del loro ambiente". Ad ogni modo, le strutture di Lampedusa potrebbero vedere presto non solo la presenza delle autorità italiane ma anche di quelle europee. "Nell’incontro avuto pochi giorni fa con il commissario Ue Malmstrom - ha riferito Riccardi - abbiamo concordato l’idea di affiancare a Lampedusa alla presenza italiana anche una presenza europea".



Permessi, durata doppia
La Stampa, 22-02-2012
In arrivo gli attesi «sconti» per gli stranieri alle prese con la tassa di soggiorno, il contributo (da 80 a 200 euro) dovuto per il rilascio del documento dopo l'entrata in vigore del decreto Maroni-Tremonti lo scorso 30 gennaio. In settimana un provvedimento raddoppierà la durata dei permessi da rilasciare, permettendo cosi di tagliare della metà i costi per l'im- migrato. Punterà inoltre all'informatizzazione delle domande. -



Permessi di soggiorno più lunghi e meno cari
Avvenire, 22-02-2012
PAOLO FERRARIO  
DA MILANO -Permessi di soggiorno più lunghi e a costi minori per gli immigrati. Sarebbero queste le linee guida del decreto del Governo per rivedere la tassa di soggiorno a carico dei migranti, prevista dal decreto Maroni-Tremonti ed entrata in vigore il 30 gennaio. In particolare, l'esecutivo prevede di raddoppiare la durata dei permessi, cui corrisponderà un risparmio per i richiedenti. Ad esempio, il contributo è fissato in 80 euro per i permessi di durata compresa tra tre mesi e un anno. Raddoppiando la durata di validità dei documenti (che diventa da sei mesi a due anni), lo straniero risparmia la metà dell'importo dovuto. Lo stesso vale per i 100 euro pagati da chi chiede il permesso di durata compresa tra uno e due anni. Accanto all'aspetto economico, i tecnici dei ministeri di Interno ed Integrazione si sono impegnati a spingere sul- l'informatizzazione delle procedure dei permessi di soggiorno e delle domande di cittadinanza per renderle più celeri e meno burocratiche, con risparmio anche per l'amministrazione dello Stato oltre che per l'immigrato. Di immigrazione, ha parlato ieri anche il ministro per la Cooperazione internazionale e l'integrazione, Andrea Riccardi, in audizione alla commissione Affari costituzionali dei Senato. Riferendosi pro-prio alla tassa di soggiorno, Riccardi ha confermato il proprio impegno «pertrovare una soluzione equilibrata». «Con il ministro Cancellieri - ha aggiunto - siamo d'accordo per eliminare tutte quelle norme vessatorie, quei ritardi inspiegabili, quelle lentezze burocratiche che rendono umiliante per gli stranieri la richiesta di permessi, certificati e documenti».
Riccardi ha anche lanciato l'allarme legato a circa 600mila permessi di soggiorno rilasciati tra il 2009 e il 2010 per motivi di lavoro o di famiglia che, secondo la Caritas, non sarebbero stati rinnovati. «Mi auguro - ha aggiunto il ministro - che parte di queste persone siano tornate nel loro Paese, ma una percentuale non trascurabile, che si può stimare intorno a 350mila persone, rischia di finire nel circuito dell'irregolarità. Il problema dell'immigrazione - ha ribadito - non deve diventare emergenza, ma deve essere affrontato nella logica della stabilità di queste presenze, della compatibilità e dell'integrazione».
Annunciando che, presto, fará visita, con il ministro dell'Interno, ai Cie («Sono una risposta solo parziale al problema, vogliamo verificare a fondo non solo la loro funzione, ma anche la vivibilità del loro ambiente») , Riccardi è tornato sul tema della cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. «Noi siamo convinti che la riflessione debba maturare in Parlamento - ha ricordato ai senatori -. Non è responsabilità di questo governo, farsi carico di questo processo. Ma ritengo che sarebbe necessario arrivare a qualche risultato e come ministro credo che bisogna fare presto perche deve esserci una maturazione nel Paese e la mia percezione è che tale maturazione stia avvenendo».



Immigrati, la tassa resta ma raddoppierà la durata del permesso di soggiorno
la Repubblica, 22-02-2012
ROMA —Si allungherà la durata del permessi di soggiorno fino a raddoppiare rispetto ad ora. Un decreto, atteso in settimana, permetterà di tagliare della metà i costi per l'immigrato. Sarà, di fatto, uno sconto per gli stranieri alle prese con l'aumento della tassa di soggiorno,il contributo (da 80 a 200 euro) dovuto per il rilascio del documento dopo l'entrata in vigore del decreto Maroni-Tremonti lo scorso 30 gennaio. Il decreto voluto dai ministri dell'Interno e dell'integrazione punterà inoltre all'informatizzazione delle domande, snellendo le procedure e l'iter burocratico.



Immigrazione, Rutelli: "La cittadinanza facile un invito ai clandestini"
Il leader dell’Api "corregge" Fini e Napolitano: "Se i figli degli stranieri diventano italiani alla nascita ci sarà la corsa a partorire a Lampedusa"
il Giornale, 22-02-2012
Laura Cesaretti
Roma - È uno dei cavalli di battaglia di Gianfranco Fini, e anche il presidente Napolitano è recentemente sceso in campo per sostenerla a spada tratta («È una follia negare la cittadinanza ai bambini nati in Italia da immigrati stranieri»).
Ma dal leader dell’Api Francesco Rutelli, che di Fini è alleato nel Terzo Polo, arriva un altolà («Così si trasforma l’Italia nella più grande clinica ostetrica d’Occidente») e un monito a guardare oltre «l’inganno del multiculturalismo e del politically correct».
Senatore Rutelli, da uno come lei, con la sua passata militanza radicale e la vicinanza al pensiero cristiano dell’accoglienza non ci si aspetterebbe il no alla cittadinanza per gli immigrati.
Come si spiega?
«Non è un no. Se mai è un invito a non cadere nelle trappole di un buonismo controproducente, e a non deprezzare la cittadinanza italiana riducendola a semplice automatismo. L’idea che sia un pezzo di carta che chiunque può prendere, con la stessa facilità con cui si comprano le figurine all’edicola, è superficiale e pericolosa. Ci sono almeno due questioni preliminari trascurate in modo irresponsabile, e su cui invece è necessario riflettere prima di modificare le regole attuali».
Quali questioni?
«Se introduciamo il criterio dello jus soli, ossia l’automatica cittadinanza italiana per chiunque nasca sul nostro territorio, rischiamo di trasformare l’isola di Lampedusa o il porto di Ancona o la stazione di Trieste nelle succursali della più clamorosa clinica ostetrica d’Europa. Diventando cittadini italiani si diventa cittadini Ue: l’Italia si trasformerebbe, per motivi puramente geografici, nella piattaforma per acquisire strumentalmente il libero accesso a tutta la comunità europea».
Sta dicendo che le immigrate verrebbero a partorire tutte qui?
«Sto dicendo che dei 23mila tunisini sbarcati a Lampedusa, in fuga dopo la Rivoluzione dei Gelsomini, sì e no duemila sono rimasti in Italia. Per tutti gli altri siamo stati solo un passaggio verso il resto d’Europa. L’automatismo della cittadinanza incentiverebbe questo fenomeno».
E la seconda questione preliminare?
«L’introduzione del principio dello jus soli creerebbe una contraddizione inestricabile a livello costituzionale. Perché, ci piaccia o no (e io ho molti dubbi in proposito), noi abbiamo introdotto nella Costituzione il principio dello jus sanguinis, ossia l’esatto opposto».
Si riferisce al voto degli italiani all’estero?
«Esattamente. È stata fatta una legge costituzionale, che serviva da riconoscimento simbolico di quella grande ferita che è stata l’emigrazione di massa degli italiani tra fine ’800 e primi del ’900, e che ha introdotto nella nostra Carta lo jus sanguinis a tempo indeterminato. Abbiamo dato il diritto di voto a discendenti di emigranti, che magari non parlano neppure la nostra lingua, che non pagano le tasse in Italia, che hanno legami ormai debolissimi con la terra dei loro avi. Ma che possono votare propri rappresentanti nel Parlamento italiano esattamente come me e lei. Una scelta discutibile, ma che è stata fatta. Come facciamo a sostenere anche l’esatto contrario?».
E allora come va affrontato il problema dell’integrazione degli immigrati?
«Partendo dal principio che la cittadinanza italiana è il traguardo di un cammino, e non un fatto meramente amministrativo da risolvere con un certificato. Io ad esempio sono favorevole ad accorciare i tempi di concessione, perché dieci anni sono tanti; e a dare la cittadinanza a tutti i bambini nati qui che abbiano fatto la scuola dell’obbligo: dopo la terza media anziché a 18 anni. Ma con regole precise: chi vuol diventare cittadino da maggiorenne deve conoscere la lingua e i principi basilari della nostra convivenza civile, e deve fare una dichiarazione impegnativa di riconoscimento della Costituzione. Facendo attenzione ad alcuni aspetti: se vogliamo l’integrazione senza cadere nella trappola di un multiculturalismo fallito, non possiamo accettare da chi vuol diventare cittadino italiano alcuna ambiguità sui diritti umani fondamentali».
Si riferisce all’Islam militante?
«Mi riferisco a quella componente non laica dell’Islam che persevera in pratiche che contraddicono i nostri principi basilari: dalla poligamia all’assoggettamento della donna. Un padre che vieta a una figlia femmina di andare a scuola non è compatibile con la cittadinanza italiana».
Ne ha parlato con Fini, che invece sostiene l’introduzione della cittadinanza per chi nasce in Italia?
«Sì, ne abbiamo discusso. E ci sono senz’altro alcuni punti di divergenza».
Teme fughe in avanti da parte dell’attuale governo?
«No: il ministro degli Interni Cancellieri, ma anche quello della Cooperazione Riccardi, non si sono espressi a favore dell’automatismo. E mi fa piacere».



La tre-giorni di "Cittadinanze Umane" Esclusione sociale e Seconde generazioni
Tutto si svolgerà da giovedì a sabato prossimi nella sala consiliare del VI° Municipio, in piazza della Marranella, 2 a Torpignattara. Fittissimo il calendario di incontri fra studiosi, intellettuali, artisti e giornalisti. Un confronto avulso da semplificazioni e mistificazioni
la Repubblica, 21-02-2012
ROMA - Le Associazioni Incontri di Civiltà e Blue Desk si uniscono per dare vita alla prima edizione di "Cittadinanze Umane". Da giovedì 23 a sabato 25 un parterre di studiosi giornalisti e testimoni (tra cui Roberto Natale, Rosa Jijon, Eric Jozsef, Queenia Pereira de Oliveira, Mauro Valeri, Piero Vereni, ecc ecc) si alterneranno con l'obiettivo di creare un precedente nel modo di discutere sul fenomeno dell'immigrazione, avulso da semplificazioni e mistificazioni. Tre giornate di incontri, dibattiti e proiezioni sul tema cittadinanza/cittadinanze, spaziando dai problemi delle seconde generazioni dei nati in Italia e il loro difficile accesso alla cittadinanza italiana fino ad arrivare ai temi dell'esclusione sociale nelle periferie.
L'appuntamento. Tutto si svolgerà nel quartiere di Tor Pignattara, recentemente teatro di un brutto fatto di cronaca. Le associazioni Incontri di civiltà e Bluedesk hanno scelto questo luogo per dare una speranza al quartiere, portando un dibattito di alto livello in periferia. Questa prima edizione avrà luogo presso la Sala Consiliare del VI° Municipio, in Piazza della Marranella 2.
Ecco il programma:
23 Feb  -  Alle 17.30, Sala Consiliare del VI Municipio. Ai margini della cittadinanza. Esclusione e disagio sociale nella Roma del nuovo millennio Roberto de Angelis (Italia/ Docente di Sociologia delle relazioni etniche, Università degli Studi di Roma "La Sapienza")
Rosa Jijon (Ecuador/artista visuale), Alessandro Iannelli (Italia/avvocato), Piero Vereni (Italia/Ricercatore di antropologia culturale Università degli studi di Roma "Tor Vergata")
Modera Igiaba Scego (Italia-Somalia/ Scrittrice)
24 feb - Alle 17.30, Sala Consiliare del VI° Municipio. Prima della cittadinanza. Migranti di prima generazione si raccontano attraverso la loro arte e la loro esperienza di vita in Italia. Ali Assaf (Iraq, artista visivo), Rosa Jijon (Ecuador, artista visiva), Ahmed Hafiene (Tunisia, attore), Giovanni Hassan (Somalia/psicoterapeuta), Esmeralda Tyly (Albania, lavoratrice), Sarah Zuhra Lukanic (Croazia, scrittrice), Modera Mauro Valeri (Italia/Docente di Sociologia delle relazioni etniche, Università degli Studi di Roma "La Sapienza")
25 Feb  -  Alle 17.30, Sala Consiliare del VI° Municipio. Cittadinanze in Europa. Quale accesso alla cittadinanza per i figli di migranti nei paesi dell'Unione? Dibattito con quattro giornalisti della stampa estera. Michael Braun (Germania/Fondazione Friedrich Ebert, Ufficio Roma), Eric Jozsef (Francia/ inviato di Libération), Liisa Liimatainen (Finlandia/giornalista/radio/TV nazionale finlandese), Darío Menor Torres (Spagna/inviato de La Razón). Roberto Natale (Italia/Presidente FNSI, Federazione Nazionale Stampa Italiana), Modera Queenia Pereira de Oliveira (Nigeria/Brasile/Italia) della rete G2 Seconde Generazioni.
La conclusione. Alla fine del dibattito il coro della Romolo Balzani - diretto da Sara Modigliani e Felice Zaccheo - eseguirà qualche brano del proprio repertorio. Le tre giornate saranno seguite dalla proiezione del documentario Alisya nel paese delle meraviglie di Simone Amendola, vincitore del premio Ilaria Alpi 2010. Le proiezioni avranno luogo la sera alle 21,30 al Blue Desk Studio, Via Orazio Cloclite n.5 (Metro Furio Camillo). Le serate saranno introdotte dall'attore tunisino Ahmed Hafiene (23 Febbraio), dalla scrittrice Igiaba Scego (24 Febbraio) e dalla giornalista Francesca Bellino (25 Febbraio).



Immigrati: giovedi' pronuncia Corte Strasburgo su respingimenti Italia
(ASCA) - Roma, 21 feb - E' attesa per giovedi' prossimo, alle 10.30, la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strabsurgo sul caso Hirsi. Lo comunica in una nota il Consiglio Italiano per i Rifugiati.
''Si tratta della piu' importante sentenza della Corte di Strasburgo riguardante i respingimenti attuati dall'Italia verso la Libia, a seguito degli accordi bilaterali e del trattato di amicizia italo-libico siglati dal precedente Governo Berlusconi. Sara' una sentenza storica - spiega Christopher Hein direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati - il verdetto sulla prima operazione di respingimento fatta dall'Italia. Potrebbe vietare in modo definitivo e inderogabile le operazioni di respingimento di migranti intercettati o soccorsi anche in acque internazionali. La pronuncia della Corte marchera' un principio fondamentale di cui anche l'attuale Governo non potra' non tenere conto nel rinegoziare gli accordi di cooperazione con il Governo di Transizione Libico'' .
Il 6 maggio 2009 a 35 miglia a sud di Lampedusa, in acque internazionali, ricorda il Cir, ''le autorita' italiane hanno intercettato una nave con a bordo circa 200 persone di nazionalita' somala ed eritrea (tra cui bambini e donne in stato di gravidanza). I migranti sono stati trasbordati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volonta', senza essere prima identificati, ascoltati ne' preventivamente informati sulla loro effettiva destinazione.
I migranti non hanno avuto alcuna possibilita' di presentare richiesta di protezione internazionale in Italia. Di questi 200 migranti, 24 persone (11 somali e 13 eritrei) sono state rintracciate e assistite in Libia dal Consiglio Italiano per i Rifugiati e hanno incaricato gli avvocati Anton Giulio Lana e Andrea Saccucci dell'Unione forense per la tutela dei diritti umani di presentare ricorso dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo.
Le successive condizioni di vita in Libia dei migranti respinti il 6 maggio 2009 sono state drammatiche. La maggior parte di essi e' stata reclusa per molti mesi nei centri di detenzione libici ove ha subito violenze e abusi di ogni genere. Due ricorrenti sono deceduti nel tentativo di raggiungere nuovamente l'Italia a bordo di un'imbarcazione di fortuna. Altri sono riusciti a ottenere protezione in Europa, un ricorrente proprio in Italia. Prima respinti e poi protetti, a dimostrazione della contraddittorieta' e insensatezza della politica dei respingimenti''.
''Oltre al giudizio che la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo esprimera' sulle violazioni del diritto internazionale, dobbiamo comunque sottolineare che l'Italia - conclude l'Avv. Anton Giulio Lana, legale dei ricorrenti - ha una responsabilita' morale diretta sulle conseguenze dei respingimenti. Le storie di violenza che i ricorrenti ci hanno raccontato, sono drammatiche. E' evidente che i respingimenti sono stati la causa diretta per cui centinaia di rifugiati sono stati detenuti in Libia e per cui molti hanno perso poi la vita nel tentativo di raggiungere, di nuovo, l'Europa''. Al riguardo, si deve ricordare che, secondo le stime dell'Unhcr, ''circa 1.500 migranti hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere l'Italia via mare nel 2011''.



L’Europa conferma “il razzismo dei politici italiani”
il Fatto, 22-02-2012
Roberta Zunini
Sin dalle prime frasi del Rapporto, relativo all’Italia, della Commissione contro il razzismo e l’intolleranza del Consiglio d’Europa (Ecri), si evince che “sta aumentando il ricorso a discorsi di stampo razzista in politica” mentre “persistono i pregiudizi contro i Rom, gli immigrati, soprattutto se di fede islamica e l'antisemitismo perdura”. Secondo il presidente ad interim dell’Ecri, François Sant'Angelo, è necessario un maggiore impegno per combattere l'incitazione all’odio e proteggere i Rom e gli immigrati. “L'Italia dispone ora di un’efficace normativa contro la discriminazione e la violenza razzista nello sport. L’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali - riferisce il Rapporto - sta estendendo notevolmente le proprie attività. I tribunali hanno annullato un certo numero di misure discriminatorie precedentemente adottate dal Governo e da alcuni sindaci”.
Gli immigrati sono percepiti come fonte di insicurezza e “questo linguaggio si rispecchia nelle politiche discriminatorie” inserite nel cosiddetto pacchetto sicurezza. Ma è sulla questione “rom” che la politica italiana mostra tutta la sua mancanza di umanità. “In alcuni casi - denuncia il rapporto Ecri - si sono verificate aggressioni violente contro Rom e immigrati. La maggior parte dei Rom subisce varie forme di emarginazione, malgrado i programmi messi in atto da un certo numero di comuni e di regioni a favore dell’inclusione sociale. Perfino i campi nomadi autorizzati sono relegati in aree lontane dai centri urbani”. E ancora: “Per quanto riguarda i campi abusivi, sono stati oggetto di demolizioni e di sgomberi forzati, che hanno contribuito a peggiorare la discriminazione nella vita quotidiana nei confronti di questa popolazione”.
SUL FRONTE IMMIGRAZIONE, nonostante alcuni miglioramenti in materia di diritto di asilo, la politica dei respingimenti in mare verso la Libia, inaugurata nel maggio del 2009, abbia privato cittadini stranieri in difficoltà di fare valere il loro diritto alla protezione internazionale. Si sono constatati altri problemi a seguito degli eventi del Nord Africa agli inizi del 2011, e “si deplorano i ritorni forzati troppo affrettati e condizioni di accoglienza inadeguate”.



In vetrina l'annuncio «Fuori gli zingari»
Corriere della sera, 22-02-2012
Il cartoncino appeso alla vetrina di un piccolo bazar di Vicenza diceva: «Spiacenti, ma per maleducazione e non rispetto delle regole, e numerosi furti Vietato entrare agli zingari!». L'idea è stata della commessa, una ragazza di origini marocchine che ieri, mentre toglieva il cartello dalla vetrina spiegava: «Non è stato un atto razzista».



Il racket del kebab in mano ai terroristi
Arrestati sei turchi e una romana: con mille euro ottenevano le licenze per gli esercizi. I locali fonti di finanziamento per la causa.
Il Tempo, 22-02-2012
Il racket del kebab in mano ai terroristi Kebab per finanziare una rete terroristica turca. Paninoteche etniche aperte in diverse città italiane grazie allo sfruttamento di immigrati fatti arrivare dalla Turchia e al pagamento di «mazzette» a funzionari compiacenti per ottenere permessi sanitari per aprire le attività commerciali. La struttura clandestina faceva giungere in Italia curdi e palestinesi con falsa documentazione. Il denaro estorto agli immigrati doveva servire per finanziare l'organizzazione terroristica di Ankara. La polizia ha eseguito nove arresti. Oltre a queste ordinanze di custodia cautelare, la Digos di Terni, coordinata dal prefetto Stefano Berrettoni del Servizio centrale antiterrorismo, ha eseguito 41 perquisizioni nei confronti di presunti esponenti di «una struttura criminale riconducibile all'organizzazione terroristica turca Hezbollah».
In carcere è finita anche un'italiana, Sonia Bortoni di Roma, che facilitava, in cambio di cifre tra i mille e i milleduecento euro, le pratiche per il rilascio agli stranieri di abilitazioni per la conduzione di esercizi pubblici. Ai domiciliari due ucraine che collaboravano alla gestione del racket. Gli arresti sono stati eseguiti a Terni, Modena, Milano e Roma. Numerose perquisizioni anche a Trieste, Venezia, Bergamo, Varese, Como, Viterbo, Latina e L'Aquila. In appartamenti e esercizi di kebab.
I nove arrestati sono accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ma l'organizzazione sarebbe riconducibile a esponenti del gruppo «Hezbollah turco» presenti in Italia. L'Hezbollah turco, di credo islamico sunnita, non ha alcun legame con l'omonima formazione libanese-sciita - e nasce nei primi anni Ottanta con l'obiettivo di creare uno «stato islamico retto dalla sharia sul territorio della Repubblica turca». L'organizzazione è stata completamente disarticolata in Turchia, ma molti aderenti sono sfuggiti alla cattura. Dai documenti rinvenuti in uno dei covi risultavano ventimila membri. L'indagine ha avuto inizio con l'arresto in Lombardia di un cittadino turco destinatario di un mandato di cattura internazionale per terrorismo, che ha portato alla luce l'esistenza e l'operatività, nel nostro Paese, della struttura clandestina di Hezbollah turchi che facevano giungere in Italia clandestini curdi e palestinesi con falsa documentazione relativa a inesistenti vicende umane per poter richiedere asilo politico e ottenere il permesso di soggiorno.
Secondo gli investigatori l'intera filiera del kebab, dalla lavorazione delle carni fino alla vendita al minuto, era finalizzata alla raccolta di denaro. Una sorta di salvadanaio periodicamente svuotato dai vertici del gruppo per sostenere la causa in Turchia. A carico dei sei arrestati sono emersi precedenti per terrorismo, armi, droga e immigrazione. Gestivano in diverse regioni la vendita di kebab: un sistema economico di tipo monopolistico e avevano regolarizzato la loro posizione, ottenendo fraudolentemente il riconoscimento di rifugiati politici. Attraverso la prospettiva della regolarizzazione, mediante l'asilo politico, l'organizzazione favoriva l'ingresso dei turchi, molti di etnia curda, ricorrendo a trafficanti di esseri umani, passaporti di servizio, visti di breve durata, sostituzione di persona e matrimoni simulati grazie alla complicità di donne russe e ucraine.
Ai clandestini, dietro pagamento, fornivano un pacchetto «all inclusive» che gli garantiva viaggio, alloggio e un lavoro. Il più delle volte è stato accertato che i cittadini turchi dichiaravano l'«appartenenza organica» al Pkk, per ottenere più facilmente il riconoscimento dell'asilo politico. I principali indagati - Aday Sait, Burulday Huseyin, Ucguk Fehmi, Arslan Mehmet, Sarigul Sahim - si sono dimostrati ben introdotti anche in alcuni settori della pubblica amministrazione potendo contare su una fitta rete di conoscenze. «In Italia con le mazzette si ottiene tutto come in Turchia», è una delle frasi ricorrenti intercettate dagli investigatori.



Fuga dall’inferno
Avvenire, 22-02-2012
Paolo Lambruschi
? Caccia all’uomo nel Sinai, i trafficanti di uomini e di organi cercano un testimone oculare scappato dagli orrori del deserto di Dio. I predoni beduini agli ordini di Yasser Abu Simya di Rafah, nel distretto del nord, a pochi chilometri dalla Striscia di Gaza, hanno messo una taglia di 50 mila dollari sulla testa di Solomon W, 25 anni, profugo eritreo rapito fuori dal campo profughi sudanese dell’Onu di Shagarab dai trafficanti di uomini Rashaida nello scorso dicembre e rivenduto a una gang appartenente alla tribù Ramailat.
Dopo aver assistito durante un mese e mezzo di prigionia a omicidi, torture, stupri, e aver visto un sacchetto contenente organi umani pronti per il mercato nero, è riuscito a fuggire e a rifugiarsi in una moschea. Ora si trova nelle mani dello sceicco Mohamed, appartenente a una cellula salafita, fazione nemica dei trafficanti di organi, che lo ha nascosto. La sua sorte è appesa a un filo.
Raggiunto telefonicamente, lo sceicco ci dice che la sua fede gli vieta di consegnare il ragazzo agli aguzzini.
«Dio me lo ha mandato – afferma il capo salafita – e io non lo darò ai suoi rapitori né sono disposto a consegnarlo alla polizia. Lo darò solo ai suoi fratelli eritrei o a chi può garantirmi che lo manderà dove lui desidera andare, in uno stato occidentale».
Chiediamo all’autorità tribale beduina perché non lo scorta fino alla Striscia di Gaza.
«Perché il confine è il posto più pericoloso» è la risposta categorica.
Tenuto conto che il governo vieta ai funzionari dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite di uscire dal Cairo, la soluzione della vicenda appare complicata. Si teme una sortita della banda, o che qualcuno dei salafiti ceda alla tentazione dei 50 mila dollari e consegni Solomon. Ma perché i banditi lo cercano con tanta determinazione? Lo sceicco accetta di farci parlare al telefono con l’ostaggio per farcelo spiegare. Gli chiediamo anzitutto di raccontarci del suo sequestro.
«Insieme a 27 compagni, tra cui quattro ragazze e una donna con un bambino di pochi anni, tutti eritrei rapiti in Sudan dai Rashaida, siamo stati condotti a Rafah, divisi in tre gruppi e venduti ad altri predoni. Il mio gruppo è rimasto nelle mani del capo. Eravamo in cinque, ci hanno incatenati. Qui è cominciato l’orrore».
Solomon fatica a proseguire.
«Ho visto violenze terribili sulle donne, non le posso riferire. La ragazza vicino a me era incinta e le hanno procurato un aborto. Ci torturavano di continuo con botte e scariche elettriche per farci chiedere il riscatto».
Ma Solomon e quattro compagni di sventura, tra cui la ragazza, non hanno alle spalle famiglie che possano pagare. Gli altri quattro vengono uccisi uno ad uno con le violenze e le torture. Tre di loro, compresa la ragazza, sono probabilmente stati gettati nel deserto e i cadaveri sono giunti alla camera mortuaria dell’ospedale di El Arish, ad ovest, non più tardi di 10 giorni fa, come confermatoci dal personale ospedaliero.
Solomon è stato risparmiato dalla spietata gang per portare l’acqua ad altri 125 prigionieri eritrei, sudanesi ed etiopi tenuti incatenati nelle case e nelle stalle del villaggio di Al Mahdya, alle porte di Rafah. Il testimone sa esattamente dove sono custoditi i prigionieri e sa la sorte che tocca a chi non può pagare.
«Pochi giorni fa uno dei carcerieri – rivela – mi ha fatto vedere un sacchetto di plastica contenente organi umani. Se non arriva il riscatto, mi ha detto minaccioso, vi uccidiamo e vi togliamo gli organi, tanto riusciamo a rivenderli subito».
L’eritreo aguzza l’ingegno per salvarsi. Di nascosto riesce a rompere le catene ai piedi e scopre una buca scavata da alcuni prigionieri. Così, giovedì notte fugge portando con sé uno dei cellulari utilizzati dai predoni per ricattare i familiari dei profughi. La sua corsa alla cieca tra le case del villaggio viene notata subito dai banditi, i quali lo inseguono sparando. Con la forza della disperazione entra in una moschea. Svegliati dagli spari, i beduini salafiti dello sceicco Mohamed gli danno rifugio. Il giovane si mette subito in contatto con gli attivisti che nel Sinai stanno diffondendo le cronache dall’inferno. Inferno di cui Solomon è testimone in presa diretta. I banditi vogliono farlo tacere per sempre, perché la sua voce è l’ennesima conferma di quanto diversi media, tra cui Avvenire, stanno denunciando da 15 mesi nell’indifferenza delle autorità nazionali e internazionali.
«Sono nel villaggio di Al Mahdya – grida Solomon tra le lacrime – in un appartamento dal quale vedo le case dove sono prigionieri i miei compagni. Salvatemi, vi prego».
Ora è in atto una corsa contro il tempo per arrivare prima degli spietati banditi che spadroneggiano in questa terra di nessuno.



«Quei beduini fanno ciò che vogliono»
Avvenire, 22-02-2012
Paolo Lambruschi
Una terra di nessuno nelle mani di milizie tribali che vogliono continuare indisturbate i loro traffici criminali. Ehud Yaari, 67 anni, è un importante giornalista israeliano, commentatore per diverse testate internazionali. Lo scorso mese ha pubblicato per il Washington institute for near est policy un’accurata analisi sul Sinai, che per la prima volta spiega perché i beduini sono diventati così potenti.
Nel Sinai avvengono rapimenti e uccisioni di migranti, lavoratori stranieri, turisti occidentali a opera di predoni beduini. Cosa sta succedendo?
Dopo la rivoluzione contro Mubarak, i servizi di sicurezza e la polizia egiziani nel Sinai sono completamente collassati. Le stazioni di polizia in alcune città sono state bruciate, la polizia stessa non opera veramente nelle strade. Rimangono attivi l’intelligence militare e alcuni reparti dell’esercito, che non hanno interesse a confrontarsi con mezzo milione di beduini. Costoro hanno formato milizie armate e scorrazzano indisturbati a bordo dei loro pick up armati di mitragliatrici. Fanno contrabbando e traffico di esseri  e organi umani, alcuni non disdegnano attività terroristiche. Il deserto è oggi uno stato senza legge e il Sinai è in mano ai signori della guerra. È una situazione molto seria.
I beduini hanno una strategia?
No, vogliono godere dei servizi forniti dallo Stato egiziano come sanità e scuole, ma non vogliono interferenze nei loro affari.
Quanto rendono nel Sinai il contrabbando e i traffici di droga, armi ed esseri umani?
La mia valutazione è che nel Sinai il volume di affari valga mezzo miliardo di dollari l’anno. Il Cairo non può offrire nulla di comparabile a una popolazione povera.
Qualcuno interverrà a fermare i sequestri?
Non credo. Gli israeliani hanno acconsentito ad aumentare gli armamenti dell’esercito nel Sinai, ma non è servito a nulla. Tribù come i Tarabin, i Sawarka e i Tihia stanno diventando forti anche militarmente.
Dove prendono le armi?
In parte arrivano dal Canale di Suez, dall’Iran, dal Sudan e dallo Yemen. Grandi quantità stanno arrivando dalla Libia e in parte dai Balcani, e c’è traffico in entrambe le direzioni da Gaza. Possiedono missili antiaerei e gli anticarro Rpg di prima generazione. Bloccano quando vogliono le strade delle città, le principali vie di comunicazione e le autostrade costiere. Sono un serio pericolo per Israele, e se attaccassero potrebbe scoppiare una crisi con il Cairo.
I rapimenti fanno guadagnare solo le bande criminali o finanziano anche il terrorismo islamico?
Entrambe le cose. Non ho visto segni della presenza di Al Qaeda tra i beduini, ma i salafiti hanno affinità ideologiche con loro. Le milizie tribali trafficano in armi, droga ed esseri umani. Non è un problema, dipende dal cliente e dal prezzo. E poi finanziano i terroristi.



Schiavisti: nomi, cognomi e numeri di telefono
Avvenire, 22-02-2012
Paolo Lambruschi
Un lungo elenco che inchioda i colpevoli del sequestro, della riduzione in schiavitù, della tortura e infine della sparizione di migliaia di esseri umani in fuga da fame, persecuzione e guerra nella penisola del Sinai. Ora abbiamo nomi, cognomi e numeri di telefono dei componenti della diabolica rete che da anni rapisce i profughi eritrei, sudanesi ed etiopi nei campi dell’Onu nel Sudan orientale e li rivende ai predoni beduini del Sinai dove vengono torturati e uccisi se non pagano riscatti anche molto elevati. Una lista più completa di quella consegnata a novembre dalle ong israeliane alla polizia di Tel Aviv e compilata dall’Icer, un comitato internazionale che raggruppa diversi professionisti e attivisti della diaspora eritrea.
I quali hanno pazientemente ricostruito, grazie a numerose testimonianze, la tela che va dall’Etiopia al Sudan, dall’Egitto alla Libia e termina in Israele. Che può contare sulla complicità di alti funzionari statali e militari eritrei, sudanesi ed egiziani e di spie del regime dell’Asmara infiltratesi nei campi profughi per tendere esche a giovani disperati pronti a tutto pur di raggiungere l’Occidente.
È una ricostruzione meticolosa, quella dell’Icer, che parte dal 2005 quando la rotta dei migranti portava in Libia e i trafficanti chiedevano l2 mila dollari a testa per portare i subsahariani a Tripoli o a Bengasi. Poi, dopo il trattato con l’Italia che ha sigillato le coste libiche, l’attenzione si è spostata verso lo Stato ebraico e il deserto del Sinai. Qui si salda, secondo l’Icer, la nuova rete criminale. Che può contare su trafficanti etiopi, sudanesi e soprattutto eritrei che allettano i migranti e sull’abilità dei nomadi Rashaida, da secoli contrabbandieri e trafficanti del Sahara che vivono tra Sudan ed Eritrea, imparentati con i clan beduini del Sinai.
Sono i nomadi dei due deserti a varcare le frontiere con i loro carichi di esseri umani. Poi qualcuno pensa che il sequestro di questi migranti può rendere di più con pochi rischi. Si stima che su 50 mila immigrati subsahariani in Israele, 30 mila siano passati per le mani dei trafficanti e almeno 10-15 mila siano stati sequestrati con modalità crudeli. Per sollecitare i riscatti, infatti, le donne vengono stuprate, mentre gli uomini sono picchiati e torturati. L’obiettivo è cancellare la dignità umana. Agli ostaggi vengono consegnati i cellulari per chiamare chi può pagare per la loro vita e raccontare le atrocità subite. Chi non paga il riscatto dalla schiavitù, che ora supera i 30 mila dollari, viene ucciso e gli vengono asportati gli organi, rivenduti sul mercato nero al Cairo. Mancano ancora i nomi delle menti, la «cupola» che non deve restare impunita.

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