Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

22 ottobre 2013

Alfano contestato dagli immigrati
il sole 24 ore, 22-10-2013
Marco Ludovico
Il funerale ad Agrigento delle vittime dei naufragi a Lampedusa del 3 e dell'11 ottobre si trasforma in una dura protesta contro il ministro Alfano. Il vicepremier era giunto nel pomeriggio insieme al collega della Difesa, Mario Mauro, e dell'Integrazione, Cécile Kyenge. Alfano è stato contestato da esponenti di associazioni di migranti al grido «Assassini, assassini, basta con la Bossi-Fini» ed è stato portato via dalla scorta. Poi il titolare del Viminale ha replicato: chi ha gridato «assassini» vuole «frontiere libere e scafisti in libertà. Non l'avranno vinta: proteggeremo le nostre frontiere salvando vite umane. Abbiamo assicurato degna sepoltura ai morti, degna assistenza ai superstiti e ora - dice - caccia senza quartiere ai mercanti di morte».
La tensione al funerale è stata molto alta. Non hanno potuto partecipare i parenti delle vittime, rimasti a Lampedusa secondo le disposizioni delle autorità locali, e hanno anche loro protestato. La contestazione contro Alfano è sorta a causa di alcuni gruppi di eritrei che urlavano contro la presenza alla cerimonia di autorità statali di Asmara - rappresentate alla commemorazione dall'ambasciatore a Roma, Zemede Tekle - un regime da cui i profughi sarebbero fuggiti denunciando soprusi e violenze.
Assente ai funerali di Agrigento il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, che a Roma ha incontrato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano insieme al presidente della Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi. «Il 3 ottobre diventi il giorno della memoria per tutti quei migranti che sono morti tentando di attraversare il Mediterraneo. In questo modo le vittime diventeranno di tutti e non ci saranno più passerelle» dice Nicolini, amareggiata per l'annullamento dei funerali di Stato nella sua isola: «Quei funerali - sostiene - sono naufragati nel momento in cui sono stati annunciati». Ieri ha fatto sentire la sua voce anche il premier Enrico Letta. «Al prossimo consiglio europeo saremo fermi e netti sul tema dell'immigrazione e non accetteremo un consiglio superficiale. Chi ha responsabilità istituzionali deve soprattutto dare risposte e per questo ci siamo incontrati e abbiamo deciso iniziative» ha detto Letta dopo l'incontro con il premier greco Samaras. In conferenza stampa Samaras ha detto di non ravvisare differenze sostanziali nell'atteggiamento di Italia, Malta e Grecia sul tema immigrazione. A La Valletta, peraltro, il primo ministro maltese Joseph Muscat ha affermato che Malta, la Grecia e l'Italia stanno per formare quello che ha descritto come «un fronte comune» sull'immigrazione durante il vertice di Bruxelles. Letta ha poi attaccato sul fronte di Tripoli: «Lavoreremo affinché la costa libica venga pattugliata. Ma non accetteremo più dalle autorità libiche mezze risposte o risposte insufficienti. Per noi - ha sottolineato il presidente del Consiglio - il pattugliamento del mare vuol dire andare lì a far sì che le autorità libiche si assumano le loro responsabilità». Un tema che coinvolge anche il ministero dell'Interno e il capo del dipartimento di Ps, Alessandro Pansa, tanto che una decina di giorni fa è andato in Libia il prefetto Giovanni Pinto, titolare della direzione centrale della Polizia delle frontiere.
Uno degli spunti emersi ieri da Agrigento indica il governo al lavoro sulla revisione della legge Bossi-Fini. In realtà siamo ancora a uno stadio embrionale. L'input parte dal ministro Kyenge ma la delega sulla materia è - com'è noto - del ministero dell'Interno. Finora è stato formato un gruppo di lavoro al quale partecipano, oltre la Kyenge, il viceministro Filippo Bubbico e il sottosegretario Roberto Manzione. Un tavolo informale al quale ha dato un suo contributo anche l'ex ministro Livia Turco. C'è un testo di massima che interviene su tre punti: la riduzione della permanenza degli immigrati nei Cie (centri di identificazione ed espulsione) prolungata fino a 18 mesi quando all'Interno c'era il leghista Roberto Maroni; le modalità di affidamento degli appalti per la gestione dei centri; le procedure di identificazione. Punti specifici che non rivoluzionano, però, la Bossi-Fini nel suo attuale assetto. Senza contare che gli attuali esponenti governativi al lavoro sul testo sono tutti Pd: l'iniziativa, insomma, oltre a essere nata da pochissimo è tutta da concertare con il resto della maggioranza in uno scenario pieno di trappole e ostacoli politici di ogni genere.



Funerali dei profughi: Alfano aggredito
Rabbia ad Agrigento. I contestatori: "Assassini, basta con la Bossi-Fini". Il vicepremier portato via dalla scorta: "Vogliono gli scafisti liberi"
il Giornale, 22-10-2013
Nino Materi
Litigare sulla pelle dei morti è diventato il nuovo sport nazionale. È accaduto con le esequie di Priebke. È riaccaduto ieri ad Agrigento con la commemorazione delle 366 vittime del naufragio di Lampedusa dello scorso 3 ottobre.
Pianti, disperazione. E strumentalizzazioni.
Il cordoglio - quello sincero - resta forse solo quello dei lampedusani che hanno accolto le salme dei poveri migranti. Tutto il resto è stato - come l'hanno definita in molti - «passerella», in un nugolo di scorte e auto blu.
Il vicepremier Angelino Alfano è stato il più contestato, con frasi durissime («Assassini, basta con la legge Bossi-Fini»), tanto che la scorta è stata costretta a intervenire portando via di peso il ministro dell'Interno che stava rispondendo alle domande dei giornalisti.
Alfano ha poi commentato: «I cosiddetti attivisti che hanno gridato ?assassini? sono quelli che vogliono frontiere libere e scafisti in libertà. I contestatori non l'avranno vinta, proteggeremo le nostre frontiere salvando vite umane». Intanto il premier Letta ha aperto uno spiraglio sul fronte della Bossi-Fini: «Disponibili a rivedere la legge». Ma ieri l'insofferenza era palpabile pure nei confronti dei ministri Kienge (Integrazione) e Mauro (Difesa).
Davanti alle bare, invece di un dignitoso silenzio, un imbarazzante blabla polemico. «Era meglio che questa cerimonia si fosse organizzata a Lampedusa...», ha detto il governatore della Sicilia, Crocetta; «Perché no a Lampedusa? Questa domanda va fatta a chi ha la responsabilità diretta della cerimonia...», ha aggiunto il ministro Mauro. Perfino Claudio Baglioni ha detto la sua: «Come cittadino sono molto scoraggiato, anzi sono decisamente sfiduciato». Ce ne faremo una ragione.
Sul molo turistico del porto di San Leone ieri pomeriggio c'erano anche gli ambasciatori di alcuni Paesi delle vittime: presenze inopportune, considerato che i profughi deceduti stavano fuggendo proprio dai loro regimi totalitari. Assente invece il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, che proprio nelle stesse ore del funerale ha incontrato a Roma il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e il primo cittadino di Agrigento, Marco Zambuto, che ha definito la cerimonia una «farsa di Stato».
Un rito che è stato ben diverso da quello che lo scorso 9 ottobre aveva auspicato il presidente del Consiglio, Enrico Letta, che proprio da Lampedusa annunciò per le vittime la celebrazione di funerali di Stato. Anche don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo che da anni rappresenta un punto di riferimento per i profughi in arrivo in Italia, ha parlato di «beffarda rappresentazione». Per tutto il giorno una sessantina di migranti sopravvissuti al naufragio hanno tenuto un sit in davanti al centro di accoglienza di Lampedusa: chiedevano di poter partecipare alla cerimonia di commemorazione delle vittime del naufragio. Le forze di polizia hanno tenuto sotto controllo la situazione, anche con l'ausilio di alcuni mediatori dell'Esercito i quali hanno spiegato che «era ormai praticamente impossibile partecipare ai funerali». Un gruppo di eritrei è stato infine ricevuto nell'aula consiliare del Comune; un altro gruppo ha invece bloccato la strada che dal paese conduce al Centro di prima accoglienza di contrada Imbriacola.
I riflettori sono già spenti. Oggi si torna a soffrire.



IL FUNERALE IN CONTUMACIA
«Faremo funerali di stato per le vittime di quello che è avvenuto, sono tutte scelte che stanno in una logica di compartecipazione a una sofferenza drammatica, una tragedia immane, che in queste dimensioni non è mai accaduta nel Mediterraneo.
il manifesto, 22-10-2013
Raffaele K. Salinari
Le parole che abbiamo detto a tutti coloro che abbiamo incontrato in questi giorni sono anche le parole di scuse per le inadempienze del nostro paese rispetto a una tragedia come questa».
Queste le parole pronunciate da Enrico Letta il 9 ottobre scorso. Ma quello che si è svolto ad Agrigento su di un molo che non ha visto, per fortuna, mai approdare cadaveri di migranti, non è stato un rito funebre ma una semplice cerimonia che ricorda chi è morto traversando il mare. Una cerimonia «in absentia» delle bare, in contumacia, verrebbe da dire, dato che quei corpi erano rei del reato di immigrazione clandestina. Seppellito in località segreta, per ora, il corpo di Priebke, sepolti in loculi sparsi e spersi per la Sicilia con un numero al posto della lapide, i corpi dei migranti.  A questo squilibrato parallelo la cerimonia avrebbe voluto porre il sigillo, silenziare con la presenza del Governo le polemiche legate alla mancanza di rispetto dovuta alla tragedia che ha colpito centinaia di famiglie di qua e di là dal Mediterraneo. E qui si svela il volto ipocrita ma soprattutto la fragilità dei poteri costituiti, che mettono la sordina allo scandalo della mancata accoglienza senza nemmeno il coraggio di un riconoscimento, di un riguardo, per le vittime, come invece il funerale di Stato avrebbe mostrato.
Rispetto e riguardo hanno la stessa radice, significano «guardare due volte», per accorgersi che il volto che hai di fronte è il tuo stesso volto, il corpo nella bara è il tuo stesso corpo che solo un caso fortuito ha voluto avesse un altro destino. Ma è proprio questo riconoscere che è mancato, che si è fatto mancare: un funerale, un rito funebre dinanzi alle bare, ne avrebbe invece dato testimonianza. Ma è possibile il riconoscimento dell'alterità migrante quando sono in gioco equilibri politici così fragili come quelli che oggi governano il nostro paese? Sarebbero veramente stati possibili funerali, addirittura di Stato, ancora vigente la Bossi Fini? La risposta è chiara, e la cerimonia di Agrigento è solo l'ombra di ciò che avrebbe dovuto essere e non è stato.
Le parole che il Ministro degli Interni, contestato da alcuni rappresentanti delle associazioni di accoglienza dei migranti e portato via, ha pronunciato rispetto alla «difesa delle nostre coste», chiudono la porta a quella riforma della legge sull'immigrazione che, nello stesso momento, a Roma, il Sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini e il Senatore Luigi Manconi chiedevano al Presidente della Repubblica.
Agrigento è una occasione mancata anche perché mancavano i parenti delle vittime, che la pelosa protezione di Stato non ha voluto portare il quel luogo, mentre, invece, erano presenti emissari di quei governi da cui molti, tutti, sono scappati e dunque, per evitare tardivi riconoscimenti e altri drammi, i profughi sono stati lasciati nei Centri di Accoglienza.
Il presidente dell'associazione Habeshia, che si occupa dell'assistenza dei profughi eritrei in Italia, Mussie Zerai, ha scritto una lettera alla ministra Kyenge per chiedere urgentemente un incontro: «L'ambasciatore eritreo e i suoi funzionari si aggirano indisturbati a Lampedusa tra i richiedenti asilo, raccogliendo dati e fotografie per la schedatura dei fuggitivi senza che nessuna autorità italiana intervenga», mentre l'Associazione Culturale Askavusa di Lampedusa sceglie di restituire «al Presidente della Repubblica le medaglie al valore che l'isola aveva ricevuto nel 2011 e 2012», con la motivazione che troppa è la distanza tra ciò che si promette e ciò che si mantiene. Un paradosso tra gli altri, come paradossale è l'aiuto che si continua a fornire a questi governi senza che la politica estera dell'Italia prenda in minima considerazione la precondizione dei rispetto dei più fondamentali diritti umani.
Il prossimo Consiglio europeo sarà dedicato ai temi dell'immigrazione, e se non si darà spazio sufficiente a questi problemi l'Italia non sarà soddisfatta; così ancora ha dichiarato il premier Letta insieme al suo omologo greco. Vedremo presto se alle parole seguiranno i fatti e quali.



Quei funerali tra virgolette, Lampedusa meritava di più
Lo strano saluto ai morti senza nome di Agrigento, alla presenza delle autorità eritree da cui stavano fuggendo. E io un po' mi vergogno
Europa, 22-10-2013
Giovanni Cocconi
Non so voi ma io un po’ mi sono vergognato. Faccio parte di quelli che non pensano che la strage di Lampedusa sia colpa della Bossi-Fini. E quando Enrico Letta è andato sull’isola ad annunciare i funerali di stato ho pensato che l’emozione gli avesse tirato un brutto scherzo: lo stato non concede esequie solenni a persone che, di solito, spedisce in prigione.
Passavano i giorni e mi chiedevo che fine avesse fatto una promessa tanto azzardata, la sfida pubblica lanciata al senso comune di un’Italia che pensa ai clandestini sempre e solo come a dei parassiti.
L’ho capito ieri quando ho assistito alla commemorazione delle 366 vittime di Lampedusa ad Agrigento. Uno strano funerale tra virgolette, senza salme, l’estremo saluto a morti senza nome, sepolti un po’ qua un po’ in là nei cimiteri dell’agrigentino.
Una cerimonia disertata polemicamente dal sindaco di Lampedusa, ma alla quale erano presenti i rappresentanti del governo eritreo, il regime dal quale i morti stavano scappando. La strage e la beffa. Tanto valeva lasciarli in mare. Siamo riusciti ad abbandonarli anche da morti. E io un po’ mi vergogno.



L'ultima offesa dello stato
Alla cerimonia di Agrigento non ha partecipato per protesta il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini. Il governo delle larghe intese tocca il fondo. Funerali senza bare né superstiti per le vittime del naufragio di Lampedusa. Contestato il ministro Alfano
il manifesto, 22-10-2013
Luca Fazio
Qualunque cosa dovesse ancora succedere, e ne succederanno di porcherie, le istituzioni di questo paese, governo delle meschine intese e alte cariche dello stato comprese, ieri hanno toccato il punto più basso sul litorale turistico di San Leone, ad Agrigento. Non si poteva chiamarlo nemmeno funerale, perché non c'erano le bare, già interrate senza nome in terra di Sicilia, tipo fossa comune appena ingentilita da semplici mazzi di fiori, e allora hanno allestito una messa in scena indecorosa e l'hanno chiamata commemorazione. Le autorità blindate, due preghiere e via. Per 366 morti annegati davanti alle spiagge di Lampedusa.
Di alto livello la rappresentanza governativa spedita sull'isola per metterci la faccia, Angelino Alfano, il ministro Mario Mauro e la ministra Cécile Kyenge. La polizia, l'esercito e l'integrazione. Tutti e tre «commossi», scrivono le agenzie, e qualcuno anche confuso, se è vero che Cécile Kyenge (poi corretta dal suo ufficio stampa) ha detto «oggi è un giorno importante perché per la prima volta sono stati fatti funerali di Stato, una cerimonia ufficiale con la quale si riconoscono persone nate altrove e che non hanno la nazionalità italiana». Niente di più lontano dalla realtà.
A parte l'imbarazzato terzetto, lo Stato non c'era. E dire che lo aveva promesso due settimane fa il primo ministro Enrico Letta, vergognandosi in ginocchio davanti a quattro piccole bare bianche. Deve averci ripensato. Non c'era nemmeno l'arcivescovo di Agrigento, impegnato altrove. C'erano però molti sottoposti sparsi qua e là, tutti commossi, e anche la sgradita presenza dell'ambasciatore dell'Eritrea, accolto dal cartello di alcuni cittadini del suo paese che sono riusciti a scappare senza annegare: «La presenza del regime offende i morti». Non c'era nemmeno il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini. Era a Roma per un incontro con il presidente Napolitano. La sua è stata l'unica defezione rivendicata con forza, non una assenza ma un atto di accusa: «I funerali di Stato sono naufragati nel momento stesso in cui sono stati annunciati, non ci sono mai stati segnali concreti da parte dello Stato. Potevano non essere sontuosi, bastava un saluto che desse dignità e onore a quei morti. E poi se proteggiamo chi scappa dall'Eritrea per non fare il militare, perché invitiamo il governo eritreo alla commemorazione dei morti?».
Sarebbe troppo aspettarsi una risposta da un tipo come Alfano. Prima di svignarsela con le sue guardie dopo un'ora di inutile litania interreligiosa, il rappresentante della destra moderna che non dispiace al centrosinistra si è intrattenuto cinque secondi con la stampa per dire cosa pensa. Sono tre righe, le ha imparate a memoria, non sa dire altro (lui e quelli che governano con lui): «Abbiamo assicurato un'assistenza ai superstiti e una degna sepoltura ai morti. Ora caccia ai mercanti di morte». Lo hanno portato via tra le contestazioni di un gruppo di siciliani furibondi: «Bossi-Fini legge di assassini». Alcune donne eritree piangevano ancora.
Come aveva detto il sindaco di Agrigento Marco Zambuto (Pd), ancora prima di vedere con i propri occhi, ad Agrigento è andata in scena l'ennesima farsa di Stato: «Sarò presente alla cerimonia commemorativa delle vittime dei due naufragi, anche se questi due funerali sono una farsa di Stato, una passerella per i politici. Ci andrò per rappresentare una comunità, quella agrigentina, che ha aperto il proprio cuore, senza clamori, all'insegna dell'accoglienza concreta, dando sepoltura ad oltre 90 vittime». E infatti è stato un oltraggio ai morti, quasi vilipendio di cadaveri, e anche ai vivi, quei 157 superstiti del naufragio che ieri non sono stati invitati alla cerimonia. Sono rimasti a Lampedusa, prigionieri del centro di accoglienza e del destino che ha riservato loro il peggiore degli approdi. Hanno protestato, poi i soldati sono riusciti a convincerli: «Ormai non c'è più niente da fare», anche per un funerale. Hanno capito e si sono limitati a gettare fiori in mare. Ecco il funerale di Stato. Con la presidente dalla Camera Laura Boldrini che il giorno prima si era limitata commuoversi da sola visitando Mazzarino, un paese vicino a Caltanisetta che ha scavato alcune fosse per accogliere piccoli cadaveri.



Il sindaco di Lampedusa e Manconi "Un piano di protezione temporanea"
Il progetto presentato in Senato. Proposta la "concessione della protezione temporanea di un anno rinnovabile definendo quote di accoglienza per ciascuno Stato Membro". Sono stati ricevuti dal presidente della Repubblica Napolitano
la Repubblica, 21-10-2013
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto nel pomeriggio al Quirinale il presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, Luigi Manconi, che gli ha illustrato un documento di proposte sui temi dell'ammissione umanitaria nell'Unione Europea. All'incontro ha partecipato il sindaco di Lampedusa e Linosa, Giusi Nicolini, con la quale si è parlato dello stato attuale dei profughi accolti a Lampedusa e anche delle condizioni generali in cui opera l'amministrazione locale.
La proposta prevede quattro punti per l'ammissione umanitaria nell'Unione Europea attraverso la concessione di una misura di protezione temporanea e l'attuazione di un piano di resettlement con le organizzazioni internazionali e le associazioni umanitarie. E' questo il piano presentato nel corso di una conferenza stampa in Senato dal presidente della commissione Diritti umani Luigi Manconi e dal sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini.
L'Italia "si impegna affinchè il Consiglio Europeo del 24 e 25 ottobre prossimi applichi - si legge nel primo punto - quanto previsto in caso di 'afflusso massiccio di sfollati' nella Ue, vale a dire la concessione della protezione temporanea di un anno rinnovabile definendo quote di accoglienza per ciascuno Stato Membro".
"Le modalità di individuazione dei beneficiari della protezione temporanea dell'Unione Europea potrebbe avvenire nei paesi di transito e potrebbero avere luogo - spiegano i promotori della proposta - attraverso le delegazioni diplomatiche del servizio europeo per l'azione esterna e la rete diplomatica-consolare degli Stati-Membri, con il coinvolgimento delle organizzazioni internazionali e delle associazioni umanitarie"
Occorre "realizzare presidi internazionali, creando le condizioni necessarie, nei Paesi rivieraschi della sponda sud del Mediterraneo e nei luoghi di partenza dei trafficanti di esseri umani, per l'avvio - si legge nella proposta - della procedura di concessione della protezione temporanea. I presidi vanno realizzati dalla stessa Ue d'intesa con le organizzazioni internazionali e le associazioni umanitarie, utilizzando tra l'altro, le risorse comunitarie destinate alla protezione civile".
Infine "il trasferimento con mezzi legali e sicuri dal presidio internazionale al paese di destinazione, definito tenendo conto, tra l'altro, dal regolamento Dublino III in merito all'eventuale presenza di familiari, deve rientrare in un progetto coordinato europeo di 'Ammissione Umanitaria' con il coinvolgimento di tutti gli Stati Membri, rafforzando le risorse del Fondo europeo per i rifugiati. Il beneficio della misura di protezione temporanea non precluderebbe la presentazione della domanda per il riconoscimento dello status di rifugiato nei singoli Paesi".



Bossi-Fini, riforma dei Cie basta con i migranti rinchiusi per un anno e mezzo
la Repubblica, 22-10-2013
Vladimiro Polchi
ROMA — Riduzione dei tempi di permanenza nei Cie, revisione del loro sistema di gestione ed ex detenuti identificati direttamente in carcere senza passare per i centri. Per la Bossi-Fini, già mezza smontata dalle sentenze della Consulta, ora si annuncia un tagliando da parte del governo.
A una bozza di modifica stanno infatti lavorando il ministro dell'Integrazione Cécile Kyenge, il viceministro dell'Interno Filippo Bubbico e il sottosegretario all'Interno Domenico Manzione. Del resto, proprio la legge-madre del pianeta immigrazione era finita sul banco degli imputati nei giorni successivi alla tragedia di Lampedusa. Mercoledi scorso Bubbico e Manzione hanno incontrato il mondo delle associazioni, concordando un tavolo tecnico per discutere assieme delle possibili modifiiche alle norme. È seguita una riunione tra Kyenge e il Viminale che ha portato a una bozza di riforma. Il testo parla di «drastica riduzione» del tempo massimo di permamenza nei Cie: il tratteni-
mento infatti è stato portato a 18 mesi (dai precedenti sei) con un decreto del 2011 dell'allora ministro dell'Interno Roberto Maroni. Allungamento che ha causato un sovraffollamento delle strutture, ma non ha per questo accelerato la macchina delle espulsioni.
Altro punto critico che si vuole aggredire è il sistema di affidamento della gestione dei centri, attuato oggi con bandi sempre più al ribasso, che privilegiano spesso la proposta più economica e non i servizi più adeguati. Infine la bozza di riforma prevede l'eliminazione della norma in base alla quale gli ex detenuti stranieri devono essere portati nei Cie per essere identificati, provvedendo cosi a un ulteriore intasamento delle strutture. Si propone invece di procedere all'identificazione direttamente in carcere.



Alfano: «Cie incendiati dagli immigrati e ristrutturati con i soldi degli italiani». Nuovi sbarchi nella notte
il sole 24 0re, 22-10-2013
In Italia, ricorda il ministro Angelino Alfano in un intervento a Radio Anch'io, «abbiamo dei centri di accoglienza che hanno una capacità ridotta perché gli immigrati li hanno incendiati. E ora li stiamo ristrutturando con i soldi degli italiani». Il giorno dopo le polemiche, con il vicepremier che è stato contestato ad Agrigento in occasione della cerimonia per le vittime dei naufragi di Lampedusa, Alfano sottolinea che «l'Italia è un paese accogliente, ma non può accogliere tutti». Il tema dell'immigrazione sarà al centro del Consiglio europeo del 24 e del 25 ottobre.
La tensione rimane alta: richiedenti asilo ospiti del Cara di Mineo (Catania) hanno bloccato stamattina la strada statale 417 per Caltagirone e lanciato sassi contro la polizia. Esasperati dalla lunga attesa per il riconoscimento della concessione dello status di rifugiato, gli stranieri hanno lanciato pietre contro un'auto della polizia stradale di Caltagirone, e hanno così mandato in frantumi il parabrezza. Assalita un'area di servizio, dove i lavoratori si sono asserragliati dentro il bar. Nel parcheggio del distributore di benzina sono stati distrutti i vetri di un'auto in sosta e di autobus di linea.
Intanto continuano gli sbarchi di immigrati sulle coste italiane. Due barconi sono stati soccorsi in nottata nel Canale di Sicilia. Una delle due imbarcazioni con a bordo circa 400 immigrati é stato avvistata a oltre 100 miglia a Sud di Portopalo di Capo Passero (Siracusa) da un aereo dell'agenzia Frontex. Le imbarcazioni sono state prima intercettate dalle nave della Marina Militare Maestrale, impegnata nell'operazione di pattugliamento del Mediterraneo decisa in seguito agli ultimi naufragi, e successivamente "agganciate" da due motovedette della Guardia Costiera. Poco prima di mezzanotte, gli immigrati sono stati trasbordati sulle unità, che adesso stanno facendo rotta verso un porto della Sicilia Sud Orientale.
Sullo scontro nel Pdl: lavorerò per unità
Il ministro parla anche dello scontro all'interno del Pdl tra governisti e lealisti a Berlusconi. Sull'ipotesi di scissione nel Pdl, ricorda, «ne hanno parlato solo i giornali, io non ho mai pronunciato questa parola. Lavorerò - continua - per l'unità intorno a Berlusconi e questo è un intendimento di tantissimi di noi».
Alfano: l'Italia non può accogliere tutti
«L'Italia è un paese accogliente, ma non può accogliere tutti», sottolinea il ministro dell'Interno. Il nostro Paese, spiega il vicepremier, «attraversa insieme all'Europa un grave momento di difficoltà economica. L'accoglienza è un punto fermo, ma altrettanto fermo è il fatto che non si puo' accogliere tutti».
L'Europa deve proteggere la frontiera italiana
L'Europa - afferma Alfano- prenda atto con concretezza e senza chiacchiere del fatto che la gran parte dei migranti che arrivano nel nostro paese vogliano andare da un'altra parte. Dobbiamo bloccare i mercanti di morte, impedire che acquisiscano risorse illecite attraverso il mercanteggiamento di donne e bambini». Ma l'Europa deve anche «proteggere la frontiera italiana. Dobbiamo essere realisti: da soli - fa notare ancora il titolare del Viminale- siamo chiamati a un compito che non è solo nostro, proteggere il confine europeo. Questo è il punto centrale. Vogliamo essere accoglienti ma vogliamo difendere il futuro dei giovani italiani e dare sicurezza ai cittadini».
Piano contro crimine informatico e contro furti
«Annuncerò a breve due piani per la sicurezza -anticipa Alfano -. Il primo contro la criminalità informatica, per una navigazione sicura. E il secondo grande piano è contro i furti e le rapine, per rendere più sicure le nostre città con una strategia sinergica».



«clandestini» e il Big Boss
Reportage da Zarzis sui viaggi della speranza. Il ruolo del «passeur» e quello degli intoccabili che manovrano i fili dell'immigrazione
TUNISIA Sagon, «trafficante di esseri umani», spiega come funziona il business
«Qui non c'è niente da fare, l'alternativa è rubare». E tutti quei morti? «Che Allah li abbia in gloria»
il manifesto, 22-10-2013
Alessandro Tricarico
ZARZIS (Tunisia). «It's a beautiful night for Lampedusa» mi dice Nabil sorridendo, «yes, it's a beautiful night» gli rispondo senza riuscire a distogliere lo sguardo dal mare: è docile e mansueto, molto più simile a un lago, il grande lago Mediterraneo. Nabil si allontana e va a parlare con alcuni pescatori, io lo aspetto sulla spiaggia vicina.
Davanti ai miei occhi c'è la notte più nera, una di quelle notti che hanno il potere di tramutare il mare in inchiostro. Nell'attesa che ritorni Nabil chiudo gli occhi e provo a immaginare di essere un clandestino che sta partendo per Lampedusa, respiro la brezza marina a pieni polmoni per prendere coraggio e nella mente si affollano le immagini degli sbarchi, dei riflessi dorati delle coperte termiche, dei corpi che vengono cullati e riportati a riva dalla risacca, di tutti quei sacchi neri messi in fila sulla spiaggia. Penso a un motore che scoppia, a un'esplosione improvvisa, al fuoco che sull'acqua, a uno scafista armato senza scrupoli, alle urla di una giovane madre. Il cuore comincia a battermi forte e la testa non comanda più le gambe. Riapro gli occhi e guardo per terra: sabbia, solo soffice sabbia bianca, che per fortuna mi separa dal mare.
La notte è buia qui nel porto di Zarzis e la luna da sola non basta a far luce su questa distesa di acqua e anime. Impossibile sapere con precisione quanta gente sia annegata in questo immenso lago. Fortress Europe stima che siano 19.372 persone scomparse nel tentativo di oltrepassare la frontiera europea negli ultimi 25 anni, di cui 2.352 soltanto nel corso del 2011, almeno 590 nel 2012 e già 695 nel 2013. Sono numeri da capogiro. Come se un'intera cittadina fosse sprofondata all'improvviso.
È da giorni ormai che non riesco a pensare ad altro, scandisco lentamente le parole nella mia mente e non vi trovo alcuna logica: trafficante di Esseri Umani. Ma forse l'ho ripetuta così tante volte che non ha più senso. Ma come si trafficano gli esseri umani? Come la merce? Come le bestie? Provo a chiedere in giro e nei bar, ma nessuno sa rispondere. Molti fanno finta di non sapere di cosa io stia parlando. Da Zarzis partono regolarmente i barconi clandestini per l'Italia, ma sembra che nessuno se ne sia mai accorto.
Spunta fuori un trafficante, o meglio il nome di un trafficante, si fa chiamare Sagon, come il cattivo di un vecchio telefilm messicano. Riesco ad incontrarlo dopo tre giorni passati in una villa semi-diroccata, utilizzata per ospitare i "clandestini" in attesa della partenza. Ci incontriamo in una scuola abbandonata lì vicino, nella periferia di Zarzis. L'ambiente è polveroso, e l'aria viziata mi riempie le narici. Trovo Sagon seduto al buio, cappuccio tirato su e faccia rivolta verso il muro. Un debole fascio di luce entra tra le lamiere che sostituiscono il tetto. Non c'è molta luce e non mi è concesso di vederlo in faccia. Ha di fianco a sé due lattine di birra calde, la prima, vuota ancor prima di iniziare.
Perché sei un trafficante? Mi risponde che non ha un lavoro vero e che non vuole rubare. Asseconda in un certo qual modo la richiesta del mercato clandestino, tutti vogliono partire ma sono in piccoli gruppi, 2 o 3 persone al massimo. Il suo compito è quello di raggrupparli in una casa e aspettare che diventino abbastanza da poterli vendere al passeur.
Chi è il passeur? La parola è traducibile con «trafficante», è colui che nella rete del traffico dei clandestini occupa un gradino più in alto, ma non tanto alto da essere un Big Boss. E chi sono i Big Boss? Sono coloro che manovrano i fili dell'immigrazione clandestina, gente ricca, molto ricca, che può permettersi di corrompere la polizia e ricavare degli extra trafficando in Esseri Umani. Persone intoccabili, colletti bianchi, spesso partner commerciali dell'Europa che prendono voli charter a loro piacimento o viaggiano in business class sopra le teste dei clandestini che mandano a morire. Sagon aggiunge che una nave può costare sui 100 mila dinari (circa 45 mila euro), ma nel momento in cui salpa dal porto ne vale il doppio. Insomma un guadagno del 100% per il Big Boss senza alcuno sforzo. L'utile di un trafficante come Sagon, invece, è di circa 180 euro per clandestino.
Chiedo se ci sono ancora barconi che partono per la Sicilia e lui mi risponde che non è più semplice come due anni fa. Nell'immediato post Ben Alì, infatti, questa cosa avveniva alla luce del sole. I nomi dei trafficanti erano di dominio pubblico e ben visti dalla popolazione locale, alcuni di loro erano gli ex poliziotti corrotti del regime che, dopo decenni di soprusi, prendevano il largo per paura di ritorsioni. Scopro con non poca meraviglia che ora è più sicuro partire dalla Libia. Una volta a destinazione con un po' di bravura e una buona dose di fortuna potrà fingersi algerino o marocchino, evitando il rimpatrio e l'arresto. «Ma è pericoloso perché i libici mentono, sono senza pietà. Obbligano i migranti a salire sulle vecchie navi e se qualcuno di loro ci ripensa all'ultimo minuto lo ammazzano, e se qualcuno fa la spia si può considerare un uomo morto».
E allora perché la gente parte?Mi risponde, alzando la voce, di non credere che la vita qui è bella perché c'è la spiaggia, le palme, il sole... «Hai visto quanta gente c'è per strada, senza un lavoro? Qui non c'è niente da fare. L'alternativa è rubare e andare in carcere. Ecco perché vanno via». Chiedo anche che tipo di persone ci sono tra i suoi "clienti". Impossibile tracciare un profilo del "clandestino tipo", Sagon mi risponde che c'è gente di ogni estrazione sociale: disoccupati, criminali, studenti, commercianti, donne incinta.
È mai successo che un barcone organizzato da lui affondasse? Fiero della sua presunta infallibilità mi risponde di no, «non è mai affondata nessuna delle mie barche», me lo dice come se fosse una cosa che si potesse prevedere e quindi evitare. «Una sola volta - precisa l'uomo - un barcone partito da Zarzis è stato speronato e affondato dalla polizia tunisina». È vero, lo lessi anche io tempo fa: Rais Gantri dirà così al quotidiano La Repubblica: «Mentre eravamo in navigazione verso Lampedusa, una motovedetta tunisina ci ha intimato di fermarci, cosa che abbiamo fatto, ma il comandante ha fatto una manovra e ci ha speronato, spezzando la nostra barca in due. Gli ufficiali di bordo ridevano perché alcuni di noi non sapevano nuotare. Ci guardavano e ridevano invece di tirarci su». Il bilancio sarà di 40 vittime.
La disponibilità di Sagon alle mie domande comincia a scarseggiare, e dopo alcune risposte monosillabiche decido di chiudere l'intervista chiedendogli cosa pensa delle frontiere: «Non capisco la domanda», risponde, provo a ripeterlo ma senza risultato. E cosa pensa invece Sagon del naufragio di Lampedusa? Di tutti i morti che ci sono stati in mare? «Che Allah li abbia in gloria» è la sua risposta, secca, precisa, immediata. Come se si aspettasse questa domanda fin dall'inizio dell'intervista.
Che Allah abbia in gloria te Sagon, penso, ma non lo dico. Che possa avere pietà di te e di tutti i miei e i tuoi connazionali che non hanno alcun rispetto per la vita altrui. Pietà della gente che lucra sulle spalle dei più deboli. Pietà delle anime in pena che rischiano la propria vita pur di poterla vivere.



Catania, disordini all’esterno del centro di accoglienza di Mineo
Lanciate dai migranti pietre contro la polizia stradale, assaltata un’area di servizio e bloccata la statale per Gela
Corriere della sera, 22-10-2013
Disordini tra i migranti ospiti del Centro accoglienza richiedenti asilo di Mineo. Alcuni di loro sarebbero usciti e hanno lanciato pietre contro l’auto di servizio della polizia stradale di Caltagirone, frantumando il parabrezza.
DISORDINI - Assalita un’area di servizio dove i lavoratori si sono asserragliati dentro il bar. Nella stazione di servizio sono stati distrutti i vetri di un’auto posteggiata e quello laterale di un autobus di linea extraurbana. Bloccata la strada statale Catania-Gela.
Negli incidenti fuori dal Cara non si registrano, al momento, feriti. Già lunedì sera c’erano state tensioni all’interno della struttura che ospita circa 4mila migranti. Il motivo della protesta sono i tempi, che ritengono lunghi, per il riconoscimento di rifugiato politico, e il numero non sufficiente di commissioni per l’avvio delle pratiche burocratiche. Stamattina la tensione è esplosa all’esterno del Cara di Mineo, ma non ci sono stati scontri. A gruppi di 10-15 numerosi extracomunitari camminano sulla strada statale Catania-Gela, in entrambe le direzioni. Per precauzione è stato deciso il divieto di transito. Sul posto sono stati inviati rinforzi delle forze dell’ordine.



Un talent show in Bangladesh per vincere un master a Milano
Corriere della sera, 22-10-2013
Alessandra Coppola
Chi vuol esser manager? Hanno risposto 247, ne sono stati selezionati 45 divisi in tre squadre. A contendersi il premio, alla fine, sono rimasti in sei: quattro ragazze e due ragazzi che sorridono sulle scale di una villetta che fu collegio femminile e adesso ospita l’Alta Scuola Impresa e Società (Altis). I primi studenti dal Bangladesh nella storia dell’Univerità Cattolica, sui banchi del prestigioso MBA in «Global Business and Sustainability». La parte bizzarra della storia, però, è un’altra: sono arrivati fin qui grazie a un concorso tv. «È tutto così cool: quello che vedo in strada, i palazzi, i mezzi pubblici, questo cortile, la gente, la moda… E così pulito!». Sabrina Jahan, 22 anni, è al suo primo viaggio lontana da casa, con gli altri è arrivata neanche dieci giorni fa, ha appena assaggiato la pasta in mensa, «buona», ha fatto già un blitz nella boutique di Prada, e intende sperimentare tutto quello che può nei due mesi in cui resterà a Milano, gli occhi sgranati: «Ho letto che l’Italia ha molta storia e arte…».
Con Partha e Nancy, ha vinto il secondo premio, un corso breve. Israt, Tahseen e Samir, invece, sono arrivati primi: borsa di studio da 28 mila euro ad allievo che copre l’intero anno accademico. Più fortunati, e soprattutto più talentuosi, secondo la giuria, che li ha visti alle prese con le prove del reality: l’organizzazione di un concerto, per esempio, la vendita di un nuovo marchio in un centro commerciale, per tre mesi seguiti costantemente dalle telecamere.
    Premi diversi, storie molto simili: tutti ventenni, studenti universitari a Dacca, corsi di laurea e in alcuni casi anche specializzazioni in Economia & affini, una svolta cominciata allo stesso modo. «Una mattina nella bacheca della facoltà ho letto l’annuncio — racconta Samir —: s’apriva la selezione per un talent show il cui premio finale era un master a Milano».
L’esame d’ingresso combinava test attitudinali e domande per esperti del settore. «Il nostro intento era quello di avere partecipanti qualificati», che superassero già in partenza i requisiti dell’Altis. A parlare adesso, accanto ai ragazzi, è Nazir Alam, giovane imprenditore bengalese di origine e britannico di adozione, che ha accumulato successo (e milioni) con le telecomunicazioni, la pubblicità, i prodotti farmaceutici e ha deciso poi di investire parte dei suoi guadagni nella formazione delle nuove generazioni, fondando la società «The Future Leaders Ldt» (stesso nome dello show): «L’idea di base è che per far crescere il Bangladesh è necessario un cambiamento di mentalità». Smetterla di credere che non c’è speranza, rimboccarsi le maniche, agire.
    «Rendere possibile l’impossibile, è quello che ci hanno insegnato», sorride Partha.
Sarà anche uno dei Paesi con il Pil pro capite tra i più bassi del mondo, ma l’entusiamo non manca. Richard Arsan, responsabile dell’area Education di Altis e «giudice» del talent, l’ha sperimentato: «Hanno una voglia di emergere straordinaria rispetto a quello che si trova oggi in Italia». Arsan quest’anno tornerà a Dacca per la seconda edizione del concorso, coinvolta di nuovo la Cattolica: protagonisti non più aspiranti manager, ma giovani imprenditori con un progetto di start-up.

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