Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

23 dicembre 2013

Ispezioni a tappeto nei Cie in rivolta Alfano ordina controlli sulle spese
Renzi: via la Bossi-Fini, lo prometto Il Viminale vara una task force. Deputato pd si barrica a Lampedusa L’emergenza 

la Repubblica, 23-12-2013
LIANA MILELLA
ALFANO e Renzi, Renzi e Alfano. Tra Ponte Galeria e Lampedusa. Dove esplode il bubbone dei Cie, i famigerati centri in cui sono di fatto “detenuti” gli immigrati in attesa di essere espulsi. La protesta dilaga, diventa ormai un ingombrante caso politico, e i due leader del Pd e del Nuovo centrodestra s'inseguono mediaticamente con le soluzioni possibili.
ANGELINO Alfano, da ministro dell’Interno, ha una doppia responsabilità e studia soluzioni tecniche rapide che abbiano un impatto forte. Potrebbe partire subito una task force per verificare come sono stati spesi i soldi messi in bilancio per i Cie. Ma nella strategia del ministro c’è anche l’invio di gruppi di ispettori che, centro per centro, verifichino che cosa sta effettivamente succedendo.
Matteo Renzi invece conferma la sua battaglia contro la legge Bossi-Fini. In tv, da Fazio, eccolo esporsi e promettere: «La cambieremo, garantisco io». È da sempre nei suoi programmi, questo è noto, lo ha ripetuto tante volte durante la lunga corsa verso la segreteria del Pd, così come ha ribadito il principio dello ius soli (diventa italiano chi nasce in Italia), ma adesso quel «garantisco io» ha un valore strategico importante.
Conta il momento in cui viene pronunciato, mentre dieci immigrati chiusi nel Cie di Ponte Galeria hanno ancora la bocca cucita per mostrare fisicamente la potenza della rivolta, mentre nello stesso centro altri stranieri sono in sciopero della fame, mentre a Lampedusa il deputato Pd Khalid Chaouki si chiude nel Cie per essere vicino a chi ha subito l’onta della pubblica doccia disinfestante. E facce note del Pd sono con lui, come Livia Turco.
Sono passi importanti, e se tutto non si addormenterà per Natale, la situazione degli immigrati in Italia potrebbe cambiare davvero. Come dice Domenico Manzione, l’ex procuratore di Alba e prima pm a Monza, Lucca e Firenze, oggi sottosegretario all’Interno con delega per l’immigrazione, anche lui di ispirazione renziana, «qui il problema non è di questo o di quest’altro Cie, il problema sono tutti i Cie, è l’idea stessa del Cie che deve essere ripensata dalle fondamenta, altrimenti non se ne esce».
Alfano parte, intanto, da un dato concreto, capire che cosa sta succedendo, verificare se ci sono stati dei soprusi o se sono state commesse delle illegalità, soprattutto chiarire la gestione dei soldi. I Cie, ovviamente, hanno un loro budget, adesso Alfano vuole conoscere i dettagli di come vengono spesi gli stanziamenti, soprattutto per venire a capo della manifesta sproporzione tra quanto viene destinato a queste strutture, le quali poi, alla prima ripresa televisiva, si rivelano in tutto il loro profondo squallore. In un Cie — il Centro di identificazione ed espulsione — un immigrato dovrebbe restarci solo 96 ore, quattro giorni e non di più, invece a Lampedusa, quelli della nave affondata, ci vivono dal 3 ottobre. E ovunque è così per via dei ritardi delle procedure.
Da luoghi di soggiorno temporaneo, ecco che i Cie diventano squallide “case”, in cui le associazioni continuano a denunciare spaventose carenze. Le foto parlano chiaro. Carceri di fatto, ma senza diritti, senza reato, senza tempo, in uno stato ben peggiore di quello già pessimo delle regolari celle dei penitenziari.
Ha detto Alfano alla Camera appena l’altro ieri parlando di Lampedusa e della “doccia” anti scabbia: «Non siamo disponibili a transigere sui principi umanitari e costituzionali. Nessuna clausola o condizione contrattuale potrà mai presupporne un affievolimento o una loro ridotta tutela». Belle parole, ma adesso il ministro vuole capire, con le visite dei gruppi ispettivi, se il degrado delle strutture, che poi provocano le proteste, gli scioperi della fame, gli incatenamenti, sono frutto di bilanci troppo esigui oppure di cattiva gestione per quale i responsabili — che il ministro intende individuare — dovranno rispondere.



Immigrati, stretta sulle espulsioni: tempi ridotti a 30 giorni
Il Messaggero, 23-12-2013
Il vero timore è che ora la protesta dilaghi, che si diffonda negli altri Centri di identificazione ed espulsione, e diventi il nuovo scoglio per il Viminale. Gli addetti ai lavori non ne fanno un mistero: questa attenzione da parte di alcuni esponenti politici, sebbene con fini umanitari, potrebbe ottenere l’effetto contrario, e cioè quello di alimentare il senso di disagio e malessere all’interno delle strutture. Proprio nel momento in cui il Governo è orientato a superare l’idea dei Cie così concepiti e a varare nuovi provvedimenti che velocizzino l’espulsione di chi non ha un’identità riconosciuta: da 18 mesi a trenta giorni. Tutto questo mentre il Pd chiede di rivedere anche la Bossi-Fini. Lo conferma lo stesso neo segretario Matteo Renzi, dai microfoni della trasmissione “Che tempo che fa”: «Aboliremo questa legge, lo garantisco».
IL GOVERNO
Dopo lo scandalo del Centro di accoglienza di Lampedusa e i moniti che arrivano dall’Europa, Palazzo Chigi ha già in mente la modifica di alcune regole. «Quello che è in fase di definizione - spiega il viceministro dell’Interno con delega alla pubblica sicurezza, Filippo Bubbico - è un procedimento che ci consenta di accelerare i tempi, perché la situazione dei Cie non è più sopportabile. Da una parte c’è la questione dei richiedenti asilo, che devono permanere nel paese dove l’affido viene riconosciuto d’urgenza, con il superamento dell’accordo di Dublino.
Dall’altra, la nuova concezione di Cie, che ormai stanno diventando un luogo di accumulo di sofferenze e di disagio. La vera questione - continua Bubbico - è quella dei tempi lunghissimi. Sarà tutto diverso e non si andrà oltre il limite di trenta giorni. Perché se la persona non verrà identificata in trenta giorni è inutile tenerla lì. Deve essere espulsa. Siamo di fronte a un paradosso: oggi, chi è stato in carcere, perché ha commesso un reato in Italia, sconta la pena e poi viene rimandato al Cie per essere identificato. Questo è un assurdo, con le nuove regole si procederà all’espulsione direttamente dal carcere».
LO SFRUTTAMENTO
Altra questione che il Governo intende affrontare al più presto è quella delle conseguenze create dalla clandestinità. «Sono allo studio - aggiunge il viceministro - misure che consentano la riemersione dalla clandestinità, perché la situazione attuale offre opportunità alla criminalità organizzata che gestisce lo sfruttamento degli essere umani e la riduzione in schiavitù. È la traduzione in atti normativi del lavoro che il Governo sta facendo e rientra negli impegni assunti con l’Europa. Bisogna abbassare la tensione. È necessario dare un segnale a queste persone. L'Italia ha sempre saputo distinguersi in termini di accoglienza».
LE CIFRE
Dati alla mano, comunque, la cifra più allarmante riguarda Lampedusa che, di fatto, non sarebbe un centro di identificazione ed espulsione, ma di Soccorso e prima accoglienza. È lì che arrivano i barconi della disperazione e si registra un sovraffollamento permanente: un lager, nel quale per 250 posti effettivi, mediamente gli ospiti superano i 700. Altra realtà è, invece, quella dei Cie, dove gli immigrati possono rimanere fino a 18 mesi prima dell’identificazione e dell’espulsione. Di fatto delle carceri: gli ospiti sono privati della libertà senza avere commesso reati. E se i numeri sembrano rassicuranti il comune denominatore di tutti i centri è invece quello della scarsa igiene e delle condizioni disumane, sanzionate anche dall’Europa. Dei dodici Cie, sei sono stati chiusi e la capienza è stata ridotta in altri quattro a causa di danneggiamenti e rivolte. Il risultato è che, mentre la capienza complessiva delle strutture è di 1.851 posti, la ricettività effettiva è di sole 749 persone. Secondo il Viminale, poco meno di un mese fa, gli ospiti presenti erano 564.



Lampedusa «Resto qui fin quando non sarete usciti tutti»
Chaouki, parlamentar© Pd, ha deciso di chiudersi nel centro di Contrada Imbriacola dove ci sono ancora i sopravvissuti alla strage del 3 ottobre
l'Unità, 23.12.2013
PAOLA DE ROSA*
Sono passate da poco le 10,30 del mattino quando entriamo dentro il CSPA di Lampedusa. Piove a dirotto e il centro a prima vista sembra deserto. Qualche minuto per le pratiche necessarie ad autorizzarci alla visita e nel frattempo il tempo cambia. Un tiepido sole illumina la struttura e i cortili a poco poco si animano: decine di ragazzi e qualche donna escono dalle camerate. E anche gli uomini in divisa cominciano a venire fuori. Inizia il giro, accompagnati dagli operatori di «Lampedusa Accoglienza». Ci mostrano le condizioni della struttura: un rubinetto rotto dal quale acqua calda, fumante, esce senza sosta; camere non utilizzabili perché ci piove dentro, anche adesso che fuori è sereno. E poi materassi accumulati in montagne alte fino a soffitto («Non abbiamo dove met- terli» dicono gli operatori) e porte d'ingresso sfondate.
Fa domande precise Khalid Chaouk, deputato dei Partito Democrático e giornalista di origine marocchina: «Alle persone che sono qui da oltre 96 ore è stato mai notificato un provvedimento giudiziario restrittivo della loro libertà?». Altrettanto chiara la risposta: «No». «Quindi sono tenute qui anche da oltre due mesi - senza che un giudice lo abbia disposto - solo perché il Ministero degli Interni non ne ha ordinato il trasferimento?». «Si». E ancora: «Ma queste persone sono libere di uscire?». E di nuovo «No». «È vero che alcuni dei sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre sono ancora qui?». Risposta: «Sí».
Incontra Khalid, il ragazzo siriano che con il suo video ha denunciato una vergogna indegna di un paese civile. Parlano tra loro, in arabo. Parlano a lungo, alternando serietà e sorrisi. A un tratto Chaouki dice qualcosa e gli occhi di Khalid si illuminano. Sorride, sembra incredulo. E cosi anche gli altri tre uomini siriani che assistono all'incontro. Mi guardano come volessero chiedermi se è vero quello che stanno sentendo. Io non capisco. Guardo Chaouki che mi dice: «Io resto qui, con loro. Finché loro non vengono trasferiti io rimango qui dentro». Khalid capisce dalla mia reazione che ciò che ha sentito è vero. Adesso ride. Vuole che i suoi amici lo aiutino a sistemare subito il letto di fronte al suo. Lo indica a Chaouki. È qui che probabilmente il deputato passerà la notte.
Adesso siamo di nuovo fuori perché Chaouki vuole incontrare gli Eritrei, sopravvissuti alla strage del 3 ottobre. Ma gli vengono incontro alcuni operatori del Centro, dipendenti della «Lampedusa Accoglienza». Anche loro vogliono parlare e raccontare. «Lo sappiamo - dicono - quel che è successo è una vergogna. È stato un errore, un grosso errore. Ma un errore, seppur grave, non può far dimenticare i dieci anni di lavoro che abbiamo svolto qui dentro. Lo vedete in che condizioni lavoriamo». E anche loro sorridono increduli e soddisfatti quando Chaouki comunica la sua decisione di rimanere li, a oltranza «Fin quando il Governo non terrà fede alle promesse fatte, ristabilendo la legalità». «Noi glielo diciamo sempre ai giornalisti che vengono qui - rispondono loro - restate con noi per qualche giorno, per una settimana. State qui dentro, cosi vedrete come lavoriamo, in quali condizioni e come ci rapportiamo con queste persone. Finalmente qualcuno che si è deciso a farlo».
La reazione del responsabile della Polizia non è altrettanto entusiastica. Il dirigente è perplesso. Chiede cosa deve riferire di preciso alla Questura. Cosi come lo stesso responsabile del Centro, che ascolta la decisione di Chaouki e si allontana per andare a comunicare con la Prefettura.
Guardo Chaouki. La sua serenità, la sua lucidità, la sua determinazione sono rassicuranti. Sembra quasi non essere fino in fondo consapevole della nobiltà del suo gesto, della portata rivoluzionaria della sua decisione. Si, perché rappresentare la buona politica, restare fisicamente accanto ai più deboli, ascoltare e condividere la sofferenza è buona politica, ma ai giorni nostri è soprattutto una rivoluzione.
Io devo andare, la mia visita nel Centro è finita. Devo salutare Chaouki. Ma non so cosa dire. «Domani ti porto le arance. Ma devi venirtele a prendere al cancello, perché non mi faranno rientrare». Provo a sdrammatizzare. Mi sorride. Ci salutiamo. E mentre mi allontano verso l'uscita, mi giro a guardarlo. Ma non lo vedo, una folla di ragazzi lo circonda. Varco il cancello che mi si chiude alle spalle con un rumore di carcere. E penso «Chissà quanto ci starà, ma sicuramente non sarà solo li dentro». E saranno meno sole quelle persone li rinchiuse (alcuni da oltre due mesi), private illegittimamente della loro libertà, dimenticate da tutti, completamente ignare di ciò che li aspetta, lasciate ad attendere che il loro futuro abbia finalmente inizio. E magari si sentiranno meno soli anche i ragazzi che a Ponte Galeria hanno deciso di rendersi visibili cucendosi le labbra. Un gesto che evoca silenzio e urla disperazione.
E grazie a Chaouki anche noi, che da anni denunciamo inascoltati le vergognose violazioni dei diritti umani che si consumano nei centri per migranti oggi possiamo sentirci un po' meno soli. La buona politica è con noi.
*Attivista per i diritti dei migranti e referente del «Comitato 3 Ottobre», composto da giornalisti e nato all'indomani della tragedia di Lampedusa.



Il suo «rivale» Chaouki si chiude a Lampedusa
il Giornale, 23-12-2013
Anna Maria Greco
Roma«Sia chiaro, io da qui non mi muovo». Khalid Chaouki, deputato Pd, arriva alle 10 di mattina nel centro di accoglienza per i migranti di Lampedusa e annuncia attraverso Twitter di voler andare avanti ad oltranza con la sua protesta. «Oggi ho mangiato con i migranti - dice il deputato - e resterò qui a dormire fino a quando non sarà ripristinata la legalità».
È il momento delle manifestazioni-choc, dopo il video della vergogna sulla doccia antiscabbia agli extracomunitari, che ha fatto il giro del mondo. Nel Cie romano di Ponte Galeria sabato 9 africani si sono cuciti la bocca per attirare l'attenzione sulle loro condizioni, ora Chaouki fa la sua parte.
Origini marocchine, 30 anni, 2 figli, il deputato racconta come gli è montata la rabbia. «Sono venuto a vedere quello che succedeva dopo l'informativa del ministro dell'Interno Alfano. Non mi pare che le cose siano come le descrive lui: ci sono 219 migranti che vivono qui da mesi, quando le norme internazionali prevedono al massimo 96 ore. Ci sono anche 7 eritrei, sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre con 366 morti. E 6 siriani fanno da 2 giorni lo sciopero della fame e della sete, per chiedere il trasferimento. Uno è Khalid, che ha fatto le riprese trasmesse dal tg2».
Il gesto di Chaouki provoca reazioni diverse nel partito guidato da Matteo Renzi, che proprio sabato è volato a Lampedusa. Ma il presidente dei Democratici Gianni Cuperlo telefona al deputato, esprime solidarietà con il suo «gesto estremo» e assicura che tutto il Pd è con lui. «L'esperienza dei Cie - dice- è da chiudere. Siamo di fronte al fallimento di leggi come la Bossi-Fini. Il governo deve al più presto portare in parlamento una nuova legge di civiltà».
Chaouki, intanto, scrive tweet e rilascia interviste in cui descrive il centro e la vita dei suoi «ospiti». «Qui continua a piovere. Recuperati i panini, ognuno mangia nel suo letto o nel cortile. Manca una mensa». E poi: «Le condizioni sono disastrose: entra acqua dal tetto, alcune stanze sono allagate, i bagni non funzionano». Dice che dopo i morti di 2 mesi e mezzo fa, le scene di lutto e cordoglio, ancora le promesse non sono state mantenute e mancano nel Cie le condizioni minime di vivibilità, nonostante lo sforzo dei volontari. Il governo, per Chaouki, deve intervenire «ora, subito, il prima possibile». Con Luigi Manconi, il deputato denuncia alla Procura il caso di un migrante tunisino, sbarcato nel 2011 nel ragusano, che sarebbe stato picchiato dagli agenti nel trasferimento a Caltanissetta, ricoverato in ospedale e operato per lesioni.
«Bravo Chaouki - dice Livia Turco e titolare con Napolitano della legge sull'immigrazione-. Alfano abbia il coraggio di fare di Lampedusa un reale centro di accoglienza e cancelli l'ignobile realtà dei Cie, frutto della politica immigratoria del centrodestra». Il Dem Dario Ginefra, invece, non è affatto entusiasta: «Con tutto il rispetto per il collega, credo sia più corrispondente al nostro mandato chiuderci a Montecitorio per cancellare il reato di clandestinità e altre misure della Bossi-Fini».



Il deputato barricato nel Centro: stanze allagate e niente mensa
Il pd Chaouki: «Resto finché non si trova una soluzione»
Corriere della sera, 23-12-2013
Rinaldo Frignani
ROMA — «Non mi muoverò da qui finché non sarà trovata una soluzione e i migranti saranno trasferiti. Finché l’Italia non deciderà di adeguarsi ai trattati internazionali e di ripristinare la legalità». Dal Centro di prima accoglienza di Lampedusa, Khalid Chaouki, deputato Pd di origini marocchine, racconta da 24 ore con il telefonino la cronaca di un’occupazione senza precedenti: un parlamentare a fare la vita dei clandestini trattenuti nella struttura di contrada Imbriacola. «Un luogo indegno — racconta Chaouki, 30 anni, giornalista, padre di due bambini — dove sette eritrei, compresa una donna, sopravvissuti al naufragio del 3 ottobre, sono ancora qui e dove sei siriani, fra i quali l’autore del video mostrato dal Tg2 sul lavaggio antiscabbia, sono da due giorni in sciopero della fame e della sete». La cronaca del deputato è puntuale, inequivocabile: «Piove dai tetti, i pavimenti sono allagati, i bagni non funzionano, non c’è una mensa. Mangiamo panini, a letto o in cortile — twitta a ripetizione, allegando fotografie di quei luoghi —. Non si può restare qui per più di 96 ore invece da anni gli ospiti ci soggiornano per mesi. Ai miei colleghi chiedo: presidiate tutti i centri perché è ora che dalle favole si passi ai fatti».
Il suo atto d’accusa arriva nel giorno delle nuove proteste al Cie di Ponte Galeria, dopo che 10 nordafricani (fra i quali quattro ex detenuti e cinque provenienti proprio da Lampedusa) si sono cuciti la bocca in segno di protesta. C’è il timore che iniziative di questo genere, e perfino rivolte (come è già accaduto in passato), possano coinvolgere strutture simili in altre regioni. A Ponte Galeria i protagonisti della provocazione (un punto cucito sulle labbra) sono guidati dall’imam tunisino Mohamed Rmida, 32 anni, ex recluso a Roma, Civitavecchia e Viterbo. Doveva essere espulso oggi e fra le sue rimostranze c’erano i 160 euro spediti ai familiari l’estate scorsa e mai arrivati. Con lui protestano i tunisini Said Tahari, Abdellah Faouzi Abidi, Mohamed Ben Gi e Rahim Abdel Arami, e i marocchini Khaled Al Mazzouz, Marach Hicham, Karim Majjane e Yassine Chingune. Altri sono in sciopero della fame e delle terapie mediche contro quella che definiscono «una detenzione». Nei mesi scorsi altri «ospiti» avevano inscenato la stessa protesta con la cucitura della bocca. Ci sono state anche sommosse ed evasioni in massa.
Sulla questione immigrazione pende la mozione approvata dalla Camera il 9 dicembre scorso che impegna il governo a compiere una serie di iniziative fra le quali la riforma della disciplina di ingresso, soggiorno, allontanamento e trattenimento degli stranieri, l’abbattimento di costi e tempi di permanenza nei Cie, l’eliminazione del trattenimento in quelle strutture di chi non è stato identificato in carcere. Primi firmatari i deputati Sandra Zampa (vice presidente Pd) e Mario Marazziti (Per l’Italia). «I Cie sono inefficaci e costosi — spiega Zampa —. Un sistema fallimentare, chi non viene identificato nel primo periodo non viene identificato più. Trattenerlo al Cie è una violazione dei diritti umani e uno spreco di risorse. È assurdo, tutto quello che un tempo era politica per l’immigrazione è diventata politica di sicurezza». Per Marazziti invece «siamo oltre la soglia di tolleranza, il Parlamento ha fatto tutto quello che poteva. Ho chiesto una commissione d’inchiesta della Camera su Cie, Cara e Centri di prima accoglienza: serve un gesto chiaro del governo prima di Natale. Così è una vergogna». Ma per il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni «per affrontare l’emergenza non occorrono provvedimenti straordinari, basta solo applicare le norme e portare a regime progetti che già esistono».



La condizione disumana
Il gesto di un nuovo italiano che spalanca la porta sull'orrore
la Repubblica, 23-12-2013
Gad Lerner
LA SCELTA del deputato Khalid Chaouki, responsabile Nuovi Italiani del Pd, che si autoreclude nel Cie di Lampedusa con i 219 migranti lì trattenuti in violazione della legge e in condizioni disumane, è un gesto inedito di condivisione.
UN GESTO davvero onorevole perché nobilita la funzione del parlamentare, chiamato a farsi prossimo di una sofferenza che ha generato scalpore ma che finora non ha rotto il muro d’indifferenza delle istituzioni.
Chaouki è un giovane cittadino italiano nato in Marocco di fede musulmana, da tempo impegnato nel dialogo contro ogni forma di integralismo. Non stupisce che incontrando i superstiti del naufragio del 3 ottobre scorso ancora detenuti a Lampedusa, e gli altri migranti in sciopero della fame contro il trattamento umiliante che loro stessi hanno filmato, sia scattato in lui un impulso d’immedesimazione. Non lo aveva programmato, aveva in tasca il biglietto aereo di ritorno a Roma. Proverà cosa vuol dire dormire al freddo e nella sporcizia di quella struttura diroccata che in troppi visitano per poi voltarle le spalle. Il suo esempio testimonia quant’è importante che sia approdata in Parlamento l’esperienza di vita dei nuovi italiani, ormai una percentuale significativa della nostra popolazione. Ma sarebbe miope relegare la sistematica violazione dei diritti umani dei migranti a questione marginale, riguardante solo una sia pur cospicua minoranza. La negligenza delle strutture amministrative coordinate dal ministero degli Interni nel tutelare profughi e richiedenti asilo, così come la prolungata reclusione nei Centri di Identificazione e Espulsione di cittadini stranieri privi di documenti in regola, configura un degrado di civiltà cui sarebbe pericoloso assuefarsi. Deturpa la natura democratica dello Stato e quindi incrina i pilastri della nostra convivenza civile.
Già la legge Bossi-Fini e i suoi successivi inasprimenti col reato di clandestinità e con la proroga dei limiti di detenzione nei Cie, ha trasformato questi Centri in focolai di disperazione. Se otto ragazzi di vent’anni senza pendenze giudiziarie sono giunti a cucirsi la bocca per protesta nel Cie romano di Ponte Galeria, significa che l’infezione è degenerata, senza che le ripetute denunce abbiano mosso il governo a intervenire.
Decenni di allarmismo e propaganda hanno costruito purtroppo un vasto consenso intorno alle misure discriminatorie varate dai governi di destra. Ancora ieri c’è chi ha reagito con stizza alla protesta del deputato Chaouki, compiacendosi che sia tornato “fra i suoi simili” perché non riescono
ad accettare l’idea che un nativo del Maghreb possa diventare cittadino italiano e addirittura rappresentante del popolo. Soffriamo un ritardo culturale drammatico che ha incentivato la pavidità delle istituzioni. Il ministro Alfano è ancora lì che adopera espressioni anacronistiche come “prima gli italiani” per giustificare le sue inadempienze. Fingendo di ignorare che il flusso migratorio ci ha già profondamente trasformati come nazione, e che il riconoscimento dei diritti dei migranti e dei profughi rappresenta un’urgenza dell’intera comunità italiana.
Chaouki è giunto a Lampedusa all’indomani della visita del segretario del suo partito, Matteo Renzi che vuole modificare la legge Bossi-Fini. Ma nel frattempo? Ci era già andato in pellegrinaggio papa Francesco, scuotendo le coscienze. Il presidente della Commissione europea Barroso e il premier Letta vi hanno versato lacrime di indignazione. Com’è possibile che in tutti
questi mesi la situazione non sia cambiata, anzi, se possibile, è peggiorata? Sorge legittimo il sospetto che la nomina di un ministro dell’integrazione nella persona significativa di Cécile Kyenge sia stata escogitata come mero atto dimostrativo. Possibile che in tutti questi mesi nulla sia stato fatto per correggere l’obbrobrio dei Cie e del Centro di Lampedusa? Possibile che il governo non abbia varato alcuna modifica della Bossi-Fini e neppure un disegno di legge per la cittadinanza dei minori figli di immigrati?
La stessa Kyenge dovrebbe finalmente battere il pugno sul tavolo, se non vuole apparire una foglia di fico del menefreghismo altrui, come le ha ricordato nei giorni scorsi Chaouki. Ma intanto c’è da augurarsi che l’esempio di quest’ultimo sia seguito da altri parlamentari, non solo “nuovi italiani”, perché la violazione dei diritti umani è una vergogna che tutti ci accomuna.



Il piano del governo per ridurre i tempi di permanenza ed evitare altre proteste
Corriere della sera, 23-12-2013
Fiorenza Sarzanini
ROMA — Ridurre i tempi di permanenza nei Cie per evitare che la protesta si allarghi. In attesa di una decisione definitiva sull’eventuale chiusura dei Centri di identificazione ed espulsione, il governo pensa a misure tampone che limitino a un massimo di 60 giorni il lasso concesso per conoscere la reale identità e origine dei migranti irregolari.
E già nei prossimi giorni potrebbe presentare un disegno di legge, o addirittura un decreto, per fare fronte a quella che può trasformarsi in un’emergenza, anche tenendo conto del periodo delle festività natalizie. Lo dice con chiarezza il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico quando afferma: «Si tratta di luoghi di costrizione che costano moltissimo e non hanno alcuna utilità. Sulla necessità di superarli siamo tutti d’accordo, ma intanto bisogna intervenire in fretta perché la situazione è diventata insostenibile. E dobbiamo farlo partendo da un dato incontrovertibile: se entro 30 giorni non si riesce a sapere il nome e la nazionalità dello straniero, difficilmente si otterrà un risultato. Dunque sono altre le strade che bisogna percorrere per garantire sicurezza ai cittadini e al tempo stesso offrire condizioni di vita dignitose a chi arriva in Italia e cerca di costruirsi un futuro. Ecco perché bisogna mettere subito un tetto molto più basso rispetto ai 18 mesi attualmente previsti dalla legge».
Il costo 41 euro al giorno
La trattativa tra Viminale e palazzo Chigi sulle modifiche alla Bossi-Fini va avanti ormai da mesi, più volte rallentata anche dalle resistenze del ministro e vicepremier Angelino Alfano che teme ripercussioni all’interno del centrodestra. Dopo il naufragio di Lampedusa il presidente del Consiglio Enrico Letta aveva assicurato che la legge sarebbe stata cambiata o addirittura eliminata. Ancora non se ne è fatto nulla, ma a questo punto sono diverse le «pressioni» per affrontare subito la questione.
Al primo punto del piano di interventi c’è proprio la revisione del sistema di identificazione degli stranieri irregolari. Perché nei Cie si vive in condizioni disumane e perché la spesa non appare più sostenibile rispetto ai risultati ottenuti. Basti pensare che ogni «recluso» costa in media 41 euro al giorno e a questo bisogna aggiungere i soldi per alcune attività delle forze dell’ordine, straordinari compresi.
La procedura in carcere
Uno sforzo che, almeno a leggere i dati, si rivela quasi inutile. Le stime dell’Interno assicurano infatti che appena il 40 per cento delle persone espulse lascia effettivamente l’Italia soprattutto perché la maggior parte dei Paesi di origine non accetta il rimpatrio. Tutti gli altri ritirano il foglio di via, escono dalla struttura, ma poi restano senza fissa dimora e spesso tornano a delinquere non avendo alcuna possibilità di regolare la propria posizione. Un numero appare indicativo per comprendere la situazione: tra il 2005 e il 2011 sono stati rintracciati nel nostro Paese 550 mila clandestini e il 60 per cento di loro aveva già un ordine di allontanamento firmato dal questore.
Nel decreto sullo svuotamento delle carceri firmato dal ministro Annamaria Cancellieri e varato la scorsa settimana c’è una norma ritenuta fondamentale dagli esperti per «alleggerire» il carico dei Cie. Impone infatti l’identificazione degli stranieri detenuti nelle carceri italiane e serve ad evitare che uno straniero senza documenti, dopo aver scontato la sua pena sconti un ulteriore periodo di detenzione presso i Centri in attesa di essere identificato dal Consolato competente, come invece avviene sempre più frequentemente. Anche perché ci sono Stati che rispondono dopo mesi alle istanze delle autorità italiane — il Senegal generalmente invia il lasciapassare al rimpatrio non prima di quattro mesi dalla comunicazione — e Stati che non forniscono alcuna risposta.
I centri chiusi
Da tempo Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti Umani del Senato, effettua visite nei Cie. E non a caso ha già formulato proposte urgenti di modifica alla normativa per evitare «a queste persone di vivere in condizioni di non luogo e non tempo visto che nessuno di loro sa perché è “recluso”, sa quanto rimarrà nella struttura e soprattutto sa dove andrà dopo. A tutto ciò si aggiunga che gli stranieri non hanno nulla da fare, perché non svolgono alcuna attività, non hanno neanche un libro da leggere o un corso da seguire come invece avviene nei penitenziari e vengono tenuti in condizioni anche sanitarie che non sono accettabili».
In Italia esistono dodici Cie, ma soltanto sei sono ancora aperti e quattro lavorano a capienza ridotta perché sono stati danneggiati durante le proteste dei mesi scorsi. Anche le forze di polizia hanno più volte sollecitato soluzioni alternative ed è proprio Manconi a sottolineare come sia possibile ricorrere a «misure di sorveglianza individuale che sono certamente più efficaci anche per la sicurezza dei cittadini visto che garantirebbero l’effettivo controllo degli stranieri non regolari».



A Roma la protesta delle bocche cucite
Avvenire, 23-12-2013
Protesta choc al centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria, a Roma. Dall'altro ieri gli immigrati, quasi tutti di nazionalità africana, stanno dando vita ad una singolare agitazione. Nove di loro si sono cuciti le labbra con ago e filo, mentre tutti gli altri sono in sciopero della fame e delle terapie mediche contro quella che loro stessi definiscono una "detenzione".
 Secondo fonti di polizia, i nove sono quattro tunisini e 5 marocchini. I primi sono tutti e 4 ex detenuti e saranno rimpatriati al termine della protesta: 3 sono stati in carcere per spaccio mentre il quarto, l'imam, per rapina, lesioni e tentato furto. I cinque marocchini sono invece tutti clandestini.
E proprio in attesa di essere rimpatriati, vengono chiamati "ospiti". Un termine che suona come una beffa, almeno a sentire le testimonianze di chi nel Centro ci vive ormai da molti mesi. Ieri a verificare le condizioni degli immigrati sono arrivati numerosi politici, tra cui il presidente del Pd, Gianni Cuperlo, che si è detto "sconcertato" ed "indignato". Così come il vicesindaco di Roma, Luigi Nieri, ed il presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi.
"Qui è come stare in carcere", dice Mohamed, 44enne di origine marocchina. "Ci trattano come animali - continua -, c'è chi è qui dentro senza aver commesso alcun reato. La struttura è danneggiata, mal funzionante, una situazione bruttissima".

 

Rivolte, pestaggi e atti di autolesionismo
“I centri per l’espulsione degli extracomunitari sono polveriere”
La gabbia per farsi la barba e altri orrori “In quei lager ogni diritto è sospeso”
la Repubblica, 22-12-2013
Vladimiro Polchi
ROMA — «I Cie sono delle polveriere pronte a esplodere». A parlare è un funzionario di polizia che lavora come «guardiano in un lager per migranti ». È il buco nero dei centri d’espulsione: rivolte, atti di autolesionismo, pestaggi, fughe. «Indipendentemente dagli enti gestori - sostiene Alberto Barbieri, coordinatore di Medici per i diritti umani - i Cie sono incapaci di garantire il rispetto dei diritti fondamentali e inutili nel contrasto all’immigrazione irregolare».
LA GABBIA DI LAMEZIA TERME
Nel maggio di quest’anno un team di Medici per i diritti umani (Medu) ha pubblicato un rapporto sui centri in Italia. «Nel Cie di Lamezia Terme - raccontano - l’ente gestore ha messo una gabbia nel cortile dove i trattenuti vengono costretti a entrare per potersi radere, alla vista delle forze dell’ordine, e questo per evitare atti di autolesionismo». E ancora: nel Cie di via Corelli a Milano «la situazione di costante tensione ha portato a numerosi episodi di rivolta che hanno reso inutilizzabili quattro dei cinque settori della struttura. Critica è l’assenza, da circa un anno, di ogni servizio di assistenza psicologica e sociale».
GLI IMPICCATI DI TORINO
Dal recente rapporto della commissione diritti umani del Senato a quello del commissario europeo Thomas Hammarberg, i Cie sono da anni al centro delle polemiche. «Ho appena parlato con un ragazzo che minaccia di impiccarsi, ho cercato di tranquillizzarlo. Due giorni fa si è impiccato un altro, adesso mi hanno detto che si è salvato». A parlare è suor Anna (il nome è di fantasia), volontaria al Cie di Torino. «C’è una ragazza da venti giorni in isolamento - prosegue - ha dei problemi psichiatrici e quindi la tengono lì. E gli scioperi della fame sono continui».
LE RIVOLTE IN FRIULI
«Il Cie di Gradisca - racconta Gabriella Guido, portavoce della campagna nazionale “Lasciatecientare”, che chiede la chiusura dei centri e la revisione della Bossi-Fini - è stato a lungo un territorio di nessuno, privo di controlli esterni. Ricordo che c’è ancora un ragazzo in coma, dopo essere caduto ad agostodal tetto della struttura durante una protesta. Stando alle testimonianze dei suoi compagni, era imbottito di psicofarmaci».
I SETTE CIE FANTASMA
Stando all’analisi dei Medici per i diritti umani, «attualmente solo sei dei tredici Cie italiani sono effettivamente funzionanti». I Cie di Trapani (Serraino Vulpitta) e quello di Brindisi non funzionano da oltre un anno. Il centro di Lamezia Terme è stato chiuso nel novembre 2012. I Cie dell’Emilia Romagna sono stati chiusi a febbraio (Bologna) e ad agosto (Modena) per lavori di ristrutturazione, dopo che le prefetture avevano revocato gli appalti al ribasso. Il Cie di Crotone è stato chiuso al principio di agosto dopo la morte di un giovane migrante e la successiva rivolta dei trattenuti. Il centro di Gradisca d’Isonzo è stato svuotato a inizio novembre dopo mesi di proteste.
AGENTI IN PRIMA LINEA
Durante l’indagine svolta da Medu, le condizioni di lavoro degli operatori degli enti gestori (per lo più privati) e degli agenti sono apparse critiche, per la difficoltà a gestire quelle che un funzionario di polizia ha definito «polveriere pronte a esplodere». L’introduzione dei bandi di gara al ribasso (fino al 30% in meno) sembra aver avuto l’effetto di un detonatore: dal 2012 il governo ha infatti adottato come unico criterio per la gestione dei centri, quello dell’offerta economica minima.
IL FLOP DELLE ESPULSIONI
Lo scopo dichiarato dei Cie è quello di rimpatriare gli irregolari. Ebbene, nel corso del 2012 solo la metà dei circa 8mila trattenuti nei centri è stata espulsa: in sostanza l’1% dei 326mila irregolari stimati dall’Ismu al primo gennaio 2012. Scarsi risultati a fronte di alti costi, se si pensa che per tutti i centri per immigrati, l’Italia spende oltre un milione 800mila euro al giorno. «Il prolungamento dei tempi massimi di trattenimento da 60 a 180 giorni (che risale al 2009) e successivamente a diciotto mesi (dal 2011) denunciano i medici che hanno visitato i centri - non ha avuto alcun effetto in termini di efficacia nei rimpatri».



Noi e loro, muti per l’orrore
Repubblica, 22-12-2013
Conchita De Gregorio

DICE: sono marocchini, tunisini. Se ne stiano al paese loro. Cosa volete che ce ne importi degli africani, non vedete che non c’è da mangiare per noi. Dice: non li vedete i forconi in piazza, e voi ancora lì al tepore delle vostre belle case a menarla con la solidarietà, con l’accoglienza. Dice: pensate agli italiani, prima. Va bene, allora cominciamo da qui. Da una conversazione qualsiasi di quelle che toccano ogni giorno, a volerle ancora sostenere.
Quando sei in fila all’Agenzia delle entrate o alle Poste a pagare un bollettino, al forno a comprare il pane. Non ce n’è per noi, cosa volete che ce ne importi di quelli, che poi alla fine sono anche mezzi criminali. Sempre, quasi sempre. Va bene. Allora diciamo che sì, è così: se non ti salvi tu non puoi salvare gli altri, te lo spiegano bene ogni volta che l’aereo decolla. Prima assicurati di aver messo la tua maschera di ossigeno e il tuo giubbotto, poi aiuta il vicino. Il bambino, la donna incinta, il vecchio. Non importa. Prima metti al sicuro te stesso. Perfetto, è giusto. Se poi c’è di mezzo la paura, la diffidenza, il sospetto che il vicino possa essere o diventare un nemico, figuriamoci se c’è bisogno di dirlo. Sono anche mezzi criminali, quasi sempre. La tua maschera di ossigeno, prima.
Però poi arriva, un giorno, il gesto che azzera la rabbia livida del tuo personale benessere negato, il gesto che ti ricorda cosa siamo, tutti, prima dei nomi che ci danno e che ci diamo: esseri umani, siamo. Lo riconosci, quel gesto, perché lascia muti. La conversazione consueta si spegne in uno sguardo che si abbassa, una voce che borbotta, la replica che tarda ad arrivare, non arriva. Cos’hanno fatto? Si sono cuciti la bocca. Come cuciti? Cuciti. Ma le labbra? Le labbra, una insieme all’altra. E come? Con una specie di ago ricavato dal ferro di un accendino, e col filo di una coperta. Otto hai detto? Otto. Quattro tunisini e quattro marocchini. I nomi no, non li so. Non li dicono mai i nomi degli stranieri, solo il numero. C’è una ragione. Il nome ti porta diritto dentro una storia, dentro una vita. Il numero fa numero, e basta. Però dicono l’età. Questi sono ragazzi: vent’anni i più giovani, trenta i più vecchi. Hai detto venti? Venti, sì. Ce l’avete un nipote divent’anni? Come vi sentireste se tornando a casa lo trovaste con la bocca cucita con ago e filo? Ve lo riuscite ad immaginare? Ecco, così. Tornate e lo trovate col sangue che cola dalla bocca cucita. Allora magari uno torna a casa e va a vedere su Internet le foto del posto dove è successo, il Cie di Porta Galeria a Roma. Cie, che vuol dire Centro di identificazione ed espulsione. Ci si può stare fino a un anno e mezzo in quel posto lì, con le sbarre delle gabbie ricurve verso l’interno, come quelle delle bestie pericolose in certi zoo. Che ora si chiamano bioparchi, in genere, e quelle gabbie non ci sono più nemmeno per le tigri. Allora magari anche se è il sabato prima di Natale e devi andare a comprare il bagnoschiuma per tua nuora, con quei pochi soldi che hai, ecco magari allora ci pensi che in Italia c’è una legge che si chiama Bossi-Fini (ha proprio i nomi di quelli che l’hanno fatta, Bossi e Fini, se ti concentri te li ricordi tutti e due) che autorizza a tenere in quel lager degli esseri umani che hanno l’età di tuo figlio, di tuo nipote, e certo anche tuo figlio e tuo nipote non hanno lavoro ma almeno non vengono annaffiati nudi d’inverno con una sistola, almeno parlano una lingua che la gente intorno capisce, almeno hanno te e se sono in pericolo ti possono chiamare al telefono, vienimi a prendere che c’è un problema serio. Loro no. Quelli che si sono presi le labbra con la mano sinistra e con la destra se le sono cucite non hanno nessuno da chiamare: si possono solo dare fuoco, e certo anche gli italiani lo fanno a volte, si possono ammazzare, anche questo capita senza bisogno di venire dall’Africa, o anche — ti possono dire con questo speciale martirio di ago e filo — nemmeno la parola gli è rimasta più per gridare. La parola, che viene dal pensiero e distingue l’uomo dalla bestia. Non serve più a niente nemmeno quella. Ecco, magari dieci minuti, allora, prima di uscire a comprare il pandoro, ci pensi.

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