Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

06 maggio 2015

Migranti, nuova strage "Almeno 40 annegati" E un drone incastra gli scafisti, arrestati
Migliaia di sopravvissuti sbarcano tra Sicilia e Calabria. Perla prima volta i tre individuati grazie all`apparecchio della nave soccorritrice
la Repubblica, 06-05-2015
ALESSANDRA ZINITI
CATANIA. La morte a una bracciata dalla salvezza. C`è un video drammatico che racconta l`ultima tragedia dell`immigrazione avvenuta domenica nel Canale di Sicilia: una quarantina le vittime stando alle testimonianze dei sopravvissuti.
Due gommoni stipati di migranti che viaggiano a poca distanza l`uno dall`altro, il mercantile maltese Zeran che si avvicina. «Easy, easy», grida un marinaio sbracciandosi per invitare alla calma i migranti che già si agitano mentre l`equipaggio del mercantile cala a mare il tender e da una fiancata viene srotolata una scaletta di corda. Uno dei due gommoni è già sgonfio, i profughi hanno paura, non sanno nuotare, si scavalcano uno con l`altro, si calpestano contendendosi quella scaletta e le altre cime che vengono lanciate dalla nave insieme a giubbotti salvagente. Sono momenti frenetici, i migranti ( tutti provenienti dal centro Africa) gridano, qualcuno svuota freneticamente le taniche di benzina di riserva sul fondo dell`imbarcazione per avere qualcosa di galleggiante cui aggrapparsi, diverse decine si tuffano in acqua sperando di raggiungere la salvezza ma vanno giù dopo pochi secondi.
«È stato terribile - racconta Astoy, 24 anni del Senegal - io mi sono salvato soltanto perché so nuotare e sono rimasto accanto al piccolo gommone che avevano fatto scendere dalla nave, ma tanti altri sono morti buttandosi a mare». Sisse, 17 anni, della Costa d`Avorio, è ancora sotto shock. Ai volontari di Save the Children che lo assistono dal momento dello sbarco sul molo di Catania, ha detto: «I marinai gridavano di stare calmi, ma tutti spingevano, si picchiavano, erano pronti a tutto pur di prendere un salvagente o una corda. Non so dire se quei ragazzi che sono morti sul gommone sono stati uccisi nella rissa o se invece sono morti per altro». Cinque i corpi recuperati dai membri dell`equipaggio del mercantile sul fondo di uno dei due gommoni e sbarcati ieri a Catania insieme ai 194 superstiti che, con le loro testimonianze non sempre concordanti, hanno indicato in una quarantina le vittime di questa nuova tragedia.
Da Catania a Pozzallo, da Palermo ad Augusta, da Trapani a Reggio Calabria: più di tremila i migranti sbarcati nei porti dalle navi dei soccorsi. E puntuali sono arrivati gli arresti degli scafisti. Per la prima volta le indagini sono state favorite dalle immagini riprese da un drone che ha consentito di arrivare all`identificazione dello scafista eritreo che guidava l`imbarcazione con 361 profughi a bordo soccorsa dalla Phoenix, l`imbarcazione privata dell`imprenditrice italiana Regina Catrambone da anni residente a Malta che dall`anno scorso è impegnata in una missione umanitaria nel Canale di Sicilia. A bordo della nave che ospita 1` equipe di Medici senza frontiere anche un drone che è stato "inviato" sulla zona dove era stata segnalata l`imbarcazione in difficoltà riprendendo chi era ai comandi prima che, con l`avvicinarsi dei soccorritori, gli scafisti si mischiassero con gli altri migranti. Le immagini, messe a disposizione degli investigatori della squadra mobile di Ragusa all`arrivo nel porto dí Pozzallo, hanno consentito di individuare gli scafisti tra i 361 provenienti da Eritrea, Sudan, Somalia e Bangladesh. Poche ore prima, sempre a Pozzallo, gli investigatori avevano arrestato gli scafisti di un`altra imbarcazione: due tunisini ( più volte arrestati per lo stesso reato e più volte espulsi dall`Italia) e - per la prima volta - anche un cittadino libico.
È stata una giornata ad alta tensione anche a livello sanitario. Centinaia i casi di scabbia segnalati tra i migranti sia a Pozzallo che ad Augusta dove i medici hanno messo in isolamento ben 150 dei 675 migranti sbarcati dalla nave Vega, tutti colpiti da scabbia e varicella.



«Nel nostro naufragio sono morti in 40»
I racconti di un gruppo di migranti approdati in Italia. Accoglienza in crisi. Profughi in isolamento per varicella
Corriere della sera, 06-05-2015
Felice Cavallaro
AUGUSTA (SIRACUSA) Mentre la Procura di Siracusa disponeva il fermo di 5 extracomunitari ritenuti gli scafisti di" due imbarcazioni con 675 migranti a bordo e mentre a Catania altri due sopravvissuti al naufragio in cui morirono 750 migranti si trasformavano ieri mattina in testimoni contro un tunisino e un siriano, indicati come gli spregiudicati timonieri del barcone affondato a fine aprile al largo di Tripoli, ecco affacciarsi sul Mediterraneo lo spettro di una nuova sciagura con più di 40 morti.
Un nuovo racconto del terrore. Fatto da alcuni dei 194 disperati salvati su un gommone afflosciatosi in acque libiche, soccorsi e trasportati ieri sotto l`Etna, stremati, gli occhi sgranati sugli operatori di «Save the Children» ai quali hanno raccontato di 40 annegati e di cinque cadaveri recuperati.
Nuovi lutti si registrano così fra migliaia di arrivi che fanno scoppiare il sistema dell`accoglienza mentre si diffonde la psicosi delle malattie, della Scabbia e della varicella. Come accade nella tendopoli di Augusta, in provincia di Siracusa, dove 167 migranti sono stati isolati dal gruppone dei 675 eritrei sbarcati con la nave militare «Vega». Trasferiti in ospedale a Siracusa dove ai medici hanno raccontato di avere contratto le malattie in un fetido capannone sulla costa libica in attesa di essere imbarcati.
Il timore del contagio ha motivato la decisione delle autorità sanitarie, ma sul fronte politico si accende una polemica che supera i confini siciliani. Preoccupato a Roma Federico Rocca, responsabile enti locali Fratelli d`Italia-Alleanza Nazionale: «Sembrerebbe, e il condizionale è d`obbligo, che alcuni profughi arrivati nel centro Camping Tiber, con sospetta tbc e scabbia, siano scappati e non si sa dove siano finiti. Nessuno vuole creare inutili allarmismi, ma chiedo al prefetto di fare immediatamente chiarezza...».
Grandi problemi di sovraffollamento anche a Pozzallo dove la nave «Phoenix» battente bandiera maltese, con i sanitari di «Medici senza frontiere» a bordo, ha trasportato 369 migranti. Sconfortato il sindaco Luigi Ammatuna, in audizione in commissione Affari costituzionali del Senato, sempre generoso, pronto a ribadire la disponibilità della città che diede i natali a La Pim: «Ma siamo già a 3.500 arrivi, contro i 2 mila dello stesso  periodo del 2014>>.
Pesante la situazione a Palermo dove dalla «Borsini» della Marina militare ieri sera sono scesi in 483, di cui 91 donne, 2 in gravidanza, e 41 minori. Tutti provenienti da Ghana, Senegal, Somalia, Eritrea e Nigeria. In prima fila la Caritas che ne dirotta centinaia verso i centri di Ciminna e Giacalone, «ma in regime di emergenza», precisa il direttore don Sergio Mattaliano «perché loro vogliono ripartire subito». E nessuno riesce a bloccare le fughe. Spesso pilotate dai clan con emissari piazzati davanti ai centri.
Un quadro drammatico. E un sorriso. Quello della mamma della piccola Francesca Marina partorita su una nave militare, ricoverata con la piccola a Modica dove le ha aggiunto un terzo nome, «Gift», dono.



I migranti nel centro di soggiorno destinato ai giovani
La Regione vuole usare la struttura cli Pra Catinat
La Stampa, 06-05-2015
Maurizio Tropeano
Nelle prossime settimane la struttura di Pra Catinat, a Fenestrelle, in Vai Chisone, potrebbe accogliere una parte dei profughi che ín questi giorni stanno sbarcando in Sicilia e nelle altre regioni del Sud. Il condizionale è d`obbligo perché non è stata presa ancora una decisione ma la Regione sembra orientata ad utilizzarla così come è stato fatto a cavallo tra il 2010 e il 2011. Il possibile uso del sito è stato al centro di una serie di discussioni che si sono svolte nei giorni scorsi tra l`assessorato regionale all`Immigrazione e il Comune di Torino. La Regione sponsorizza questa soluzione anche per ragioni di carattere economico (i soldi che la Prefettura assegna per la gestione dell`accoglienza po- trebbero servire a dare una mano ai conti in rosso della struttura, partecipata dagli enti locali, tesi per altro tutta da dimostrare) mentre Torino vorrebbe continuare ad usarla per offrire servizi educativi e formativi così come previsto dalla mission sociale. Soprattutto in Comune stanno lavorando al bando di gara per individuare un altro gestore.
Cabina regia e nuovi arrivi
Una decisione definitiva dovrebbe essere presa entro la settimana, probabilmente dopo la riunione della cabina di regia nazionale convocata domani al ministero dell`Interno a cui parteciperanno anche il presidente del Piemonte, Sergio Chiamparino, e il sindaco di Torino, Piero Fassino. Ieri il Viminale ha chiesto ai prefetti di trovare una sistemazione a circa 9 mila migranti. Questo vuol dire che nei prossimi giorni, secondo le percentuali di accoglienza a livello regionale (ogni 10 mila profughi 783 spettano al Piemonte), dovrebbero arrivare 600-700 persone, il 40% delle quali sarà sistemato nel torinese. Troppi, secondo Roberto Cota, segretario della Lega Nord, che chiede a Chiamparíno dí prendere una posizione chiara: «Non possiamo più accogliere presunti profughi. La capacità dí accoglienza è esaurita».
La lega Nord ha organizzato per sabato un presidio davanti a tutte le prefetture piemontesi. Il presidente Chiamparino, però, ha scelto una strada diversa.
Si cerca una caserma
La Regione farà la sua parte e aspetta di conoscere dalla prefettura di Torino il risultato della «ricognizione sui siti disponibili», spiega l`assessora Monica Cerutti. Quel che è certo, comunque, è che anche se Pra Catinat dovesse essere utilizzato in via temporanea (anche se l`esperienza passata racconta di una permanenza che si è protratta per molti mesi) non sarebbe che uno dei tanti tasselli della rete che la Regione vuole mettere in campo. «Nel sistema che vorremo mettere ìn campo - aggiunge Cerutti - noi immaginiamo un hub che non può essere certo Pra Catinat».
Dal punto di vista degli enti locali il luogo adatto per questo centro di prima raccolta dovrebbe essere una caserma: «Oggi - prosegue ancora Cerutti - svolge questa funzione il centro della Croce Rossa di Settimo, ma non ha le caratteristiche necessarie».
La Regione, dunque, lavora per cercare una struttura (sarebbero state individuate tre caserme: il centro logistico di Alessandria, un sito di Saluzzo e uno spazio usato anche dalla Protezione civile nel Verbano Cusio Ossola) dove accogliere, censire e poi smistare i profughi verso il maggior numero possibile di comuni, anche quelli più piccoli, secondo una logica di micro-insediamenti che dovrebbero facilitare l`integrazione dei migranti.



Sbarchi, il Viminale forza i Prefetti e contro il no dei governtori fa arrivare le navi con i profughi nei porti del nord
L'Huffington Post,06-05-2015
Claudia Fusani
“L’Europa non è pervenuta. E la campagna elettorale ci mette contro governatori e sindaci almeno fino al 31 maggio. Siamo soli, i porti al collasso, gli sbarchi continuano”. Al Viminale, chi si occupa di immigrazione, vorrebbe alzare bandiera bianca. “Anche palazzo Chigi ci chiede di tenere i toni bassi ma dove dobbiamo mettere questa gente?”. Così vengono organizzate, nonostante i niet della politica, missioni di navi mercantili che sbarcano i migranti direttamente nei porti del nord. Domani ne arriverà una a La Spezia con 500 persone direttamente dal canale di Sicilia. I prefetti veneti vanno contro i diktat del governatore Zaia e predispongono una mappa della distribuzione di 560 profughi nel territorio. Un braccio di ferro continuo. Solo che la posta in gioco è la pace sociale.
Quasi cinquecento stamani a Pozzallo dove ne erano già arrivati 870 ieri. Duecentocinquanta a Crotone con tre cadaveri; 194 a Catania che narrano di “almeno 40 morti”; 625 a Salerno; 485 a Palermo. Oramai è un esodo biblico che si materializza ogni mattina. Il Viminale può contare solo sulla rete dei prefetti che in silenzio, regione per regione, si fanno carico di distribuire nei centri – dove ci sono – o in strutture dismesse quote di sopravvissuti raccolti nel sud del Mediterraneo da mercantili e petroliere anche stranieri ma che sempre e solo in Italia consegnano le vite raccolte in mare. Anche quella dei porti è una geografia del dolore e della disperazione: una volta era solo, soprattutto, Lampedusa. Adesso non basta più la Sicilia con i porti di Augusta, Pozzallo e Catania e si sale verso Crotone, Reggio Calabria, Salerno, Napoli.
Era il 18 aprile quando il Mediterraneo ha inghiottito 7-800 morti, chissà se sarà mai possibile saperlo. L’Italia ha gridato, l’Europa ha risposto convocando riunioni e incontri tecnici e il consiglio europeo. E’ stato detto, promesso, annunciato. Anche le nazioni Unite hanno partecipato al disastro.
Ma non è cambiato nulla. I primi dieci giorni se ne sono andati con analisi e promesse; a seguire una settimana di brutto tempo; da sabato è ricominciato tutto come prima. I numeri confermano le previsioni: siamo a circa un migliaio di arrivi al giorno; 5-6mila a settimana e lo spazio previsto con il piano accoglienza del Viminale nel 2014 è ormai totalmente insufficiente. Il prefetto Mario Morcone, responsabile del Dipartimento Immigrazione, ha firmato ieri una circolare con cui chiede ai prefetti, a sindaci e governatori “la partecipazione di tutti al nuovo piano in modo da attenuare l’impatto sul territorio”. La richiesta è quantificata in “ottanta posti in ogni provincia” per un totale di circa nove mila posti letto. E’ l’emergenza di questi giorni che ha portato a 85 mila (erano 70 mila venti giorni fa) le presenze nei centri di cui 12 mila sono minorenni non accompagnati.
Ma la campagna elettorale schiaccia ogni legittima richiesta. Il governatore del Veneto Luca Zaia annuncia mobilitazioni contro “l'invasione di profughi e i continui diktat con i quali Governo e Prefetture scavalcano senza batter ciglio le autonomie locali. IL no del Veneto rimane forte e chiaro, e presto lo si sentirà risuonare”. La Lega sta organizzando per il prossimo sabato presidi contro le prefetture che rispondono alle richieste di Roma contro il parere dei governatori. Anche il governatore della Lombardia Roberto Maroni, che pure non è personalmente in campagna elettorale, appoggia la linea del Carroccio. Roberto Cota, ex governatore del Piemonte, annuncia blocchi e sit in davanti alle prefetture del Piemonte.
Davanti a questa situazione delicatissima, l’Europa continua a non dare seguito a promesse e progetti. L’equa ripartizione, ad esempio, ovverosia la distribuzione per quote nazionali nei 28 paesi europei. “Nessuno si è offerto in questa fase” ammette candida Natasha Bertaud, uno dei portavoce della Commissione Ue. Si rinvia al 13 maggio, all’ennesima riunione. Nel frattempo, se il meteo resta favorevole, in Italia saranno arrivati altri 5-6000 migranti. Per metterli dove? I dati ufficiali di Frontex parlano di 5.500 salvataggi “dal 30 aprile al 4 maggio”.
Nulla di nuovo anche sul fronte dei nuovi mezzi promessi a Frontex da Germania, Gran Bretagna, Francia. “Stiamo integrando nuove navi nella nostra operazione – dice Fabrice Leggeri, direttore esecutivo di Frontex - e stiamo lavorando ai dettagli con gli Stati membri che hanno offerto un maggior numero di mezzi per Triton. Nuove navi entreranno nell'operazione nelle prossime settimane”.
Ma non sono i soccorsi in mare che mancano. E’ l’accoglienza che viene meno visto che il piano nazionale del Viminale era tarato per numeri che sono la metà di quelli attuali. Senza parlare del fatto che la Germania ha accusato l’Italia di non voler identificare i profughi in Italia per poi lasciarli andare via. Per questo l’Europa ha deciso l’invio di squadre speciali per il fingerprinting. Qualora dovessero arrivare i team, il numero di migranti sarebbe destinato a crescere a vista d’occhio.
I prefetti denunciano di “essere costretti ad operare in situazioni di misconosciuta emergenza a livello nazionale”. Sono loro, infatti, che assumono la responsabilità di distribuire profughi nel proprio territorio: 560 in Veneto; 320 in Abruzzo, qualcosa anche in Val d’Aosta finora resistente ad ogni richiesta. Decisioni prese quasi di nascosto, contro la volontà della politica. Con la Lega che minaccia di andare in piazza.



Migranti, non emergenza ma fenomeno epocale
Avvenire, 05-05-2015
Franco La Cecla
Quindici anni fa, su queste pagine commentavo una delle prime stragi di migranti nel Mediterraneo dicendo che la portata del fenomeno avrebbe scandalizzato le generazioni a venire, creando una responsabilità pari a quella di chi non denuncia un genocidio. Oggi è fuori di dubbio che la massa di annegati a cui l’Europa assiste in maniera ambigua, in un’assenza colpevole di decisioni, pesa sul futuro di questa parte del mondo non solo come un senso di colpa ma come un imbarazzo che un mondo che si dice civile non può sopportare.
L’Europa agisce nei confronti dell’immigrazione come se fosse un’emergenza e non un fenomeno costante degli ultimi decenni, a prescindere dalle guerre, le crisi politiche e climatiche. Non è un caso che papa Francesco abbia cominciato la sua missione proprio da Lampedusa, comportandosi come un vero capo di una comunità universale, preoccupato dell’assurdità dei confini europei. In quell’occasione si è visto come manchi all’Europa un’autorità morale e un prestigio tale da trattare la questione immigrazione non come un problema di politica 'interna' ma di politica estera toutcourt, cioè di relazione effettiva e di responsabilità nei confronti del resto del mondo. L’Europa può anche lasciare agli Stati Uniti il ruolo di gendarme dell’umanità, di garante di un equilibrio e di una relativa pace mondiale, ma lo fa a rischio di non avere alcun diritto di parola nelle grandi questioni dei prossimi decenni: conflitti, crisi climatiche, povertà.
Oggi l’immigrazione interroga l’identità dell’Occidente e dell’Europa come mai prima. Gli Stati Uniti sono stati nell’800 il Paese che ha più investito nell’immaginario dell’immigrazione, costruendosi come luogo di arrivo e di integrazione, per quanto difficile, di emigrati e rifugiati europei e poi in tempi più vicini a noi, asiatici e del Medio Oriente.
L’Europa (occidentale) del dopoguerra è diventata con la ripresa economica l’America per buona parte dell’Africa, ma anche per i Paesi dei Balcani, dell’Est Europeo e del Medio Oriente. Senza mai assumere una visione di questo nuovo scenario. Si sciorinano dati, si stilano percentuali, destre e sinistre si combattono su posizioni egualmente demagogiche e da nessuna parte arriva un’idea su cui costruire il futuro di uno dei territori più complessi del mondo. L’Europa è ben oltre le questioni che hanno portato alla sua nascita.
Oggi è uno dei luoghi del Pianeta dove meglio si vive e dove con tutti i limiti si esercita una forma diffusa di democrazia. È il luogo dove la storia ha creato una singolare compagine di tolleranza, una definizione dell’importanza dell’individuo come persona, e dei diritti che ne conseguono a non essere sottoposti a un 'comunitarismo' di etnia, religione, setta, appartenenza.
Ovviamente, accadono ingiustizie e razzismi, ma il territorio europeo non sarebbe oggetto di desiderio da parte di chi cerca di raggiungerlo se non rivestisse i caratteri di un luogo dove, oltre alle occasioni economiche, la libertà individuale è una risorsa. Nessuno meglio degli efferati terroristi lo sa. In Europa ci sono diritti che consentono una libera circolazione e un diritto di riunione 'fino a prova contraria'. E il terrorismo ne approfitta perché vorrebbe essere la causa che riduce quei diritti e quella libertà.
Purtroppo agli europei manca l’orgoglio di vivere in una situazione di libertà, perché sono troppo impegnati a piangersi addosso o a guardare l’uno l’ombelico dell’altro. Mancano grandi capi di Stato, ma mancano anche classi dirigenti come mancano intellettuali con un senso di responsabilità mondiale.
Il provincialismo alligna un po’ dappertutto e si accompagna alla corruzione. Questo però non cambia le cose: il dato di fatto è che l’Europa è il Paese del sogno, il destino agognato dalle migliaia di persone che vorrebbero arrivarci.
Una buona parte di queste fugge certamente condizioni disumane – e non insegue sogni –, fugge, e occorre ricordarlo, anche le conseguenze di un cambiamento climatico che inasprisce desertificazione, disastri ambientali, e impoverisce lo zoccolo duro e importantissimo dei piccoli agricoltori che vivono di sussistenza e di piccolo commercio.
Papa Francesco non a caso, dimostrandosi una volta di più, un leader di levatura mondiale, ha lanciato una serie di iniziative ad alto livello sul cambiamento climatico. Ed è interessante che abbia suscitato le reazioni delle lobby dei petrolieri che finanziano il negazionismo climatico.
L’Europa dovrebbe attrezzarsi in maniera analoga, visto che rispetto agli Stati Uniti rappresenta ancora un baluardo di molti temi ecologici che rischiano di perdersi nella prospettata alleanza commerciale tra America ed Europa. Soprattutto occorre che l’immigrazione diventi non una 'urgenza' in agenda, ma una prospettiva su cui ridefinire risorse, possibilità, convivenze dei prossimi decenni.
Gli immigrati non solo solo 'il problema dell’islam'. C’è ben altro. Essi sono il futuro dell’Europa, demograficamente (e non come biecamente pensano salafiti e wahhabiti, come una infiltrazione di corpi estranei), culturalmente (ed è qui che si gioca la partita, come si è giocata negli anni 30 del Novecento negli Stati Uniti) ed economicamente (chi nega che essi siano una ricchezza non capisce niente di economia e di storia dell’economia contemporanea).
Perché ciò avvenga bisogna spazzare via demagogie, spesso apparentemente di sinistra, fare a pezzi un assistenzialismo piagnone il quale non coglie che il problema non sta solo nei Cpt (o comunque oggi si chiamimo) oppure negli annegamenti, ma in che cosa avviene successivamente a chi rimane qui. Se chi rimane diventa irregolare per le leggi assurde che regolano l’immigrazione, finirà inevitabilmente per dare manforte all’Europa nascosta delle mafie e delle camorre. Lo ricorda un bel libro di Andrea Staid, I dannati delle metropoli, che raccoglie storie di come immigrati con un passato drammatico di naufragi sono dovuti diventare parte dell’economia nera e illegale italiana, perché non veniva data loro alcuna altra possibilità.
L’immigrazione sfida soprattutto non solo il senso di colpa dell’ultim’ora ma l’intelligenza dell’Europa intera.



SOS Al-Jazeera, stiamo affondando
Un uomo somalo dell'equipaggio di un barcone che sta imbarcando acqua e con a bordo 100 persone telefona alla redazione del network del Qatar e gli chiede di mandare la guardia costiera in soccorso.
Vita, 06-05-2015
Martino Pillitteri
Martedì pomeriggio, ore 15, suona il telefono nella redazione di Al-Jazeera. A chiamare è un uomo somalo a bordo di un barcone con altre 100 persone disperse da qualche parte del Mediterraneo. «Stiamo affondando» dice alla redazione, «avvisate la guardia costiera italiana».
Il giornalista che ha risposto alla telefonata si mette subito in azione. Viene lanciato un  SOS e la guardia costiera si attiva. Nelle successive telefonate il somalo informa Al-Jazeera che la guardia costiera sarebbe arrivata. Alle 21 la guardia costiera italiana avvisa la redazione del network del Qatar che la situazione era sotto controllo e che non potevano condividere altre informazioni.
Oltre a dare la notizia della richiesta di auito giunta dal mediterraneo, Al-Jazeera ha anche pubblicato sul proprio sito la conversazione che  tra l’uomo somalo e il giornalista che ha risposto al telefono. Qui sotto la traduzione della telefonata intercorsa dopo il lancio dell' SOS:
Al-Jazeera: sono arrivati i soccorritori?
Migrante: ci ha contattato la Guardia Costiera italiana dicendoci che sarebbero arrivati in 40 minuti. Per ora non sono ancora arrivati.
Al -Jazeera: da dove siete partiti?
Migrante: siamo partiti da Tripoli tre giorni fa. Ci stiamo dirigendo in Italia.
Al-Jazeera: qual è la condizione della barca ?
Migrante: è un gommone, e non è sicuro.
Al -Jazeera: chi sono le persone a bordo ?
Migrante:siamo immigrati somali. Siamo una centinaia, una cinquantina di donne e una cinquantina di uomini. Sono tutti malati. La barca sta imbarcando acqua. Non abbiamo rifornimenti, non abbiamo cibo, ci sono le donne in gravidanze. Due delle donne hanno figli di due mesi. C’è anche un bimbo nato due settimane fa. Stanno male da quando abbiamo lasciato Tripoli. Non so che dire…
Al-Jazeera: che forniture avete a bordo?
Migrante: abbiamo solo due sacchetti di plastica pieni di acqua potabile e un chilo di cibo.
Al-Jazeera: dove vi trovate in questo momento?
Migrante: ho un GPS e penso che siamo vicino a Italia, ma non so esattamente ... ho solo la posizione GPS.
Al-Jazeera: chi è il responsabile della barca ?
Migrante: Non sono io. Io sono l'unica persona che parla inglese.
Al-Jazeera: qual è l’umore sulla barca?
Migrante: pensano che stanno morendo, che non hanno alcuna speranza ... da tre giorni che sono su  un gommone senza sapere dove sono, dove stanno andando  e sapendo che non possono tornare indietro.



Lavoratori stagionali. Ecco come si preparano le domande per i flussi 2015
Si fa tutto via internet attraverso il sito del ministero dell’Interno. Guida illustrata passo dopo passo
stranieriinitalia.it, 06-05-2015
Roma – 5 maggio 2015 – Da oggi i datori di lavoro possono preparare le domande per far arrivare in Italia e assumere 13 mila lavoratori stagionali extracomunitari. Per spedirle dovranno però aspettare la pubblicazione del decreto flussi, prevista per i prossimi giorni.
 La procedura è tutta via internet, attraverso il sito del ministero dell’Intero. È piuttosto semplice, ma si può chiedere aiuto alle associazioni di categoria. Per chi ha scelto di fare da solo, la guida illustrata con tutti i passaggi preparata da Stranieriinitalia.it:
 1) Collegati a https://nullaostalavoro.dlci.interno.it. Se sei già registrato vai al punto 4, altrimenti registrati:



Un angolo di Eritrea a Milano
Internazionale, 06-05-2015
Igiaba Scego, scrittrice
Neoclassica, austera, trionfale, così appare porta Venezia, una delle sei principali porte di Milano, al visitatore. Il quartiere noto per i suoi ristorantini alla moda è tra i più amati dagli under 30 milanesi. Certo gli spritz, gli apericena l’hanno resa trendy e al passo con i tempi, ma porta Venezia è qualcosa di più profondo. Di fatto racchiude in sé una storia complessa fatta di separazioni e ricongiungimenti, una storia che odora di caffè caldo e cardamomo, una storia che la lega all’Africa come nessuna.
Infatti da tempo il quartiere è il ritrovo della comunità eritrea-etiope che dagli anni settanta del secolo scorso ha fatto di questa zona il centro della propria esistenza. Ed è sempre qui che gli eritrei di oggi, in fuga dalla dittatura feroce e insensata di Isaias Aferworki, cercano rifugio dopo essere approdati a Lampedusa con una carretta scassata. Sanno che a porta Venezia una zuppa calda e qualcuno che sa parlare la loro lingua lo troveranno di sicuro. Porta Venezia è Milano, ma è anche Asmara. È Italia, ma anche Eritrea.
Il colonialismo italiano, diceva nel suo bel libro Rifugiati lo scrittore somalo Nurrudin Farah, occupa un territorio coloniale ambiguo nella coscienza degli italiani. Infatti l’Italia spesso non si ricorda di aver avuto un legame storico con Libia, Somalia, Etiopia ed Eritrea. Disconosce il vincolo e quando poi arrivano i rifugiati proprio da quei paesi un tempo colonizzati (e spesso brutalizzati) non riesce a tracciare una linea che la colleghi a quell’intreccio di corpi. È più facile dimenticare. E così si dimenticano non solo le nefandezze del periodo coloniale, ma anche quelle più moderne fatte di affari sporchi con i dittatori di turno e di rifiuti sversati in mare o tombati nelle zone di pascolo. L’Africa, come diceva Ennio Flaiano, rimane ancora lo sgabuzzino delle porcherie e meno se ne parla meglio è.
Ma ormai, per fortuna, fioccano le contronarrazioni. Ed ecco che il docufilm Asmarina di Alan Maglio e Medhin Paolos ci regala una panoramica su una comunità, quella eritrea-etiope, presente nel territorio da decenni di cui però si è sempre parlato molto poco. Il titolo, tratto da una canzone coloniale degli anni trenta, è già di per sé evocativo. Il docufilm nasce per accumulazione. Colpisce, fin dalle prime scene, la presenza ossessiva e permeante delle fotografie dovuta a un grande lavoro di ricerca da parte dei registi.
Ed ecco che lo schermo si riempie di bambine sorridenti, ragazzi con jeans a zampa di elefante, signore con il tradizionale abito bianco. E poi feste, celebrazioni, preparazioni di focacce e caffè, treccine svolazzanti, orecchini arcobaleno. E piano piano una comunità di adulti si popola di bambini. Generazioni si mescolano e quasi si confessano davanti alla telecamera, mai invasiva, di Alan Maglio e Medhin Paolos. E sotto i nostri occhi una comunità si svela nelle sue più intime e delicate sfumature.
C’è la scrittrice Erminia dell’Oro figlia di italiani, di vecchi coloni, nata in Eritrea che si sente africana e non importa se ha la pelle bianca, Eritrea per lei è casa. Il dj Million Seyum, chiamato non a caso il Sindaco, che sa come far ballare i suoi compaesani, ma che in ogni sua parola è profondamente asmarino, ma anche profondamente milanese. La famigliola riunita intorno a un libro di fotografie (Stranieri a Milano di Lalla Golderer e Vito Scifo che diventerà uno degli assi portanti del docufilm) sa come commuoverci con gli antichi ricordi di famiglia.
E poi c’è Michele figlio di un pugliese mai conosciuto e di un’eritrea, cresciuto in un collegio di suore a suon di punizioni corporali, rimpatriato in un’Italia mai veramente sua. Colpisce inoltre la forza di Helen Yohannes, calciatrice/mediatrice culturale che ha dedicato il suo tempo ad aiutare i rifugiati perché guardando quelle facce così simili alla propria sa che quel destino poteva toccare a lei e si rimbocca le maniche per attutire come può quelle sofferenze.
Fotogramma dopo fotogramma scopriamo una comunità molto attiva negli anni settanta-ottanta, organizzata, unita. C’era la lotta per l’indipendenza a dare identità. Ed ecco le riunioni in teatri gremiti, i volantinaggi, le assemblee, le manifestazioni, le storie d’amore nate intorno a tutta quella politica. E poi la gioia immensa di essere un paese. C’è chi pensava di tornare ad Asmara, di ricostruire là il poco di avvenire rimasto. E poi dal paradiso agli inferi di oggi, prima un conflitto insensato con l’Etiopia per un confine senza importanza e poi la dittatura che sta facendo fuggire tanti giovani che preferiscono rischiare la traversata attraverso il Mediterraneo che marcire nelle grinfie di un regime protetto anche da occidente.
Ed ecco che i registi non nascondono le fratture all’interno di una comunità. Una divisione in filogovernativi e oppositori, tra chi si sente eritreo o chi eritreo-etiope. E in mezzo c’è l’Italia, Milano. Una città-casa che a volte sa abbracciare e a volte no. Asmarina racconta tutto questo e molto altro. Racconta l’Italia come recentemente sono riusciti a fare in pochi.

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Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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