Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

28 novembre 2013

La violenza del bangla tour A Roma è caccia al nero
l'Unità, 28-11-2013
Italia-razzismo
Il deputato del Pd Khalid Chaouki ha presentato alla Camera un’interrogazione al ministro dell’Interno Angelino Alfano sui «bangla tour» che si stanno svolgendo in alcuni quartieri di Roma a opera di giovani neofascisti. Si tratta di vere e proprie ronde anti-immigrati e nello specifico anti-bengalesi che, come sostiene Chaouki, «evidenziano una violenza di chiara matrice politica e ideologica che sembra far capo a Forza Nuova, il gruppo di estrema destra romana». Attraverso l’interrogazione si vuole conoscere «quali provvedimenti il ministero dell’Interno prenderà per contrastare, quanto prima, il degenerare di tali azioni squadriste ai danni dei bengalesi e delle altre comunità straniere». La ragione di tanta violenza sarebbe da ricercarsi in un rito di passaggio «violento e vigliacco che individua nell’immigrato una preda “facile”, particolarmente indifesa. Condanniamo e respingiamo con forza una brutalità tanto feroce e vigliacca». Chaouki sostiene inoltre che un’assenza governativa e degli amministratori locali, sarebbe gravissima perché tocca proprio a loro trovare delle soluzioni a breve e a lungo termine. Si tratta dunque sia di mettere a punto provvedimenti in grado di far cessare queste attività, sia di pianificare politiche che incidano sull’aspetto più fragile e meno coltivato in tema di immigrazione: ovvero quello culturale.
È infatti attraverso gesti concreti che si costruisce un terreno fertile all’integrazione di persone straniere in Italia e che impedisce il proliferare di fenomeni quali le ronde o di gesti ostili all’immigrazione. In questo senso, e per spigare come i provvedimenti normativi influiscano sulla cultura dell’accoglienza, è utile ricordare il «pacchetto sicurezza 2009» firmato dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni con cui, oltre a introdurre il reato di immigrazione clandestina, vennero regolamentate le ronde attraverso la creazione di un albo presso le prefetture e definendo i requisiti per partecipare. Entrambi questi provvedimenti hanno avuto un effetto negativo sulla percezione collettiva dell’immigrazione. Per quanto riguarda il reato, infatti, da quel momento ogni persona straniera era vista come potenziale criminale da assolvere solo nel momento dell’esibizione del regolare titolo di soggiorno. La regolamentazione delle ronde era, poi, a sostegno del piano sulla sicurezza per cui i cittadini stessi dovevano prendersi cura del proprio quartiere. Quell’introduzione contestuale, però, non ha fatto altro che identificare come nemici gli stranieri che, in alcune zone d’Italia, soprattutto quelle in cui la Lega regnava, erano visti come degli invasori da allontanare. Per fortuna, a un anno dall’introduzione del «pacchetto sicurezza», erano poche le associazioni di volontari ad aver chiesto il riconoscimento ufficiale al sindaco e al prefetto: una a Treviso, una a Milano e un’altra a Bolzano.
I «bangla tour» dei giorni scorsi sono lontani dall’idea di Maroni, ma probabilmente l’effetto discriminante è lo stesso.



Lampedusa, l’uomo che non pesca più «Dovevo salvarli tutti, li rivedo affogare»
Due mesi fa Domenico Colapinto è stato tra i primi a soccorrere i migranti del naufragio. Ora è in cura da uno psicologo
Corriere.it, 28-11-2013
Felice Cavallaro
LAMPEDUSA - Sono passati due mesi da quando le sue mani hanno tirato su diciotto naufraghi, «senza riuscire a salvarne altri cento, altri duecento, uomini e donne, ragazzi come i miei figli che affogavano davanti a me, dannato, impotente, pure io sfinito, senza forze, come loro, ma io vivo, loro annegati».
È il tormento di un pescatore che da allora, dalla drammatica alba del 3 ottobre, 366 migranti affogati, non riesce più a tornare in mare, a mettere piede sul Molo Favarolo, a saltare sulla fiancata della «Angela C», la motonave di famiglia con la poppa infine stipata quel maledetto giorno di vivi e di morti.
È l’incubo che Domenico Colapinto, 50 anni, moglie e due figli, si porta appresso da allora ogni notte, gli occhi sgranati sull’orrore: «Rivedo le braccia unte di nafta che mi scivolano via, mentre quei cristiani spariscono fra le onde guardandomi, chiedendo...».
Colapinto con Aregal, uno dei naufragi salvatiColapinto con Aregal, uno dei naufragi salvatiLo ripete al fratello Raffaele, il proprietario della barca, quando riesce a trovarlo perché Domenico lo ammette: «Appena chiama, sudo freddo. No, non ci riesco, esco di casa e sparisco». Come ripete alla psicoterapeuta che una volta alla settimana arriva da Palermo, gli occhi dubbiosi, esitante, quasi diffidente, seduto di fronte a lei, nell’ambulatorio di Lampedusa, per raccontare di malavoglia una storia tirata fuori con le tenaglie: «Dice che se ne parlo passa. Io parlo e lei scrive. Ma io la testa ce l’ho sempre lì. Non ci deve pensare, dice. Come faccio se i morti stanno davanti ai miei occhi?».
È l’inquietudine insinuatasi in questa casetta di via Duse, all’angolo del corso principale, a due passi dalla Chiesa di Lampedusa, una porticina di alluminio sul marciapiede, il salottino come ingresso, un drappo a protezione del divano, la riproduzione di una fontana alla parete, la moglie Maria Rosa preoccupata «perché da allora non è più lo stesso». Racconta lei le notti: «Si alza, va in bagno, torna dolorante, prova a dormire, ma lo vedo sveglio fino a giorno».
È stato iscritto nell’albo degli eroi di Lampedusa, la citazione su qualche giornale, il nome echeggiato fra memorie prefettizie ed encomi locali, ma due mesi dopo tanti dimenticano e l’orrore resta dentro i pochi che si incontrano in via Roma. Fra bar, boutique e ritrovi chiusi. Il corso dei turisti frustato dal vento. Qualche migrante in libera uscita dal Centro accoglienza. Come Aregai Mehari, un trentenne di Khartum salvato quella mattina da Colapinto e diventato prezioso testimone di giustizia perché ha riconosciuto lo scafista, il somalo indicato ai magistrati di Agrigento che lo hanno fatto arrestare.
Adesso il pomeriggio è come se Colapinto e Aregai avessero sempre appuntamento davanti alla Chiesa. Con il sopravvissuto che corre verso il pescatore in analisi: «Fatti abbracciare papà». Lo chiama proprio così, Aregai, mischiando inglese e siciliano: «Io sono vivo per lui. Io sono nato di nuovo il 3 ottobre. E lui è mio papà. Come per Kibret e Semhar...».
La prima è una sua cugina partita con lui dal Sudan, l’altra è un’eritrea incrociata in Libia, salpata sulla stessa barca affondata il 3 ottobre davanti all’Isola dei Conigli. Tutte e due al cellulare di Aregai nel pomeriggio ventoso di Lampedusa. La prima da Milano, l’altra da Roma. Entrambe felici di sentire il loro salvatore. «Papà fatti forza», gli dicono le ragazze dirette in Svezia dove hanno parenti e Colapinto si illumina perché via cellulare arrivano le foto delle due donne salvate trasformando il braccio destro in una leva, per questo ancora ferito e dolorante: «Mi ero imbracato a poppa, il corpo in acqua per tirare sulla fiancata i migranti. Le ultime due sono state proprio loro, Kibret e Semhar, il braccio destro come il braccio di una gru. Lo sentivo quasi spezzarsi. Ma che si spezzi, pensavo, se in cambio riesco a salvare queste figliole che il mare non si può portare via... Erano ridotte male. Le fecero partire subito per l’ospedale di Palermo. Adesso che le sento per telefono e vedo le foto mi commuovo. E ripenso a come cominciò tutto».
Cominciò al primo chiarore quando Colapinto, impegnato a incolonnare casse di triglie e calamari a poppa, intuì il peggio: «Inforcai il cannocchiale, a prua, e vidi una marea di persone che si disperavano, già soccorsi da una barca di turisti, altri che galleggiavano fra le onde. Macchina a tutta forza, grido. Chiamo “Lampedusa Circomare” e mi dicono che le motovedette arrivano. Ma la lente del cannocchiale era un zoom sulla strage: tre vivi si reggevano su due morti, altri gridavano aggrappati a pezzi di legno, senza la barca che non c’era, calata a fondo con la stiva piena di donne e bambini... Poi, poi ci siamo messi a raccogliere i vivi e i morti. Con l’“Angela C” fai fatica, la fiancata è alta. Io passavo da poppa a prua, buttavo salvagente, ciambelle, funi, cime, ma tanti non avevano forza, non si muovevano, erano lì da tre ore, gelo e buio, a ingoiare acqua salata, assiderati. Senti gridare, ne salvi uno e l’altro non lo vedi più. Sei tu che decidi in quel momento di acchiapparne uno e di lasciare morire un altro. Come essere Dio, per un attimo. C’è una donna, gridava mio nipote Francesco da una fiancata. Vai. Ma come vado se c’è uno qui con le braccia tese. Posso lasciarlo affogare? E quella donna muore. Si, ho salvato Kibret e Semhar, ma oltre ai 18 vivi siamo tornati al porto con due donne morte e io ho chiuso a loro gli occhi, belle, lunghe, pantaloni di tuta, camicie stracciate. Come le loro vite. Che mi tornano davanti ogni notte».
Effetto indiretto, secondario e ignorato di una tragedia riflessa negli incubi del pescatore che odia il mare.



Al cinema Milano diventa un SOUQ
Corriere.it, 28-11-2013
Paolo Riva
Luigi rimasto senza casa per la crisi. Mohamed che, partendo dal Maghreb, ha attraversato il Mediterraneo in cerca di una vita migliore. Laura con i suoi problemi di salute mentale. E Richard in fuga dalla guerra nel suo Paese d’origine nell’Africa sub sahariana. Le loro sono tutte storie passate per la Casa della Carità di Milano e sono tutte segnate dalla sofferenza urbana. La fondazione voluta dal Cardinal Martini se ne occupa nel concreto ogni giorno, il suo Centro studi SOUQ la studia nel dettaglio e, dallo scorso anno, l’omonimo SOUQ Film Festival  cerca di raccontarla alla città di Milano attraverso il cinema.
    “Questo concorso – spiega Giancarlo Zappoli, direttore di MyMovies.it e presidente della giuria – si sta affermando sempre più come una finestra sul mondo del disagio sociale che si avvale di opere qualitativamente valide. Le diverse provenienze, così come la diversità di generi e di stili narrativi consentono di affrontare tematiche talvolta complesse con la profonda chiarezza che è caratteristica dei cortometraggi riusciti”.
Questa volta, dopo l’esordio del 2012, al concorso hanno partecipato oltre 70 opere provenienti da tutti e cinque i Continenti. Ne sono state selezionate 18, di quattordici Paesi diversi, per una due giorni di proiezioni gratuite organizzata dalla Casa della carità in collaborazione con il Piccolo Teatro e con il patrocinio del Comune di Milano per il 29 e 30 novembre, nel chiostro Nina Vinchi del Teatro Grassi di via Rovello 2. Tanti e diversi gli argomenti che arricchiranno il programma, dalle condizioni dei minori di strada a Delhi al pregiudizio sui musulmani negli Usa, dal disagio delle periferie napoletane ai segni lasciati a Beirut dalla guerra in Libano, dall’esclusione degli albini in Senegal al dramma dell’autismo in Austria.
    “Sono tutti temi talmente trasversali e il linguaggio del cinema è tanto universale che riesce a coinvolgere e raccontare tutte le grande metropoli” riflette Adolfo Ceretti, docente di criminologia all’Università Bicocca, membro del comitato scientifico del SOUQ e della giuria del festival. “Sono proposte interessanti e che stimolano una forte riflessione sia per chi si occupa di questi temi sia per chiunque viva in una grande città”.
L’idea che sta alla base dell’intero operato del centro studi SOUQ  è infatti quella che gli abitanti delle aree metropolitane di tutto il mondo, a Milano come a Mumbai, vivano difficoltà comuni nella loro quotidianità. “E’ questa la sofferenza urbana che va osservata, studiata e approfondita se davvero vogliamo trovare idee e politiche utili per rendere più felici le nostre città” spiega Silvia Landra, direttrice della Casa della carità. In linea con questa impostazione, il SOUQ Film Festival vuole cercare di accrescere la consapevolezza della cittadinanza sui problemi che toccano i luoghi in cui viviamo e, soprattutto, mostrare che esistono delle soluzioni possibili.
    “Le persone che la nostra società esclude sono soggetti coraggiosi, che lottano ogni giorno per cambiare e migliorare la loro condizione” conclude don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità. “Per questo, quest’anno ancor più dello scorso, vogliamo dare loro voce con delle opere che vengono da tutto il mondo. Siamo convinti che il cinema sia lo strumento adatto per lanciare un messaggio positivo. Pur parlando di sofferenza, a vincere è la forza della relazione, dei legami e della cittadinanza”.



Social card anche agli immigrati. Sì del Senato
La Legge di Stabilità estende il sussidio ai cittadini Ue e agli extracomunitari che hanno la carta di soggiorno. Venti milioni di euro per Lampedusa
stranieriinitalia.it, 28-11-2013
Roma – 27 novembre 2013 – Nel travagliato cammino del disegno di legge di stabilità 2014 si salva l’estensione della social card (o carta acquisti) agli immigrati. È una misura prevista anche dal maxiemendamento su cui il governo ieri notte ha incassato la fiducia in Senato, nonostante il passaggio di Forza Italia all’opposizione.
Il comma 138 dice infatti che la social card, spetterà, oltre che agli italiani, anche ai “cittadini comunitari ovvero familiari di cittadini italiani o comunitari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro che siano titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadini stranieri in possesso di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo”.
La social card è una carta di credito, sulla quale lo Stato ricarica 80 euro ogni due mesi, da utilizzare per comprare alimenti o medicine, oppure per pagare le bollette di luce e gas. Viene concessa ai minori di tre anni (il titolare è il genitore) o agli anziani dai sessantacinque anni in su più bisognosi. In entrambi i casi, infatti, tra gli altri requisiti, c’è un indicatore di Situazione Economica Equivalente inferiore ai 6mila700 euro l’anno.
Nel testo approvato ieri in Senato c’è anche una compensazione per i disagi subiti da Lampedusa a causa degli sbarchi di profughi e immigrati. Vengono infatti destinati al Comune 20 milioni di euro per “interventi di miglioramento della rete idrica, di riqualificazione urbanistica e di potenziamento e ammodernamento dell’edilizia scolastica”.
Ora il disegno di Legge di Stabilità 2014 passa alla Camera dei Deputati per l’approvazione definitiva. Considerati i numeri sui quali può contare la maggioranza a Montecitorio, non dovrebbero esserci sorprese.



I rom sgomberati allontanati dal Cimitero Maggiore e da altre aree
Continuano i controlli delle pattuglie della polizia locale in tutta la zona di Musocco, Gallaratese e Certosa
Corriere.it, 28-11-2013
La polizia locale è intervenuta nel piazzale antistante il Cimitero Maggiore per allontanare circa 40 persone, tutti adulti di etnia rom, che avevano occupato l’area dopo lo sgombero di lunedì in via Montefeltro e via Brunetti. Gli occupanti si sono allontanati spontaneamente. Amsa ha quindi effettuato le operazioni di pulizia nel piazzale. Continuano intanto i controlli delle pattuglie della polizia locale in tutta la zona di Musocco, Gallaratese, Certosa per evitare i bivacchi delle persone allontanate lunedì scorso dai capannoni abbandonati e che non hanno accettato - o non ne avevano diritto - il ricovero nei centri del Comune: in tutto dovrebbero essere circa 400.
ALTRI SGOMBERI - Tra lunedì e martedì sono state allontanate 50 persone da via De Lemene 37, un’area di proprietà in gestione ad Aler che sta provvedendo alla messa in sicurezza. Altre 50 persone sono state allontanate da via De Pisis/via Eritrea dove vi è uno stabile dell’Istituto Negri. Allontanamenti anche nell’area del sottopasso Kennedy. Regolari i monitoraggi nell’area del Cimitero Monumentale, via Cantoni, via Sapri, via Palizzi e in tutta la zona Musocco, Certosa, Gallaratese. In tutto sono impegnate 14 pattuglie della Polizia locale anche in borghese.
ACCOGLIENZA - Nei centri di emergenza di via Lombroso e via Barzaghi sono state sistemate le famiglie rom che hanno accettato l’accoglienza del Comune, 254 persone in tutto: nelle prime notti di gelo invernale di Milano i bambini e i loro genitori hanno così dormito al caldo. «E’ alta la nostra attenzione per evitare che stabili abbandonati o aree della città vengano occupate dai rom allontanati dai capannoni di via Montefeltro e via Brunetti», ha dichiarato Marco Granelli, assessore alla Sicurezza e Coesione sociale e Polizia locale.



La Francia sfida gli islamici «Colpa grave il velo a scuola»
il Giornale, 28-11-2013
Rolla Scolari
Nel giorno in cui una corte d'Appello di Parigi conferma il licenziamento di un'impiegata di un asilo privato per aver indossato sul luogo di lavoro il velo islamico, a Strasburgo si sono aperti i lavori della Corte europea per i diritti dell'uomo sul ricorso di una seconda donna francese, musulmana, contro la legge che nel 2011 ha vietato nel Paese di indossare il velo integrale in pubblico.
Così, la Francia è tornata ieri a parlare di Fatima Afif, 44 anni, musulmana e assistente al Baby-Loup, asilo nei sobborghi multiculturali a Ovest di Parigi.
Nel 2008, la donna era stata licenziata perché indossava l'hijab, il velo islamico, durante le ore di lavoro, benché le regole interne dell'asilo - privato - chiedessero agli impiegati di non presentarsi davanti ai bambini con simboli religiosi evidenti. Una legge francese vieta d'indossare croce, kippah ebraica, velo islamico nei luoghi di lavoro pubblici.
«Oggi un'istituzione repubblicana ha riaffermato la forza del principio della laicità», ha detto l'avvocato dell'asilo, Richard Malka, dopo la sentenza, mentre il Collettivo contro l'islamofobia in Francia, gruppo musulmano, ha parlato di «un vero scandalo giudiziario». Se secondo un sondaggio Bva l'87% dei francesi sulla questione sostiene le parti dell'asilo, molti nella comunità musulmana - la minoranza islamica in Francia è la più vasta d'Europa con oltre 5 milioni di cittadini - considerano il licenziamento e più in generale il divieto del velo islamico sul luogo di lavoro una discriminazione, una limitazione delle libertà religiose e di espressione. Inoltre, dicono, la legge parla espressamente di luoghi pubblici, anche se durante i due anni di dibattito le autorità hanno pensato di estendere la norma anche al settore privato.
Né il dibattito sull'asilo né più in generale quello sul velo e sulla laicità in Francia si fermano alla sentenza di ieri. «Non lascerò mai e poi mai», ha detto dopo il verdetto dei giudici Fatima Afif al Nouvel Observateur. In passato, parlando allo stesso settimanale, la donna aveva ammesso che, dopo i vari gradi di giudizio, avrebbe anche fatto ricorso alla Corte europea per i diritti umani. E in una simbolica coincidenza di date, proprio ieri i giudici europei di Strasburgo hanno iniziato a lavorare a un altro ricorso, quello di una musulmana francese di 23 anni contro la legge che dal 2011 vieta di indossare in pubblico il velo integrale - burka o niqab o qualsiasi «tenuta che dissimuli il volto».
Sul caso della giovane i giudici decideranno soltanto a metà dell'anno prossimo. Nel frattempo, il dibattito sulla laicità e l'identità, sull'immigrazione, l'assimilazione e il multiculturalismo in Francia e in Europa vanno avanti, come sono andati avanti senza sosta e senza soluzione negli ultimi dieci anni. A Parigi fa discutere una proposta dell'Osservatorio per la laicità, organo legato all'ufficio del primo ministro e che si occupa di norme simili a quella sul velo, di istituire il 9 dicembre una giornata nazionale per la laicità: la legge sulla separazione tra Stato e Chiesa è stata firmata proprio il 9 dicembre 1905. E sugli scaffali delle librerie di Francia, tra i titoli più venduti in queste settimane c'è il già controverso L'identité malheureuse - l'identità infelice - di Alain Finkielkraut. Il filosofo da una parte ha parole dure contro chi «dichiara ostilità contro il Paese d'accoglienza», dall'altra critica le politiche d'immigrazione e assimilazione francesi: «Con il pretesto di lottare contro la discriminazione - dice intervistato dal Point - rinunciamo all'assimilazione, quella virtù della civiltà francese che mi ha permesso d'essere francese senza impedirmi d'essere ebreo».



Londra, il rigore sugli immigrati dall’Est Europa
Corrieredella sera, 28-11-2013
Fabio Cavalera
LONDRA — David Cameron dà fuoco alle polveri: vuole rendere la vita più difficile agli immigrati europei che non hanno certezza di lavoro e vuole ridiscutere la libertà di movimento delle persone nell’ambito Ue, vale a dire il pilastro sociale dell’Unione.
Con un articolo sul Financial Times di ieri («stiamo cambiando le regole in modo che chi arriva in questo Paese non possa aspettarsi di ottenere immediatamente sussidi di sostegno») e con un intervento alla Camera dei Comuni, il premier britannico, appoggiato dai suoi alleati liberaldemocratici e con i laburisti che gli danno dell’«ossessionato» ma che convergono sulla opportunità di un «nuovo sistema equo e trasparente», ha messo in chiaro che non intende cedere di una virgola su un tema sul quale si gioca la faccia. Le norme saranno inasprite (gli immigrati non avranno «aiuti» per i primi tre mesi e saranno prelevati e rimpatriati se sorpresi a mendicare o se privi di un tetto), in generale i cittadini europei perderanno il diritto al welfare se non avranno una fonte di reddito certa o se non saranno attivi nel cercarla.
Determinato nel tirare la corda con Bruxelles e con gli alleati continentali, David Cameron ha insistito sulla necessità «di siglare un nuovo accordo in ambito europeo che riconosca la libertà di movimento come un principio basilare della Ue ma non un principio assoluto». Allo stato dell’arte, nella visione di Downing Street, è solo il «detonatore» di migrazioni fuori controllo. Dunque non è più condivisibile e accettabile.
Non importa che questa sortita abbia provocato la sdegnata reazione del commissario Ue all’occupazione e agli affari sociali, Laszlo Andor, («il Regno Unito rischia di essere un paese sgradevole»). Londra lo sapeva benissimo. Piuttosto, ciò che al premier stava e sta a cuore è alzare l’asticella dello scontro cogliendo al volo l’occasione che gli si presenta davanti, ovvero la liberalizzazione degli ingressi di cittadini rumeni e bulgari a partire dal gennaio 2014, come previsto dall’intesa siglata nel 2007 al momento dell’adesione di Romania e Bulgaria alla Ue. I sondaggi hanno evidenziato un profondo malessere della popolazione e Cameron sfrutta la scia per allargare il dibattito e alzare i toni della polemica antieuropea.
Le previsioni sono alquanto incerte sul flusso di lavoratori previsto da Sofia e Bucarest: c’è chi dice che non saranno più di 8 mila all’anno (l’ambasciatore rumeno), chi ipotizza 13/15 mila (alcuni uffici governativi) e chi addirittura 300 mila entro il 2019 (il gruppo di pressione «UK migration watch»). Ma i numeri valgono fino a un certo punto, anche se l’onda polacca cominciata dal 2004 (600 mila arrivi) ha lasciato il segno. Quello che conta per il governo di sua maestà è sia disincentivare, sia punire le illegalità di chi sfrutta i migranti (gli imprenditori che assumono con salari al di sotto del minimo garantito o in nero pagheranno multe quadruplicate), sia avvertire l’Europa che uno dei capisaldi su cui è cresciuta l’Unione non è la bussola della politica sull’immigrazione.
Il pacchetto di provvedimenti è molto severo (c’è l’accesso al servizio sanitario nazionale garantito unicamente se accompagnato dal versamento di contributi e c’è la perdita dell’indennità di disoccupazione se non si è attivi nella ricerca di un impiego). Cameron sostiene che è in linea con le restrizioni in vigore in altre capitali europee (Parigi e Berlino secondo il Financial Times sono pronte ad allinearsi a Londra sulle posizioni più dure) e intende accelerarne l’approvazione nelle prossime settimane. Giusto per dare un segnale agli elettori e ai tory insoddisfatti, suggestionati dalla destra dello UKIP, l’Independence Party di Nigel Farage.
Ma al premier interessa anche aprire presto il tavolo con l’Europa. L’Unione è una gabbia che gli sta stretta. L’idea, in tema di immigrazione, è di riformulare il principio sulla libertà di movimento della forza lavoro. Cameron intenderebbe limitare la mobilità a coloro che dichiarano un reddito vicino a quello medio europeo e sono in grado di mantenersi. È la scommessa su cui punta la rincorsa verso un nuovo mandato a Downing Street. Appuntamento che sembra lontano (primavera 2015) ma la campagna elettorale è cominciata.

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