Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 settembre 2013

Crescono gli alunni nelle scuole statali ma solo grazie ai figli degli immigrati
Quest'anno saranno quasi 8 milioni, di cui 700mila stranieri. In fuga invece dalle paritarie. La mattanza delle classi e delle cattedre
la Repubblica, 13-09-2013
SALVO INTRAVAIA
Gli alunni delle scuole statali italiane crescono ancora, ma soltanto grazie ai figli degli immigrati. Mentre dalle paritarie gli alunni fuggono. Il ministero dell’Istruzione, in occasione dell’avvio dell’anno scolastico, ha pubblicato un focus con una serie di dati relativi proprio all’anno scolastico al via nei giorni scorsi. Un dossier in grado di fornire a genitori, dirigenti scolastici e insegnanti le prime indicazioni su cosa è lecito aspettarsi quest’anno. In Italia, il numero di alunni è ormai in crescita da oltre un decennio, ma soltanto grazie all’apporto degli alunni con cittadinanza non italiana che crescono ancora.
Le scuole pubbliche ospiteranno quest’anno 7.878.661 alunni, quasi 20mila in più dello scorso anno. Ma l’aumento è da attribuire all’incremento degli alunni stranieri – 736.654 in tutto – che in due anni sono cresciuti di 57mila unità. Al contrario, gli iscritti nelle paritarie sono ancora in calo, fenomeno che si verifica ormai da qualche anno. E gli alunni si stanno pericolosamente avvicinando alla soglia psicologica del milione di alunni: 1.036.312 per il 2012/2013. E per la prima volta, dopo gli anni della Gelmini, le classi tornano leggermente ad aumentare: 366.838, più di mille in più rispetto a 12 mesi fa. Classi che restano comunque affollate se pensiamo che la media per classe tocca quota 21,5 alunni. Mentre nel 202/203 erano 20,4 gli alunni per classe.
Anche le scuole – intese come istituzioni dotate di autonomia – sono in calo. Dopo la cura dimagrante imposta alle regioni dal ministero dell’Economia, oggi in Italia si contano 8.644 istituti scolastici che governano 41.483 sedi scolastiche: tra succursali, plessi staccati ed altro quasi 5 a testa. La tipologia più diffusa è quella dell’istituto comprensivo (di materna, elementare e media), che oggi rappresentano il 56 per cento del totale. Mentre gli alunni disabili raggiungono la loro massima presenza da quanto esiste la loro integrazione nelle classi. Saranno 207.244 gli alunni con handicap nelle classi delle scuole statali italiane, quasi 10mila in più di de anni fa, seguiti da 101.391 docenti specializzati. Un numero che dovrebbe arrivare durante l’anno a 103mila: uno ogni due alunni disabili circa.
Al superiore, sono gli studenti liceali i più numerosi: oltre un milione e 206mila ragazzi. Gli istituti tecnici ospiteranno 827mila studenti mentre i professionali si fermano a 546mila. Ma dai dati messi a disposizione dal ministero emerge la vera e propria mattanza di classi operata negli ultimi sei anni, dal 2007/2008 al 2013/2014, per consentire di tagliare il maggior numero possibile di cattedre. A fronte di un incremento degli alunni di oltre 127mila unità le classi si sono contratte di 10mila e 150 unità.

 

Scuola. Carrozza: "Gli alunni stranieri sono un’opportunità"
Il ministro dell’istruzione: “l’integrazione è una sfida”.  “Classi ghetto? Serve equilibrio nella composizione”. Chaouki (Pd): "Il problema è formare gli insegnanti"
stranieri in Italia, 12-09-2013
Roma -12 settembre 2013 -“L'integrazione  é una delle sfide della scuola italiana ed io non la vedo come un problema ma come un'opportunità”.
Il ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza, ospite di “Uno Mattina”, ha commentato così i casi dei genitori italiani che ritirano i figli dalle classi dove ci sono “troppi” figli di immigrati.
“È chiaro – ha detto  - che nel comporre tante classi sul territorio ci sono casi che saltano agli occhi e giustamente vengono messi in evidenza. Dobbiamo comporre le classe in modo equilibrato, non classi con troppi stranieri o con zero stranieri”.
Sulla parola “stranieri”, comunque,  bisogna intendersi. Tra i banchi delle nostre scuole siedono infatti 736 mila alunni con la cittadinanza straniera, “ma il 50% - ha sottolineato Carrozza - é nato in Italia e parla italiano”. Non rientrerebbe, quindi, nella quota massima del 30% di stranieri per classe introdotta dalla famosa circolare Gelmini.
Chaouki (Pd): "Il problema è formare gli insegnanti"
Sul tema è intervenuto stamattina su Radio 24 anche il deputato del Partito Democratico Khalid Chaouki. "La nostra scuola - ha detto - sarà destinata sempre più ad avere bambini di origini diverse e questo è il futuro dell'Italia".
"I bambini apprendono molto in fretta, il problema - ha sottolineato Chaouki - è la formazione degli insegnanti e la loro capacità di coinvolgimento."
"A volte - ha aggiunto il deputato del Pd - è controproducente pensare già, per quanto riguarda la scuola primaria, di dividere i bambini già da piccoli, anzi può essere più negativo. Va spiegato ai genitori che non c'è da aver paura della diversità ma anzi se c'è una direzione intelligente queste scuole (ad alto tasso di studenti stranieri, ndr) possono diventare di eccellenza".


 
Lotta di classe (multietnica)
la Repubblica, 12-09-2013
VLADIMIRO POLCHI
«Basta rom in classe». «Fuori i cinesi». «Troppi pochi gli italiani». E via con genitori che ritirano i figli da scuola, classi ghetto che vengono cancellate e istituti che si ritrovano all' improvviso senza iscritti. È la fuga degli italiani dalle scuole multietniche. Il nuovo anno scolastico rischia di aprirsi all' insegna di una "guerra" strisciante: quella tra genitori italiani e stranieri. Con le tensioni pronte a ricadere sulle spalle dei figli, seduti uno a fianco all' altro tra i banchi di scuola. L' ultima "battaglia" è quella esplosa a Landiona, piccolo comune in provincia di Novara. Lì dodici famiglie hanno ritirato i figli dalla scuola elementare. Il motivo? «Ci sono troppi zingari».
Così ora l' istituto rischia la chiusura. E la cronaca di questi giorni racconta di tanti altri focolai. Eppure la multietnicitàè da anni un carattere consolidato della nostra scuola. Stando alle ultime previsioni del ministero dell' Istruzione, nell' anno 2013/2014 gli alunni di cittadinanza straniera sono ben 736.654, su un totale di 7.878.661 studenti previsti sui banchi delle scuole statali. Gli alunni non italiani restano concentrati per lo più nella scuola primaria (dove sono 271.857). E ancora: il loro record di presenze si registra in Lombardia (178.475 stranieri iscritti), seguita dall' Emilia Romagna (86.697). Ma attenzione: molti studenti figli di immigrati sono nati in Italia (quasi il 50 per cento, con punte dell' 80 per cento nella scuola dell' infanzia). Tradotto: se nel nostro Paese vigesse lo ius soli, l' incidenza degli alunni stranieri sul totale sarebbe molto più bassa e le discussioni in corso sulle "quote multietniche" a scuola perderebbero in gran parte la loro ragion d' essere. Arcangela Mastromarco, docente referente del polo Start 1 (Struttura territoriale per l' integrazione) di Milano, si occupa dell' inserimento degli studenti stranieri in 56 scuole elementari e medie del capoluogo lombardo: «Fare un tutt' uno degli studenti di cittadinanza non italiana è sbagliato - sostiene - perché c' è un' enorme differenza tra chi è nato qui e chi ci è arrivato a una certa età. Bisognerebbe allora trovare definizioni diverse, come distinguere tra studenti italofoni e non. E questo andrebbe spiegato con chiarezza ai genitori italiani per rassicurarli. Per esempio a Milano il 60-70 per cento degli studenti stranieri iscritti alle elementariè di seconda generazione e dunque non costituisce solitamente un intralcio che rallenta il percorso scolastico». Questo non vuol dire nascondere eventuali difficoltà: «Chi pensa che un bimbo straniero alle elementari impari l' italiano solo ascoltando la lezione in classe, sbaglia. Ci devono essere insegnanti specializzati, altrimentii problemi arrivano eccome, e poi le difficoltà dai ragazzi passano agli insegnanti, fino ad arrivare ai genitori». La questione è allora quella delle risorse. «A Milano e provincia - spiega la Mastromarco - nell' anno scolastico 1999/2000 c' erano 700 docenti facilitatori, destinati all' insegnamento dell' italiano ai neoarrivati, lo scorso anno erano solo 40. Se mancano le risorse, allora si giustifica il malcontento. Insomma, se hai in classe due o tre studenti neoarrivati (cioè arrivati in Italia nel corso dell' anno scolastico) e non del tutto italofoni, ti va in crisi l' insegnamento, ne risente tutta la classe e il rallentamento della didattica è inevitabile». Forse è giusto allora distribuire sul territorio gli studenti stranieri. Il limite del 30 per cento di alunni non italiani per scuola (introdotto con la discussa circolare Gelmini dell' 8 gennaio 2010, su cui influirono le spinte leghiste che avevano anche proposto le classi ponte per gli immigrati) è infatti ancora valido. Anche se va oggi considerato un "tetto" solo indicativo e non obbligatorio. Lo ha chiarito, il 7 agosto scorso, il ministro dell' Istruzione, Maria Chiara Carrozza, rispondendo ad un' interrogazione alla Camera: «Il diritto allo studio, nella mia visione, prescinde dall' origine geografica, dalla razza e dalla nazionalità. Conseguentemente il limite del 30 per cento degli alunni con cittadinanza non italiana sul totale degli iscritti è un criterio tendenziale e indicativo, che in base alla circolare può ben tollerare eccezioni, giustificate dalla presenza di alunni stranieri in possesso di adeguate competenze linguistiche, dalla disponibilità di risorse professionali e strutture di supporto, anche esterne alla scuola, da ragioni di continuità didattica per classi costituite negli anni precedenti o da stati di necessità provocati dall' oggettiva assenza di soluzioni alternative». Un tetto, quello del 30 per cento, già disapplicato da molte scuole italiane (circa un terzo). «Un limite che non distinguendo tra nati in Italia e neoarrivati - commenta la Mastromarco - non ha senso. E poi l' unico modo per non far "fuggire" gli italiani è potenziare le scuole dove ci sono tanti bimbi d' origine straniera, con un' offerta formativa, fatta di inglese, musica, informatica, che sia invitante per gli autoctoni. Come abbiamo fatto qui a Milano con la scuola di via Paravia». Accanto alle storie di convivenza difficile, non mancano infatti casi di buon funzionamento delle classi multietniche. Un esempio? Nel quartiere di Torpignattara, a Roma, c' è una scuola elementare con 176 studenti, di cui solo 40 con la cittadinanza italiana. È la scuola Carlo Pisacane, spesso citata come modello di integrazione, per la sua offerta formativa all' avanguardia. Anche se va detto che pure qui negli ultimi tempi gli italiani iscrivono sempre meno i propri figli. A misurarsi concretamente con la multietnicità tra i banchi è Luciana Zou, presidente del Cidi di Roma (Centro di iniziativa democratica degli insegnanti) e docente di informatica all' istituto tecnico Armellini della capitale: «Lo scorso anno avevo una terza con il 40 per cento di studenti d' origine straniera. Accade sempre più spesso, infatti, che questi ragazzi scelgano gli istituti tecnici invece del liceo, perché pensano siano più facili e perché dirottati qui dai loro insegnanti delle medie». Anche per la Zou, «non ha senso parlare di studenti stranieri senza distinguere tra chiè nato in Italiao ci vive da tanti anni e chi è arrivato da poco». Ciò detto, «è indubbio che una classe multietnica comporta un maggiore impegno e richiede una preparazione estremamente solida da parte degli insegnati, che invece troppo spesso vengono abbandonati. Ma va chiarito - aggiunge - che non sempre gli studenti stranieri rallentano la didattica. Anzi a me è accaduto più volte di verificare tra loro una più forte motivazione allo studio rispetto agli italiani, così da diventare addirittura un traino per l' intera classe». Eppure le prove Invalsi del 2012 hanno evidenziato che «lo scarto medio tra studenti stranieri di prima generazione e studenti italiani è di 23 punti in meno in italiano e di 16 punti in meno in matematica, mentre fra studenti stranieri nati in Italia e studenti italiani il gap si riduce, rispettivamente, a 16 punti in meno nella prova di italiano e 12 punti in meno nella prova di matematica. Tutte differenze - sottolinea l' Invalsi - che sono in ogni caso significative». Differenze che per Arcangela Mastromarco restano «il vero problema. Il gap riscontrabile anche tra le seconde generazioni e gli stessi insuccessi scolastici sono infatti dovuti a una sopravvalutazione del loro italiano di base e al conseguente mancato sviluppo di un italiano adatto allo studio. Questo è un errore che sta facendo sempre più spesso la scuola nel nostro Paese». E gli studenti stranieri cosa ne pensano? Mihai Popescu, romeno, ha vent' anni ed è in Italia dal 2003. Oggi studia Scienze politiche alla Sapienza ed è responsabile nazionale della Rete degli studenti medi: «Sono arrivato in Italia durante le elementari. Ero iscritto a una scuola in provincia di Frosinone. Non mi sono mai sentito discriminato, anzi molti compagni italiani mi hanno aiutato. Forse sono stato facilitato dal fatto che vivevo in una piccola realtà. Nelle classi che ho frequentato anche dopo, c' era sempre qualche altro studente straniero assieme a me». Mihai è contrario alle classi ghetto, ma tende comunquea ridimensionare il problema: «Non credo - afferma - che siamo noi stranieri a minacciare il rallentamento della didattica, semmai lo sono stati i tagli all' istruzione degli anni scorsi, che hanno impedito alla scuola di stare dietro alle nuove sfide e a trasformare la diversità in ricchezza. Perché una cosa è certa - conclude Mihai - la multietnicità tra i banchi è ormai la normalità e la scuola non può chiamarsi fuori da questa sfida».



"Abbiamo alunni di 25 Paesi essere diversi qui è un valore"
la Repubblica, 12-09-2013  
ZITA DAZZI
MILANO- Said, otto anni, ha i genitori tunisini e alla scuola  elementare di via Dolci frequenta il corso di arabo per bambini. Cosi riuscirà a scambiare quattro chiacchiere con i nonni di Hammamet, quando andrà a trovarli, a Natale. Sarà la sua prima volta in Africa perché lui è nato a Milano, nelle case popolari di piazzale Brescia. E da li non si è mai spostato. Dumitra, 30 anni, viene dall'Ucraina e allatta ancora. In classe ci entra al pomeriggio, per imparare l'italiano, assieme alle altre mamme immigrate del corso di alfabetizzazione, mentre due puericultrici tengono a bada i bebé multicolor in "aula psicomotricità". Intanto, nel cortile di quest'elementare con le facciate gialle, a pochi metri dalla circonvallazione esterna di Milano, zona San Siro, un gruppo di padri cinesi e sudamericani aiuta i bidelli a scaricare le cassette di verdura da un camion della Coldiretti per il mercato a chilometro zero aperto solo alle famiglie degli alunni.
Hanno tutti da fare alla scuola primaria di via Dolci 5, quartiere della prima periferia milanese, zona di grande trafico e poco verde, dove la percentuale di stranieri residenti arriva al 18 per cento, anche se sui registri di scuola la quota di cognomi non italiani salefino al 40-45 per cento. Una scuola multietnica, come si suol dire. Anche se preferisce chiamarla «scuola che si confronta con l'intercultura», il preside Giovanni Del Bene, 67 anni, una vita spesa a insegnare Pedagogia all'università Statale, prima di diventare dirigente dell'Istituto comprensivo Cadorna e del vicino Calasanzio, in tutto 2.300 bambini e ragazzi, dai 3 ai 13 anni, divisi fra sette diversi plessi di scuola materna, elementare e media, con una quota di alunni di origine straniera che oscilla fra íl 40 e il 60 per cento per classe. Con punte del 90 per cento in alcune sezioni della primaria di via Paravia, la scuola «di frontiera» che il Provveditore gli ha accollato da quest'anno.
«Forse hanno pensato che solo io potevo "reggere" una situazione cosi complessa», scherza Del Bene, dalla sua scrivania affacciata sul cortile di via Dolci, da dove arrivano le chiacchiere di due madri in jeans e hijab. Del Bene è un pre¬side che a Milano tutti conoscono perché riesce a far funzionare una scuola dove sono presenti bambini di 25 nazionalità e sette religioni diverse. Una "scuola modello": anche istituzioni importanti come la Fondazione Cariplo e il ministero degli Interni hanno deciso di premiaria con due diversi finanziamenti, per un totale di SOOmila euro, assegnati con regolare bando, per portare avanti i tanti progetti sull' integrazione avviati negli ultimi anni.
«I bambini hanno diritto all'istruzione.come dice la Costituzione. Io accetto tutte le domande di iscrizione e non guardo al passaporto quando mi vengono a chiedere di prendere un nuovo alunno —- spiega il preside sgranando gli occhi azzurri —Qui abbiamo classi dove si parla l'hurdu e l'inglese, l'arabo e lo spagnolo, ma non è mai stato un problema. Non ho genitori che ritirano i figli per paura degli stranieri. Non vorrei apparire retorico, ma qui, davvero, la diversità è accolta come una ricchezza».
La forza del modello Cadorna sta nella collaborazione tra una potente associazione dei genitori e un consapevole corpo insegnanti, oltre che nell'apporto continuo di idee ed energie esterne, con stimoli che vengono dal Politecnico e dalle università Statale e Bicoc- ca, oltre che da una pletora di associazioniedenti, dalprivato sociale fino al Movimento con- sumatori. «La scuola è sempre aperta, anche a Natale e fuori dall'orario di lezione. Al sabato abbiamo i volontari per aiutare i bambini a fare i compiti e al pomeriggio abbiamo i corsi di sport, arte e créativité quasi gratuiti per tutti gli alunni — elenca il preside — La sera or- ganizziamo incontri e spettacoli, il venerdi abbiamo il mercato della verdura biologica. E poi le feste, le mostre, le mani- festazioni sportive, i laboratori per adulti e bambini». E la religione? «Il crocefisso c'è in ogni aula, ma sulla mia scrivania ci sono i simboli cari a tutte le culture. Il prete viene a fare la benedizione natalizia fuori dall'orario scolastico, nella palestra aperta a tutti quelli che sono interessati a partecipare. E ogni anno, alla celebrazione, vengono anche molti alunni musulmani».



Via Salviati, in corso lo sgombero dei rom 120 nomadi trasferiti a forza da 70 agenti
Evacuato un campo abusivo. Amnesty international: «Giunta Marino come quella Alemanno, viola i diritti umani»
Corriere della sera.it, 13-09-2013
Luca Zanini
ROMA - Tensione alla periferia Est della Capitale dove alle 7.15 di giovedì è in corso lo sgombero forzato di 35 famiglie rom dall'insediamento abusivo di via Salviati. Carabinieri, polizia di Stato e polizia municipale - 70 uomini in tutto - stanno trasferendo i 120 rom presenti nel campo improvvisato accanto ad un insediamento regolare. Le famiglie rom vivevano in via Salviati dallo scorso giugno, quando erano fuggite dal «villaggio della solidarietà» di Castel Romano in seguito, a loro dire, ad episodi di violenza etnica. Un precedente tentativo di sgombero era fallito il 12 agosto. Dura reazione di Amnesty International Italia, Associazione 21 luglio e Centro Europeo per i Diritti dei Rom (Cedr): «Lo sgombero non rispetta standard e garanzie procedurali ponendosi in continuità con le ripetute violazioni dei diritti umani perpetrati già dalla passata amministrazione capitolina».
5 FAMIGLIE VOLONTARIE - Secondo il Campidoglio, lo sgombero si rende necessario «per garantire ai bambini la ripresa delle scuole e perchè le condizioni igienico-sanitarie del campo sulla Collatina sono estremamente precarie: mancano infatti acqua, corrente elettrica e servizi igienici». Per questo motivo, spiegano dal Comune, tre giorni fa 5 famiglie rom «avevano accettato di lasciare spontaneamente l'accampamento abusivo di Via Salviati per tornare nel campo attrezzato di Castel Romano». Il trasferimento volontario aveva coinvolto circa 30 persone. «In queste settimane sono state individuate alcune soluzioni alternative al campo abusivo di via Salviati - sottolinea l’assessore capitolino al sociale Rita Cutini -. Come prescrive l'ordinanza, la zona occupata fino ad oggi andrà comunque abbandonata, ogni persona poi deciderà se aderire o meno alle alternative proposte».
«STRATEGIA DI INCLUSIONE IGNORATA» - L'azione di sgombero avviene in attuazione dell'ordinanza del sindaco Marino n. 184 del 5 agosto 2013 che aveva disposto «il trasferimento immediato di persone e cose dall'insediamento abusivo di nomadi sito in via Salviati» e il loro ricollocamento «presso il villaggio della solidarietà di Castel Romano». Ma «lo sgombero forzato al quale stiamo assistendo oggi - attaccano Amnesty, 21 Luglio e Cedr -oltre a rappresentare una grave violazione dei diritti umani, costituisce un innegabile passo indietro rispetto ai contenuti espressi all'interno della Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Caminanti adottata dal governo italiano in attuazione della Comunicazione della Commissione europea n.173/2011 che sottolinea la necessità di superamento del modello “campo” per combattere l'isolamento e favorire percorsi di interrelazione sociale».
CONDIZIONI IGIENICO SANITARIE - «Ascoltiamo e comprendiamo le proteste e i disagi della popolazione Rom interessata dall'ordinanza di trasferimento - dice Rita Cutini, assessore al Sostegno sociale e Sussidiarietà di Roma Capitale -: la volontà dell'assessorato di individuare e promuovere percorsi di inclusione e integrazione c'è tutta. Il rispetto delle regole è tuttavia la premessa indispensabile per costruire insieme alle famiglie rom dei percorsi veri di inserimento basati sulla fiducia e sul rispetto reciproco». E sottolinea che il provvedimento del sindaco «è motivato da ragioni igienico-sanitarie e volto a tutelare i bambini e le famiglie che non possono vivere in spazi non attrezzati privi di acqua, luce e servizi igienici».

 

 

Roma,il primo sgombero di Marino: via 35 famiglie Rom e Sinti
l'Unità, 13-09-2013
Polemiche a Roma per lo sgombero di 35 famiglie rom e sinti da un campo abusivo di via Salviati. Lo sgombero è stato fatto in ottemperanza di una ordinanza del sindaco Ignazio Marino del5 agosto, poi sospesa per consentire un confronto con le famiglie che, però, nella stragrande maggioranza non hanno accettato di tornare nel cosiddetto villaggio della solidarietà di Castel Romano. Le operazioni di sgombero sono iniziate alle 7 di mattina di ieri, dopo la demolizione delle baracche, vi hanno partecipato agenti
della polizia municipale, polizia e carabinieri.Amnesty International, l’associazione 21 luglio e il Centro europeo per i diritti rom hanno protestato vigorosamente, incassando il sostegno di esponenti dei movimenti per i diritti umani, fra cui Moni Ovadia,
Luigi Manconi e Gad Lerner. Lo sgombero, sostengono, «non rispetta standard e garanzie procedurali ponendosi in continuità con le ripetute violazioni dei diritti umani perpetrati già dalla passata Amministrazione capitolina». In particolare, le organizzazioni umanitarie prendono di mira l'insediamento di Castel Romano, «un mega-campo monoetnico isolato dal contesto urbano, ad alta
concentrazione, luogo di degrado fisico e relazionale». C’è per di più la preoccupazione per la possibilità che nel campo, dove vivono famiglie serbe, insorgano conflitti con l’arrivo delle nuove famiglie di origine bosniaca.
Risponde l’assessore al sostegno sociale Ruta Cutini: «Ascoltiamo e comprendiamole proteste e i disagi della popolazione Rom. Tuttavia il provvedimento del Sindaco è motivato da ragioni igienico-sanitarie e volto a tutelare i bambini e le famiglie che non
possono vivere in spazi privi di acqua, luce e servizi igienici».«Non sono mancati momenti di confronto con i cittadini della zona e con la popolazione Rom», dicono i presidenti dei municipi IV e V, Emiliano Sciascia e Giammarco Palmieri: «Necessario il trasferimento, a tutela delle condizioni igienico sanitarie dei bambini».

Salvi: «Stessi trafficanti del viaggio disperato in cui morirono sei persone, ad agosto»
Avvenire, 13-09-2013
Antonio Maria Mira
«Abbiamo avuto la conferma dell’esistenza di un’organizzazione transnazionale, che opera in Egitto e in Italia, tra Catania, Siracusa e Ragusa. Molto probabilmente la stessa dello sbarco del 10 agosto, durante il quale morirono sei migranti». E proprio questa gestirebbe in particolare il trasporto dei profughi dalla Siria. Ormai ha pochi dubbi il procuratore di Catania, Giovanni Salvi che un mese fa in un’intervista a Avvenire aveva parlato dell’esistenza di «una nave "madre"», e del ruolo «di una grossa organizzazione» con «basisti italiani». Ipotizzando anche un ruolo della mafia. Ieri la conferma col primo sequestro che, spiega, «è stato possibile perché parte del reato di associazione a delinquere con l’aggravante dello sfruttamento dell’immigrazione clandestina è commesso in Italia e questo ci permette di operare anche in acque internazionali». Un lavoro che si lega al dramma di un mese fa ma che, aggiunge Salvi, «è frutto di un’indagine partita prima». E, ci tiene a sottolineare, «di una stretta collaborazione tra tutte le Forze dell’ordine. Un coordinamento che, purtroppo, non avviene sempre».
Procuratore, lei un mese fa era rimasto molto colpito dal dramma dei sei immigrati morti nel mare di Catania...
Esatto. Proprio per questo avevamo preso l’impegno con noi stessi di venire a capo dello sbarco del 10 agosto e forse ci siano riusciti. L’intenzione è quella di colpire gli organizzatori che lucrano sulla povera gente che affronta un viaggio della speranza in cerca di una vita migliore.
L’avete fatto in meno di un mese.
In questi casi è molto più importante fare rapidamente che fare molti arresti. È stato un lavoro serrato, ma che era partito prima di quel dramma. Le indagini sono in corso e, quindi, non le posso dire di più. Ma sicuramente c’è un legame tra la nave che abbiamo sequestrato e altri sbarchi, compreso quello di agosto.
Un’unica organizzazione?
Probabilmente si tratta dello stesso gruppo che sta operando su una nuova rotta e che riguarda soprattutto i profughi siriani.
Quanti sono e di che nazionalità gli scafisti?
Quelli sulla "nave madre" sono una quindicina, mentre altri cinque si trovavano sul barcone sul quale i migranti erano stati trasbordati e che, una volta bloccato, è stato rimorchiato nel porto di Siracusa. Sono ancora in fase di identificazione, ma quasi certamente si tratta di egiziani.
Solo egiziani?
Sicuramente, come dissi un mese fa, esistono dei basisti in Italia che poi aiutano i migrati a raggiungere in Nord Italia e altri Paesi europei.
Quello che avete operato è il primo sequestro di una "nave madre"?
Ne sono state identificate altre volte ma, operando in acque internazionali, erano state poi rilasciate. Questa volta, invece, siamo riusciti a provare il collegamento con l’Italia e quindi abbiamo potuto eseguire il sequestro. Anche perché la nave non batteva nessuna bandiera nazionale.


 

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