Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 giugno 2010

Nel testo unificato l'esame di cultura e di italiano
Riforma cittadinanza urgente per i 520mila nati in Italia

il Sole, 14-06-2010
Serena Riselli Alessandra Tibollo

Associazioni cattoliche e sindacati schierati per riprendere il dialogo sulla cittadinanza agli immigrati. Specialmente sulla questione minori, la seconda o terza generazione degli stranieri in Italia. L'occasione sono state le audizioni in commissione affari costituzionali della Camera sulle proposte di riforma della legge 91 del 1992 sulla cittadinanza, che si sono svolte venerdì scorso.
Su tutte, le Adi (associazioni cristiane dei lavoratori), impegnate nel sociale e schierate sul fronte dell'immigrazione, che sottolineano come i minori nati in Italia da genitori stranieri siano 52omila: quasi il 60% dei circa 900mila minori stranieri residenti nel Paese e il 7% dell'intera popolazione scolastica.
A concludere le audizioni, l'intervento di Andrea Sarubbi, deputato Pd e firmatario, insieme a Fabio Granata (Pdl), di una pro-posta di legge che introduceva la possibilità di dare la cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia da famiglie straniere che vivessero stabilmente in Italia, oppure agli adolescenti che avessero compiuto l'intero ciclo delle scuole primarie nel nostro Paese. Un tèma ineludibile, ha ricordato Sarubbi, su cui è necessario intervenire al più presto.
Invece il testo unificato (che prende spunto da una decina di proposte di legge bipartisan presentate in precedenza e porta la firma della parlamentare del Pdl Isabella Bertolini) è fermo in commissione dallo scorso gennaio, quando l'assemblea della Camera lo aveva rinviato alla commissione con le proposte di riforma per un ulteriore approfondimento. Inoltre il testo non prevede nulla di nuovo per i minori stranieri che vogliono diventare cittadini italiani (mentre aggiunge il vincolo di aver concluso la scuola dell'obbligo). I figli di immigrati nati in Italia o coloro che sono arrivati qui con la propria famiglia, ma ancora minorenni, dovranno aspettare di compiere 18 anni per richiedere la cittadinanza.
Per quanto riguarda gli adulti, invece, il testo unificato prevede che gli immigrati extracomunitari dovranno risiedere regolarmente per almeno 10 anni in Italia, prima di poter richiedere la cittadinanza. Due anni prima di questa scadenza, potranno iscriversi ai corsi di storia e cultura italiana ed europea, di educazione civica e sulla Costituzione, obbligatori per l'ottenimento della cittadinanza.
Un punto importante per Giovanna Zincone, ordinario di Sociologia politica all'università di Torino: «Se questi corsi, ed eventualmente un esame, ri-spondono a una conoscenza che noi vorremmo da tutti i cittadini, ben vengano. Possono essere uno strumento utile per diffondere i valori condivisi del nostro Paese e i principi base della Costituzione: sono temi che dovrebbero essere promossi per tutti gli italiani. L'importante è che non si pretenda un livello troppo alto di conoscenza».
Il progetto di riforma introduce anche dei limiti temporali: da un lato 120 giorni per ottenere l'ammissione ai corsi di cultura, dall'altro un tempo massimo di due anni per i tempi burocratici necessari per rispondere alla richiesta dell'immigrato.
Secondo Ennio Codini, professore di Diritto pubblico presso la facoltà di Sociologia dell'università Cattolica: «Bisogna ridurre i tempi burocratici per ottenere la cittadinanza italiana. Una durata così lunga sottintende un carattere eccezionale di tale concessione. Invece bisognerebbe partire dal presupposto che, tra qualche anno, queste richieste diventeranno la norma e ci saranno centinaia di migliaia di procedure in corso, a causa non solo dei fenomeni di immigrazione, ma anche per tutti i figli di stranieri nati in Italia».
I requisiti necessari
? Residenza regolare per almeno 10 anni in Italia prima di poter richiedere la cittadinanza. La permanenza dovrà essere stabile e continuativa.
Dopo 8 anni, si potrà fare domanda di frequenza a corsi obbligatori di cultura, di educazione civica e sulla costituzione di durata annuale. «Gli stranieri dovranno dimostrare un buon grado di integrazione sociale e il rispetto anche in ambito familiare delle leggi italiane. « Ifigli nati e cresciuti in Italia potranno chiedere la cittadinanza dopo aver compiuto 18 anni, a condizione che abbiano frequentato con profitto tutti gli anni della scuola dell'obbligo.  Massimo 120 giorni per dare risposta allo straniero che voglia accedere al corso di cultura; dalla presentazione della richiesta di iscrizione al corso, l'iter amministrativo deve comunque concludersi entro due anni.



Test d'italiano agli immigrati

Il Sole.it, 13-06-2010
Dal prossimo dicembre il rilascio della carta di soggiorno per i cittadini extracomunitari dipenderà anche dalla loro conoscenza della lingua italiana.
La legge 94/2009 ha, infatti, previsto che il rilascio del permesso di soggiorno Ce, di lungo periodo (ex carta di soggiorno), è subordinato al superamento di un test di italiano, che deve attestare una padronanza della lingua almeno a livello A2 (cosiddetto pre-intermedio o "di sopravvivenza") Ovvero, esprimere e comprendere frasi d'uso frequente nella vita quotidiana (informazioni personali, fare la spesa, eccetera). Saper descrivere in termini semplici la propria vita, l'ambiente circostante e i propri bisogni. Il ministro dell'Interno, di concerto con l'Istruzione, ha emanato il decreto 4 giugno 2010 – pubblicato sulla «Gazzetta ufficiale» 134 dell'11 giugno, dove sono spiegate le modalità operative del test di lingua.
Innanzitutto, sono esclusi i minori di 14 anni e gli stranieri affetti da gravi limitazioni derivanti dall'età, da patologie o da handicap. Lo straniero deve inviare, online, la domanda di partecipazione alla sessione di esame allo sportello unico per l'immigrazione dove vive.
Entro 60 giorni dalla data in cui è stata ricevuta la richiesta, la prefettura deve invitare lo straniero a sostenere il test di lingua italiana, indicando giorno, ora e luogo in cui si dovrà presentare per la prova, che consiste in una verifica scritta e su computer (anch se su richiesta dell'interessato, può essere svolta, alle stesse condizioni, in forma cartacea).
Sarà infatti la prefettura a individuare, di volta in volta, le sedi, in ambito provinciale, di svolgimento del test.
Per superarlo il candidato deve conseguire almeno l'80% del punteggio complessivo; il risultato è comunicato allo straniero e, successivamente, inserito nel sistema informativo del ministero dell'Interno. In caso di esito negativo, il candidato può ripetere il test senza limiti.
Il decreto prevede anche esoneri: ad esempio, per coloro che hanno già frequentato corsi di italiano e ottenuto attestati almeno di livello A2, conseguito un diploma di primo e secondo grado in un istituto italiano o crediti formativi nell'ambito dell'accordo di integrazione in base all'articolo 4-bis del Testo unico sull'immigrazione.
Infine, lo scorso 10 giugno 2010, il Consiglio dei ministri ha approvato, in via preliminare, il Dpr che regola la disciplina dell'accordo di integrazione tra lo straniero e lo Stato, previsto dall'articolo 4-bis, che dovrebbe entrare in vigore dal 1° gennaio 2011. L'accordo configura una serie di crediti che lo straniero deve maturare per il rilascio del permesso di soggiorno. La cui perdita integrale comporterà la revoca del titolo e l'espulsione.



Fini, contro lavoro nero immigrati non solo regole e flussi

Labitalia, 14-06-2010
Roma,- Contro il dramma del lavoro nero non bastano le regole sui flussi migratori. Occorre "favorire un corretto incontro tra domanda e offerta di lavoro straniero" e "investire particolarmente" sulla regolamentazione delle forme di impiego della manodopera straniera, proprio perché la presenza di lavoratori extracomunitari è più significativa dove è più elevata la percentuale di lavoro sommerso. Lo ha detto il presidente della Camera, Gianfranco Fini, che oggi a Montecitorio, alla presenza del ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha presentato i risultati dell'indagine conoscitiva condotta dalla commissione Lavoro della Camera sui fenomeni distorsivi del mercato del lavoro, dal lavoro nero al caporalato, allo sfruttamento della manodopera straniera.
Il documento conclusivo dell'indagine invita la politica e il mondo del lavoro a "investire particolarmente sulla regolamentazione delle forme di impiego della manodopera straniera, atteso che la presenza di lavoratori extracomunitari risulta significativa proprio in quei settori in cui si registra una percentuale più elevata di lavoro sommerso". "Ed è un invito - ha sottolineato Fini - che io considero di grande rilievo".
Le questioni legate al lavoro straniero in Italia, richiedono "una riflessione sulle stesse modalità di ingresso nel Paese, e ciò - ha affermato il presidente della Camera - per evitare il diffondersi del lavoro sommerso che riguarda sicuramente gli immigrati irregolari, ma, in misura maggiore, quelli regolari con lavoro stabile". Secondo Fini, "si tratta di temi che non possiamo fare finta di non vedere: la politica deve comprendere queste dinamiche, facendosi carico di affrontare i problemi che sono sotto gli occhi di tutti".
"E' evidente -ha detto Fini- che il fenomeno del lavoro nero presenta proporzioni più vaste, che non possono essere circoscritte alla sola regolamentazione dei flussi migratori: non va dimenticato, infatti, che il lavoro nero coinvolge altri soggetti deboli della società, come i giovani e le donne. Tuttavia, i lavoratori immigrati, per oggettivi motivi di necessità che derivano dal fatto che il lavoro costituisce un requisito indispensabile per soggiornare regolarmente nel nostro Paese - ha proseguito il presidente della Camera- sono i soggetti più disposti ad accettare impieghi non pienamente rispondenti alla loro qualifica e preparazione culturale, con il conseguente rischio di sfruttamento".



Chi sono gli immigrati in provincia : incontro alla scuola media "Volta"

Il MessaggeroLatina, 14-06-2010
Un ritratto della popolazione immigrata in provincia di Latina è stato redatto dal sociologo Carlo Caldarini. Il rapporto di ricerca che sarà presentato nel corso dell'incontro che si terrà giovedì prossimo, a partire dalle 9, nell'auditorium della scuola media "Alessandro Volta" di Latina nell'ambito del progetto "Stima" (Sistema territoriale di inclusione, mediazione, accoglienza). Il progetto è promosso da un parternariato di cui è capofila la scuola media e prevede una rete di servizi formativi per lo sviluppo delle competenze di persone immigrate e attività di sostegno e integrazione nel tessuto produttivo e sociale della Provincia.
Titolo della ricerca è "Dimensioni e caratteristiche del fenomeno occupazionale della popolazione immigrata in Provincia di Latina. In una sintesi dello studio  di Carlo Caldarini, si legge : Entrambi hanno meno di 35 anni, e da più di 5 vivono in Italia. Hanno un lavoro salariato, anzi più di uno. Hanno famiglia in Italia, vogliono restare qui e intanto sognano di comprare una casa nel loro paese. Lui lavora nell'agricoltura e nell'edilizia, oppure nel commercio. Lei fa l'assistente familiare o la collaboratrice domestica. Sono istruiti, lei più di lui. Usano internet, Skype, la posta elettronica, la web-cam. Lei parla tre lingue, lui quattro. Eppure sono entrambi occupati nelle mansioni più basse e poco qualificate del difficile mercato del lavoro locale. Stiamo parlando dei lavoratori stranieri che vivono nella provincia di Latina. Donne e uomini, con un regolare permesso».
La ricerca: livello di istruzione famiglia, progetti professionali
Gli stranieri in provincia di Latina sono circa 26.000. «Dopo Roma - continua la ricerca a cura di Carlo Caldarini - Latina è la seconda provincia del Lazio per presenza di cittadini stranieri, ed è la provincia italiana dove la presenza straniera registrai maggiori aumenti: + 229% tra il 2001 e il 2009, + 30,2% tra il 2008 e il 2009 (dati al 1° gennaio). Circa 1*83% degli stranieri presenti sul territorio della provincia sono occupati. A livello nazionale questa percentuale è del 77% e nella provincia di Roma del 63%. Sono principalmente rumeni (47.3%), oppure polacchi (4,5%), in entrambi i casi cittadini comunitari. Cittadini come noi - scrive il sociologo - con diritti civili e sociali pari a quelli degli italiani, come sanciscono le regole europee sulla libera circolazione. Molti altri vengono dall'Albania, dall'India, dall'Ucraina o dal Maghreb. In tutto fanno 113 nazionalità diverse. Lavorano dalle dieci alle dodici ore al giorno. Guadagnano tra i 500 e i 900 euro al mese: un po' di soldi li mettono da parte, un po' li mandano nel loro paese, il resto è per loro. Amano il proprio lavoro, ma desiderano cambiare e progettano di aprire un'attività e mettersi in proprio. Alcuni ci sono già riusciti. Sono indiani, rumeni, ucraini, maghrebini, cinesi. Sono in Italia da pochi anni, si spostano da una città all'altra, e la loro posizione nel mercato del lavoro cambia più velocemente di quella della maggior parte degli italiani. Lavorano, fanno figli. Hanno imparato in fretta la nostra lingua, il nostro alfabeto. Hanno un progetto di vita. Con loro portano usanze, lingue, culture, religioni. In una società bloccata come quella italiana, in un paese "congelato" (Carra, Putignano, 2010), dove non nascono più bambini, dove sistema educativo e meccanismi di ingresso nel lavoro irrigidiscono la scala sociale, dove la bassa mobilità, sociale e salariale, comprime merito ed impegno, in un paese in cui chi nasce ricco vive da ricco e chi nasce povero muore povero, i lavoratori stranieri, gli "immigrati", rappresentano una grande risorsa di mobilità, geografica e professionale, e di cambiamento sociale».



MERCE CONTRAFFATTA
L'extracomunitario la vigilessa e i carabinieri

il Giornale, 14-06-2010
Giovanni Sforza
Una vigilessa del Comune di Roma, per aver sequestrato merce contraffatta a un venditore ambu-lante, è stata fermata in piazza di Spagna dai carabinieri e portata presso il Comando provinciale dell'Arma di piazza in Lucina, per es-sere identificata. Del caso si occuperà prossimamente la magistratura. Straordinario! Sarò grato se, in relazione alla vicenda, l'ottimo comandante Angelo Giuliani vorrà trasmettere alla vigilessa i miei complimenti e la mia riconoscenza di cittadino romano. Al signore del Bangladesh, a cui appartiene la merce contraffatta, un rispettoso invito: vada da Fini, gli racconti l'accaduto. E chissà che non gli verrà promessa la cittadinanza italiana, magari ad honorem.



La comunità di via Tiburtina verso le elezioni: in 700 chiamati al voto
Prima volta alle urne per i rom Salone si sceglie il Presidente

Epollis, 14-06-2010
Adelaide Pierucci
Assemblee e volantinaggi: sette i candidati, uno per etnia. I programmi tutti ugual case, lavoro e sanità. Torna Alilovic: «Nel nostro popolo non era mai successo»
I discorsi sembrano già comizi. E tra le ex baracche, ora casupole con quattro ruote sotto, davanti a una birra e a una focaccia appena sfornata, si parla, si buttano giù i programmi. «Finora ci siamo mossi peggio che gli africani arrivati con la foglia» azzarda Hakija, 47 anni Husovic, bosniaco, un grosso anello d'oro al dito e la camicia sbottonata, «Loro hanno chiesto documenti, case e lavoro e si sono integrati. Noi ci siamo scavati la fossa da soli. Prima siamo rimasti decenni in silenzio. E poi abbiamo chiesto i campi. E eccoci qua. Segregati. Senza documenti, senza identità».
LA CAMPAGNA elettorale è aperta. In via di Salone si vota. Resta da definire solo la data.
«Non oltre i prossimi dieci giorni», spiega Najo Adzovic del coordinamento Rom a Roma. Il resto è fatto. Assemblee e volantinaggi. Candidati e proposte. Il campo, mille abitanti in tutto, sceglie il suo presidente, in attuazione del Piano Nomadi voluto da sindaco e prefetto. Con una singolarità: i programmi tutti uguali: lavoro, sanità e superamento dei campi. In altre parole: case. «Un'elezione storica» la definisce Adzovic, «Non era mai successo prima in Italia. I ranni sono sempre stati esclusi dal voto anche quelli nati qua da quarantanni. Nessuno del campo aveva mai partecipato ad alcun tipo di elezione. Un voto anche rivoluzionario. Per il significato che ha e per i programmi proposti. Salone sceglierà il suo presidente, il suo rappresentante. E la voce dei rom presso le istituzioni, vedi la Prefettura, il Campidoglio, sarà per la prima volta quella dei rom non di altri».
Facile stilare la lista dei candidati. Ogni famiglia - famiglie numerose, nonni, zii e nipotini accorpati in box vicini - ha il suo portavoce, il suo tuttofare. Il più anziano in genere consiglia e il maschio adulto più giovane o più istruito si confronta con il resto della comunità. I rappresentanti delle varie famiglie poi hanno sempre una persona come punto di riferimento della propria etnia. I nomi già ci sono Safet Iajcunovic, serbo, 32 anni e 7 figli; Mahmut Salkanovic, montenegrino, Toma Halilovic, 27 anni, bosniaco come Hakija Husovic di 20 anni più anziano, Goran Sejdovic, pure lui montenegrino, Hiroscru Jovanovic, serbo, e poi ci sono un paio di nomi in lizza per i romeni.
Gli elettori, circa 700, non saranno disorientati, il programma è lo stesso per tutti. Vincerà il capo più carismatico: sui volantini saranno riportate le biografie. «Lavoro per i giovani, sanità per gli anziani, e superamento degli accampamenti», dice Toma. «Con questa elezione libera e democratica - nel nostro popolo qua in Italia non era mai successo - dobbiamo superare i paradossi. Qui ogni giorno arrivano quattro scuolabus a prendere i bambini. Ci sono ragazzi che sono nati qua, in questyo campo a Roma, hanno un diploma in tasca, sono diventati elettricisti e cuochi ma sono senza documenti e non possono lavorare».»



Una nomade viene bastonata e perde il bambino

NewNotizie.it, 14-06-2010
Chiara Pannullo
I recenti avvenimenti di cronaca, e la loro accresciuta rappresentazione mediatica, hanno portato ad emergere in maniera plateale un diffuso atteggiamento di sospetto, quando non manifestazioni di vero e proprio razzismo, verso gli zingari, italiani e immigrati.
La denigrazione verbale, genericamente diretta a queste comunità ed anche gli episodi di aperta violenza e razzismo nei loro confronti, non possono essere in alcun modo tollerati. Spesso questi comportamenti vengono giustificati come risposta al presunto alto tasso di devianza di questo popolo, dimenticando che i reati in sé sono sempre compiuti da singole persone e che la responsabilità penale è, per legge, individuale.
Una politica intelligente, a vantaggio della sicurezza dei singoli e della collettività, sarebbe quella di analizzare le cause che portano ad una maggiore devianza tra queste persone (emarginazione sociale e culturale, assenza di politiche d’integrazione, ecc.) offrendo misure atte a governare davvero l’immigrazione e a coniugare politiche di sicurezza con quelle di accoglienza ed integrazione. Si preferisce invece battere il tasto sulla paura della gente e sulla necessità di inasprire le leggi e le pene.
È anche strano che il battage pubblicitario sulla sicurezza e sulla paura degli italiani, avvenga proprio quando il Ministero di Giustizia dimostra, statistiche alla mano, che i reati in Italia sono diminuiti e che in Europa – il nostro Paese è uno dei più sicuri dal punto di vista dell’ordine pubblico.
Il sospetto che esista una precisa regia dietro queste campagne mediatiche è inevitabilmente forte: una regia volta a rendere più accettabili misure di legge intollerabili contro i diritti della persona. Una regia che sposta l’attenzione degli italiani dal pesante declino economico e sociale in cui stiamo vivendo, verso un nemico ed un obbiettivo esterno: lo zingaro, l’immigrato, il diverso.
Come spesso succede nella storia, anche su questo versante come popolo italiano abbiamo la memoria corta e ci sembra lecito accettare attacchi verbali e misure contro gli zingari che consideriamo intollerabili, quando rivolte ad altri popoli od etnie. È un atteggiamento pericoloso e, per dirlo con le parole di Goya, “il sonno della ragione genera mostri”.
Non è mai colpa nostra se le cose vanno male, è sempre colpa di qualcun altro e così, mentre ci beiamo della supposta imbattibilità della creatività italiana, non ci accorgiamo che la crisi del nostro Paese di fronte alle sfide della globalizzazione è anche crisi di capacità di interloquire con l’esterno, le culture degli altri, la gestione serena dei fenomeni del nostro secolo, quali l’unità europea e le migrazioni.
Il caso di oggi: una nomade e’ stata bastonata perché chiedeva l’elemosina. Ed i colpi potrebbero averle fatto perdere il bambino. E’ successo a Torino.”Chiedo giustizia”, ha detto al Tgr Rai.
La donna ed una sua cugina stavano chiedendo l’elemosina, nella zona sud della citta’, anche suonando i campanelli dei palazzi e questo comportamento avrebbe suscitato le reazioni di un uomo, che le ha raggiunte in strada e ha aggredito la donna a colpi di bastone. Ora la ferita e’ ricoverata in ospedale.



Se il relativismo culturale aiuta la società multietnica

Corriere dela Sera.it, 14-06-2010
Francesco Alberoni
Secondo alcuni la civiltà occidentale è in decomposizione e uno dei segni più evidenti di questo processo è la mescolanza dei popoli e la scomparsa di un unico sistema di valori—il relativismo culturale—per cui tutti, privi di un codice etico, perdono il criterio che distingue il bene dal male e, liberi di fare ciò che vogliono, si abbandonano ad ogni eccesso e a ogni sfrenatezza. Secondo questa tesi l’indebolirsi del nostro sistema di valori renderà impossibile l’integrazione degli immigrati che arrivano da tutto il mondo. Certo, molti pericoli esistono. Almeno in Italia si assiste ad un indebolimento della moralità politica, pubblica e privata. Molti ragazzi e soprattutto molte ragazze è come se non avessero mai imparato l’autocontrollo e a porsi una meta. I grandi partiti storici—salvo poche eccezioni— dopo aver perso le loro ideologie e le loro fedi, non sono più in condizione di dare una formazione politico morale ai propri iscritti e di porre un freno agli interessi personali. Alcuni vizi sono in realtà tradizionali. In Italia c’è sempre stata litigiosità politica. Basta ricordare che Dante è sempre vissuto in esilio perché era stato condannato a morte dai suoi malevoli concittadini. Per fortuna all’estremo opposto c’è sempre stato un certo grado di lassismo, di buonismo, di pietà tanto nei comportamenti pubblici come in quelli privati. Un aspetto che oggi può anche esser di qualche vantaggio. Il popolo italiano nel suo complesso è accomodante, pietoso, tollerante, accoglie con facilità i diversi, gli stranieri, lascia spazio, si adatta. In televisione sfilano cialtroni, eroi, scienziati, escort, membri di tutte le etnie, di tutte le tendenze sessuali, tradimenti, divorzi ogni volta digeriti con bonomia, tolleranza. Una specie di «relativismo culturale» popolaresco che può anche favorire la corruzione e perfino la delinquenza, ma contribuisce a rendere meno aspri i conflitti in una società ormai multietnica, multireligiosa e dove ci sono anche forti correnti di ateismo militante. È come se noi cercassimo una specie di comun denominatore a livello minimo, di pura comprensione, di pura simpatia umana. Per cui — se l’immigrazione continuerà ad essere tenuta numericamente sotto controllo—gli immigrati si inseriranno senza troppi conflitti nel nostro tessuto culturale proprio perché facciamo leva su rapporti emotivi e su principi umani universali, e non cerchiamo di imporre un sistema rigido di valori.



New York, l'Fbi a caccia di furbetti del matrimonio
Una task force contro le nozze di comodo: i terroristi diventano americani così

La Stampa, 14-06-2010
Maurizio Molinari
Sono in 22, la loro task force si chiama «Stokes Unit» e il compito che hanno è smascherare i matrimoni fasulli celebrati a New York. A dar loeo pieni poteri è stato il Ministero della «Homeland Security», preoccupato dal fenomeno dilagante delle nozze di comodo che consentono ai clandestini di diventare cittadini sposando un partner americano non per amore ma in cambio di denaro. Basta entrare in una qualsiasi pizzeria del Village per conoscere le quotazioni più aggiornate: trovare uno sposo o una sposa americani costa da 6-7 mila fino a 12 mila dollari. Si paga la metà alla celebrazione del matrimonio a City Hall e il restante al ricevimento della «green card», la carta verde che schiude le porte alla cittadinanza. Da qui la necessità per la polizia di dare la caccia alle nozze fraudolente per scovare i clandestini e deportarli.
Il momento in cui la caccia ha inizio è quando, a nozze avvenute, il coniuge  americano  accompagna  il partner nella sede del United States Citizenship and Immigration Services al terzo piano dell'edificio al civico 26 di Federai Plaza, per fargli avere la carta verde. Funzionari come Barbara Felska, una polacca divenuta americana vincendo la lotteria dei visti, prendono in consegna i coniugi e li interrogano separatamente facendo   centinaia di domande. Si parte con 25 quesiti standard - dalla data di nascita all'indirizzo di casa fino al luogo del primo incontro -, poi arrivano quelli a sorpresa, che investono ogni angolo della vita privata, nessuno escluso. Si va dal colore dello spazzolino da denti del partner alla data di nascita del suocero, dal cibo cucinato a casa tre sere prima al dove e quanti sono i tatuaggi sul corpo del coniuge.
Poi si arriva al sesso. Risale a pochi giorni fa quanto avvenuto con Ersan Kahyaoglu, elettricista di Long Island di origine turca, e la moglie Dilek, cittadina turca. L'agente di turno chiede a Ersan: «Avete concordato un metodo di controllo delle nascite?». Lui risponde «no» ma poi alla stessa domanda Dilek replica «sì, una volta ogni tanto lui mette il preservativo». A quel punto l'agente richiama Ersan, gli imputa di aver detto una bugia e lui prima tentenna e poi spiega: «Sì, in effetti, qualche volta allungo la mano, apro il cas¬setto e indosso un preservativo». I coniugi Kahyaoglu alla fine sono  stati «promossi» ma in altri casi è finita in maniera opposta perché uno dei due non ha saputo ricordare il condimento di pasta preferito del partner oppure spiegare perché dopo tre anni di matrimonio non avevano ancora un conto bancario cointestato.
Nei casi dubbi i funzionari della «Stokes Unit» fanno visite a sorpresa nella residenza della coppia, arrivando a notte fonda per vedere se dormo-
no davvero sotto lo stesso tetto o di primo mattino per verificare se sono bagnati gli asciugamani di entrambi accanto alla doccia. Fra le richieste più comuni vi sono quelle di «fotografie scattate assieme negli ultimi anni» in luoghi diversi o la «foto dei bambini avuti» a riprova della volontà di rimanere uniti nel tempo.
Questo tipo di caccia - condotta da simili centri nelle maggiori metropoli degli Stati Uniti - dà risultati in chiaro scuro. Consente infatti di smascherare frodi palesi - come quella di un gay che affermava di essersi improvvisamente innamorato dell'unica donna della sua vita - ma obbliga anche a arrendersi di fronte a unioni dubbie -come nel caso di un anziano newyorkese privo di un braccio sposato a un'avvenente giovane caraibica - in caso di assenza di prove, senza contare le migliaia di cittadini e stranieri in assoluta buona fede che si trovano per mesi nel mirino della task force, catapultati senza colpa in interrogatori-fiume dove un singolo errore può comportare la deportazione.
A conoscere bene le attività della «Stakes Unit» è Ronald Marino, il reverendo di Santa Rosalia a Brooklyn che guida un centro di sostegno per gli immigrati. «Ci sono molti italiani fra quelli che vengono interrogati sui matrimoni - assicura - una volta era facile diventare americani sposandosi ma dopo l'11 settembre è cambiato anche questo». Sulla carta, di matrimoni fraudolenti scoperti sono pochi: appena 506 su 241.154 nell'ultimo anno in tutti gli Stati Uniti. Ma l'interpretazione è ambivalente. C'è chi vi legge l'inutilità di mantenere una struttura simile e chi invece vi vede la conferma che i truffatori hanno imparato a mentire assai bene.







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