Lampedusa, grido di dolore delle associazioni umanitarie

Stefano Galieni
Da Lampedusa anche le associazioni umanitarie lanciano un grido di aiuto. Ormai il numero dei profughi sbarcati nella piccola isola è superiore a quello degli abitanti, con l’inevitabile precipitazione in condizioni di degrado, di reazioni scomposte di difficoltà oggettive.

Questa mattina, secondo il ministro dell’Interno Roberto Maroni dovrebbe giungere in porto, proveniente da Augusta, una nave militare, la S. Marco, per provvedere al trasferimento di un non meglio precisato numero consistente di persone, verso quale destinazione è difficile capirlo, forse non lo sa ancora neanche il ministro. Ieri, nella conferenza stampa che ha tenuto insieme ai suoi colleghi La Russa ed Alfano,  ha messo in fila una splendida serie di affermazioni non proprio lineari. A detta del titolare del Viminale, gli sbarcati sono tutti “clandestini”, non hanno cioè a priori il diritto di chiedere asilo in quanto in Tunisia, paese di provenienza, non c’è più traccia di guerra. Quindi secondo il ministro i profughi vanno messi nei Cie (capacità di accoglienza complessiva 1360 persone a fronte di 14918 arrivi), identificati e rimandati a casa. A tale scopo questa mattina ci sarà un incontro fra ministero e rappresentanti delle Regioni per cercare di risolvere il “problema”. Alcune amministrazioni hanno già garantito disponibilità ad accogliere ma non a rinchiudere, altre, come la Lombardia, chiedono che siano prima le Regioni sprovviste di Cie a darsi da fare. Maroni sarà poi domani a Tunisi, per concordare con l’omologo tunisino il ripristino degli accordi bilaterali per i rimpatri e per fornire strumenti e uomini atti a bloccare nuovi flussi. Una offerta che già alcune settimane fa le autorità del paese magrebino avevano fermamente respinto. Ma se resta aperto il tavolo con le Regioni ancora nulla è stato fatto con gli enti di prossimità del governo che dovrebbero gestire l’accoglienza, le prefetture. Alcune settimane fa è stata fatta richiesta ai prefetti di offrire un quadro di massima ma a ieri non è stato predisposto alcun piano per l’accoglienza e per la gestione di una eventuale emergenza al di fuori da Lampedusa. Un segnale di allarme, presto rientrato è giunto ieri dal porto di Riposto, in provincia di Catania. Sono giunte 124 persone che si sono dichiarate provenienti dalla Libia. A detta degli inquirenti sono invece partiti da Alessandria d’Egitto e hanno tentato di passare per richiedenti asilo. Dopo aver passato la notte al Palanitta, una struttura sportiva di Catania, dovrebbero essere già stati trasferiti nel centro di accoglienza di Crotone. Il timore che dalla Libia in guerra comincino a partire imbarcazioni di profughi che non potranno essere respinte, come avveniva grazie agli scellerati accordi fra il rais italiano e quello della Jamahirya, è molto forte anche se Maroni si dichiara tranquillo e aggiunge che le risorse per gestire una emergenza sull’emergenza ci sono e sono pronte. Si tenta di tranquillizzare i cittadini lampedusani con scarsi risultati: in attesa dei trasferimenti la sottosegretaria al ministero dell’Economia, Sonia Viale è stata incaricata di studiare misure compensative per i danni subiti nell’economia turistica e ittica nell’isola. Sarà coadiuvata da rappresentanti dei ministeri competenti come Ambiente, Infrastrutture, Turismo, dalla senatrice Angela Maraventano, agitatrice leghista e vice sindaco di Lampedusa e dall’ex presidente della provincia di Agrigento, Fontana. Nel frattempo però a Lampedusa si attrezza l’ex base Loran, passata alla cronaca perché doveva divenire un immenso campo di internamento per profughi alcuni anni fa e le cui condizioni logistiche sono inadatte anche ad una fase emergenziale. A denunciare il ritardo del governo per aver creato condizioni di disagio e di condizioni degradanti, tanto autoctoni quanto migranti, sono stati ieri Filippo Miraglia, dell’Arci, che ha parlato di volontaria strumentalizzazione a fini politici di una emergenza gestibile, Vittorio Cogliati Dezza, Lega Ambiente, che ha definito Lampedusa un “carcere a celo aperto” e i rappresentanti di “Save The Children” che chiedono una immediata soluzione per i 230 minori non accompagnati che dormono all’addiaccio nell’isola. Fra i tanti elementi che fanno pensare ad una colpevole mala gestione della fase il fatto che negli stessi Cie, definiti al collasso da Maroni sembra ci siano ancora posti “disponibili” soprattutto nell’Italia centrale. Si cerca forse l’occasione per aprirne altri di urgenza?
 

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