Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 febbraio 2014

"Mi sono cucito le labbra ma solo mia madre ha pianto"
Viaggio nel Cie di Ponte Galeria: "Qui dentro ci dimentichiamo persino chi siamo"
Buoni e cattivi nell'inferno delle labbra cucite
La Stampa, 06-04-2014
Niccolò Zancan
ROMA
La verità è che a nessuno importa di Hisham Marach. Del perché sia chiuso qui dentro, a mangiare cotolette di pollo fredde, in questa gabbia di refettorio, dentro cui puoi infilare solo le mani per farti aggiungere sale. Del perché abbia arroventato uno spillo della capocchia grossa, con l'accendino dell'amico Tarek El Wardi, per poi usarlo per cucirsi le labbra. Due giri, nodo stretto. Non parlo più. Non mangio più. Respiro dal naso. Sperava servisse. «Credevo fosse un modo pacifico per farmi ascoltare».
"Ma in realtà è servito solo a far piangere mia madre Adah in Marocco. Quando ha visto la foto, si è sentita male».
Hisham Marach indossa i pantaloni azzurri di una tuta da ginnastica, porta occhiali da vista, parla un po' di francese. Dopo 117 giorni ancora non ha capito perché l'abbiano rinchiuso qui. In quella che lui chiama, senza i nostri sofismi burocratici, una prigione. Oggi al Cie di Ponte Galeria, il cielo e le sbarre si riflettono dentro grandi pozzanghere. E' un incubo perfetto. Non si scappa. Anche se Hisham Marach, 27 anni, nato a Fes, non era mai stato in carcere in vita sua. Non aveva mai commesso reati. Aveva comunque sbagliato tutto, adesso è chiaro. Ecco perché si trova qui.
Perché è andato in Libia a cercare lavoro, essendo l'unico che poteva farlo, da quando hanno amputato le gambe a suo padre Salhim. Ha sbagliato a fare il piastrellista sfruttato e non pagato, e ad arrabbiarsi per questo, dovendo quindi scappare dalle torture dei «mafiosi libici». Ha sbagliato a imbarcarsi dal porto di Zeltan, a furia di bastonate. Perché quella carretta da 18 posti, con 311 persone a bordo, è arrivata in Italia poche ore prima del secondo naufragio di ottobre. Quando altri migranti erano colati a picco in acque internazionali - 212 salvandosi, 268 morendo - fra Malta e Lampedusa. Hisham Marach non ha commosso il mondo. Non scappava da una guerra. Non è vittima di una sciagura. Nessun poliziotto si è fatto scrupolo. Il questore di Agrigento ha firmato il re- spingimento il 18 ottobre. E' clandestino, dice la legge Bossi-Fini. Il giudice di pace ha convalidato nel giro di 48 ore. Il resto, è questo silenzio enorme che frega vite a casaccio. Non gli hanno neppure spiegato che poteva fare ricorso, opporsi, difendersi. «Quando l'avvocato di Roma me lo ha detto, ormai troppo tardi, non riuscivo a capire. Qui dentro mi sto dimenticando persino chi sono».
All'ingresso c'è la guardiola. Un crocefisso. La bandiera italiana, quella europea. Oggi, 81 migranti. Gli ultimi due gabbioni sono inagibili perché danneggiati da una rivolta. Non esiste un posto più aleatorio di questo. Puoi essere quello che sfascia i televisori, brucia i materassi, sputa ín faccia ai militari e riuscire a scamparla, evitando l'espulsione. O puoi essere Tarek che passa i pomeriggi ad aggiustare le tv scassate dagli altri, visto che è un bravo elettricista, in attesa del rimpatrio forzato. «Restare qui dipende dai posti liberi, dai voli aerei, dalla fortuna, dalla sfortuna, da troppa discrezionalità», dice l'avvocato Laura Barberio. E' lei che sta cercando di salvare Hisham Maracah, con poche speranze di successo. Certe volte va bene, altre meno. Secondo i dati della Caritas, dal 1998 al 2012 nei Cie italiani sono passate 169.126 persone. Soltanto 78.081 sono state effettivamente rimpatriate (46%). Una gestione del problema che costa non meno di 55 milioni di euro l'anno. «Spesso sono ragazzi vittime di una totale ignoranza. Chiamarli ospiti è un'ipocrisia inaccettabile».
Anche l'avvocato Cristina Durigon combatte lungo questa trincea: «All'inizio, quando entravo mi veniva da piangere. Noto che in carcere c'è maggiore serenità. Il Cie è il posto dell'incertezza assoluta: non capisci, non sai. Ci sono troppi vuoti legislativi». Per esempio, puoi imbatterti nella storia del nigeriano Joshua Francis, che tiene i documenti sotto un materasso di gomma piuma lercia. «Pensavano che avessi droga nello stomaco, ma non era vero. Durante l'operazione, qualcosa è andato storto. Mi hanno tagliato un pezzo di intestino. Sto male e sono qui. Anche se non sono mai stato in carcere nella mia vita, non so cosa sia la cocaina e non ho mai offeso un Cittadino italiano. Mi hanno preso davanti al supermarket, mentre compravo il latte per la mia bambina». Rivolgiamo uno sguardo perplesso a un impiegato della cooperativa Ausili, che gestisce questa struttura. Come per dire: «Non sarà mica vera la storia di Joshua...». Lui abbassa la sguardo: «Si - dice - c'è stato questo errore». Buoni e cattivi stanno insieme, mangiano e pregano insieme, qualcuno a caso si salverà.
Quando, alla fine di dicembre, un primo gruppo di immigrati aveva inscenato la protesta delle bocche cucite, in mezzo si era infilato anche un ragazzo palestinese con precedenti penali. Due giorni dopo aver ottenuto fortunosamente la liberta, era stato fermato ubriaco mentre prendeva a calci una fila di motorini. Con grande soddisfazione dei sostenitori dei Cie. Anche se proprio questo è il problema: non riuscire a distinguere.
La seconda protesta delle bocche cucite - durata 9 giorni e conclusa sabato per sfinimento - è stata portata avanti nell'indifferenza generate dai compagni di viaggio di Hisham Marach. «Tutti arrivati a Lampedusa ad ottobre, ancora in attesa di espulsione», spiega il nostro accompagnatore. Si chiamano Yousef Ajheni, Tarek El Wardi, Hassan Hawed, Boueza Jarmouni, Said Jarmouini, Yassin Shanione, Hassen Artil, Karim Moujen, Bachir El Wadafi, Mohamed Roushdi, Aziz Jaourmoni, Samir Ghalout, Hamid Dabazi. Non hanno precedenti penali. Non hanno mai avuto un solo giorno da uomini liberi in Italia. Ci consegnano un supplica scritta a mano: «Presidente Napolitano, Papa Francesco, vi imploriamo, non dimenticatevi di noi. Concedeteci la grazia. Dateci la possibilità di vivere liberamente in Italia. Non siamo delinquenti. Non conosciamo altro che il lavoro. Ciascuno di noi ha una responsabilité precisa verso la sua famiglia, per questo siamo qui. Per un pezzo di pane».
Sono qui. Con le gambe bruciate dalle sigarette spente dai mafiosi libici. Con certe frustate sulla schiena. Con sogni di studi da finire. Con madri da accudire a distanza. Sostengono di avere parenti da raggiungere in Francia e Belgio, fòrse solo nella speranza di poter scappare dall'Italia. Ma a chi interessano le loro ragioni? Chi vuole sapere, davvero, chi è Hisham Marach?



«Anche nei capannoni di Firenze i cinesi lavorano come nei magazzini-lager di Prato»
Parla Donzelli, capogruppo alla regione Toscana di Fratelli d’Italia: ««Il problema delle condizioni di lavoro c’è anche nel capoluogo»
Corriere.it, 06-02-2014
Marco Gasperetti
FIRENZE – «Temevamo che prima o poi qualcosa di grave sarebbe accaduto. E, pochi giorni dopo la strage di Prato, avevamo fatto un blitz nei capannoni dei cinesi all’Osmannoro documentando, anche con foto, lo stato di illegalità nel quale lavora e viveva questa povera gente. Siamo stati inascoltati, purtroppo».
ILLEGALITA’ DIFFUSA - Giovanni Donzelli, capogruppo in regione di Fratelli d’Italia, è stato tra i primi a correre davanti al capannone andato a fuoco con i tre laboratori cinesi di via dei Cattani. Il fumo è altissimo e ci sono pericoli d’intossicazione. «Speriamo solo che non ci sia nessuno lì dentro – dice Donzelli -, altrimenti torneremo a raccontare una strage. E da queste parti si lavora spesso come nei magazzini lager di Prato. Non ho visitato, prima dell’incendio, questo capannone, ma quelli che ho visto mi hanno inorridito. Gente che lavorare a cottimo, dormiva insieme ai bambini in una situazione gravissima. Identica a quella del Macrolotto di Prato». Racconta Donzelli di aver chiamato i vigili urbani del comune di Firenze quel giorno. «Li abbiamo aspettati per ore – dice – ma non sono venuti. Poi come gruppo abbiamo fatto un’interrogazione, abbiamo cercato di sensibilizzare Comune e Regione ma senza risultati, mi sembra». Osmannoro, quartiere periferico nei pressi dell’aeroporto (siamo a 7-8 chilometri dal centro storico) è stato tra i primi ad essere interessato dai flussi d’immigrazione cinese e dalle fabbriche. «Ancor prima di Prato i cinesi sono arrivati a Brozzi (Firenze), San Donnino (Campi Bisenzio) e Osmannoro – ricorda Donzelli - e qui hanno costruito capannoni come questo che sta andando a fuoco. Ricordo ancora i bambini che giocavano in luoghi angusti e sporchi e in situazione di gravissimo di degrado. E’ anche un problema di Firenze, questo, non si può far finta di niente. Qui ci sono decine e decine di fabbriche-lager e l’illegalità è diffusa».



Soccorsi un migliaio di migranti su nove barconi
Avvenire, 06-02-2014
Non si arresta il flusso di migranti che cercano di raggiungere via mare l'Italia dalle coste africane: sono nove i barconi intercettati nelle ultime ore dalle navi della Marina militare che fanno parte dell'operazione Mare Nostrum, per un totale di un migliaio di immigrati soccorsi. I primi avvistamenti stamani, quando l'elicottero EH101 della nave anfibia San Marco ha individuato a sud est di Lampedusa quattro imbarcazioni, tutte soccorse dalla nave, insieme ad altre due. Il pattugliatore Vega, è invece intervenuto alle 9.30 in favore di un gommone in difficoltà con a bordo 102 migranti - tra cui 18 minorenni - poi di un'altra imbarcazione. In serata erano 822 i migranti recuperati complessivamente dalle navi della Marina, cui si devono aggiungere quelli salvati dalla Guardia costiera a bordo di un nono gommone, per un totale di circa mille persone.
Sempre sul fronte immigrazione, la notizia che la Procura di Agrigento ha chiesto il giudizio immediato per il tunisino Khaled Bensalem, di 36 anni, ritenuto il 'capitano' del peschereccio con circa 500 migranti a bordo che il 3 ottobre del 2013 fece naufragio davanti a Lampedusa, provocando la morte di 366 passeggeri. Gli sono contestati i reati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, naufragio e omicidio aggravato.
Dei temi dell'immigrazione, poi, è tornato oggi a parlare a Strasburgo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha stigmatizzato "la mancanza di una politica comune europea per l'asilo e l'immigrazione": si tratta di "una carenza grave", ha detto, nelle politiche europee. Ma "anche in Italia - ha proseguito - c'è un buco legislativo che si è colmato soltanto con il recepimento delle direttive europee" e c'è "una gran confusione" tra asilo e immigrazione illegale. Sottolineando che il suo è un "punto di vista personale" e ricordando che "come presidente della Repubblica non sono tenuto anzi è meglio che non entri in scelte politiche di maggioranza e di Governo", Napolitano ha però espresso la convinzione che "la politica italiana e non solo italiana verso il fenomeno della 'immigrazione economica' debba avere due pilastri": da una parte "la regolazione della immigrazione legale e lotta contro la immigrazione illegale" ovvero "non una politica delle porte spalancate, ma una politica di regolazione degli ingressi legali in raccordo alle possibilità e alle esigenze che presenta il mercato del lavoro in Italia". Dall'altra, il riconoscimento del "diritto di chi fugge da situazioni di guerra o di persecuzione a essere accolto in Paesi in cui questi diritti fondamentali sono garantiti



Gli immigrati 'Rivaluta(ti)' Un aiuto dal Comune
Personale qualificato offrirà agli immigrati l'opportunità di presentarsi al mondo del lavoro con un curriculum corretto, la creazione di un portafoglio di competenze, l'inserimento in un’azienda con stage per verificare le competenze, e percorsi di equipollenza dei titoli
la Repubblica.it,
GIULIA DESTEFANIS
Hanno le competenze, ma non i mezzi per metterli in pratica. I titoli di studio, ma non chi li riconosca. Gli immigrati che popolano le nostre città sono una ricchezza che stenta a sbocciare: parte da questo presupposto il progetto Rivaluta, che il Comune di Genova ha avviato insieme ad Arci, la cooperativa La Comunità, il Comune di Savona, Job Centre, con il supporto di Provincia, Regione, Università e scuole.
Tanti i partner, un unico scopo: dare più opportunità agli immigrati supportandoli nel riconoscimento delle competenze. Che non vuol dire trovare loro un lavoro – spiegano gli assessori allo Sviluppo economico Francesco Oddone, alle Pari opportunità Elena Fiorini e alle Politiche sociali Emanuela Fracassi, che lavorano insieme al progetto. Vuol dire aiutarli con la revisione dei curriculum, la creazione di un portafoglio di competenze, l'inserimento in un’azienda con stage per verificare le competenze, e percorsi di equipollenza dei titoli.
Il progetto – che prevede l’impiego di 170 mila euro dal Fondo immigrazione dell’Unione Europea – è appena partito: 20 gli immigrati già coinvolti, 7 uomini e 13 donne di 11 nazionalità, dalla Tunisia alle Bahamas all’Iran. «Pur diminuendo l’afflusso di immigrati, continuano ad essere una risorsa nel mercato del lavoro – spiegano gli assessori – ma a parità di livello di istruzione, anche post lauream, la percentuale di immigrati impiegati con mansioni di basso livello è molto alta, pari al 25,5 per cento del totale, a fronte dello 0,5 per cento degli italiani». Dunque, a vantaggio del mondo del lavoro, occorre dare più opportunità di inserimento anche a chi viene da lontano.
I requisiti per partecipare a Rivaluta? Avere il permesso o la carta di soggiorno in vigore, una buona conoscenza dell’italiano, risiedere in provincia di Genova o Savona, avere una stabilità economica, competenze lavorative pregresse e consolidate o titoli di studio da validare o completare.
Per informazioni, si può scrivere a Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. , specificando il comune di residenza e indicando un recapito telefonico, o andare sulla pagina Facebook “progettorivaluta”.



2g e lavoro: i Paesi più promettenti sono Germania e Italia
Corriere.it, 06-02-2014
Rudra Chakraborty
Questo 16 gennaio 2014, a Bruxelles, si è svolto il convegno finale del progetto UP2YOU. Uniting practices for Second generation YOUth. Coordinato dall’Istituto Psicoanalitico per le Ricerche Sociali, ha visto la partecipazione di vari attori del mondo pubblico e privato, presenti dall’Italia, Germania, Spagna, Francia, Romania e Repubblica Ceca. L’obiettivo del progetto era quello di fare rete e creare maggiore condivisione delle diverse prassi transnazionali per facilitare l’inserimento delle seconde generazioni nel mondo del lavoro.
    In particolare l’organizzazione di Amburgo ASM (gruppo di lavoro per i migranti imprenditori) ha sviluppato contatti con numerose società tedesche in un primo momento, per poi andare a selezionare nelle scuole tedesche le migliori seconde generazioni, per proporre agli studenti con merito le proprie opportunità di stage. Dato che esiste anche in Germania un livello di discriminazione attiva, come in Italia, questo tipo di progetto è molto valido e da considerare come un’operazione di successo. Credete che non ci siano abbastanza seconde generazioni di merito? Provate a chiedere a Bonboard, per cui lavoro, che si occupa di placement delle seconde generazioni in azienda ed è stata ospitata anche lei all’incontro come una buona pratica sul territorio.
L’operato dell’associazione tedesca prevede attività di mentoring dentro le comunità etniche dove giovani di seconda generazione (di origine turca) gestiscono convegni con studenti delle scuole, università; con genitori e famiglie intra-comunità per spiegare quale è il valore aggiunto di un profilo di seconda generazione e per gestire in maniera diretta tematiche importanti come l’importanza della frequenza scolastica e l’alto rendimento; e ancora si discutono le aspirazioni e ambizioni delle seconde generazioni di sfondare nel mondo del lavoro, facendo mestieri diversi da quelli dei genitori, uscendo in qualche modo dallo stereotipo e dalla negativa classificazione in “egiziani-lavoratori edili”, “indiani-ingegneri”, “cinesi-commercianti”. Le seconde generazioni hanno aspirazioni che nascono sulla base di una buona integrazione nel tessuto sociale da parte dei genitori e a quanto pare in Germania ha avuto buon esito l’idea di usare role models per spiegare quali possono essere i loro punti di forza e il loro valore aggiunto.
In Germania il progetto è finanziato in parte da realtà pubbliche e qui sorge la domanda: esistono istituzioni in italia e/o fondazione disposte a credere in un’iniziativa del genere? Per dare forza alla competitività internazionale del paese non sarebbe un’idea semplice attingere dal bacino di talento presente in Italia? Formatasi una generazione multiculturale a carico dello Stato, va anche valorizzata, senza andare a perdere questi elementi che si spostano verso la Germania, l’Inghilterra, Stati Uniti ecc. La diversità nel luogo di lavoro in Italia viene monitorata dalla SDA Bocconi annualmente, attraverso un rapporto di cui è prevista tra pochi giorni la presentazione dell’aggiornamento.
    Perchè si possano realizzare maggiori opportunità di lavoro è necessaria anche una formazione a livello aziendale per spiegare ai nostri top manager, quelle che sono le competenze multiculturali che assicurano un valore aggiunto all’azienda. Settori come la moda, IT, farmaceutica, automotive hanno già colto il vantaggio e si stanno muovendo verso la valorizzazione della “diversity” in azienda, gli altri settori?
Il convegno UP2You ha formulato delle policy guidelines a livello europeo per migliorare la transizione delle seconde generazioni attraverso vari incontri in Italia e all’estero. Presto saranno online con la presentazione delle best practice in Italia: aggiornamenti in arrivo su questo blog.



Test d'italiano. Bocciati e assenti potranno riprovarci solo dopo tre mesi
Il Viminale fissa un limite per le prenotazioni. E consiglia: “Chiedete la carta di soggiorno solo dopo aver superato il test”
stranieriiniitralia.it, 06-02-2014
Elvio Pasca
Roma – 5 febbraio 2014 –Il test di conoscenza della lingua italiana è l’ultimo ostacolo per gli immigrati che, dopo almeno cinque anni di residenza regolare, vogliono mettersi in tasca l’ambito permesso Ce per soggiornanti di lungo periodo, la cosiddetta carta di soggiorno. D’ora in poi, però, sarà ancora più importante presentarsi all’appuntamento preparati.
Il Ministero dell’Interno ha introdotto infatti nuove regole dopo aver riscontrato un aumento delle prenotazioni ai test sproporzionato rispetto al numero di persone che hanno maturato i requisiti per la carta di soggiorno. Il problema è che, aumentando le prenotazioni, crescono anche le spese sostenute per organizzare le sessioni, ad esempio per pagare le sale multimediali dove si svolgono.
Perché questo aumento? Perché lo stesso cittadino straniero si prenota più volte. Molti, alla data fissata per lo svolgimento del test, non si presentano (capita con il 30% dei convocati), oppure, quando si presentano, vengono bocciati. In entrambi i casi, prenotano subito un nuovo test, facendo lievitare numero e costi delle sessioni.
Il Viminale adesso corre ai ripari. Innanzitutto, visto che frequentemente gli immigrati non si presentano al test perché la prefettura non riesce a rintracciarli per la convocazione, nella scheda di prenotazione è diventato obbligatoria l’indicazione dell’email, “un ulteriore strumento di comunicazione con l’utente”, si legge in una circolare.
Inoltre, a partire dall’11 febbraio, in caso di assenza ingiustificata il giorno del test, l’interessato dovrà aspettare almeno 90 giorni per prenotarsi di nuovo. Le uniche assenze giustificate saranno quelle per motivi di salute, per le quali bisognerà presentare un certificato del medico di base o del medico della Asl.
Anche in caso di bocciatura ci si potrà prenotare a un nuovo test solo dopo 90 giorni. “Ciò per consentire allo straniero, nei tre mesi successivi, di accrescere il proprio livello di conoscenza della lingua italiana” spiega il ministero dell’interno.
Sia in caso di assenza ingiustificata, sia in caso di bocciatura, chi ha già presentato la domanda per la carta di soggiorno la vedrà respinta. Il Viminale quindi consiglia di presentare la domanda “solo dopo aver verificato, attraverso la sottoposizione al test, il possesso del requisito della conoscenza linguistica, che sarà sicuramente più completa in prossimità del completamento del quinquennio di regolare soggiorno” in Italia.
Scarica la circolare del Ministero dell’Interno

 

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