Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 novembre 2011

 

Intanto a  Ponte Galeria... 
Osservatorio Italia-razzismo 23.11.2011
 
 
 
Aigues Mortes come Rosarno: la crisi colpisce sempre i più deboli
Silvio Di Francia
Osservatorio Italia-razzismo
Ad Aigues Mortes, nella Linguadoca, tra il 16 e il 20 agosto del 1983, l’accesa ostilità da parte di residenti e lavoratori stagionali francesi nei confronti dei lavoratori italiani si tradusse in un vero e proprio “pogrom” con un numero ancora oggi imprecisato di morti (più di cinquanta secondo le fonti internazionali) e centinaia di feriti. Il racconto è rievocato in un bel libro di Gerard Noiriel, edito da Marco Tropea dal titolo: «Il massacro degli italiani. Aigues Mortes 1983. Quando il lavoro lo rubavamo noi». Nel libro si raccontano i quattro giorni di caccia all’italiano nelle paludi di Aigues Mortes (acque morte), il durissimo lavoro nelle saline, l’inedita alleanza xenofoba tra residenti benestanti e “trimards”, lavoratori stagionali francesi profondamente impoveriti dalla crisi economica, e persino un sindaco “sceriffo” che cavalcò le proteste arrivando a legittimare l’eccidio, in nome della difesa del lavoro francese insidiato dagli «intrusi macaronì».  Quello che Noiriel definisce come «l’esempio più truce di xenofobia operaia in qualsiasi storia d’immigrazione», si concluse con un processo che non trovò colpevoli e con l’introduzione nella legislazione francese di norme di sbarramento verso il lavoro straniero. La storia di Aigues Mortes richiama i fatti di Rosarno, se non nelle conseguenze, sicuramente nelle dinamiche che portarono all’esplosione delle ostilità. L’altra analogia riguarda gli effetti che la crisi economica sta già producendo sul nostro sistema, come evidenziato dal “Primo rapporto  sull’economia dell’immigrazione” curato dalla Fondazione Moressa. Un rapporto che indica la fragilità, nei confronti della crisi, cui sono esposti non solo gli immigrati, ma l’intero universo del lavoro.
 
 
 
«Bene il capo dello Stato»
Corrieredellasera.it 23.11.2011
ROMA - La nomina di Andrea Riccardi a ministro della Cooperazione internazionale e dell' integrazione segnala «la possibilità di riprendere le politiche di integrazione che hanno uno sviluppo ormai lontano», ha detto Giorgio Napolitano citando il precedente della sua riforma (la Turco-Napolitano del ' 98). Il neoministro concorda: «Ha detto bene il Presidente parlando ai "nuovi cittadini italiani"». E, in un articolo scritto per Famiglia Cristiana , aggiunge: «L' Italia ha bisogno di una visione strategica, di cui l' integrazione degli immigrati è un capitolo importante. Basta pensare che i nati in Italia ancora giuridicamente stranieri superano il mezzo milione e complessivamente i minori residenti in Italia non sono neanche un milione...».
 
 
 
«Cittadinanza agli immigrati»
Zaia contro presidente Napolitano
Corriere del Veneto 24.11.2011
Il presidente del Veneto Luca Zaia si dice «allibito per quanto dichiarato da molti che, a proposito del diritto di cittadinanza, interpretano il pensiero del Presidente della Repubblica. Faccio notare, che, quando si parla di cittadinanza, si tocca un nervo sensibile della convivenza, soprattutto in un Paese che consente, in virtù della propria posizione geografica, di arrivare con percorrenze ridicole da diversi continenti. Un Paese che ha un sistema sanitario che potrebbe risultare a portata di mano per tutti, compresi coloro i quali decidessero di far nascere qui i propri figli per poi, magari, portarli da un'altra parte». «Per questo - prosegue Zaia - la Costituzione affida al legislatore e a nessun altro il potere di modularne gli effetti concreti, a partire dal principio costituzionale di eguaglianza. Di sicuro, l'attuale regime, legato al diritto di sangue, preserva la necessità che abbiamo e che vogliamo conservare di mantenere integra la nostra identità e di salvaguardare la continuità culturale con le nostre radici». «L'Italia - aggiunge il presidente del Veneto - non ha certo bisogno di attrarre immigrazione e ricordo che in ogni caso la legge già consente di diventare cittadini italiani dopo dieci anni di residenza: il tempo minimo per dimostrare che, chi viene da lontano, ha davvero deciso e merita di vivere con noi».
«A chi sostiene che dovremmo cambiare - dice ancora Zaia - ricordo che, dove prevale, come negli Stati Uniti, nazione di immigrati, il diritto di cittadinanza legata al suolo, esistono normative draconiane che limitano l'ingresso e regolamentano la residenza. Norme che, se fossero applicate da noi, darebbero la stura a vere e proprie sollevazioni popolari. Mi auguro che nessuno pensi all'Italia come a un parco giochi dove si possa entrare e uscire a proprio piacimento». Il presidente del Veneto rivolge la sua attenzione anche alle realtà europee: «In gran parte d'Europa, tranne che in Francia - sottolinea - la si pensa così. Ma ci sono altre esperienze dalle quali imparare, e che ci insegnano che non si risolve il problema dell'integrazione in questo modo». «È dell'anno scorso - ricorda Zaia - il giudizio definivo della cancelliera Merkel che seppellisce il tentativo di passare allo Ius Soli come mezzo dell'integrazione con un'esplicita affermazione: "il multiculturalismo è un fallimento". In Inghilterra, dove hanno provato per via del passato coloniale a velocizzare i tempi, sono innumerevoli i problemi di ordine pubblico determinati da giovani 'cittadini britannicì che non parlano inglese e nulla conoscono della storia e della cultura del paese in cui vivono». «Suggerisco - conclude Zaia - che su questo tema non si transiga rispetto alla difesa degli interessi di chi vive da sempre come cittadino italiano e, con tutto il doveroso rispetto per il presidente Napolitano, mi permetto, in nome della Costituzione che egli preserva, di dichiarare il mio totale dissenso riguardo alla sua posizione». 
 
 
 
La cittadinanza è un diritto ma evitiamo troppa retorica
Carlo Lottieri 
il Giornale 24.11.2011
L’Italia di domani sarà, di diritto, ciò che oggi è già nei fatti: ossia, un’Italia multicolore. A qualcuno la cosa potrà spiacere, qualcun altro potrà esserne entusiasta e altri, infine, potranno essere del tutto indifferenti dinanzi alla cosa. 
Ingrandisci immagineQuale che sia l’opinione che abbiamo, la strada è segnata e le ragioni le conosciamo tutti.
L’uscita del presidente Giorgio Napolitano va collocata entro questo quadro: parla di un mondo in cui le distanze si riducono e l’esigenza di interagire in maniera positiva con persone di altra cultura si fa sempre più evidente.
Questa trasformazione radicale del nostro tessuto sociale comporta certo problemi, spesso concreti, che non possono essere ignorati. Lo statalismo degli ultimi due secoli ci ha trasformati in comproprietari di beni pubblici consistenti: e ogni immigrato che diventa italiano è un titolare in più. In questa situazione non è sorprendente che qualcuno resista; senza dimenticare la connessione tra immigrazione e delinquenza. Sono questioni reali, anche se non giustificano alcuna demagogia: di qualsivoglia colore.
Se da un lato non si può dunque essere superficiali, egualmente bisogna riconoscere che Napolitano ha ragione quando segnala le esperienze dolorose di chi nasce da noi, cresce qui, magari parla solo l’italiano e però è discriminato da uno Stato impiccione che pretende in ogni momento che gli si mostrino i documenti. Tutte queste sciocchezze vanno eliminate e se per farlo si tratta di dare la nazionalità ai figli di immigrati, lo si faccia.
Nella presa di posizione di Napolitano c’è però molto altro. Essa va letta, infatti, entro una più ampia mobilitazione retorica in senso nazionale che vede protagonista l’ex-militante al servizio di un dio fallito (il comunismo). L’Italia, insomma, come surrogato del Proletariato, oltre che quale giustificazione del suo stesso ruolo presidenziale.
Perché quello sui figli degli immigrati non è solo un dibattito sul dovere di rispettare ogni uomo in quanto tale, come è giusto che sia, ma manifesta anche il tentativo di tenere in vita quella religione dell’italianità che è ormai il rifugio di tanti orfani delle ideologie che hanno dominato gli ultimi due secoli.
Il problema di fondo, però, è un altro: e cioè che non si può più continuare a ragionare con le logiche ottocentesche del «patriottismo», come se essere italiano (specie se i genitori sono del Mali) volesse dire davvero altra cosa che essere francese, o svizzero, o americano. C’è allora una sproporzione tra la realtà già multiculturale dell’Italia e le regole che umiliano i nostri vicini di casa con la pelle nera, ma una distanza ancora maggiore divide la realtà di tutti noi dalla retorica risorgimentale di chi pensa che immettere un po’ di sangue nuovo nel cadavere degli Stati nazionali possa servire a riportarli in vita. Per migliorare la qualità della nostra convivenza dobbiamo abbandonare le mistificazioni delle religioni civili che tanti drammi hanno causato alla storia europea. Quale sia il colore della loro pelle, e nonostante l’inno di Mameli e Novaro, l’Italia non ha figli e certamente non si chiamano Balilla.
 
 
Immigrazione, Choauki: "Legge cittadinanza non e’ beneficienza ma diritto"
partitodemocratico.it 23.11.2011
“E' sicuramente positivo verificare che tra le diverse forze politiche in Parlamento ci sia una diffusa convergenza sulla necessità di riconoscere finalmente il diritto di cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia. A chi minaccia la caduta del Governo attuale a causa di questo dibattito, rispondiamo che non si tratta di un gesto di beneficenza richiesto per una minoranza da rinviare a chissà quando, ma di un diritto che spetta ai figli di questa nuova Italia come avviene nella maggiori democrazie occidentali.
Le voci ancora scettiche o addirittura contrarie a questo principio di basilare civiltà sono di fatto superate dalle dinamiche della società italiana e dalla straordinaria convivenza tra le mura di tutte le scuole pubbliche italiane".
 
 
 
A Cie di Ponte Galeria situazione invivibile
ASCA 23.11.2011
Costretti a soggiornare nel Cie al freddo, sotto la pioggia, senza riscaldamenti e, per di piu', in ciabatte per evitare rischi di eventuali fughe, da questo pomeriggio una parte dei circa 200 ospiti del Centro di Ponte Galeria ha inscenato una protesta contro quelle che definiscono ''condizioni di vita invivibili''. La denuncia e' del Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni.
A quanto appreso dal Garante, si legge in una nota, due stranieri sono saliti sul tetto della struttura dopo aver divelto una porta e minacciato di dare fuoco alla struttura.
Gli ospiti del Centro di Identificazione ed Espulsione di Ponte Galeria - che attualmente ospita 195 persone, 110 uomini e 85 donne - stanno protestando perche' sono costretti ad affrontare questa stagione di freddo, e le prime piogge, in ciabatte. Effetto, quest'ultimo, di una Circolare della Prefettura, per scongiurare rischi di fuga.
Riguardo i riscaldamenti, invece, solo in parte della struttura sarebbe stato possibile riattivare gli impianti, danneggiati nel corso delle proteste della scorsa estate.
''Da oltre un mese - ha affermato Marroni - avevamo preannunciato alle autorita' che la tensione nel Centro stava crescendo e che, nonostante l'impegno della Prefettura, della cooperativa che gestisce il Cie e delle forze di polizia, non sarebbe stato possibile affrontare l'inverno in queste condizioni. Le condizioni di vita nel Cie - ha aggiunto il Garante - sono pesantissime e i lunghi tempi di permanenza trasformano queste strutture in veri e propri luoghi di detenzione dove, paradossalmente, mancano le garanzie che pure ci sono nelle carceri. Occorrono celermente decisioni di buon senso, da prendere gia' in queste ore, per evitare che la situazione degeneri e per garantire agli ospiti condizioni di vita migliori''.
 
 
 
Cancellieri: il piano rom una priorità
Corriere della Sera 24.11.2011
Dino Martirano 
ROMA - Ha confermato il capo di gabinetto, Giuseppe Procaccini, il capo dell' ufficio legislativo, Elisabetta Belgiorno, e per i suoi primi passi al Viminale si è affidata allo storico capo ufficio stampa del ministero, Felice Colombrino, presentandosi come una collega prefetto «che è stata chiamata dal professor Monti a svolgere un servizio per lo Stato». E al Viminale le hanno riservato un' accoglienza più che cordiale dopo l' epoca Maroni che aveva portato con sé una robusta squadra di collaboratori esterni. Il neo ministro dell' Interno Anna Maria Cancellieri - che vanta una lunga esperienza alla prefettura di Milano fin dagli anni in cui si è occupata delle famiglie delle vittime del terrorismo - ha nella sua agenda alcune priorità ma avverte: «Questo non sarà il governo degli annunci». E tanto per non smentire la sua fama di donna pratica, il prefetto Cancellieri dice che se tutti gli italiani saranno costretti a fare i sacrifici anche i ministri potrebbero fare la loro parte accettando di essere pagati a fine mese in Bot e Btp dello Stato. Il ministro - che venerdì sarà a Palermo - ha già una grana da risolvere: il Consiglio di Stato ha appena bocciato il decreto del 21 maggio 2008, uno dei primi atti del governo Berlusconi, che dichiarò lo stato di emergenza per i rom e che consentì ai prefetti di Roma, Milano e Napoli (Mosca, Lombardi e Pansa) di diventare commissari. In base a quella norma i sindaci Moratti e Alemanno, ma anche la Iervolino, concordarono con i prefetti sgomberi, rimozione di interi campi, schedature con impronte digitali. E oggi che quel decreto viene meno tutto ricade sulla scrivania del ministro dell' Interno. «Con il capo della polizia, prefetto Antonio Manganelli, mi lega un profondo rapporto di stima e di amicizia», ha detto Anna Maria Cancellieri. Eppure, ora, lei ha già invitato per un caffè gli ex ministri (Scotti, Mancino, Bianco, Scajola, Pisanu, Amato, Maroni) per ricevere suggerimenti. Sulla riduzione delle scorte ha semplicemente risposto: «Lasciateci lavorare». Mentre dovrà attendere per avere un' auto di servizio italiana (come ha chiesto Monti) perché al Viminale l' unica Lancia Thesys blindata è troppo vecchia e quindi inadeguata agli standard di sicurezza.
 
 
 
Nel caos alluvione Tursi fa figli e figliastri: prima vengono i rom
ilGiornale.it 24.11.2011
I residenti di Piazzale Adriatico, sfollati presso la palestra di via Lodi, hanno dovuto «ribellarsi» per ottenere un alloggio temporaneo presso l'Ostello di Nostra Signora del Monte, in attesa di nuove abitazioni. I residenti di Via Fontanarossa sono stati pressoch´ abbandonati dal Comune, nonostante la criticità della loro situazione abitativa: un'assistente sociale comunale ha loro offerto brandine in una palestra in pessime condizioni a Molassana.
L'assessore Pastorino su questa vicenda ha dichiarato: «...Abbiamo fatto quello che si poteva...». Peccato però che nelle «premure» del Comune, o meglio, della giunta Vincenzi, anzich´ esservi i propri cittadini, vi sono i rom: un'ordinanza ha sancito che essi potranno avere la messa in disponibilità di appartamenti a Begato, Sampierdarena, Borgoratti e Quezzi. 
Un altro schiaffo morale che questa giunta offre ai suoi residenti già duramente colpiti dall'alluvione, oltre a quello loro dato dalla mala gestione della stessa.
Per i rom, che oltre a non spalare fango in Valbisagno si sono, invece, premurati di rubare un tappeto nella Chiesa di San Cosma e Damiano, tempo, investimenti e appartamenti questa giunta «dei diritti» è prodiga nel dare. 
Non ha importanza se i suoi residenti provano sdegno, oltre al dolore di aver perso tutto o gran parte della propria casa e della propria quotidianità. 
Non ha importanza se i letti non sono stati liberati a tempo debito di un «poutpourri» di ogni genere, se molto si poteva fare e si è tralasciato. Non ha importanza se si sfratta, come a Struppa, una famiglia perch´ considerata troppo «povera» e quindi non in grado di affrontare le spese di affitto: in compenso si da la loro casa agli zingari. 
Questo è il gioco dell'assurdo... ed ogni giorno l'incasellamento è di un episodio più sgradevole del giorno prima. Questa è la Genova che la giunta «dei diritti» continua a violentare nel suo cuore, questo è quanto la giunta Vincenzi da oltre quattro anni fa subire ai propri residenti, con arroganza. Non è «tutto quello che si poteva fare», assessore Pastorino: questo è solo quello che volete fare e non a sostegno di chi paga le tasse e vive rispettosamente la città!
*Consigliere comunale, Gruppo Misto-La Destra
 
 
 
Via Bonfadini, concessa proroga ai rom
Corriere della Sera 23.11.2011
Il campo rom abusivo di via Bonfadini a Milano doveva essere lasciato libero martedì mattina, proprio all'indomani della sentenza del Consiglio di Stato che ha dichiarato illegittimo il Piano nomadi. Tuttavia ai nomadi sono stati concessi 30 giorni di proroga per trovare sistemazioni alternative. Sei agenti in borghese della polizia locale sono arrivati alle 8.30 e il comandante Tullio Mastrangelo ha iniziato la trattativa con i circa 400 rom che abitano nelle baracche a ridosso della ferrovia. I rom hanno chiesto ancora un mese di tempo, perché la maggior parte tornerà in Romania per le feste di Natale.
IL CANTIERE - I nomadi devono lasciare il campo abusivo perché in quell'area sta per partire un cantiere affidato alla MM per il prolungamento della Paullese; inoltre l'insediamento comporta gravi problemi igienico-sanitari e di sicurezza, anche per gli stessi residenti.
LA CONSULTA ROM - Alla trattativa ha partecipato Djana Pavlovic, portavoce della Consulta rom e sinti di Milano, che aveva annunciato: «Chiediamo al Comune di sospendere lo sgombero. Come è possibile che da una parte si lanci una raccolta indumenti per il piano antifreddo per i senza dimora e dall'altra si distruggano le baracche dei rom? Per caso i bambini rom non sentono il freddo?». E sullo sgombero annunciato: «Sarà anche questo illegale, perché non c'è nessuna ordinanza e perché il Comune non offre una sistemazione alternativa, come prevedono le norme internazionali». Alla fine il Comune ha accettato la richiesta e lo sgombero è stato rimandato al 12 dicembre. «Sono nulli tutti gli atti che il Prefetto e il Comune di Milano hanno deliberato in base alla cosiddetta "emergenza nomadi"», ha annunciato la Pavlovic. «E ora l'assessore Marco Granelli dovrebbe avere almeno la prudenza di sospendere gli sgomberi».
L'ALLARME - Dopo la sentenza del Consiglio di Stato, Riccardo De Corato, vice presidente del Consiglio Comunale, aveva lanciato un allarme: «Non potranno più essere chiusi i campi di via Idro, nonostante i 320.000 euro dati dal Comune a 40 famiglie nomadi di quel campo, quello di via Bonfadini, quello di via Novara e nemmeno quello di via Negrotto; non potranno essere più espulsi i cittadini comunitari che non avranno dimostrato di avere un reddito, una casa e un assistenza sanitaria. E’ del tutto evidente che nei prossimi giorni assisteremo una nuova invasione di nomadi provenienti da Romania e Bulgaria nelle nostre periferie».
«PER I BAMBINI» - Ha partecipato alla trattativa anche Loredana Bigatti, presidente Pd del Consiglio di zona 4. «Va bene trattare, ma queste settimane servano a risolvere i casi delle famiglie rom più delicati e problematici - ha dichiarato -. Ci vivono tanti bambini ed è anche una nostra responsabilità che vadano a scuola. Purtroppo la soluzione a volte può essere quella di toglierli ai genitori, che non sono in grado di garantire loro un livello di vita civile e dignitoso». «È da mesi che riceviamo le lamentele dei cittadini, soprattutto per il degrado che si è creato - racconta il presidente del Consiglio di zona 4 -. Al parco Alessandrini più volte le persone sono state minacciate da rom ubriachi che dormivano sulle panchine». Quello in via Bonfadini non è l'unico campo abusivo. C'è anche in via Medici del Vascello. «Li la situazione è ancora più complessa perché è su un'area privata» spiega Loredana Bigatti. E' in programma un vertice in Comune per cercare una soluzione.
 
 
 
Venaria, aggredita in strada: «Torna in moschea» e le strappano il velo
cronacaqui.it 24.11.2011
«Che cazzo hai da guardare, brutta sporca marocchina? Tornatene al tuo paese, marocchina di merda. E togliti questo velo e vattene in quella merda di moschea dove vi ritrova­te te e i tuoi simili». È cominciata con queste pa­role la brutale rapina ai danni di una donna maroc­china "colpevole" di cam­minare in strada indossan­do lo hijab, il tradizionale velo islamico che cela orec­chie, nuca e ca­pelli. Un'aggres­sione che fa an­cora più male perché a com­pierla sono state altre due donne, anzi due ragazze di appena 19 e 20 anni. 
PRESE GRAZIE ALLA TARGA 
È il tardo pome­riggio di marte­dì. Sofia (il nome è di fantasia), 35 anni, scende dall'autobus 72 alla fermata di corso Puccini, per andare a prendere i figli alla scuola "Boccac­cio". A pochi metri, appog­giate alla loro Volkswagen Polo, ci sono F.F., 19enne incensurata, e S.G., 20 anni con piccoli precedenti alle spalle. Le due ragazze im­portunano altri passanti ma quando vedono Sofia si scatenano. Insulti molto pesanti, contro le sue origi­ni e la sua religione. La 35enne si avvicina per chiedere loro di smetterla ma viene subito aggredita. Spinte e calci, fino a quan­do la donna non cade a terra. A quel punto le due ragazze le strappano dalla testa lo hijab e le prendono la borsetta, poi salgono sull'automobile e si danno alla fuga.
Sofia però, anche se dolo­rante a terra, riesce lo stes­so a memorizza­re la targa e a co­municarla ai ca­rabinieri della compagnia di Venaria, subito accorsi sul po­sto. In pochi mi­nuti, mentre lei è in ospedale per gli accertamenti del caso - avrà una prognosi di 7 giorni per una distorsione del collo - i militari organizzano una serie di posti di blocco e in uno di questi, in corso Garibaldi, termina la fuga delle due ragazze. I militari recuperano la bor­setta ma non gli 80 euro che vi erano all'interno e le arrestano per rapina, lesio­ni e offesa a pubblico uffi­ciale, in quanto entrambe, una volta portate in caser­ma, hanno pensato bene di rivolgere pesanti offese pure ai carabinieri.
 
 
 
Lampedusa: ancora sbarchi e rimpatri, Cie blindati
Lucia Russo 
IlCambiamento.it  21.11.2011
Gli incidenti e le sortite di ribellione nei centri di accoglienza non si sono mai arrestati. Neanche gli sbarchi, per quanto fortemente ridotti dallo scorso 16 agosto, sono cessati del tutto. Qualche giorno fa a Lampedusa si è consumato l’ultimo atto di vandalismo ai danni del Cie (Centro di identificazione ed espulsione), dove il furgone (che non è il primo) intestato alla società che gestisce la struttura è stato incendiato per mano ancora ignota.
E restando in zona, la notte dell’11 novembre, a circa 50 miglia a Sud dell'isola di Lampedusa, in acque di competenza maltese, una nave della Marina Militare Italiana soccorreva un gommone in avaria con 44 profughi a bordo. Gli immigrati tuttavia, partiti dalla Libia, non sono stati portati a Lampedusa dichiarata a settembre 'porto non sicuro'. Eccetto una donna che ha partorito sul gommone e la sua bimba, trasportate immediatamente in elicottero nell'ospedale di Agrigento, gli altri migranti sono stati destinati al villaggio della solidarietà di Mineo, nel catanese, un Cara (Centro di accoglienza per richiedenti asilo, ndr) sede di circa 2000 persone e che a sua volta lascia trapelare diversi problemi.
Bisogna dire che la nave militare italiana, secondo le norme di diritto internazionale, avrebbe dovuto dirigersi verso La Valletta, ma le autorità maltesi, oltre che inadempienti nel soccorso, rivendicando il diritto di dirigere le operazioni, hanno opposto il loro veto adducendo svariate motivazioni per non accogliere i profughi, e costretto l'unità militare a fare rotta verso il porto di Augusta (Siracusa).
La ripresa degli approdi sulle nostre coste di carrette dall’Africa settentrionale non appare episodica se si considera che a poche ore di distanza da quanto accadeva nell’isola siciliana, un’imbarcazione con 14 tunisini era soccorsa a poche miglia da Capo Teulada in Sardegna, mentre un barcone con 37 tra afgani, curdi, pakistani e turchi e con due scafisti a bordo veniva bloccato da una motovedetta della Guardia di Finanza sulle coste salentine.
L’ambito che meno traspare dell’emergenza umanitaria è quello del sistema dei centri di accoglienza
I rimpatri del resto procedono. Nelle ultime due settimane, il Ministero degli Interni - riferisce in una nota sul suo sito - ha rimpatriato 90 extracomunitari clandestini al 12 novembre e 85 alla data del 5 novembre. Sono tunisini, marocchini e nigeriani, rintracciati sul territorio nazionale.
L’ambito che meno traspare dell’emergenza umanitaria è però quello del sistema dei centri di accoglienza anche perché la detenzione amministrativa è stata prolungata a 18 mesi. I Cie sembrano implodere in un contesto ovattato all’orecchio dell’opinione pubblica.
Tornando alla struttura definita più volte d’eccellenza, quale il villaggio della solidarietà di Mineo, è dello scorso 9 novembre l’ultima protesta espressa da un centinaio di richiedenti asilo. Hanno invaso la strada statale 417, Catania-Gela, bloccandola con un rogo improvvisato con dei copertoni incendiati. Protestavano contro i ritardi nel rilascio dei permessi di soggiorno. Dal Cara di Mineo trapelano fattori di malessere sia per gli ospiti del centro che per i residenti della zona.
I primi hanno più volte lamentato lo stato d’isolamento in cui vivono (attorno c’è solo campagna) protestando sì contro la qualità del cibo che gli viene somministrato, ma soprattutto contro l’estrema lentezza burocratica. Gli agricoltori della zona, d’altro canto, segnalano continue invasioni dei loro campi da parte dei migranti del Cara, ruberie dei frutti ancora acerbi e altri danni ai terreni, provocando così il deprezzamento dei loro prodotti agricoli.
Ma sbarramenti, fili spinati, negazione dei diritti di difesa e tentativi di fuga con conseguenti scontri e sanzioni penali, emergono un po’ in tutta Italia, senza distinzioni tra nord e sud. Ne è esempio il caso di Bologna, nel cui Centro d’identificazione ed espulsione di Via Mattei, alla periferia della città, a fine ottobre un gruppo di 15 persone ha provato a fuggire sfasciando la cancellata che separa gli alloggi dai campi di calcio.
La ripresa degli approdi sulle nostre coste di carrette dall’Africa settentrionale non appare episodica
Durante il tentativo di fuga e lo scontro tra immigrati e forze dell'ordine, sono rimasti feriti due poliziotti e un militare dell'esercito e contusi anche i tre nord africani arrestati che sono stati giudicati guaribili tra i cinque e i dieci giorni. Uno degli immigrati, un tunisino di 26 anni, è riuscito a fuggire della struttura salendo sul muro di recinzione e saltando a terra da un'altezza di cinque metri.
Che dopo la scossa politica nel Nord-Africa sia essenziale “la costruzione di una politica migratoria europea con una strategia complessiva che, oltre ad accompagnare il percorso dei Paesi interessati, ponga al centro dell’azione la lotta all’immigrazione irregolare e il sostegno alla migrazione legale”, lo vanno asserendo tecnici e politologi in svariati seminari e consessi tenuti negli ultimi mesi sul tema.
Della preoccupante situazione del sistema di accoglienza italiano si parla invece molto meno. Per la creazione di nuovi Cie nel 2012 sono previsti 113 milioni di euro, ma nessuno sembra soddisfatto di queste strutture, siano essi gli ospiti, i residenti delle zone interessate o gli operatori partner del Ministero dell’Interno.
Il problema principale risiede nell’accessibilità di questi centri di accoglienza, oggi riservata solo a medici, avvocati, mediatori linguistici e pochi altri professionisti. L’accesso è assolutamente negato alla stampa e alle telecamere dallo scorso aprile per effetto di una circolare del Ministero dell’Interno, una sorta di legge speciale voluta di fronte all’emergenza profughi e non ancora revocata.
Sbarramenti, fili spinati, negazione dei diritti di difesa e tentativi di fuga con conseguenti scontri e sanzioni penali, emergono in tutta Italia
E pare che il diniego valga anche per gli operatori umanitari, da quanto si legge sul sito ufficiale dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), che insieme all’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e Save the Children, opera dal 2006 come partner nell’ambito del progetto Praesidium finanziato dal Ministero dell’Interno. Tutte e tre le organizzazioni lamentano di non avere potuto incontrare 150 migranti sbarcati a Bari il 25 ottobre u.s.,dopo essere stati intercettati a largo delle coste pugliesi.
“Di questi infatti, 71 sono stati rimpatriati senza alcun contatto con le organizzazioni partner - si legge nella nota - le quali avevano richiesto di poter incontrare i migranti a conclusione delle attività ispettive e d’identificazione, prima che fossero adottati provvedimenti sul loro status giuridico ed eventuali misure di allontanamento dal territorio italiano. Tale richiesta era finalizzata all’individuazione di soggetti particolarmente vulnerabili, come minori erroneamente riconosciuti maggiorenni o richiedenti protezione internazionale”.
La denuncia di questa interdizione a voce dell’UNHCR – che rivendica la trasparenza del proprio operato negli ultimi cinque anni - si riferisce a un caso non isolato dell’ultimo anno, durante il quale alle organizzazioni del progetto Praesidium sarebbe stato “sistematicamente negato l’accesso ai migranti provenienti dall’Egitto che sbarcano in Puglia, Calabria e Sicilia. In tali casi il divieto è stato motivato con esigenze legate alle indagini e alle procedure d’identificazione. Di fatto però, l’accesso non è mai stato consentito neanche a conclusione delle suddette attività. Tali esigenze non sono invece mai state sollevate a Lampedusa dove, nel corso dell’anno, sono stati registrati oltre 50.000 arrivi”.
Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links