Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

18 giugno 2014

Un fronte comune sull`immigrazione
IL TEMA AL CONSIGLIO UE DEL 25-26 GIUGNO
il sole 24ore, 18-06-14
Il 25 e 26 giugno il presidente del Consiglio Matteo Renzi presenterà al Consiglio Ue sull`immigrazione il piano per trasformare Frontex, l`Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell`Unione europea che ha attualmente sede a Varsavia. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha detto ieri a Radio 24 che nelle intenzioni del Governo la nuova agenzia «dovrà assorbire di fatto i compiti che oggi svolge la missione Mare Nostrum e diventare dunque un`operazione del Mediterraneo finanziata dall`Europa». Una richiesta, quella che avanzerà il governo, più che legittima: la tragedia dell`immigrazione non riguarda infatti soltanto il nostro Paese e la situazione emergenziale non è giusto, dunque, che ricada sulle sole spalle dell`Italia. Italia che finora non si è mai tirata indietro accogliendo da anni sulle proprie coste migliaia e migliaia di
profughi in fuga disperata da guerre, fame e miseria. Che l`Europa non volti ancora una volta la testa dall`altra parte.



Boldrini: "Più accoglienza in tutte le regioni d`Italia"
La presidente della Camera: ai rifugiati dobbiamo dare una vita sicura
La Stampa, 18-06-14
FRANCESCA SFORZA
Intervista
ROMA -Fogli pieni di numeri e parole piene dí passione, questa è Laura Boldrini, Presidente della Camera, quando parla del tema dell`immigrazione, alla vigilia del suo viaggio in Sicilia, venerdì, per la giornata mondiale del rifugiato. «Conosco le emergenze umanitarie da una vita, ho visto di persona, nelle aree più difficili del mondo, che significa scappare da un bombardamento e vivere
in una tenda, cercare solo l`ombra, soffrire l`"habub", tempeste di sabbia che ti costringono a ripararti dove la temperatura arriva fino a cinquanta gradi. A Kassala, in Sudan, la sera si dormiva nelle bettole, un buco per terra come bagno, e prima di coricarsi
bisognava fare una cortina di polvere intorno al letto per evitare che gli scarafaggi ti camminassero addosso». E poi l`Angola, l`Afghanistan, il Kosovo, la Macedonia, il Caucaso. «Gli unici che mi riuscivano a raggiungere in qualsiasi posto del mondo erano quelli di Radio Radicale», ricorda sorridendo.
Presidente Boldrini, cosa dirà ai rifugiati che incontrerà fra due giorni ín Sicilia in veste di rappresentante dello Stato italiano?
«A loro dirò: "Welcome, benvenuti in un posto sicuro, qui non vi succederà nulla, nessuno vi torturerà, nessuno vi ammazzerà, nessuno vi perseguiterà più". E allo stesso tempo però aggiungerei: "Ora che siete qui, organizzatevi, non riposate sugli allori, perché bisogna essere realistici, l`Italia può fare molto, ma non può fare tutto"».
Le nostre coste sono prese d`assalto, la Sicilia è in affanno. Anche secondo lei l`Europa non sta facendo abbastanza?
«Il senso della mia visita in Sicilia è proprio questo: rendere omaggio ai Corpi dello Stato che stanno lavorando in modo strenuo per salvare le persone e difendere principi sacrosanti del diritto internazionale. Ma vado anche a dare solidarietà a una regione che si sta prendendo il carico più grande dei flussi di richiedenti asilo. Le cifre parlano chiaro: in Sicilia sono ospitati il 33% dei migranti, in Veneto il 3%, in Lombardia il 7%. Il presidente Maroni quando era agli Interni, aveva lanciato il progetto di una equa ridistribuzione tra Regioni. Oggi che è presidente della Regione però sembra non pensarla più così. Prima di lamentarci con l`Europa pensiamo a come organizzarci meglio».
Parliamo di emergenza: dove va gestita? Qui nei centri di accoglienza, o nei Paesi in cui le fughe cominciano?
«Ecco, intanto intendiamoci sulla parola "emergenza". Chi sono le persone che arrivano? Il Mediterraneo è passato da rotta di migranti economici a via dell`asilo: oggi la gran parte delle persone - soprattutto siriani, eritrei, somali - scappano dalla morte, e prima di arrivare qui si fermano in ben altre zone. Prendiamo la Siria: 2 milioni e 800 persone sono scappate nei Paesi confinanti. Nel Libano, che ha 4 milioni di abitanti, i rifugiati siriani sono 1 milione. E` come se in Italia ce ne fossero 14 milioni, e invece ce ne sono 65.000, di tutte le nazionalità».
Lei conosce i nostri centri. Le sembrano all`altezza di contenere questi numeri?
«Ci sono carenze nel nostro sistema, le stesse di sempre. La realtà è che gli arrivi via mare sono un dato strutturale, non possono essere gestiti come emergenze».
Si spende poco per l`accoglienza o si spende male?
«Ci vuole una cabina di regia capace di far colloquiare tutti gli attori e un monitoraggio che impedisca quello che avvenne nel 2011, quando si spesero tantissimi soldi per l`accoglienza, ma furono spesi male. Bisogna controllare dove finiscono i soldi, che vengano usati come previsto dalla convenzione».
E un maggiore coordinamento Ue?
«Si, innanzitutto nei valori, nell`assunzione di responsabilità rispetto al salvataggio di vite umane. E poi bisogna pensare a rilanciare processi di pace, a isolare i dittatori e non farci affari. E dare delle alternative alla fuga nel Mediterraneo».
In che modo?
«L`operazione "Mare nostrum" da sola non basterà mai. Bisogna prevedere nei Paesi di transito sedi diplomatiche dell`Ue attrezzate per accogliere domande d`asilo e per trasferire legalmente le persone nei paesi di destinazione. Oppure applicare il programma del "re- insediamento" dell`Unhcr, un sistema di screening dei rifugiati da cui gli stati membri possono poi pescare delle quote. Queste sono proposte concrete, che spero siano prese in considerazione nel prossimo vertice Ue e nell`imminente semestre di Presidenza italiana».



ACCOGLIERE SI MA RAGIONARE
Corriere della sera, 18-06-14
ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA

Salvare dalla morte in mare è un conto, accogliere stabilimente nel proprio Paese un altro. Il primo è un obbligo assoluto per ogni collettività civile, la seconda è una scelta politica. L`operazione «Mare nostrum» implica invece la contraddittoria sovrapposizione/identità delle due cose. In tal modo infatti viene percepita dall`opinione pubblica, e proprio perciò essa rischia alla lunga di divenire insostenibile.
Finora le autorità italiane hanno cercato di eludere la contraddizione ora detta ricorrendo a un escamotage. In pratica, salviamo dal naufragio gli immigrati ma, contravvenendo alle disposizioni europee, spesso evitiamo di identificarli nel solo modo possibile, cioè prendendo le loro impronte digitali e depositando queste in una banca dati europea. In tal modo è loro possibile cercare di andare (e restare) in qualche altro Paese dell`Unione Europea perché da esso, anche se scoperti, non potranno mai essere rinviati nel Paese di prima accoglienza che li ha identificati - come prescrivono sempre le norme europee - semplicemente perché un tale Paese non è mai esistito.
È in questo modo che l`Italia, alla quale sotto questo riguardo fa buona compagnia tutta l`Europa, evita di affrontare la questione cruciale: quanti immigrati possiamo (può l`Unione) assorbire? Nessuno lo sa e/o lo dice: dieci milioni, venti milioni? I numeri che premono dall`Africa e dall`Asia sono di quest`ordine, ma nessuno se ne cura. Sembra che neppure sia lecito porsi la domanda.
Che tuttavia resta la domanda. Anche se preferiamo aggirarla definendo «operazione umanitaria» di salvataggio qualcosa che è senz`altro questo, sì, ma che, per le ragioni dette sopra, è pure una decisione politica di accoglienza. Una decisione che appartiene peraltro a quel genere di decisioni che hanno due caratteristiche che dovrebbero far tremare le vene ai polsi di qualunque politico si appresti a prenderle, dal momento che: a) una volta adottata è terribilmente difficile revocarla, e, b), una volta adottata, il ruolo di chi la adotta non può che essere di totale passività.
E infatti è questo il nostro caso. L`Italia e il suo governo, una volta deciso di affrontare l`immigrazione transmarina con
l`operazione «Mare nostrum», di fatto non sono più in grado di esprimere alcun punto di vista o di sostenere alcun interesse proprn con una minima possibilità di far valere concretamente l`uno o l`altro. Anche perché privi di reali interlocutori. Essi svolgono più o meno il ruolo che svolge un centralino dei Vigili del fuoco nel rispondere alle chiamate di soccorso. Punto e basta.
Ma anche se non riceve risposta, la domanda decisiva resta in tutta la sua crucialità: quanti immigrati può accogliere l`Italia? Quanti l`Europa? Un numero illimitato? Può essere, ma allora sarebbe bene dirlo. Invece le classi politiche italiane ed europee hanno preferito finora far finta di nulla, e nei fatti conformarsi ai due comandamenti etici e/o ideologici che sembrano prevalere presso le loro opinioni pubbliche. Quello del cosmopolitismo multiculturale da un lato, e quello della sollecitudine cristiana per i derelitti dall`altro.
Entrambi ottimi principi i quali, però, non solo non servono a governare il fenomeno migratorio, ma contribuiscono non poco a dare l`impressione - pregna ahimè di contenuti politici - di un Paese e di un continente che di fronte all`immigrazione non sanno fare altro che tenere la porta aperta e lasciare entrare chiunque voglia.
Alimentando così il richiamo che esercitano sull`elettorato europeo (non sempre di destra!) i partiti che si ispirano a un radicalismo identitario fortemente xenofobo; i quali sono ben lieti di approfittare della politica dello struzzo adottata da troppe forze democratiche, della loro troppo frequente rinuncia suicida a dare voce alle ragioni dell`interesse e dell`identità nazionali.
Pensare che dal bene non possa che nascere il bene è da ingenui o da sprovveduti. Soprattutto nelle democrazie è spesso dal bene che può nascere il male: e in genere quando ci se n`accorge è regolarmente troppo tardi.



Migrantes: "Superare improvvisazione del Sistema asilo"
Lo sostiene la Fondazione Migrantes per la Giornata mondiale del Rifugiato che si celebrerà il 20 giugno
stranieriinitalia, 18-06-14
Roma, 18 giugno 2014 - ''L'augurio che la Migrantes formula in questa Giornata internazionale è che il 2014 possa e debba essere per l'Italia l'anno che offre l'occasione del passaggio da un situazione di tutela discrezionale a un sistema unico programmato ed uniforme di asilo, che aiuti a superare paure e incertezze, ridando un rinnovato slancio al lavoro di protezione internazionale''.
Lo sostiene la Fondazione Migrantes per la Giornata mondiale del Rifugiato che si celebrerà il 20 giugno e che cade quest'anno, si sottolinea, ''in un momento particolare per il nostro Paese'' dopo che circa ''50 mila persone sono sbarcate dal 1 gennaio ad oggi sulle coste della Sicilia, grazie alla straordinaria operazione di pace, quale e' 'Mare nostrum', che ha accompagnato nel Mediterraneo fino ai porti rifugiati di diversi paesi del mondo e Continenti''.
La drammatica situazione che i richiedenti asilo e rifugiati vivono in Italia, si sottolinea, ''chiedono una maggior condivisione in Europa delle operazioni di salvataggio in mare attivate con 'Mare nostrum', ma non bastano. E' necessario che anche l'Italia finalmente aderisca a programmi di 'resettlement' e a politiche europee per aprire canali umanitari, per non lasciare le persone e famiglie che devono fuggire dal loro Paese in mano ai trafficanti''.



Caccia al rom a Parigi: in fin di vita un sedicenne
Sequestrato, linciato e abbandonato in un carrello
l'Unità, 18-06-14
Sequestrato, picchiato selvaggiamente e abbandonato in un carrello da supermercato. È toccato a un ragazzo rom di 16 anni, preso di mira da un gruppo di abitanti di Pierrefitte-sur-Seine, nella banlieu di Parigi: dopo un furto in casa subito da un abitante della zona, un gruppo di autonominati giustizieri è partito all’attacco e ha prelevato il ragazzo nel campo rom dove viveva, deciso a fargliela pagare. Il giovane è stato ritrovato nella tarda notte in gravi condizioni, abbandonato lungo una strada statale: ora è in coma. Il caso ha suscitato molte polemiche e ieri è intervenuto lo stesso presidente Francois Hollande, che ha definito l’episodio «abominevole» e «ingiustificabile ».
GIUSTIZIA SOMMARIA
Secondo fonti giudiziarie, il ragazzo era già noto alla polizia per atti vandalici e furti commessi in precedenza, per i quali era stato fermato più volte a inizio giugno. Secondo le prime ricostruzioni il giovane sarebbe stato accusato di un furto avvenuto in un’altra cité, situata a Seine- Saint-Denis. Luc Poignant di un sindacato della polizia ha riferito che, in base alle prime ipotesi, un gruppo di residenti del quartiere venerdì scorso ha sequestrato il ragazzo nell’accampamento di Pierrefitte-sur-Seine, nel nord di Parigi, costringendolo a salire su un’automobile. «Sono andati a prenderlo nel campo e l’hanno portato via con la forza », ha detto Poignant. Il ragazzo sarebbe stato poi segregato e linciato.
Secondo gli inquirenti, le tracce di fango reperite sul corpo del giovane rom farebbero pensare che sia stato tenuto in uno scantinato o addirittura in una discarica. Quando il giovane ha perso i sensi, i suoi aguzzini lo hanno lasciato intorno alle 23.30 lungo la strada Nationale 1, nei pressi della cité des Poètes. Il ragazzo è stato ricoverato in fin di vita all’ospedale parigino della Lariboisière, con fratture multiple e lesioni ad organi vitali. «La prognosi è riservata. È in coma indotto», hanno spiegato i medici.
I suoi aggressori non sono stati ancora individuati, ma si pensa a una spedizione punitiva in piena regola. A denunciare il rapimento del giovane è stata la madre che ha segnalato l’accaduto alla polizia. «Spetta esclusivamente alle forze di sicurezza garantire che l’ordine pubblico venga rispettato», ha tuonato il ministro dell’Interno Bernard Cazeneuve, condannando l’aggressione. Anche il presidente del Consiglio generale, Stéphane Troussel, ha denunciato «l’aggressione atroce con il pretesto della resa del conti. La Repubblica francese deve proteggere tutti, ovunque vivano e qualunque sia la loro origine». Un risultato gli aggressori l’hanno già ottenuto: la comunità nomade di cui faceva parte il ragazzo - circa duecento persone arrivate a Pierrefitte-sur-Seine alla fine di maggio - ha abbandonato il campo ed è fuggita in tutta fretta.
Nella Francia dove un elettore su quattro ha votato per Marine Le Pen, l’aggressione ha riacceso le polemiche. Le associazioni per i diritti umani avevano già rimproverato al ministro dell’Interno, Manuel Valls, l’espulsione di 20mila rom e altre misure drastiche per limitarne la presenza in Francia. SosRacisme ha parlato dell’«ovvio risultato delle nauseanti tensioni a cui sono sottoposti dei concittadini». «Un cambiamento radicale dei toni sui rom e una chiara denuncia delle violenze a cui sono esposti », sono le richieste di Benjamin Abtan, presidente del Movimento antirazzista europeo di base (Egam).
Ad aprile un rapporto di Amnesty International aveva criticato i Paesi Ue per non aver fatto abbastanza per proteggere i rom e in particolare aveva attaccato la Francia per il trattamento riservato ai nomadi.



La faccia triste degli Usa
L’esercito di baby clandestini che sogna l’America e trova un Cie
il fatto, 18-06-14
Angela Vitaliano
New York Sono piccoli: questa è la prima cosa che si pensa nel vederli, ritratti in fotografie che raccontano il dolore di quelle storie di violenza e povertà che si sono voluti lasciare alle spalle a tutti i costi, al punto da percorrere chilometri da soli, senza genitori, verso quell’America sconosciuta come la sua lingua, i suoi hot dog e un universo di adulti che devono “tutelare l’ordine” e, spesso, si ritrovano a cambiare pannolini. L’esericito di baby clandestini ha già raggiunto la cifra record di 60 mila e, per la fine dell’anno, diventeranno 90mila. Anzi, sicuramente, di più.
SONO il volto dolente del Texas e del New Mexico, ma stanno scuotendo l’anima di un Paese intero che si scopre impreparato ad affrontare un’emergenza umanitaria senza precedenti e alla quale vanno date risposte subito. Perché subito è già troppo tardi. I centri di accoglienza, infatti, non sono quasi mai adatti a ospitare essere umani. Figuriamoci bambini; figuriamoci poi bambini soli e in numero così elevato. Le “celle” dove si riposano, sfiniti da viaggi clandestini su treni merci o altri mezzi di fortuna, uno di fianco all’altro quasi come se fossero corpi privi di vita, sono chiamate, hieleras o “nidi di ghiaccio” perché, nonostante il calore esterno, sono sempre troppo gelide. Molti di loro vengono messi su bus e trasportati in stati vicini, come l’Arizona, dove dovranno, da soli, presentarsi davanti a un giudice che deciderà del loro destino: un giudice che gli parlerà in una lingua che non capiranno e che qualche avvocato di una qualsiasi associazione di volontariato gli dovrà tradurre, come se tutto ciò fosse “normale” quando sei solo un bambino.
EPPURE , loro non sono qui per cercare un lavoro prima di ogni altra cosa. Fuggire dal Guatemala, dall’Honduras e da El Salvador ha significato per loro, quasi sempre, scappare da una morte certa, dalla violenza delle gang e dal dramma della povertà piu assoluta. Questa terra, persino quella cella gelida e affollata, per loro è una salvezza. Alcuni sono scappati per raggiungere un genitore già residente sul territorio americano, magari clandestinamente. Altri sono arrivati insieme a fratelli o sorelle piu grandi: il 48 per cento racconta di essere stato direttamente “toccato” dall’escalation di violenza che, negli ultimi anni, si registra nei loro Paesi di origine. La legge americana peraltro proibisce di deportare i bambini provenienti da Paesi che non siano il Canada e il Messico, dunque il loro destino passa inevitabilmente sotto la supervisione del Dipartimento della Salute e dei servizi umanitari. La situazione è diventata così delicata che lo stesso Obama è intervenuto sull’argomento pochi giorni fa, dichiarando che “l’attraversamento clandestino dei confini e un’emergenza umanitaria urgente che richiede una risposta dello Stato federale univoca e coordinata”. Il numero dei bambini che arrivano negli Stati Uniti attraverso il Texas, dal 2011 ad oggi, è praticamente raddoppiato a conferma che la vivibilità nei Paesi di origine è crollata in maniera drammatica. I minori, infatti, sono un facile target per le gang perché sono facilmente impressionabili e controllabili e vengono reclutati perché obbediscono senza creare problemi nel tentativo di salvare la propria vita. Non a caso, già nel 2012, Obama aveva annunciato che i giovani “clandestini” arrivati nel Paese in specifiche circostanze, avrebbero potuto fare domanda di cittadinanza e sistemare la loro posizione. In due anni, circa il 60 per cento di loro ha visto cambiare la propria vita in maniera totale, soprattutto grazie alla possibilità di trovare lavoro in maniera legale.

 

EUROPA
Il muro del Mediterraneo

il manifesto, 18-06-14
Etienne Balibar
Un: avvenimento in Europa ha avuto un`eco simbolica considerevole e conseguenze spettacolari: si tratta dell`accelerazione della
costruzione del muro del Mediterraneo. Per il momento è ancora una costruzione virtuale, o più esattamente` riguarda un complesso di istituzioni e di dispositivi diversi, di leggi, di politche preventive e repressive, di accordi internazionali formali e informali.
Ma nell`insieme è ben chiaro lo scopo: si tratta di restringere la libertà di circolazione.
Se non addirittura di annuilana del tutto per alcune categorie di individui e di certi gruppi sociali definiti in termini di categorie etniche (quindi, alla fine, razziali) e di nazionalità.
Abbiamo però già sotto ;a occhi due realizzazioni parziali di questo «muro» molto più concrete: la loro stessa visibilità cristallizza molte tensioni statutarie e degli aspetti spaziali del problema della mobilità nella geopolitica attuale. Queste prime realizzazioni concrete, situate alle due estremità dello spazio mediterraneo, hanno certo una storia
diversa, origini e giustificazioni specifiche, ma la loro somiglianza macerale colpisce chiunque le abbia osservate dal vero o ne abbia visto le immagini successive. Cosa che suggerisce di ricercare delle analogie più profonde. Si tratta. come avrete capito, del «muro» che lo stato di Israele costruisce nel territorio palestinese occupato e delle fortificazioni in corso di rafforzamento lungo le enclave spagnole di Ceuta e Melina sulla costa marocchina, che ormai, oltre alla-rete di barriere elettrificate e delle torri dí controllo, si accompagna a deforestazioni, livellamenti, costruzione di fossati e strade parallele ad uso militare.
Lo scopo del muro israeliano è di bloccare le incursioni di terroristi palestinesi, in particolare gli attentati suicidi. Ma ha chiaramente anche altre funzioni: respingere fuori dal territorio israeliano i lavoratori e i palestinesi in cerca di occupazione. dividere lo spazio e la società palestinese, allontanare i`contadini dalle loro terre, preparare l`imposizione unilaterale della «frontiera definitiva» di Israele di modo che incorpori nuove annessioni, e in particolare renda perenni le colonie illegali insediate nei territori occupati la muraglia ispano-marocchina ha fatto irruzione nell`attualità per le tragiche violenze della fine del 2005, provocate da un nuovo disperato tentativo di oltrepassare la frontiera da parte di immigrati africani, che erano stati concentrati nei mesi e nelle settimane precedenti nelle zone limitrofe. Lo scopo era dissuadere dei gruppi di candidati all`immigrazione, che del resto non erano in maggioranza onginari del Marocco o dell`Algeria ma dell`Africa transsahariana, e che si concentrano nei «l`Unti di entrata» sul «territorio europeo» dove trovano diverse possibilità di lavoro precario, sotto-pagato e illegale. Questi due muri hanno come caratteristica comune di essere situati sulla riva meridionale del Mediterraneo, dove ci sono delle enclave europee (cioè delle enclave del «Nord» al «Sud») che prolungano a modo loro un lungo e complesso passato coloniale. Ma adesso la loro funzione si
amplifica e prendo il rischio di suggerire, in modo evidentemente iperbolico, che si tratta di due segmenti della «grande muraglia» d`Europa.
La mia ipotesi ha qualcosa di mostruoso, ne sono cosciente. Permettetemi però di scavare ancora, con alcuni riferimenti e immagini. In primo luogo, dobbiamo ricordarci che nella storia abiamo potuto osservare l`erezione di frontiere o di super-frontiere fortificate di separazione di spazi geo-politici, al di là degli stati e delle nazioni, associate a conflitti rappresentati come guerre della civiltà assediata dai barbari. o come scontri tra sistemi politici incompatibili. A volte sotto forma di muraglie o di barriere fisiche, altre sotto forme più mobili e tecnicamente più complesse. Allora non pensiamo solo più alla Muraglia di Cina, ma al lìmes romano, o, in tutt`altro contesto, alla barriera elettrificata costruita dall`esercito francese durante la guerra d`Algeria alle due estremità del territorio algerino, o ancora alla cortina di ferro», il «Muro dì Berlino» (che, va sottolineato, venne costruito dai regimi della dittatura comunista, per proibire ai loro stessi cittadini di spostarsi, di esercitare il «diritto di fugas, secondo l`espressione di Sandro Mezzadra}. La storia, quindi, con tutta la sua complessità. si ripete, ma su uno sfondo dì nuove configurazioni economiche, politiche, ideologiche.
Non si tratta di un fenomeno tipicamente europeo. Gli sviluppi più simili sono quelli in corso alla frontiera degli Stati uniti e del Messico, dove i Primi hanno cominciato a costruire (anche se, questa volta. sul loro territorio) una muraglia materiale e virtuale il cui obiettivo è di bloccare i punti di entrata per i migranti di tutta l`America latina (in particolare dell`America centrale) che transitami` dal Messico non senza resistenze e contraddizioni negli Usa stessi, d`altronde, perché un blocco completo esaurirebbe la fonte di lavoro sotto-pagato e non protetto che è uno dei mezzi per preservare il livello di vita americano. Il muro esiste già lungo la frontiera californiana, e comporta una serie di conseguenze disastrose anche per l`ambiente.
Il suo prolungamento per centinaia dimiglia, a un costo di mílíardi di dollari, è ancora oggetto di vivaci discussioni, ma la decisione di principio è stata presa dal Congresso. E` interessante ricordare che una delle principali giustificazioni ideologiche di questo progetto è stata procurata in questi ultimi anni da Samuel Iluntington. già autore di C/ash of Civitization. e che in un`altra opera intitolata Who are we? (2004) sviluppa a lungo l`analogia tra la «minaccia arabo-islamicas sull`identità europea e la «minaccia ispanica» sull`identità statunitense sanglo-sassone» e protestante».


 

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