Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

02 febbraio 2012

STRANIERI EVADETE LA TASSA
Obiezione fiscale sul permesso di soggiorno
la Padania, 2-02-2012
STEFANIA PIAZZO
Cosa può rubarci ancora il Governo Monti? Cosa può portarci via? I soldi? Già lo sta facendo. È da quando c'è questo Stato che non resta attaccata niente alla polpa di chi lavora. L'attacco piú pericoloso è quello all'identità. Ovvero l'assalto finale al cuore. Non c'è un solo cavallo, ma un esercito di cavalli di Troia che sono entrati nel sistema. Attraverso lo scardinamento della società con un'immigrazione sfruttata, coccolata, privilegiata persino nelle tasse; attraverso la scuola, che è l'altra voce del padrone, quella che è dite cose: argine......e consapevolezza oppure rigore di un regime che annulla le differenze; attraverso lo scardinamento della produzione, erosa dalle tasse e dalla delocalizzazione; attraverso il non fare piú figli il perdere quindi forza lavoro, ridurre la crescita, ridurre a risparmio. La crescita si è spostata sui consumi, sulle tasse da aumentare e sul debito per coprire le spese di una società che non cresce più. Oggi siamo ad un bivio e non abbiamo tanto tempo per decidere cosa fare. Il nostro è quasi un armistizio,fin troppo paziente. E allora vale la pena ricordare cosa ci lasciò a testimonianza di un federalismo militante Carlo Cattaneo, incitando nel marzo '48 a non abbassare le armi: «L'armistizio offertoci dal nemico - scriveva a Milano in Contrada Bigli - è stato da noi rifiutato ad istanza del nostro popolo che vuole combattere. Rinviamo di piede fermo quest'ultimo assalto dei nostri oppressori». Oggi questo pezzo di passato ci deve servire per spezzare un armistizio che non ha ragione di essere, per non trovare altrove un asilo di libertà ma per difenderla a casa nostra. Clandestini sono altri.



Permessi di soggiorno si cambia
Il Messaggero, 02-02-2012
CARLO MERCURI
ROMA — Arriva una rivoluzione per il permesso di soggiorno: si otterrà più facilmente e soprattutto sarà meno costoso. Lo ha annunciato il ministro dell'Interno, Annamaria Cancellieri, alla Commissione Affari costituzionali della Camera.
La titolare del Viminale e il collega Riccardi avevano già provato a ridimensionare il costo del permesso (attualmente è tra gli 80 e i 200 euro) tentando di introdurre esenzioni e sconti per i soggetti a basso reddito. Si trattava di modificare in corsa il decreto Maroni-Tremonti ma il ministero dell'Economia ha imposto lo stop, temendo che il mancato introito della tassa prevista potesse configurarsi come un danno erariale da parte della Corte dei Conti. Cosi il decreto Maroni-Tremonti è entrato in vigore lunedi scorso.
Ora gli uffici dei Viminale si sono messi all'opera per varare un nuovo documento di soggiorno, che metta mano all'intero capitolo e che non si limiti ad intervenire solo sulla tassa. «La norma che stiamo mettendo a punto dovrebbe vedere la luce nel giro di una o due settimane», ha detto il ministro Cancellieri. Si tratta, ha proseguito, di «un riordino complessivo», di una «semplificazione che porterà dei cambiamenti che poi si rifletteranno anche sull'aspetto economico» e quindi sulla nuova tassa di soggiorno. «Abbiamo preferito - ha detto ancora - scegliere la Strada della razionalizzazione, piuttosto che andare a toccare singoli punti previsti dalla legge».
La Cancellieri punta anche ad accelerare i tempi sulla cittadinanza: «E' una questione di civiltà giuridica - ha detto - E per questo ho dato impulso alla costituzione di un Gruppo operativo per l'individuazione di nuove misure organizzative». Dal 2006 al 2010 c'è stato un aumento del 130 per cento nella presentazione delle domande di cittadinanza.
Prima, in Senato, il ministro Cancellieri aveva anche minimizzato sul presunto scontro con la collega Paola Severino a proposito dei braccialetti elettronici: «Nessuna polemica con il ministro delia Giustizia, c'è un'intesa perfetta». E alia Camera il ministro delia Giustizia le aveva fatto eco: «Siamo a disposizione sia io che il ministro dell'Interno per i chiarimenti, qualora ci siano chiarimenti da dare».
Lo staff dei ministro dell'Interno aveva intanto spiegato che, dei 100 milioni stanziati per la nuova convenzione con la Telecom, solo 9 erano destinati ai braccialetti. Il resto «riguarda tutti i servizi di comunicazione elettronica per la sicurez- za del Paese». E poi, ha precisato il Viminale, «occorreva dare continuità a un servizio previsto per legge e come tale obbligatorio. Se finora l'utilizzo è stato limitato, questo è di peso dalla scarsità delle richieste da parte dell'autorità giudiziaria».
Dal 2001 al 2011 i braccialetti elettronici sono costati 110 milioni di euro, undici milioni all'anno, e sono stati usati solo su otto detenuti, giacché i magistrati non si sono mai fidati della sicurezza dello strumento. Tutti hanno parlato di flop. Vedremo se stavolta non sarà cosi.



"Immigrati, evadete la tassa di soggiorno"
la Padania, 02-02-2012
Andrea Ballarin
Cari extracomunitari, evadete pure la tassa di soggiorno. Con profondo senso dello Stato ed eccellente esempio di etica civica, la Cgil in poche righe ha dato dimostrazione a migliaia di immigrati in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno di come basti poco per far funzionare le cose nella repubblica delle banane, nell'italietta dove i disonesti sono chiamati "furbi" e gli zelanti, strapagati, dirigenti della pubblica amministraziome diventano eroi se fanno fuggire all'estero miliardi di euro in liquidità o terrorizzano imprenditori agonizzanti con incursioni da Stato di polizia.
Da ieri è entrata in vigore la norma secondo la quale per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno è necessario pagare una tassa che va dagli 80 ai 200 euro in base al tempo di permanenza richiesto, Che ridere un paesucolo che impone tasse ma non prevede sanzioni se, poi, non le si paga. Questo è quanto succederà.
Ad invitare all'obiezione fiscale gli extracomunitari è stata la composita galassia di associazioni che sostengono, aiutano, forniscono assistenza e informano gli immigrati delle falle della legge italica. Invito immediatamente ripreso dalla Cgil (per mezzo del Patronato Inca) con tanto di circolare diramata a tutte le segreterie locali per meglío centrare l'obiettivo, ossia l'obiezione fiscale di massa.
Roba che se ci provassero dei semplíci contribuenti per protestare contro l'introduzíone dell'Imu o i titolari d'impresa per manifestare disappunto sull'incremento dell'Iva che fa precipitare i consumi, si troverebbero all'istante Befera e i suoi "bravi" flnanche nelle mutande. All'extracomunitario immigrato, invece, obiettare è concesso, senza conseguenze. È diritto garantito non pagare, evitare ogni possibile sanzione, fregarsene delle leggi e ridacchiare a crepapelle. Perché sta scritto ne- ro su bianco nella circolare del 27 Gennaio dell'lnca Cgil (Prot. Circ5/imm/mdc) che gli immigrati interessati a rinnovare il permesso di soggiorno, dovranno attenersi si al decreto che "stabilisce gli importi del contributo, in relazione alla durata del permesso richiesto dallo straniero", ma che "sarà ovviamente nostro compito dare indicazloni in merito agli importi da versare". Per capire, il decreto determina tali importi, ma sarà la Cgil a dare indicazione su quanto sborsare. Curioso, no? Tutto si chiarisce un capoverso più in basso. "Nel caso venisse versato un importo inferiore a quello stabilito, riteniamo lo straniero sarà invitato a versare la differenza al momento della rilevazione delle impronte". Palesemente, è un invito a pagare meno di quanto dovuto, poi si vedrà. E, Infatti, il cerchio si chiude leggendo un'altra circolare, la numero 400 sempre del 27 gennaio ma diramata dal ministero dell'Interno, che chiarisce quale sia il fine della Cgil la quale, testante, ha annunciato che presenterà, comunque, ricorso per abolire la normativa. "Se l'importe versato è inferiore rispetto a quello dovuto - è il passaggio della circolare ministeriale - l'operatore dovrà sospendere la trattazione della istanza in modo da consentire al richiedente l'lntegrazione dell'importo». È persino banale: non si paga una tassa, non è prevista alcuna sanzione. Una follia? «La pratica, nel frattempo - osserva l'esponente leghista Sonia Viale - viene solamente sospesa, non rifiutata, per consente al Governo attuale di prendere tempo e di trovare il sistema di abrogare la norma introdotta con il "pacchetto sicurezza" nel 2009 e resa operativa dal decreto sottoscritto lo scorso ottobre dal ministri Roberto Maroni e Giulio Tremonti», «Oppure - evidenzia la rappresentante del Carroccio - per ridurre quasi del tutto il "peso" di questa imposta che, secondo quanto programmato, dovrebbe coprire i costi degli accordi di integrazione che entreranno in vigore a marzo, le spese degli sportelli unici dell'immigrazione e, in parte, anche il carico economico per i legittimi rimpatri dei clandestini ». I sospetti di Sonia Viale prendono forma nel pomeriggio. Parla Annamaria Cancellieri. inquilino del Viminale: «Stiamo mettendo a punto una norma - dichiara in audizione alla commissione Affari Costituzionali della Camera - che, penso, riusciremo a completare nel giro di una o due settimane e che rivoluziona completamente il sistema di rilascio dei permessi di soggiorno». «Si tratta - precisa la Cancellieri di un riordino complessivo, di una semplificazione che porterà dei Cambiamenti che poi si rifletteranno anche sull'aspetto economico«. Tutto chiaro ora? «Sarebbe interessante capire - sottolinea la Viale - primo, dove Monti e i suoi troveranno la copertura finanziaria di queste risorse che verranno a mancare e, secondo, come riusciranno ad evitare l'innesco di un meccanismo infernale che, con tali incertezze, produrrà una miriade di ricorsi e notevole sperpero di denaro pubblico». Un grande pasticcio, dunque, che si va ad aggiungere alla lista interminabile di danni già procurati al Paese dallo squadrone di professoroni che, al contrario, questa Italia avrebbero dovuto salvarla. E fa molto riflettere, poi, il dato politico fornito dalla Cgil che invita apertamente all'obiezione fiscale gli extracomunitari ed è pronta, un istante dopo, a stracciarsi le vesti se la Lega Nord invita a non pagare il canone Rai. Due pesi, due misure. Da una parte un Carroccio che dà scandalo, dall'altra l'obiezione fiscale che diventa quasi una medaglia da appuntare al petto. Ma è cosi, purtroppo, dietro l'angolo, tempi bui.



Il Viminale: «Presto una rivoluzione nei permessi di soggiorno In cinque anni cresciute del 130% le richieste di cittadinanza
Avvenire, 02-02-2012
VINCENZO R. SPAGNOLO
Stiamo mettendo a punto una norma che, nel giro di una o due settimane, rivoluzionerà completamente il sistema dei permessi di soggiorno, compresa la tassa in vigore da lunedi scorso». Non è un annuncio da poco, quello dato dal ministro dell'interno, Anna Maria Cancellieri, in audizione ieri davanti alla commissione Affari costituzionali della Camera. Un'anticipazione che il ministro, pur senza entrare nei dettagli concreti del provvedimento, ha spiegato cosi: «Sarà un riordino complessivo, frutto di un ragionamento sul tipo di diflicoltà che possono trovarsi nel presentare le domande di permesso di soggiorno. Una razionalizzazione che porterà dei cambiamenti, che si rifletteranno anche sull'aspetto economico. E' quindi, sulla nuova tassa appena entrata in vigore». II riferimento è al pagamento fra 80 e 200 euro disposto dal precedente governo con un decreto Tremonti-Maroni (in vigore dal 30 gennaio) a carico degli immigrati che intendano rinnovare il permesso di soggiorno.
Ridurre attese per cittadinanza. Secondo il ministro, i tempi per ottenere la cittadinanza italiana vanno ridotti, ma serve cautela nel passaggio dall'attuale ius sanguinis (che spetta a chi nasce da genitori italiani) allo ius soli (diventa italiano chi nasce nel territorio nazionale). Bisogna intanto lavorare per ridurre i tempi del procedimento di naturalizzazione
(in media 730 giorni d'attesa), imputabili, per la Cancellieri, anche all'aumento esponenziale delle domande presentate: «Si è passati dalle 30.573 istanze del 2006 alle 70.358 del 2010, con un incremento del 130%».
Polemiche su braccialetto. «C'è una legge che prevede l'uso dei braccialetti elettronici e quindi abbiamo l'obbligo di attenerci a quella norma», ha osservato la Cancellieri in riferimento al rinnovo di una convenzione con Telecom per i braccialetti elettronici da applicare a alcune centi- naia di detenuti, rinnovo dei quale - secondo alcuni servizi giornalistici - il ministro della Giustizia Severino non era a conoscenza. Un'ipotesi respinta dalla titolare del Viminale: «Tra me e il ministro della Giustizia c'è perfetta intesa», ha ribattuto pacatamente.



Ius soli: quei cittadini di serie B che l'Italia dovrebbe riconoscere
L'intervento del presidente della Repubblica riaccende la discussione sul diritto dei figli di immigrati nati nel nostro paese a non essere discriminati per le loro origini. L'età globale ormai implica la coesistenza in dosi massicce di culture lingue etnie e religioni diverse su un medesimo territorio  
la Repubblica, 02-02-2012
CARLO GALLI
È DIFFICILE essere cittadini. In ogni tempo sono stati molti, e assai diversi fra loro, gli ostacoli che sbarrano l'accesso alla cittadinanza o che ne condizionano e vanificano l'esercizio. Pare che non si possa includere alcuni nello spazio politico senza escludere o discriminare altri. In Grecia, infatti, la cittadinanza era ristretta a una sola parte del corpo sociale, ai maschi liberi figli di liberi, e  -  se si trattava di una democrazia  -  consisteva nella partecipazione diretta agli affari della città attraverso la pubblica deliberazione in assemblea.
L'esclusione, o meglio l'inclusione subalterna e differenziata, di classi, ceti e generi (gli schiavi, le donne, i meteci, ossia gli stranieri residenti) era netta. Invece Roma si differenzia dal mondo greco perché concepisce la cittadinanza come uno spazio non etnico ma giuridico e istituzionale, all'interno del quale possono essere accolti (naturalmente, dopo dure lotte civili) ceti subalterni e genti diverse, politicamente sottomesse; certo, anche questa cittadinanza riguarda solo i maschi liberi, e perde progressivamente il significato di partecipazione politica via via che Roma si trasforma in un impero mondiale.
Il mondo cristiano medievale predica la cittadinanza universale del regno dei cieli ma in questo mondo conosce cittadinanze plurime, particolari, gerarchizzate. La sua cifra è la differenza (fra nobili, clerici, plebei); solo nelle città si aprono spazi di conflitto e di lotta per l'accesso alla cittadinanza di larghe fette
di popolo, a sua volta diviso fra ricchi e poveri. Che la cittadinanza sia un'inclusione che implica un'esclusione, o una discriminazione, resta confermato (si pensi non solo alle donne, ma anche agli eretici, o agli ebrei).
 È la modernità che si incarica di affermare la cittadinanza universale, l'uguaglianza civile e politica, senza esclusioni. Più che di lotte, ora, si deve parlare di autentiche rivoluzioni che azzerano le discriminazioni; il cittadino dei tempi nuovi vive un'universale appartenenza alla repubblica.
Eppure, quel cittadino è al tempo stesso un borghese; ovvero, dal godimento di quella cittadinanza sono per lungo tempo esclusi i non-proprietari, i poveri, ancora e sempre le donne, e tutto il mondo coloniale. Sono state ancora necessarie lotte durissime perché i diritti di cittadinanza diventassero effettivi, perché la cittadinanza fosse davvero inclusiva, perché ai diritti civili e politici si affiancassero i diritti sociali.
 Ma anche quest'ultima fase della storia della cittadinanza, che coincide con la democrazia e con lo Stato sociale, ha i suoi problemi e le sue contraddizioni. Prima di tutto all'esercizio della cittadinanza: ciò che il mondo d'oggi produce è più un apatico consumatore che un cittadino.
Ma un altro rischio sovrasta la cittadinanza moderna. L'attuale crisi dello Stato sociale è di fatto crisi della cittadinanza: la frammentazione della società, la marginalità, la precarietà, sono infatti espulsioni dalla sfera pubblica; la cittadinanza non è più appartenenza ma si rovescia in rancore, in frustrazione; e, ancora una volta, in esclusione.
 A ciò si aggiunge il fatto che la cittadinanza moderna è sì universale, ma è determinata dallo Stato, che prescrive le modalità con cui si diventa cittadini; se prevale l'elemento della nascita, della cittadinanza dei genitori, vige lo ius sanguinis, mentre se prevale il territorio in cui si nasce o in cui si vive, vale lo ius soli. In Italia il primo è assai più importante del secondo: lo straniero residente può chiedere la cittadinanza solo dopo molti anni di permanenza e di lavoro. E i figli degli stranieri non diventano italiani neppure se nascono e vivono in Italia.
 Quando la società era omogenea, quando lo Stato coincideva con la nazione, i problemi erano relativamente pochi: di solito, si nasceva in Italia, da genitori italiani. Ma oggi l'età globale implica la coesistenza, in dosi massicce, su un medesimo territorio di diverse culture, etnie, lingue, religioni. E la prevalenza dello ius sanguinis fa sì che nel medesimo spazio si creino differenze rilevantissime fra residenti cittadini e quantità sempre maggiori di residenti non-cittadini, molti dei quali nati in Italia, che come nuovi meteci condividono la nostra vita quotidiana ma non la nostra cittadinanza.
Nasce così un'assurda società post-moderna, in cui la diversità culturale è disuguaglianza civile e politica; una società che non fa convivere le differenze ma le stratifica, le gerarchizza. Ritorna, insomma, la difficoltà della cittadinanza, secondo una modalità che sembrava superata; non si tratta più del suo cattivo esercizio, ma di uno sbarramento all'accesso.
 L'argomento che allargando i casi di acquisizione della cittadinanza tramite lo ius soli si snaturerebbe l'identità italiana è del tutto erroneo: non c'è in Costituzione alcun accenno a una necessaria base naturale o culturale della repubblica, che è fondata solo sul lavoro e sui principi della democrazia. La cittadinanza esige non uniformità né omogeneità, ma uguaglianza e pari dignità.
In realtà, chi chiede oggi la cittadinanza non universale ma selettiva e diseguale, propugna una sorta di uscita a ritroso dalla modernità, verso un nuovo feudalesimo delle disuguaglianze, verso nuove servitù. E, al contrario, la lotta per la cittadinanza degli stranieri residenti, può essere un'occasione per riaprire una stagione di partecipazione politica anche per chi la cittadinanza già ce l'ha, ma non ne fa buon uso. Non sono solo gli stranieri, ma tutto il Paese, ad averne bisogno.  



lus soli, le ragioni di Grillo
il Fatto Quotidiano, 02-02-2012
Bruno Tinti
Mi ricordo quando c'era B. Non passava giorno che non me ne venisse in mente una: l'illegalità continuata; l'impunità spacciata per condizione necessaria per ogni statista, categoria cui lui, con incredibile faccia di tolla, sosteneva di appartenere; l'abolizione delle intercettazioni e dell'informazione contrabbandata per doverosa difesa della privacy; il processo breve e il processo lungo come presupposti di tutela del sacrosanto diritto di difesa e insieme di una giustizia efficiente; e le decine di altre cazzate recitate da lui e dai suoi sicofanti. E spesso, di fronte a questa critica senza se e senza ma, a questo disprezzo costante con cui accoglievo ogni iniziativa o esternazione di B&C, mi chiedevo: "Ma non sarà che sono prevenuto? Possibile che non ci sia qualcosa, anche piccola, che non sia vergognosa, illegale, tragica per il paese?". E ogni volta mi rispondevo: "No, non c'è. Semplicemente sono obiettivo. Si tratta di delinquenti impuniti". Poi è arrivato il governo dei tecnici; e io ho capito che era vero, che ero stato obiettivo. Perché nei confronti di Monti e dei suoi professori ho assentito (molto) e dissentito (poco). Che abbia avuto ragione o torto nei miei giudizi, non ho avuto pregiudizialmente amici o nemici. Li ho giudicati per come mi sembrava giusto. Dovrebbe essere ovvio; e invece cosi non è.
LO SI È VISTO nelle reazioni alle dichiarazioni di Grillo e della ministra Cancellieri quanto alla cittadinanza per i figli di immigrati che nascono in Italia. "Non è una priorità", ha detto Grillo; "Non può essere una cosa automatica" ha detto Cancellieri. E si è scatenato l'attacco: incivili, razzisti, non solidali, leghisti; insomma tutto l'arsenale a suo tempo riservato al Pdl e alla Lega. Come se fosse necessario trovare a tutti i costi qualcosa su cui dissentire, qualcosa per poter sparare, finito B., su qualcun altro. Come se fosse necessario avere un nemico per esistere. Intendiamoci: critiche al governo Monti se ne possono fare molte, dalle liberalizzazioni timide alla mancata patrimoniale; e se poi regalassero le frequenze... Ma qui veramente c'era poco da criticare.
Nessuno può negare che, al momento, l'Italia ha una sola priorità: i soldi. Dobbiamo garantirci la sicurezza economica: pagare gli stipendi, disporre di risorse per la crescita, accumulare risparmio per pagare i debiti, assicurare ai Cittadini cibo, istruzione, sanità. Niente è più importante di questo. Nemmeno la giustizia, massacrata da B&C (e, se è per questo, anche dalla cosiddetta opposizione quando era maggioranza). E siccome una parte importante del Parlamento sarebbe felicissima di far ca- dere il governo su questo problema (solo perché sarebbe certa di guadagnarsi sufficiente consenso alla conseguenti elezioni da parte dei razzisti che si sono bevuti tutte le panzane di B&C in tema di immigrazione e sicurezza), è ovvio che, fino a quando non siano stati trovati soldi in quantità sufficiente, di altro non si parla. Non si deve parlare. Questo ha detto Grillo. E non capisco cosa ci sia da dissentire.
Quanto al ministro Cancellieri. Ma qualcuno ha letto le sue dichiarazioni? O si è fermato alla prima frase in modo da poterla accusare (e con lei il governo di cui fa parte, questo è l'obiettivo reale) di disumanità, leghismo e nequizie varie? Cancellieri ha detto che sí, si può concedere la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia; ma ad alcune condizio- ni. I genitori devono essere persone che hanno una residenza Stabile in Italia, un lavoro, un reddito su cui pagare le imposte; i loro figli debbono frequentare le scuole italiane, prepararsi a vivere nel nostro paese e contribuire al suo svuuppo economico e culturale; debbono essere insomma integrati nel nostro sistema-paese. A queste condizioni è ovvio che una cittadinanza riconosciuta ius soli (perché sono nati in Italia) non è solo possibile, è doverosa. Ma solo a queste condizioni. E che c'è di sbagliato? Anche perché i critici di Grillo e di Cancellieri non hanno nemmeno pensato a quello che succederebbe se l'Italia ri- conoscesse la cittadinanza a chiunque fosse nato nel suo territorio. Aerei charter, treni, pullman, navi intere scariche- rebbero signore incinte all'ottavo mese che, con pieno diritto (turiste sono) partorirebbero i loro bambini nei nostri ospedali e cliniche per poi tornarsene a casa (forse) con il loro piccolo Cittadino italiano. Il che, dal loro punto di vista, e nonostante il precario stato economico del nostro paese, è sempre meglio che essere Cittadino Congolese o somalo. Il numero dei Cittadini italiani nei mondo in breve raddoppierebbe o triplicherebbe. Consolati e ambasciate sarebbero sommersi di lavoro, dei tribunali non parliamo proprio; e, peggio di tutto, milioni di persone avrebbero diritto a un'assistenza sanitaria che però sosterrebbero poco o nulla (sempre povera gente sarebbe) con le imposte.
SE SI VOLESSE essere cinici fino in fondo, si potrebbe anche pensare a un bel business (veramente la Lega un'idea del genere l'aveva già avuta; ma guarda come gli estremi si toccano): l'Italia concede la sua cittadinanza, ma richiede un "rimborso spese"; che so, da 500 a 1.000 euro. Di questi tempi anche pochi soldi fanno comodo.
A parte gli scherzi, ma vi rendete conto dove si va a finire con la droga del nemico a tutti costi?



Storie di ragazzi e ragazze destinati a restare delusi
L'INGIUSTIZIA QUOTIDIANA

la Repubblica, 02-02-2012  
AMARA LAKHOUS
Tre anni fa mi trovavo a Toronto, in Canada, per un festival internazionale di letteratura. Ricordo,in particolare, un incontro interessante con un simpatico musicista. Mi disse che aveva da poco ottenuto la cittadinanza italiana con estrema facilità, era bastato il certificato di nascita del bisnonno immigrato dal Veneto all'inizio del secolo scorso. Niente esame di lingua, di storia, di cultura, di costituzione, per misurare la sua italianità. «Non parlo l'italiano - ripeteva ridendo - e non sono mai stato in Italia, Paese di cui conosco pochissime cose. Per essere sincero mi sento completamente canadese». Gli chiesi: «Allora perché hai deciso di diventare Cittadino italiano?». Mi rispose: «Per far felice la nonna, l'unica in famiglia che parla ancora qualche parola di italiano».
Gli raccontai la mia storia per ottenere la cittadinanza italiana, una cittadinanza " sudata", non regalata. Un lungo percorso durato 12 anni di residenza, una maturazione profonda e una lenta italianizzazione fatta con la mente, la lingua, la conoscenza, il dialogo, la scrittura e soprattutto con il cuore.
Mi torna in mente spesso la storia dei "canadese" quando incontro ragazze e ragazzi nati in Italia e con genitori immigrati. Mi colpisce la loro determinazione e maturità: non hanno dubbi identitari, si sentono italiani a tutti gli effetti. Capiscono che il problema non sono loro, ma il contesto in cui si trovano, fatto di propaganda, ipocrisia, cattiveria e mancanza di buon senso. Ricordo che una volta una ragazza nata a Roma, di origine marocchina, mi spiego con poche parole la grande frustrazione e ingiustizia in cui vivono giovani come lei: «Quando sono a Roma mi chiamano la marocchina, e quando vado in Marocco mi chiamano l'italiana». Non parla arabo, però va fiera del suo romanesco, si considera una grande tifosa della nazionale di calcio e cono- sce a memoria le canzoni di Lucio Battisti. Poi, con un tono pieno di tristezza e di sofferenza: «Sono un'italiana con il permesso di soggiorno!». È umiliante e assurdo chiamarli "immigrati di seconda generazione". Sono i genitori che sono immigrati, non loro. Aveva ragione il grande scrittore arabo Abu Hayyan Al-Tawhidi (morto nel 1023) quando sosteneva che «lo straniero piü straniero in assoluto è quello che vive da straniero nella propria patria».
In questi ultimi anni è stata concessa la cittadinanza italiana a tanti, soprattutto all'estero, in base solo allo ius sanguinis. Molti di loro votano anche se non pagano le tasse e possono condizionare la vita politica italiana. Invece i figli di immigrati nati in Italia sono esclusi perché non hanno un antenato italiano nel loro albero genealogico, cioè qualche goccia di sangue italiano nelle vene. Cosi si vedono costretti al diciottesimo anno a chiedere il permesso di soggiorno. L'Italia non do- vrebbe essere il loro Paese? Perché continuare a rigettarli e a trattarli come figli illegittimi? Ne conoscono la
cultura, la cucina, la storia, la geografia, lo sport e la politica. Ne parlano la lingua e i dialetti locali. Condividono con gli italiani "puri" felicità e dolori, pregi e difetti, caratteri e umori. Insomma amano questo Paese e vogliono essere amati.
Non dare la cittadinanza a chi è nato in Italia è semplicemente "vergognoso", come ha detto chiaramente il Presidente Giorgio Napolitano.
 


Milano cambia rotta sugli asili "Aperti ai figli di clandestini"
La Lega: istigazione all'illegalità. Pisapia: è un diritto per tutti
Corriere della sera, 02-02-2012
Federica Cavadini
MILANO — «Possono essere iscritti ai servizi all'infanzia del Comune i bambini presenti abitualmente nel Comune di Milano e privi di una residenza anagrafica». È il passaggio centrale della nuovissima circolare della giunta arancione di Giuliano Pisapia sulle iscrizioni a nidi e materne comunali. Ed è la vicesindaco Maria Grazia Guida a sottolineare subito il cambio di rotta rispetto alla precedente amministrazione di Letizia Moratti: «La nostra è un'apertura incondizionata, prima invece le iscrizioni degli irregolari venivano accolte ma con riserva». Come dire, solo adesso a Milano tutti i bambini hanno uguali diritti, anche i figli dei «nuovi milanesi», regolari e irregolari, senza permesso di soggiorno o con permesso scaduto.
Il documento compare nel tardo pomeriggio sul sito del Comune. E fra le novità evidenziate da Palazzo Marino ecco «l'accoglienza per tutti i bambini che vivono a Milano». Milanesi, stranieri, regolari e clandestini, tutti hanno diritto a iscriversi ai servizi per l'infanzia, dai nidi alle materne. In serata la vicesindaco con delega all'Istruzione firma un comunicato in cui spiega le ragioni della scelta e cita la Costituzione: «Abbiamo aperto a tutti perché con l'articolo 31 ci richiama alla tutela dell'infanzia e con l'articolo 34 alla garanzia del diritto allo studio».
Immediata la replica della Lega: «Ma questa è istigazione all'illegalità», sbotta il capogruppo Matteo Salvini. «I bambini non si toccano ma la decisione della giunta Pisapia è un pessimo segnale. La clandestinità, come previsto dalla legge, deve essere punita. Non incoraggiata. Il rischio? Che qualcuno usi i figli per non essere espulso. La soluzione? Lascino i bambini qui e se ne vadano. Non dovrebbero vivere nella clandestinità».
Tutti i bambini in graduatoria senza precedenze né riserve, come invece era stato in passato. «Non intendiamo penalizzare i figli di cittadini non in regola — ha spiegato ieri Guida — La vecchia amministrazione accoglieva con riserva l'iscrizione di questa tipologia di bambini e perciò era stata condannata perché il provvedimento era stato ritenuto discriminatorio». Un passo indietro. Quando il sindaco Letizia Moratti firmò una circolare per dire niente posto all'asilo ai figli dei genitori che non avranno ottenuto il permesso di soggiorno entro il mese di febbraio, intervenne l'allora ministro Fioroni e minacciò la revoca della parità a quelle scuole e il taglio dei finanziamenti: «È un illegittimo atto discriminatorio», disse. Poi arrivò, dopo il ricorso di una mamma straniera, l'ordinanza del giudice a stabilire che bastava «l'abituale dimora», che non occorre la residenza anagrafica per iscrivere i figli nelle scuola comunali milanesi. Le graduatorie già allora furono corrette. E Palazzo Marino fu anche condannato a un risarcimento simbolico di 250 euro per aver discriminato un bimbo.
Anche così si è arrivati all'«apertura incondizionata» di Pisapia. «Ma non cambia nulla, sono solo parole — sostiene l'ex assessore morattiana Mariolina Moioli — Non potevano fare diversamente, dopo la decisione del giudice che obbligò già noi a utilizzare quella dicitura sull'"abituale dimora". La verità è che quelle famiglie restano in coda perché nelle graduatorie senza residenza anagrafica avranno punteggi bassi». «A meno che negli asili di Milano quest'anno non ci sia posto per tutti, la sostanza non cambia — secondo Moioli —. Ci tengono a far vedere che c'è discontinuità ma poi penalizzato le famiglie: è saltata la territorialità, quindi addio posto nella scuola sotto casa; niente doppia graduatoria quindi sarà impossibile correggere gli errori e classi da 25 destinate a crescere ancora dopo i ricorsi».



LE DUE PATRIE DEI ROMANI
MAURIZIO BETTINI
la Repubblica. 02-02-2012
Quando Romolo fondò Roma, accogliendo nel celebre asylum gente di ogni provenienza e condizione, non si limito a scavare un solco destinato a segnare il perimetro delle mura. Al centro del tracciato aprî infatti una fossa, affinché ciascuno degli stranieri potesse gettarvi dentro una zolla della propria terra d'origine. In questo modo il suolo della futura Ci ttà risultò da una vera e propria mistione di terre, quella del Lazio e quella nativa di ciascun Cittadino. Il significato di questo mito balza agli occhi se solo lo si confronta con il modo in cui immaginavano le proprie origini gli Ateniesi. Essi raccontavano infatti che i primi re - Cecrope ed Erittonio - erano venuti su direttamente dalla terra, e che erano addirittura per metà serpenti, le creature più terrestri che esistano. Conformemente a ciò gli Ateniesi consideravano anche se stessi autochthones, ossia (ancora una volta) "venuti su dalla terra". Il contrasto non potrebbe essere più evidente: se ad Atene è la terra che produce gli uomini, a Roma sono gli uomini che producono la terra.
Questi due miti rispecchiano due modi contrapposti di immaginare l'appartenenza civica. Ad Atene terra e sangue fanno tutt'uno, questa città di "autoctoni" accetta, come Cittadini, solo coloro che sono figli a loro volta di Cittadini ateniesi. Al contrario Roma costituisce una comunità della quale, indipendentemente dal proprio sangue, si può acquisire il diritto di far parte - ma sempre (per dir cosi) portando con sé una zolla della terra d' origine. In che modo? Ce lo spiega Cicerone, dialogando con Attico nelle Leggi.
«Tutti coloro che vivono nei municipi» - diceva- «hanno due patrie, una di natura, l'altra di cittadinanza; una che riguarda il luogo, l'altra il diritto». Anche lui del resto aveva due patrie: da una parte Arpino, il municipio da cui proveniva la sua famiglia ; dall'altra Roma . Ma come, si stupiva Attico, dunque non pensava che era Roma la sua patria? Certo, rispondeva Cicerone, e per la Città egli avrebbe dato anche la vita, secondo il dovere di ogni buon Cittadino. Questo però non gli impediva di avere anche un'altra patria, non di cittadinanza ma di natura, non di ius ma di locus. Per comprendere il significato di queste singolari affermazioni dell'Arpinate (ecco perché lo hanno sempre chiamato cosi), bisogna ricordare che dopo la fine delle guerre sociali, all'inizio del primo secolo a. C., i Romani avevano inaugurate una politica della cittadinanza che, in qualche modo, traduceva in legge quella famosa zolla di terra. Ai Cittadini veniva infatti attribuita una origo, ossia un "luogo originario", città, colonia o municipio che fosse. Tale origo connetteva ciascuno a una comunità i cui appartenenti avevano ricevuto collettivamente la cittadinanza romana. Questa "patria di luogo", come la chiamava Cicerone, che si trasmetteva di padre in figlio, poteva essere in Italia, però anche in Spagna o sulle coste dei Mediterraneo. Di conseguenza gran parte dei Cittadini romani erano tali proprio in quanto e perché avevano una " origine" non romana. Altro non ci si sarebbe potuti aspettare, del resto, da un popolo che immaginava in questo modo perfino i propri dèi e il proprio mitico antenato. I Penati della Città, divinità civiche per eccellenza, i Romani li avevano infatti collocati non a Roma ma altrove, a Lavinio, dove si sosteneva che essi avessero (al solito) la propria origo; mentre come capostipite si erano notoriamente scelti un troiano, Enea, che in quanto tale aveva un'origo ben lontana dal Lazio. Il fatto è che i Cittadini di Roma avevano fatto una scoperta preziosa: come sentirsi sestessi non a dispetto dell'essere altri, ma proprio grazie a questo.








 

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