Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

17 marzo 2010

Carceri super affollate
CIOCIARIA, 17-03-2010
Sono ormai stabilmente oltre quota seimila i detenuti reclusi nelle carceri del Lazio. Lo rende noto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, vice coordinatore della Conferenza Nazionale dei Garanti, commentando i dati del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e del Provveditorato Generale dell'Amministrazione Penitenziaria. Una situazione di vero sovraffollamento, che di certo non fa eccezione in provincia di Frosinone.
«All'11 marzo - fa sapere Marroni - i detenuti nelle carceri del Lazio erano 6.082 (5648 uomini e 434 donne), 200 in più rispetto al dato censito un mese prima (5.882 totali, 5.470 uomini e 412 donne). 11 numero dei reclusi è di 1.484 unità in più rispetto alla capienza regolamentare degli Istituti laziali dichiarata dal Dap (4.598 posti). Gli stranieri reclusi sono 2263, quasi il 37% dei reclusi. Nel Lazio resta confermato il dato che quasi il 50% dei detenuti presenti (2969) è in attesa di giudizio definitivo: quelli in attesa di primo giudizio sono 1.427, gli appellanti sono 877, i ricorrenti 519, quelli in posizione mista senza definitivo 146.1 condannati definitivi sono 3.079».
In Italia, invece, all'8 marzo, i detenuti nelle carceri erano quasi 67mila, circa 1.200 in più rispetto a un mese fa. Secondo il Dap i detenuti sono 66.831 contro i 65.685 di febbraio e i 64.910 rilevati il 30 dicembre 2009. Rispetto a un mese fa gli stranieri sono circa 500 di più (24.840 contro 24.312), le donne 2.866 (a febbraio erano 2.834).
La regione con il maggior numero di detenuti è la Lombardia con 9.067 reclusi (a febbraio erano 8.895), seguita da  Sicilia (8.142 contro i 7.868 di febbraio), Campania (7.987 contro 7.770) e Lazio (6.082 contro 5.875).
Dall'11 gennaio scorso all'8 marzo i detenuti sono cresciuti di duemila unità (da 64.853 a 66.831) con una frequenza di circa 250 detenuti a settimana. Dal 28 febbraio 2009 al 28 febbraio di quest'anno i detenuti sono 2.200 in più (66.692 contro 60.350). In tutta Italia il 45% dei detenuti (30.116 su 66.831 ) sono in attesa di giudizio definitivo.
«Ormai anche nel Lazio la politica degli sfollamenti fino ad oggi attuata non riesce ad arginare il dato di un sovraffollamento delle carceri sempre più allarmante - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni - ed il fatto che il tema sia scomparso dalle prima pagine dei giornali non vuole affatto dire che l'emergenza sia stata risolta. Non è un caso che, da ogni parte d'Italia, si moltiplicano le notizie di atti di autolesionismo dei detenuti e le richieste di aiuto al Ministro Alfano provenienti da agenti, volontari ed altre componenti del pianeta carcere. E' ormai palese la violazione della norma Costituzionale secondo cui la pena deve punire ma anche rieducare».







«Legalizziamo il burqa in Italia» La proposta del Pd fa subito flop

il Giornale, 17-03-2010
Enza Cusmai
?? Il Pd vede doppio. Questione di velo, che offusca la vista oltre che la faccia. Già perché ieri in commissione Affari Costituzionali di Montecitorio ben quindici deputati del Pd hanno presentato una proposta di legge che apre la strada al burqa in Italia. In pratica, questi deputati sostengono che indossare il burqa non deve essere considerato un affronto alla libertà della donna perché è parte integrante della tradizione islamica. Dunque, è sufficiente che la donna si faccia identificare (quando glielo chiedono) e poi può tranquillamente girare per le strade come un fantasma nero.
Siamo in Italia e sotto e sotto elezioni. E i deputati presentano le proprie idee in ordine sparso. Già, perché lo stesso Pd ha già depositato in commissione una seconda proposta, questa volta contraria al burqa e al niqab. Insomma, un misto fritto che confonderà non poco gli elettori di sinistra. Per il momento questa proposta ha mandato su tutte le furie la relatrice del provvedimento, Suad Sbai, expresidente della comunità marocchina e deputata del Pdl. Lei, assieme al suo collega Manlio Contento, propone esplicitamente il divieto di indossare il burqa e il niqab (il velo che lascia scoperti solo gli occhi) e questa ultima trovata dei piddini non le va già. «Devono vergognarsi per quello che hanno fatto, se lo mettano loro il burqa, sono dei falsi, non hanno mai parlato con delle donne arabe e non sanno che inferno vivono quotidianamente. Questi signori non farebbero entrare in casa loro neppure una colf con il burqa».
Sbai è furibonda. Conosce la realtà delle donne arabe e considera questa proposta demagogica e pericolosa. «Spero che non ci sia mala fede in questa convinzione. Dietro quel velo si potrebbe nascondere un terrorista, uno spacciatore, un delinquente ma i deputati del Pd non se ne preoccupano. Dicono che bisogna rispettare le tradizioni altrui».
In realtà il burqa non ha nulla a che fare né con le tradizione né con la religione. Persino l'imam dell'Università del Cairo è contro il niqab e ha dichiarato che questa usanza è estranea ai principi della religione islamica. «Il burqa è una barbarie, è solo una forma tribale -ribatte Sbai - se non fermiamo subito questo permissivismo ci ricadranno addosso le conseguenze, l'estremismo avanza».
Chi propone l'apertura al velo integrale si difende sostenendo di stare dalla parte delle arabe: senza burqa finirebbero relegate in casa a vita. Un grandissimo errore secondo Sbai. «Queste donne sono obbligate a infilarsi addosso quel velo e non lo fanno per libertà di scelta. Quindi vanno aiutate a uscire fuori dalla loro schiavitù non a sottomettersi ai loro mariti». E così Sbai lancia un appello. «Se il vostro uomo vi obbliga a indossare il burqa voi ribellatevi, chiamate i carabinieri. Epotrete avere il permesso di soggiorno, non sarete rimandate nel vostro Paese d'origine».
La vita della donna imprigionata dentro il burqa è un inferno, garantisce Sbai. «Io l'ho indossato per un giorno ed è una cosa orribile, allucinante, annulla completamente la personalità di una donna». Ma per il Pd il burqa è sinonimo di tradizione. Che dilaga anziché indietreggiare. «Noi vogliamo bene a queste donne, non meritano di stare in una prigione - dice Sbai -. Dobbiamo dire adesso e subito che il burqa è fuorilegge. Chi arriva in Italia deve rispettare le nostre leggi, non deve inquinare il nostro pensiero liberale, oppure torneremo al Medioevo».








Le pretese dell'islam calpestano la storia
Libero,17-03-2010
CARLO PANELLA
La "Giornata della rabbia", proclamata da Hamas, che ha provocato ieri a Gerusalemme incidenti con qualche decina di feriti e di fermati, spiega meglio di qualsiasi trattato le pessime ragioni dei palestinesi - e anche del mondo islamico moderato - e le eccellenti ragioni di Israele. A scatenare la collera dei palestinesi e a dare l'esca alle sassaiole è stata infatti la decisione di Israele di restaurare la antica sinagoga Hurva nel cuore del quartiere ebraico di Gerusalemme.
Secondo i palestinesi, e purtroppo anche secondo l'Oci, il Consiglio dell'organizzazione islamica che raduna tutti i 55 paesi musulmani, il restauro di questo edificio religioso ebraico sarebbe un affronto all'islam, perché la sinagoga Hurva «sorge a poche centinaia di metri dalla Spianata delle moschee». Ma tutto a Gerusalemme,  sorge  a  poche centinaia di metri da un luogo sacro a una delle tre religioni. Però l'islam, estremista di Hamas, come quello moderato dell'Ori (presieduta dal turco Eklemeddin Ihsanoglu che minaccia addirittura una «guerra di religione scatenata dalsraele») pretende il possesso assoluto su quello che è diventato un luogo sacro all'islam solo nel 622, dopo esser stato per più di un millennio luogo sacro dell'ebraismo quale sede del Tempio e per più di seicento anni luogo sacro del cristianesimo.
DIRITTI NEGATI
Nega, di fatto, pari diritti di culto e religione a ebrei e ai cristiani. La sinagoga Hurva -questo è il punto - è stata eretta nel XVIII secolo, col pieno assenso del califfo ottomano e degli ulema musulmani, per il culto di 500 ebrei ashkenaziti emigrati dalla Polonia. Andata in rovina, fu restaurata, sempre col pieno assenso del governo ottomano, nel 1856. Durante la guerra arabo israeliana del 1948,la piazza Hurva, delizioso spazio nel cuore del quartiere ebraico, si trovò al centro dei feroci combattimenti tra la Legione Araba giordana e gli israeliani per il controllo del Muro del Pianto (vinti dagli arabi) e la sinagoga fu semidistrutta. La sua ricostruzione oggi è dunque pienamente legittima e non suona minimamente offesa per i musulmani, perché ridà vita a un luogo di culto ebraico che per ben due volte fu pienamente ritenuto legittimo e non offensivo dai califfi ottomani e ulema islamici.
LE PRETESE
Ma l'islam oggi ha la pretesa di esercitare piena e totale ege monia anche su quanto non è suo, pretende il diritto di sentirsi offeso - e di reagire con la violenza - se si ricostruisce una sinagoga là dove per secoli si ergeva una sinagoga. Una arroganza egemonica che ha un origine precisa, la stessa che impedisce qualsiasi accordo di pace tra palestinesi e israeliani: Gerusalemme e Israele, essendo state "Dar al islam" terreno dell'islam, lo devono essere in eterno e chiunque neghi questo diritto di possesso eterno dell'islam va combattuto. Non nazionalismo palestinese al centro del conflitto dunque, ma pretesa egemonica assoluta dell'islam, che continua a negare a ebraismo e cristianesimo l'evidenza di avere avuto in Gerusalemme la capitale sacra ben prima dell'islam, tanto che i musulmani negano addirittura che là dove oggi è la Spianata delle moschee si ergesse il Tempio ebraico, negazione demenziale sul piano storico, che portò gli arabi a negare agli ebrei l'accesso al Muro del Pianto dal 1948 al 1966.







Botte ai bengalesi, il raid dei ragazzini: pretendevano di fare la spesa gratis

Il Messaggero,17-03-2010
di PAOLA VUOLO
Hanno devastato un locale e preso a bastonate tre bengalesi per l'astuccio di un telefonino. Un ragazzo di 20 anni. Bruno D.C. e due quindicenni. S.G e A.B, sono stati fermati dai carabinieri per il raid di domenica scorsa nel fast food indiano alla Magliana. I giovani sono accusati di rapina, lesioni con l'aggravante della motivazione razziale. Ieri altri 15 giovani del quartiere sono stati interrogati per tutto il giorno e anche per loro è scattato il riconoscimento fotografico e per altri tre giovani in particolare, due minorenni, si sta valutando l'eventualità di altri fermi.
Domenica sera nel locale Brother", una banda di 15 bulli è entrata armata di pezzi di legno e gambe di sedie e ha
spaccato le vetrine. i tavolini gridando,«brutti negri vi ammazziamo tutti», ha preso a bastonate due clienti e il fratello del proprietario, ed si è dileguata con la cassa e poche centinaia di euro. I ragazzi avevano i cappucci, ma sì vedevano i volti, i fermati sono stati riconosciuti dalle vittime. I carabinieri guidati dal colonnello Alessandro Casarsa, hanno subito individuato il gruppo. ragazzi del quartiere, qualcuno con precedenti simili. Lunedì notte i primi fermi e in base ad una prima ricostruzione il raid era una spedizione punitiva. Uno dei bulli voleva prendere senza pagare una cover per il telefonino dalla bancarella del bengalese, l'uomo si è opposto e loro lo hanno minacciato. Il bengalese è scappato e si è rifugiato nel fast-food che funziona anche da Internet point, i bulli hanno sfasciato tutto e bastonato anche gli altri. Tra i fermati, uno è un ultra della Lazio, qualcuno nega. qualcun altro si contraddice o fa mezze ammissioni, «io c'ero, ma non sono entrato con gli altri e non ho partecipato al raid». Uno dei minorenni, S.G. nel dicembre scorso aveva pestato per rapina un bengalese alla fermata dell'autobus. I carabinieri ritengono di essere ad un passo dall'identificare l'intera banda. Il maggiorenne è in carcere, i minori sono rinchiusi nell'istituto per minori Virginia Agnelli.
«Contro il razzismo e contro la violenza uniamoci italiani e immigrati». Con questo striscione, oltre un centinaio di immigrati hanno manifestato ieri nel quartiere e c'erano pure italiani e immigrati africani di Rosarno. Gli immigrati hanno chiesto ai rappresentanti  del  Comune  di non partecipare alla manifestazione, «perché - hanno detto - l'amministrazione, non favorisce l'integrazione, nell'ultimo giorno del ramadan il Comune ha proibito un raduno di stranieri musulmani in Piazza Vittorio».
I bengalesi dicono di avere paura e di subire continue vessazioni dalle bande di bulli. In città accadono sempre più spesso episodi di violenza giovanile: l'altra sera Manfredi. 15 anni, il figlio del sindaco Gianni Alemanno è stato aggredito da una banda di ragazzi italiani figli di immigrati. arrivati nell'elegante quartiere dei Parioli con l'idea di vendicare un torto subito qualche giorno prima. Hanno scambiato il figlio del sindaco per un altro. Ed è lo stesso sindaco Alemanno che al termine del un comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza: «Il dato di allarme è la crescita della violenza giovanile, delle bande. dell'intolleranza che spesso assumono carattere xenofobo, è necessaria un'educazione ala legalità e alla tolleranza».









«Nessun razzismo,    qui comandiamo noi»
Gli amici dei componenti della "spedizione punitiva"
Il Messaggero,17-03-2010
di MARIA LOMBARDI
ROMA - «Che ne pensiamo noi? A noi, di loro, non ce ne frega niente, ma niente davvero». Il mento si muove appena per indicare loro, i bengalesi che in corteo sfilano lì davanti, in piazza Fabrizio De André, alla Magliana. "Loro " urlano al megafono, «lasciateci vivere in pace», e i ragazzi allineati all'uscita     del bar, mani in tasca e sguardo oltre la folla, non li ascoltano e nemmeno lì vedono. Hanno   saputo dei tre che sono stati     fermati «per quella cosa lì, in via Murlo», avrebbero assaltato, accusano gli investigatori, il fast-food dei bengalese e ferito chi c'era: uno ha venti anni, gli altri sono quindicenni. Li conoscono, si conoscono un po' tutti quelli che bazzicano ì bar sulla piazza, un recinto vuoto per pomeriggi e sere che non sai proprio che farci. «E hanno fatto bene». Ma come, i feriti, i bastoni, le vetrine spaccate? «Te lo ripeto: hanno fatto bene», alto, alto, capelli rasati e parole senza dubbi. «Ancora nessuno ha raccontato cosa è successo prima dell'assalto. Uno di quei
bengalesi ha puntato un coltello al collo di un ragazzino di 14 anni. Non si doveva permettere, ha mancato di rispetto, e questo non si può tollerare». E'una storia dì tutti igiorni alla Magliana: il quattordicenne, hanno ricostruito i carabinieri, voleva portare vìa all'ambulante del Bangladesh degli oggetti senza pagare. Ma questo ì ragazzi non lo raccontano. «E' stata una reazione al coltello, chiaro? Ma quale razzismo? Quale politica?
Se l'avesse fatto un italiano, sarebbe stato punito lo stesso». Indifferenza a tutto, anche alle differenze, tollerare pure l'intolleranza, perché alla fine tutto sembra uguale, in questi pomerìggi a perdere davanti al bar, e niente merita un pensiero. Ma se sei debole meriti di finire sotto: è l'ideologia dei bulli più che dei "razzisti".
«Ma Bruno, il più grande, non c'entra niente. Quello l'i stava a casa, era su Facebook. Hanno preso chi davvero non c'era, l'altra sera», gli amici sono sicuri. La mamma del ventenne giura che il figlio era a casa, «in camera sua a chattare. Lo dimostreremo. Non l'hanno nemmeno interrogato e gli hanno portato via un paio di pantaloni macchiati di sangue, ma erano sporchi da una settimana. Mio figlio in questa storia non c'entra», si dispera.
E gli altri, ì più piccoli? «Sono ragazzetti come tanti, studiano, vanno a scuola e fanno le cazzate, come tutti a quell'età. E tra i più grandi c'è chi studia e lavora insieme. Poi ci vediamo al bar. Ma normale, tutto normale», come i pìercing, sul men¬to, sulle labbra, sul naso, ormai noti solo chi non ce l'ha. «Nelle nostre comitive ci sono anche gli stranieri, siamo amici e ci rispettiamo. Quelli lì, i bengalesi, fanno fìnta di essere buoni e invece combinano casini. Si nascondono dietro il razzismo, fanno le vittime perché sono stranieri». Bande rivali, alla Magliana? «Ma quale bande? Gruppi di amici e basta».
Solo immigrati nel corteo, il quartiere si lascia attraversare ma. non partecipa, come se volesse girare le spalle, imbarazzato, sono sempre figli di quella piazza i ragazzi del raid. Pochi applausi, solo della sua gente, per Loktman, «noi siamo lavoratori e i lavoratori sono fratelli, hanno lo stesso sangue». E Bacini parla quasi solo ai bengalesi, «il problema non sono i ragazzi, sono l'ultimo dei problemi, è il clima d'odio».
Non la pensano così gli ambulanti, per loro quei ragazzini sono il problema. «Prima la Magliana era buona, adesso sono arrivati ì bambini e succedono solo casini», Ali ha un chioschetto di frutta, bibite, caramelle e noccioline e ìndica con la mano l'altezza di quelli che lui chiama bambini, un metro e mezzo, non di più. «Vengono qui, tutte le sere, in dieci, quindici: prendono quello che vogliono e non pagano. Prendono anche i soldi a volte. Non denuncio. ho paura di altri guai». Un cartello giallo avverte: "Occhio alla telecamera nascosta", ma la telecamera non c'è. sorride Ali, ormai «lo sanno pure ì bambini». Ha paura dei "bambini" anche Salini, ambulante del Bangladesh, «soprattutto la sera, quando torno a casa. Picchiano e rubano cellulari e portafogli. Sono in dieci, quìndici, violenti, hanno dai dodici ai venti anni. Non solo italiani, tra loro c'è qualche romeno».
In un internet-poìnt gestito da un egiziano entrano le voci del corteo. «Ma se ne tornassero al loro paese», sbotta un ragaz-
zo al pc. «Se fosse stato distrutto un negozio di italiani, tutti zitti. E invece guarda un pò ' che finimondo solo perché dicono che siamo razzisti». Il clima comunque è cambiato. Lo dice, più di tanti discorsi, lo sguardo minaccioso di un 'anziana signora a
un ambulante: «Lei non deve sporcare la strada. Io pago per la nettezza urbana, lei di sicuro no, quindi pulisca».








Il blitz antiprostituzione: 95 straniere fermate per controlli
Nuovo Castelli Oggi,17-03-2010
Nel corso dei servizi pianificati nell'ambito del "Patto per Roma Sicura" proseguono i controlli da parte degli agenti della Polizia finalizzati al contrasto dei fenomeni dell'abusivismo commerciale, dell'accattonaggio, dei parcheggiatori abusivi e della prostituzione su strada. Nella giornata di ieri la Polizia ha effettuato mirati controlli lungo le vie maggiormente interessate dal fenomeno della prostituzione da via Aurelia a viale P. Togliatti e via Tiburtina. Sono state identificate 95 prostitute romene delle quali 15 sono state accompagnate presso l'Ufficio Immigrazione per accertamenti, mentre 10 sono state contravenzionate   ai   sensi dell'ordinanza antiprostituzione del Sindaco. Agenti della questura hanno effettuato servizi alla Borghesiana e nel quartiere Gianicolense insieme a personale dei Commissariati Casilino e Monte Verde identificando 238 persone e controllando 135 veicoli: elevate 13 contravvenzioni e 4 gli autoveicoli sottoposti a sequestro. Alla Borghesiana gli Agenti hanno arrestato R.M. colombiana di anni 36, colpita da ordine di cattura emesso del Tribunale di Roma, dovendo espiare una pena residua 3 di mesi e 28 giorni di reclusione. Inoltre 5 cittadini stranieri sono stati denunciati per ricettazione e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina.







Spazi d'incontro per gli stranieri

Il Sole, 17-03-2010
di Tetyana Kuzyk
La delega per l'integrazione delle comunità degli immigrati presenti a Roma è stata affidata per la prima volta dal sindaco Alemanno a una cittadina straniera Per il nostro gruppo di consiglieri aggiunti in Campidoglio è una grande responsabilità. Il contributo degli immigrati all'economia e al welfare romano è sempre più indispensabile. Parliamo dibadanti e domestiche, muratori e ambulanti, camerieri e aiuto cuochi, venditori di frutta al mercato, operai e manodopera in agricoltura. Ma anche di imprenditori, studenti, scienziati.
Non possiamo immaginare nemmeno una giornata nelle famiglie, nelle aziende, nei ristoranti, nelle scuole, senza il contributo degli immigrati. E mobilitazioni nazionali come quella dello scorso 1° marzo o come quella prevista per il 20 marzo sono un'opportunità di sensibilizzazione importante, perché troppo spesso italiani e stranieri vivono in due mondi paralleli, che non si incontrano nella vita quotidiana. Ecco perché è importante che tutte le iniziative di questo tipo vengano organizzate insieme con le comunità di immigrati presenti sul territorio. In questa prospettiva il nodo centrale che non è stato mai affrontato adeguatamente è quello della comunicazione. Ad Oggi manca un'organica politica da parte dell'amministrazione comunale su questo fronte. Eppure Roma da anni è un polo di attrazione molto forte per gli immigrati: vi risiedono circa 400 mila  stranieri regolari, provenienti da 196 nazioni e comunità diverse.
Basterebbe utilizzare strumenti già esistenti, dedicando ad esempio uno spazio del sito del Comune all'immigrazione  per illustrare meglio compiti e ruoli dei consiglieri aggiunti eletti in Campidoglio (senza diritto di voto), del delegato del sindaco per l'integrazione delle comunità straniere, della Consulta per l'immigrazione che per spiegare la normativa comunale, regionale e nazionale; fornire gli indirizzi utili (dalla questura alla prefettura, ai centri di accoglienza) e le informazioni dai Municipi: bandi, progetti, eventi culturali e sociali. Da non sottovalutare poi l'importanza di rubriche sulla free press, con una pagina sulle news legislative, culturali e sociali. Il dialogo tra istituzioni e comunità straniere va inoltre stimolato attraverso la creazione di Tavoli di lavoro ad hoc, dedicati alle donne immigrate, ai giovani stranieri, alla stampa sull'immigrazione ai rapporti con i Municipi. Per favorire l'integrazione sul territorio servono interventi mirati: un vademecum sull'immigrazione  a Roma, per orientarsi sui servizi che offre la città, e maggiori informazioni ai ragazzi nelle scuole, tramite i mediatori, sulle attività culturali e sociali sul territorio. È da molti anni che chiediamo poi spazi dove incontrarci, per evitare gli assembramenti nei parchi che danno tanto fastidio agli italiani, ma finora non abbiamo mai avuto risposta. Bisogna istituire inoltre premi per gli scrittori stranieri e tradurre in più lingue l'opuscolo "Donna immigrata" pubblicato dalla delegata del sindaco alle Pari Opportunità. Le   dinamiche dell'immigrazione stanno cambiando a Roma. È una trasformazione che va compresa. Gli stranieri sono sempre più organizzati, consapevoli dei propri diritti, desiderosi di essere informati, pronti a dare il proprio contributo culturale e sociale nella città in cui vivono, abbandonando il progetto di ritorno in patria: A queste persone bisogna dare risposte e servizi adeguati.










"Qui non temiamo nessuno"
La Stampa,17-03-2010
Reportage GUGLIELMO BUCCHERI
ROMA, In piazza Euclide il giorno dopo l'aggressione
I caschi hanno il tricolore e, il tricolore, compare anche nella parte alta dei giacconi. Piazza Euclide, Auditorium sullo sfondo, zona Parioli: Manfredi e Alessio, il figlio del sindaco Alemanno e uno dei suoi migliori amici, sono stati aggrediti quando erano più vulnerabili, ovvero senza la protezione del gruppo. «Alle 8 di sera ed erano soli... Meno male che è spuntato Tommaso altrimenti non so come sarebbe andata a finire». Chi racconta per primo i fatti è un ragazzo di 15 anni, età di Manfredi con il quale ha appena smesso di parlare al cellulare. «E' a casa, scosso, ma lucido. Se ha avuto paura? Erano di più, sette contro due. E, poi, il mio amico Manfredi non farebbe male ad una mosca, lui è una persona speciale...». Nessun movente politico, assicurano i ragazzi di una delle piazze «nobili» della Capitale. La politica, qua, è la Destra. Poi, c'è il pallone, Lazio o Roma non fa differenza. Adesso, però, è l'aggressione a prendere in ostaggio il pomeriggio davanti al bar Tomas. Sono i lividi di Manfredi e lo zigomo tumefatto di Alessio a portare sulle barricate Piazza Euclide. «Questo è il nostro territorio, se qualcuno viene ok, basta che...».
Qualcuno è venuto, un mese fa circa: ragazzi più grandi, 18 o 19 anni, italiani, ma di origine filippina e capoverdiana. Risultato? Una schiaffo e la voglia di vendetta. «Il più grosso di loro faceva lo spiritoso, alzava le mani e i toni. E' partito un ceffone e sono andati via...». Via, verso Monte Mario perché è da là, assicurano i ragazzi con i caschi col tricolore, che nasce il raid contro Manfredi ed Alessio, per qualcuno al posto sbagliato nel momento sbagliato, per altri obiettivo dichiarato delle botte. «Hanno sbagliato bersaglio perché, al buio, il figlio del sindaco può anche assomigliare a chi ha dato lo schiaffo...», così uno del gruppo. «No, sapevano che colpendo Manfredi tutti ne avrebbero parlato: vogliono provocare la nostra reazione...», sussurra un altro. Reazione? «Noi non indietreggiamo, non abbiamo paura di niente e di nessuno. Sì, studiamo in scuole bene, abitiamo in zone cosiddette esclusive, ma, non per questo, siamo meno combattivi di altri, anzi...». Le scuole «bene» sono il Convitto nazionale, il Marymount, i licei della zona a nord di Roma. Le zone esclusive, i Parioli, il Fleming, la Cassia. «Con lo-ro, con i ragazzi di Piazza Giochi Delfici e delle piazze vicine siamo amici: loro vengono qua, noi andiamo da loro. Ma altrove non è la stessa aria. Questi sette aggressori sono di Monte Mario...», ripetono i quindicenni al centro del loro territorio dove hanno subito l'oltraggio.
Manfredi Alemanno e Alessio, l'altra sera, sono stati aiutati da Tommaso, descritto come un piccoletto dalla testa calda. E' stato lui a placcare gli aggressori e se il figlio del sindaco ha solo qualche livido lo deve ad uno dei suoi amici. La Capitale appare in corto circuito, la vio-lenza ha la forza di attraversarlo sconfinando in area dove era sconosciuta, o quasi. I Parioli come la Magliana, per qualche ora il comune denominatore è sembrato lo stesso, anche, se poi, le conseguenze sono state diverse. A Piazza Euclide è quasi sera quando si affacciano i più grandi. «Quelli sono i ventenni...». I ventenni che, ora, parlano ai più giovani che li ascoltano in religioso silenzio. «Domani va a scuola. Manfredi ha fatto bene a non denunciarli. Paura? Nessuna...», ripete, fiero, il più loquace del gruppo. «Noi siamo qua», ci saluta così.










Dalla Magliana ai Parioli allarme bande giovanili
La Stampa, 17-03-2010
FULVIO MILONE
ROMA Bullismo, più spesso xenofobia che può sconfinare nel razzismo. Violenza innescata dall'intolleranza, oppure dalla frustrazione di chi cresce nei grandi «ghetti» di periferia, o più semplicemente dalla noia. A Roma scendono di nuovo in piazza le bande giovanili. Sono entrate in azione tre giorni fa tra i palazzoni popolari della Magliana, devastando un negozio gestito da bengalesi, ma hanno colpito anche in un ricco quartiere dell'alta borghesia, come Parioli, dove l'altra sera sono stati aggrediti il figlio quindicenne del sindaco Gianni Alemanno, Manfredi, e un suo amico. Apparentemente i due episodi di cui
si sono resi protagonisti i «ragazzi cattivi di Roma» hanno poco o niente in comune. Nel primo caso, a colpire è stato un branco di giovanissimi, tre dei quali fermati dai carabinieri, che andava a caccia di stranieri. Nel secondo si sarebbe trattato di un errore di persona: i picchiatori, di origine capoverdiana ma con cittadinanza italiana, avrebbero sbagliato persona, scambiando il figlio del sindaco per un ragazzo con cui avevano litigato alcune settimane fa. In realtà le due aggressioni hanno un comune denominatore, quello appunto della violenza delle bande giovanili, che lo stesso Alemanno denuncia come «un problema grave anche se presente nelle altre metropoli».
I carabinieri che indagano sul raid messo a segno alla Magliana hanno fermato tre dei teppisti che domenica scorsa hanno assaltato il bar rosticceria di Mohamed Masumia. Il primo ha compiuto da poco 18 anni, i due suoi complici sono minorenni. I loro amici, una dozzina, sono stati quasi tutti identificati, e il loro arresto sarebbe questione di ore.
La ricostruzione del raid fatta dagli investigatori offre uno spaccato dei rapporti violenti e senza regole che si sono ormai consolidati nel quartiere-borgata alla periferia sud di Roma, ad alta densità di immigrati. La banda si è scatenata dopo che uno del branco aveva preteso da un ambulante bengalese la merce esposta sulla bancarella senza pagare un euro. L'immigrato si è rifiutato, ed è fuggito nel negozio di Masumia. Ciò è bastato per fare scattare la rappresaglia.
«Un episodio di bullismo», ha spiegato il prefetto di Roma Giuseppe Pecoraro. E' un fatto però, che i carabinieri, in una informativa alla Procura della Repubblica, ipotizzano per i ragazzi fermati i reati di lesioni e rapina con l'aggravante della motivazione razziale. Sì, perché sembra proprio che il branco abbia già compiuto raid e aggressioni contro immigrati inermi. E il quartiere è con loro. Non a caso, alla Magliana è stato praticamente impossibile raccogliere testimonianze utili alle indagini; solo dichiarazioni inviperite contro gli stranieri «che di notte si ubriacano, minacciano e rubano». E che il clima sia avvelenato è testimoniato dal fatto che, ieri pomeriggio, gli immigrati hanno chiesto ai rappresentanti del Comune di non partecipare a una loro manifestazio-ne di protesta: «Il Comune - hanno spiegato - è il primo a non favorire l'integrazione».
L'allarme fra le istituzioni è forte. Ieri, in Prefettura, si è tenuta una riunione del Comitato e per l'ordine e la sicurezza pubblica a cui hanno partecipato il sindaco ed i vertici della Questura e dei carabinieri. «Ci preoccupa la crescita della violenza giovanile, dell'intolleranza che spesso assume i contorni della xenofobia», ha avvertito Alemanno che meno di ventiquattr'ore prima del vertice si è visto tornare a casa il figlio con il volto tumefatto. Sia il giovane Manfredi che gli aggressori, sette, figli di immigrati ma di nazionalità italiana, hanno spiegato che il pestaggio è stato frutto di «un errore di persona». «Quei ragazzi hanno sbagliato bersaglio - ha confermato la madre di Manfredi, Isabella Rauti -. Manfredi era con un amico, Alessio, in Piazza Euclide, e stava parlando con due ragazze quando sono arrivati loro e gli hanno chiesto: "Conosci quello che ha menato il nostro amico»?". Poi lo hanno tempestato di calci e pugni». Il figlio del sindaco non ha voluto denunciare i picchiatori. «Un gesto di clemenza che ho voluto rispettare», ha commentato il padre.










Mamma Roma bulli, raid e fettuccine
La Stampa,17-03-2010
EMANUELE TREVI
Per fare del bene a se stessi e al prossimo, di qualunque tipo sia questo bene, è necessaria una certa dose di costanza e di tenacia. L'imbecillità umana, invece, è del tutto incostante, ama moltiplicare le sue maschere. Certamente, ciò rappresenta un sollievo, ma anche un pericolo. Dopo un periodo di calma apparente, infatti, ogni particolare replica della demenza ci colpisce come una dolorosa sorpresa, uno schiaffo in faccia. Illusi dal fatto che non se ne parlasse più, pensavamo di esserci liberati per sempre di chi butta sassi dai cavalcavia. O dei proprietari di motoscafi e moto d'acqua col motore acceso fino a riva, o di chi alleva cani feroci senza esserne capace.
Finché apriamo il giornale e ci rendiamo conto che non c'è mai stato un minimo progresso. Così accade oggi che le cronache di Roma si riempiono, manco fossero bollettini di guerra, della parola raid, a indicare azioni collettive, rapide e violente, ai danni di persone e cose considerate nemiche, colpevoli di qualcosa, meritevoli di un esempio e di un castigo. E tutto questo, come di regola, all'interno di contesti periferici, dotati di tutti i crismi della normalità, senza grosse differenze (almeno all'osservazione esterna) tra le possibilità e gli stili di vita degli aggressori e degli aggrediti. Questi ultimi, d'altra parte, potranno a loro volta cambiare ruolo, in cerca di vendetta e riparazione dell'onore. E innescando questa reazione, il raid può veramente considerare svolto il suo compito. Nella resistibile ascesa di tutti i regimi totalitari, il raid ha una grandissima importanza, più simbolica che pratica. A contare non è mai il bersaglio in sé, ma la coesione che realizza tra i suoi partecipanti. Vivendo quella partecipazione, i primi squadristi fascisti testimoniavano convinti di aver vissuto una specie di esperienza mistica, più preziosa di ogni dottrina astratta. Ma in confronto ad oggi, anche i cupi anni del manganello e del ricino sembrano un'età evoluta, nella quale si muovono individui reali. I ragazzini di oggi, gli squadristi del duemila, possiamo definirli fascisti solo a patto di eccessive semplificazioni. In realtà, sono animati da una semplicissima polarità di sentimenti, che bastano a se stessi senza costruire nessun edificio ideologico più stabile: odio per gli stranieri, odio per le forze dell'ordine. Ma ciò che più colpisce è il modo facile con cui la brutalità si allea al più esibito sentimentalismo. Nel nuovo squadrista, insomma, così come nella manodopera del crimine meridionale, le melodie più dolci hanno facilissima presa, assieme a tutta una serie di buoni sentimenti coltivati come fiori di serra e spesso tatuati su bicipiti e polpacci. Ed ecco che iniziamo appena a scorgere il profilo di questo nuovo rappresentante del Nulla sociale: capace delle più sordide infamie ai danni del malcapitato, ma devoto fino alla morte, per esempio, a quell'amicizzzia che in certi quartieri di Roma si pronuncia almeno con tre zeta, come per rimarcarne l'importanza. La miscela, come si suol dire, è esplosiva. Hitler e Che Guevara, mammismo e narcisismo, onore e cocaina... e alla fine, un piatto di fettuccine con tutta la banda. Un ricercatore capace di immergersi in questa melma così ricca e contraddittoria farebbe sicuramente un'opera importante di sociologia e filosofia sociale. Tutti i regimi di tipo fascista hanno almeno il merito, una volta conquistato il potere, di mettere la museruola ai loro squadristi. Ma oggi ci troviamo di fronte a una forza cieca e autonoma, che non riconosce nessuna autorità al di fuori dei suoi istinti, dei suoi valori ereditari, delle circostanze immediate. Rasate o no, queste teste albergano una sola idea: se la vita è difficile e accidentata, questo non è il destino umano, ma è colpa di qualcuno. Un'illusione così atavica, e così potente, che al solo pensiero di affrontarla e fronteggiarla la ragione trema come di fronte al peggiore dei mostri.









MILANO E I ROM COME ENEA
l'Unita, 17-03-2010
Dijana Pavlovic
Ministro Maroni, ho apprezzato la sua scelta di dare pubblicamente a Jovica Jovic, musicista rom, il permesso di soggiorno per meriti artistici. Un gesto che dimostra un'attenzione che contrasta con l'emergenza rom, con la campagna di paura e pregiudizio.
Allora vorrei richiamare la sua attenzione sulla situazione di Milano. Enea, piccolo rom morto bruciato nella sua baracca nell'angolo di periferia dove si era rifugiata la sua famiglia. A chi tocca la responsabilità di questa morte nella città dell'Expo che tollera condizioni di tale degrado e inumanità?
Sotto l'ultima nevicata il vicesindaco De Corato ha fatto sloggiare alcune famiglie coi loro figli piccoli dai loro ripari. Un'altra prova di ferocia gratuita: cacciano da un posto all'altro sempre le stesse persone distruggendo quel poco che sono riuscite a mettere insieme. Qualche bambino va a scuola, qualche lavoro, anche se in nero perché così imparano a essere poveri e disperati. Eppure si potrebbe affrontare il problema smettendo la persecuzione a fini elettorali.
Il suo ministero ha stanziato 13 milioni per la seconda fase dell'emergenza rom a Milano. Il Comune prevede la chiusura di 4 campi regolari - circa 1000 persone, metà cittadini italiani qui da decenni - destinando solo meno di due milioni e mezzo alle associazioni per possibili percorsi di sistemazione abitativa, il resto va alla messa in «sicurezza» (recinzioni delle aree abbandonate, telecamere, ecc).
Ma se tutto pare si concluda con la proposta di qualche euro per andarsene questo non risolve il problema di queste persone né di chi è inseguito dagli sgomberi quotidiani.
Allora perché non rovesciare il rapporto scommettendo che la sicurezza si fonda sull'integrazione reale fatta di rispetto, di scuola e abitazione per i coetanei del piccolo Enea e non di sgomberi e fili spinati? Ne possiamo parlare?





Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links