Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

20 ottobre 2011

 

I ristoranti etnici fuori dai centri storici. Prima era una crociata dei leghisti, ora anche delle giunte progressiste. Che si difendono: favoriamo il made in Italy
La battaglia del KEBAB
la Repubblica, 20-10-2011
FABIO TONACCI
Vietare i kebab nei centri storici pe motivi di sicurezza è di destra, ma se serve a salvare il made in Italy è di sinistra. Bisogna prendere in prestito la prosa di Giorgio Gaber per cogliere l'aspetto trasversale della battaglia in atto contro i ristoranti etnici, per tenerli lontano dai "salotti" turistici delle città. Negozi di kebab, appunto. Ma anche sushi bar, fast food americani, pub irlandesi, ristoranti cinesi e cucine etniche varie. Una battaglia di stampo leghista, sperimentata in nome della «difesa dell'ordine pubblico e della lotta al degrado» a Bergamo, Pavia, Cittadella, e in altre roccaforti verdi. Ovunque accusata di avere delle motivazioni xenofobe e dei metodi illiberali. Eppure adottata di recente anche da giunte di centrosinistra, seppure col distinguo del«lo facciamo per proteggere la bellezza e i prodotti tipici delle nostre città». uscitando ugualmente accuse di razzismo da parte degli immigrati, la perplessità dei commercianti e una domanda: se NewYork o Londra avessero imposto divieti simili, cosa ne sarebbe stato della miriade di pizzerie al taglio aperte dagli emigranti italiani?
A Forte dei Marmi, ad esempio, ci sono italianissime gelaterie che per una coppa tre gusti sfilano al villeggiante almeno una decina di euro, ma è impossibile trovare il panino kebab da tre euro, preparato alla turca con la carne d'agnello arrostita. Il sindaco Umberto Buratti, eletto in una lista civica del centrosinistra, ha imposto in centro e sul lungomare, cioè negli unici posti dove girano i turisti, il divieto assoluto di aprire qualsiasi locale che non proponga la cucina tradizionale italiana, ancora meglio se versiliese. Quindi spaghetti allo scoglio sì, involtino primavera no.
Un divieto preventivo, visto che non esistono ristoranti etnici a Forte dei Marmi. Buratti, per spiegare, la butta sul latino. «Bisogna recuperare il genius loci -dice - la tipicità della nostra realtà. Esistono tanti non luoghi nel nostro paese come gli aeroporti e i fast food, tutti uguali, senza identità. La nostra decisione, presa in consiglio comunale all'unanimità, protegge i prodotti enogastronomici locali. Perché un turista dovrebbe venire al Forte a mangiare la paella o il kebab?». Forse per risparmiare. O forse perché fa parte di quel 19 per cento di italiani che almeno una volta al mese sceglie di andare a pranzo o a cena in un locale esotico, come fotografa la ricerca della Fondazione Leone Moressa di Venezia. E cosa sceglie? Quasi la metà finisce a mangiare pollo al limone e gelato fritto nei ristoranti cinesi, il 16,2 percento ama il giapponese, il 15,1 impazzisce per i piatti speziati messicani. Dubbi che non sfiorano Buratti, interessato di più al rischio di cozzare contro l'articolo 3 della Carta, quello che garantisce a tutti i cittadini pari dignità sociale e uguaglianza di fronte alle leggi. «Ma non abbiamo esteso il divieto a tutto il territorio comunale, quindi non possono dire che violiamo la legge».
La giunta del rottamatore del Pd Matteo Renzi, a Firenze, ha spostato ancora più in alto l'asticella dell'autarchia. Dopo aver bloccato la concessione di nuove licenze per fast food, Internet point e negozi etnici in centro, chiederà ai mercatini turistici di togliere dai banchi souvenir e gadget di fabbricazione cinese o coreana. Cioè il famoso grembiule con il David nudo e la scritta "I love Florence", prodotto di punta della inesauribile fabbrica low cost cinese, in futuro si potrà acquistare solo se cucito da qualche azienda italiana. «Ma siamo sicuri che ci siano imprese disposte a fare quello che adesso fanno le aziende cinesi o le altre straniere? - si chiede Esmeralda Gianpaoli, presidente nazionale di Fiepet Confersercenti - il "brand" italiano, soprattutto nell'enogastronomia, non si difende nella dimensione locale con provvedimenti a "macchia di leopardo". Semmai servono decisioni di sistema, a livello nazionale». E poi ricorda: «Dietro ai ristoranti etnici ci sono imprese, che corrono gli stessi rischi delle nostre e non fanno, a quanto ci risulta, concorrenza sleale. Allontanarle dalle zone più frequentate di una città, significa procurare loro un danno in partenza. I consumatori sanno distinguere tra un kebab e un panino con la italica porchetta. Decidono loro dove mangiare». In effetti la presenza etnica nel panorama della ristorazione in Italia ormai è consolidata. Su 245mila imprese e un fatturato complessivo di oltre 64 miliardi di euro, 38 mila sono gestite da stranieri. I locali che propongono piatti etnici sono 2500, il 75 per cento dei quali cinese. Il giro d'affari è intorno ai 200 milioni di euro all'anno, 80 milioni si fanno solo a Milano, la capitale dei kebab (circa 400 su un totale di 1200) e dei ristoranti cinesi. Un'esuberanza economica che però non ha fermato la Regione Lombardia dal far passare una legge che ha vietato la sistemazione di tavolini, sedie o panchine davanti agli esercizi dei venditori di kebab e di pizza al taglio. E il vice presidente regionale Andrea Gibelli, della Lega, ha scritto un progetto di legge dal nome evocativo, "Harlem", per porre un freno alle licenze, giustificandolo con l'esigenza di evitare la nascita di quartieri ghetto. Le associazioni di immigrati continuano a sostenere che siano provvedimenti illiberali, che violano la libertà d'impresa. Rifiutano l'assunto di base della Lega Nord, secondo il quale attorno a questi locali si formano gruppi di soggetti pericolosi che producono degrado. Tanto che a Cittadella, nel padovano, il sindaco leghista Massimo Bitonci non concede più licenze ai negozi da asporto "take away" all'interno delle mura cittadine perché «questo tipo di licenze non è soggetto ai controlli preventivi di pubblica sicurezza». Decisione maturata quando sulla scrivania di Bitonci è arrivata, per la prima volta, la richiesta di un immigrato turco di aprire aprire una kebab house.
«È triste vedere che il centrosinistra insegue la Lega proprio sul suo terreno—dice Marco Wong, direttore editoriale di ltsChina— in realtà sono provvedimenti strumentali, non servono a niente se non a guadagnare il consenso di una piccola parte dell'elettorato. Oltretutto sono divieti che contrastano con la cultura italiana, formatasi negli anni con i con-tributi di più etnie. Così si limita solo lo sviluppo delle imprese degli immigrati e non si difende veramente il made in Italy».
Una svolta che non dovrebbe stupire troppo, visto che il primo provvedimento del genere, prima ancora di quelli emanati a Capriate San Gervasio (agosto 2009, «per esigenze di ordine pubblico»), Ceriano Laghetto a Monza (gennaio 2010, bloccate le attività commerciali legate agli stranieri), Pavia (settembre2010, stop all'apertura di kebab e macellerie islamiche «per problemi di degrado urbano»), Cittadella (agosto 2011), è nato a Pistoia nel 2007, da un'idea del sindaco di centrosinistra Renzo Berti, tuttora in carica. «Cambiammo il regolamento comunale solo per il comparto cittadino della Sala—ricorda oggi Berti — il cuore longobardo della città. Così lo abbiamo reso un presidio di alta qualità, ridando fiato all'economia artigiana locale. Un fast food o un ristorante cinese in quella zona sarebbe stato un cazzotto in un occhio. È un provvedimento che non si adatta alle grandi città, funziona solo per piccoli quartieri. Alcuni nostri elettori ci accusarono di essere discriminanti, ma noi non lo facemmo per questioni ideologiche o per finte esigenze di sicurezza. Oggi posso dire che la nostra scommessa è stata vinta».
 
 
 
I ristoranti etnici fuori dai centri storici. Prima era una crociata dei leghisti, ora anche delle giunte progressiste. Che si difendono: favoriamo il made in Italy
La battaglia del KEBAB
la Repubblica, 20-10-2011
CARLO PETRINI
Voglio vedere come reagiranno le modelle che affollano Milano nelle settimane della moda quando saranno costrette a mangiare la "cassoeula" perché saranno stati banditi i sushi bar dal centro, oppure i milioni di giovani italiani che dovranno rinunciare a farsi una birra nei tanti pub inglesi e irlandesi improvvisamente cancellati. Se la tendenza è quella di estromettere ogni forma di ristorazione non autoctona dai centri storici allora, chissà, presto dovremo dire addio anche a questi "esotismi" da tempo entrati nelle nostre abitudini. Magari si finirà con il vietare i rum per i cocktail all'ora dell'aperitivo come si vieta il kebab, o s'impedirà a un italianissimo bar di servire gli hot dog. Si scherza, ma serve a riflettere su come ogni generalizzazione immediatamente porge il fianco al paradossale se non all'assurdo. Capisco che ci sia bisogno di decoro nei salotti buoni delle città e che la proliferazione di fast food et similia rischi di essere troppo invadente. Capisco anche che in qualche modo vada preservata l'identità locale e nazionale, soprattutto per "venderla" bene ai turisti. Ma l'identità emerge, si mantiene viva soltanto nello scambio e grazie al confronto. Mi si dirà: «Proprio tu che negli anni '80 sei sceso in piazza per non far aprire un fast food in Piazza di Spagna a Roma».Ma lì non ci si opponeva allo "straniero": lì ci si opponeva all'omologazione che cancellava la diversità, all'abbassamento generalizzato della qualità alimentare. Il cibo locale e tradizionale diventava una forma di resistenza contro l'appiattimento dei nostri costumi alimentari. Una forma di opposizione  che vale  ancora oggi. Sempre con buon senso però. Questa battaglia, infatti, non preclude nulla ai kebab, agli hamburger o ai ristoranti etnici. Il problema resta la qualità, che non può prescindere dalle materie   prime,   mediamente migliori per gusto e proprietà nutritive se fresche e di provenienza locale.
Allora perché escludere l'hamburgheria che usa carne autoctona, insalate fresche, patate non surgelate? Perché non esaltare chi sa fare un kebab come si deve senza procurarsi la carne da distributori globali, non troppo dissimili da quelli che la forniscono alle catene di fast food più note? Perché non valorizzare chi importa cucine esotiche con sapienza, utilizzando materie prime nostrane? Cominciano a esserci molti esempi virtuosi da questo punto di vista nelle nostre città: giovano alla crescita collettiva della ristorazione, della cultura alimentare, contro l'omologazione e la bassa qualità. Se proprio vogliamo essere cattivi e mettere al bando chi rovina i nostri centri storici, allora rivolgiamoci anche ai bar dove si servono solo piatti e panini surgelati (rigorosamente prodotti da industrie italiane però!); alle pizzerie al taglio improponibili per la proto-pizza che propinano; ai tanti ristoranti acchiappa-turisti (con i fastidiosi "buttadentro" alla porta) che, a fronte di un'apparenza molto italiana (spesso italiota), non fanno altro che distribuire una cucina che definire dozzinale è un complimento, a base di prodotti di dubbia qualità e provenienza, talvolta immangiabile e per di più a prezzi da rapina.
La cosa più importante resta una: che si parli di una grande catena di ristorazione internazionale, di un "kebabbaro" o di un pizzaiolo, se questi si limitano a fare ordinazioni da distributori che smerciano sempre la stessa cosa in tutta Italia, e magari anche in Europa, non stiamo parlando di vera economia locale. In questi giorni esce la nuova edizione della Guida alle Osterie d'Italia di Slow Food Editore, che da più di vent'anni censisce i luoghi del buon mangiare tradizionale. Ciò che emerge è che l'osteria è sempre di più un motore di economia
locale, per il rapporto che instaura con i produttori, per come li valorizza e per come riconosce loro i giusti prezzi per il lavoro che fanno. E allora ecco un altro buon motivo per bandire un certo tipo di ristorazione: evitiamo chi non riconosce remunerazioni degne ai produttori, chi alimenta un sistema agroindustriale che li sta stritolando, pagando prezzi ridicoli. È questo il vero nocciolo della questione, e va di pari passo con il sano vecchio buonsenso: per sostenere l'agricoltura locale e le piccole economie di territorio non è strettamente necessario che il vestito sia sempre quello della tradizione, ma in qualche modo bisognerà pur farlo.
 
 
 
Sanità Secondo uno studio della Società italiana di farmacia ospedaliera, i cinque milioni di stranieri residenti in Italia pesano solo per il due per cento sulla spesa farmaceutica globale
Niente pillole siamo migranti
Terra, 20-10-2011 
Federico Tulli
Lavoratori infaticabili e in buona salute, i migranti che vivono in Italia farebbero la felicità di qualsiasi ministro dell'Economia (e della Sanità) del pianeta. Producono l'11,1 per cento della ricchezza nazionale, pur essendo solo il 7,2 per cento dei cittadini residenti, e incidono solo per il due per cento sulla spesa farmacologica globale. Sono i risultati più significativi emersi dal 32esimo congresso nazionale della Sifo (Società italiana di farmacia ospedaliera e dei servizi farmaceutici delle aziende sanitarie) che si è chiuso ieri a Firenze. «Il farmaco - ha spiegato la presidente Sifo Laura Fabrizio - può essere un tracciante dello stato di salute delle persone». Attraverso questo particolare filtro si riesce infatti a inquadrare da un'angolazione poco esplorata la spesa che più incide sulle nostre
imposte, prosciugando mediamente l'80 per cento delle risorse nei bilanci regionali (oltre 100 miliardi l'anno). Gli esperti riuniti nel capoluogo toscano, elaborando i dati dell'Osservatorio sulla prescrizione farmaceutica della popolazione immigrata, hanno calcolato che circa il 15 per cento degli "italiani" riceve più di dieci farmaci nel corso di un anno. Mentre il 50 per cento degli immigrati solamente uno. Sul consumo farmaceutico incide soprattutto la cura di malattie cardiovascolari, pertanto la ragione principale di una differenza così notevole va ricercata nella giovane età media dei migranti residenti, che non supera i 36 anni. I medici della Sifo hanno quindi evidenziato l'importanza di monitorare al meglio questo fenomeno per far emergere dal confronto con i dati epidemiologici, i bisogni inevasi. Anche alla luce delle differenze nei livelli e nell'organizzazione dell'assistenza sanitaria delle Regioni coinvolte. Ma non è solo una questione di soldi. «Gli studi finora condotti - conclude Laura Fabrizio - hanno utilizzato le schede di dimissione ospedaliera. Poco è stato fatto con le prescrizioni farmaceutiche. Probabilmente perché la molteplicità di attori coinvolti, la frammentazione dei percorsi assistenziali dovuta anche all'elevata mobilità della migrazione e la frequente mancanza di un regolare permesso di soggiorno rendono difficile seguire nel tempo il grado di accesso alle cure. Va inoltre sottolineato che la differenziazione delle politiche regionali sul farmaco ha creato disuguaglianze tra cittadini italiani ma ancor più tra gli immigrati, nei livelli di assistenza e continuità delle terapie». Secondo l'esperta è pertanto «necessario implementare le politiche di inclusione sanitaria, adottate dall'Italia sin dal 1995, che garantiscono a tutti, immigrati regolari e non, la tutela della salute». ?
 
 
 
Caritas e Migrantes: nuovo rapporto sull'immigrazione
Gazzetta d'Asti,it, 20-10-2011
Giovedì prossimo, 27 ottobre, a Roma e in contemporanea in molte città italiane tra cui Asti, verrà presentato il XXI Rapporto sull’immigrazione curato da Caritas e Migrantes. I dati statistici, nel Dossier, costituiscono il filo rosso delle riflessioni sull’immigrazione e, secondo la Caritas e la Fondazione Migrantes, consentono di mostrare come il fenomeno della mobilità possa andare di pari passo con la solidarietà. Lo slogan di quest’anno è estremamente significativo: “Oltre la crisi, insieme”. Il 17 ottobre scorso è stato presentato a Roma l’XI rapporto su povertà ed esclusione sociale in Italia dal titolo “Poveri di diritti” dal quale è emerso l’impoverimento nel nostro Paese da parte di molte famiglie italiane e straniere. La crisi c’è e si sente. La riduzione o la mancanza di lavoro ha messo in ginocchio molti padri di famiglia, nega il futuro a molti giovani e ha gettato in gravi difficoltà, anche dal punto di vista della regolarità del soggiorno in Italia, molti immigrati. E’ con la consapevolezza di questo scenario che è stato coniato lo slogan del dossier. Il rapporto di oltre 500 pagine , approfondisce a partire dall’anniversario dei 150 anni dell’Italia unita, le relazioni che intercorrono tra l’immigrazione, da una parte, e la demografia, l’economia, la giustizia e la coesione sociale dall’altra.
La presentazione ad Asti, è fissata per giovedì 27 Ottobre alle ore 17.00 al Polo Universitario di Asti, Area Fabrizio De Andrè. Il dott. Alessandro Bergamaschi, cuneese, ricercatore all’Universitè di Nice-Sophia-Antipolis, da anni collaboratore di Caritas Italiana nella stesura del dossier, illustrerà i tratti salienti del rapporto. Seguiranno gli interventi del dott. Andrea Pirni, Università degli Studi di Genova e del dott. Paolo Parra Saiani, Università del Piemonte Orientale – Polo universitario di Asti che illustreranno i risultati di un’indagine pilota dal titolo “L’imprenditoria straniera. L’altro lato dell’immigrazione – Il caso di Asti”. La ricerca, realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, è stata seguita dall’Osservatorio delle povertà e delle risorse della Caritas diocesana e commissionata al Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università di Genova e al Dipartimento di Ricerca sociale dell’Università del Piemonte orientale. Lo scopo è quello di conoscere ed evidenziare il contributo al tessuto imprenditoriale locale da parte della popolazione straniera.
In conclusione verrà fornito da parte della Caritas Diocesana un breve aggiornamento sull’accoglienza profughi a seguito dell’emergenza umanitaria Nord Africa.
All'incontro parteciperà  Mons Ravinale Francesco.
 
 
 
Immigrazione: 59 migranti a bordo yacht sbarcano nel Salento
Alcuni hanno riferito che a bordo erano 120. Indagini Gdf
(ANSA) - OTRANTO (LECCE), 20 OTT - Cinquantanove extracomunitari, tutti maschi, che dichiarano di essere di nazionalita' afgana e curda, sono stati bloccati dai militari della squadriglia navale della Guardia di Finanza di Otranto, subito dopo lo sbarco avvenuto sulla scogliera di Porto Badisco, a circa 10 chilometri a sud di Otranto. Gli immigrati, che sono giunti nel Salento a bordo di uno yacht di circa 20 metri, con bandiera turca ma privo di documenti, sarebbero partiti da un porto della Turchia.Il natante, che e' stato sequestrato, si e' spinto fin sotto la scogliera,dove si e' quasi incagliato(ANSA).
 
 
 
IMMIGRATI: VATICANO, GARANTIRE ACCOGLIENZA PER I RIFUGIATI
(AGI) - CdV, 19 ott. - “I rifugiati e i richiedenti asilo non sono statistiche, ne’ numeri”, sono “persone con sogni e desideri, e anche con paure, costretti a lasciare il proprio Paese”. Percio’ bisogna garantire loro “una vita dignitosa e sicura, con sufficiente assistenza per l’inserimento nella societa’”. Lo afferma l’arcivescovo Antonio Maria Veglio’, presidente del dicastero vaticano per la pastorale dei migranti che definisce i richiedenti asilo e i rifugiati un “barometro della situazione che stiamo vivendo attualmente nel mondo: ci indicano le cause delle migrazioni forzate, che sono i conflitti armati, l’oppressione politica, una partecipazione inadeguata ai processi decisionali, l’impossibilita’ di far valere i diritti umani, ma anche, e forse sempre piu’, le conseguenze del cambiamento climatico e la mancanza dei beni piu’ elementari”.
“In realta’ - rileva intervenendo alla presentazione del libro ‘Terre senza promesse. Storie di rifugiati in Italia’, realizzato dal Centro Astalli - queste sono le principali problematiche alla base della migrazione forzata che richiedono soluzioni adeguate”. Per monsignor Veglio’, occorre dunque “armonizzare l’accoglienza del migrante e del rifugiato in difficolta’ con le esigenze della popolazione locale”, non dimenticando che “l’accoglienza, la compassione e la parita’ di trattamento sono le caratteristiche di una risposta cristiana adeguata”. 
 
 
 
IMMIGRAZIONE – SINDACATI E PATRONATI ITALIANI NEL MONDO- SEMINARIO UIL/ITAL. SCARDAONE (UIL): “FONDAMENTALE DIRITTO CITTADINANZA”. SERA (ITAL): “RICONGIUNGIMENTI ARMA INTEGRAZIONE”
Italian Network, 20-10-2011
      “La Uil pratica i diritti dei cittadini, incluso quello di cittadinanza che vogliamo far rispettare nei confronti di coloro che vengono a vivere e a lavorare nel nostro Paese”. Lo ha affermato il Segretario Generale della Uil di Roma e Lazio, Luigi Scardaone, aprendo stamani i lavori del seminario della Uil e dell’Ital dal titolo “Ricongiungere l’integrazione”. 
    “Da una parte vogliamo che chi viene in Italia accetti le nostre leggi e le nostre regole; dall’altra dobbiamo fare in modo che a queste persone vengano riconosciuti analoghi diritti. In Italia ci sono 70.000 posti di lavoro per mestiere che vengono “snobbati” dagli italiani e ricoperti dagli immigrati. Allo stesso modo, dobbiamo ricordarci che le stesse pensioni vengono pagate anche con i contributi dei lavoratori immigrati”. 
    “Non c’è razza, dunque, e non c’è colore: c’è solo una questione di civiltà e di cittadinanza” ha concluso Scardaone. 
   Secondo il Vice Presidente dell’Ital-Uil, Alberto Sera “l’unico modo per creare un clima di tolleranza è farsi carico ognuno della questione dell’immigrazione, con cui inevitabilmente saremo chiamati a fare i conti”. 
    “Viviamo in una società che sta imparando ad integrare gli immigrati e, dopo Rosarno e Lampedusa, non mi sembra che ci siano state ulteriori punte di intolleranza. L’integrazione sta avvenendo nelle scuole, negli ospedali, sui posti di lavoro. Dobbiamo continuare in questa direzione, favorendo il processo di integrazione anche attraverso il processo di “ricongiungimento”: solo in questo modo saremo in grado di costruire una società multietnica capace di cogliere al meglio la sfida dell’immigrazione”. 
    “In tema di ricongiungimento, la legislazione italiana ed europea sono cambiate parecchio, ma mentre quella europea è divenuta più flessibile, anche attraverso l’adozione di una serie di convenzioni, quella italiana ha subito con la legge Bossi-Fini un sostanziale momento di stallo” ha evidenziato Pilar Saravia della Uil di Roma e del Lazio. 
      “Esiste, da parte degli immigrati, tutta una serie di possibili modelli familiari, che non necessariamente si delineano nel solco di quelli che rientrano nella nostra tradizione. In questo caso assumiamo come paradigma quello enunciato nella Convenzione sulla protezione dei diritti dei lavoratori in cui il termine famiglia delinea “il nucleo di persone legate dalla contrazione di un vincolo attraverso l’esercizio del matrimonio o apparentate da vincoli di sangue”. Di qui l’importanza di considerare il ricongiungimento familiare quale tema indissolubilmente legato ai flussi migratori, alla volontà di integrazione ed alla speranza di migliorare la propria condizione di vita” ha concluso Pilar Saravia. (19/10/2011 – ITL/ITNET) 
 
 
 
CENTRO ASTALLI
Rifugiati: «Terre senza promesse»
Corriere della Sera, 19-10-2011
Lilli Garrone 
Somalia, Eritrea, Etiopia: da questi paesi proviene la maggior parte delle persone che salpano dalla Libia per cercare asilo in Italia. Sbarcano sulle coste del nostro paese in condizioni disperate, e di loro non sappiamo molto, anzi nulla. L' unica cosa che spesso pensiamo è che sono troppi. Ma adesso le loro vicende sono diventate un libro: «Terre senza promesse», storie di rifugiati in Italia (Avagliano editore), curato dal Centro Astalli, il servizio dei Gesuiti per i rifugiati. Verrà presentato questa mattina in Campidoglio (ore 10.30 sala della Protomoteca, piazza del Campidoglio 55) dal direttore di radio vaticana, padre Federico Lombardi, dal presidente del Pontificio collegio per i migranti monsignor Antonio Maria Vegliò e dalla scrittrice Melania Mazzucco che ha sottolineato come «le rotte delle migrazioni non sono a senso unico: sono strade aperte, segnate dalla fame, dalle guerre, dalla storia. La mèta di ieri è il punto di fuga di oggi». L' attore Massimo Wertmuller reciterà alcuni brani tratti dal volume e vi sarà un intervento video dello scrittore Andrea Camilleri. Il Centro Astalli che da anni si impegna nel difficile compito di far conoscere chi sono i rifugiati in Italia, le loro storie e i motivi che li hanno portati fin qui. E con questo libro ha voluto dar voce ai racconti di dieci immigrati che vivono nel nostro paese, chiedendo in contemporanea a dieci esponenti della cultura italiana (Gad Lerner, Andrea Camilleri, Enzo Bianchi, Erri De Luca, Antonia Arslan, Giovanni Maria Bellu, Giulio Albanese, Amara Lakhous, Melania Mazzucco, Ascanio Celestini) di leggere un racconto e di commentarlo con un' introduzione. Così, scorrendo le pagine di «Terre senza promesse», si sperimenta un interessante dialogo tra scrittori italiani e rifugiati. E come ha scritto Erri De Luca nella prefazione al racconto «Straniero in patria»: «Ragazzo la tua storia è vagabonda come il mondo. Tu sei l' Africa da dove siamo partiti tutti e continuiamo a farlo. Sei l' avanzo d' innumerevoli caduti che in te proseguono il cammino. Benvenuto al peggio che ti offriamo». 
 
 
 
IMMIGRATI: PD, PER LEGA SONO USO E GETTA
(AGENPARL) - Roma, 19 ott - "Le proposte della Lega Nord sui lavoratori immigrati rimandano ai peggiori regimi colonialisti, dove gli immigrati erano considerati solo macchina da lavoro usa e getta senza dignità e senza diritti. Va ricordato ai signori della Lega, in affanno per le proteste della loro base che comincia a denunciare le promesse non mantenute e una strana affezione alle poltrone romane, che i lavoratori immigrati non sono a disposizione di Bossi e Reguzzoni. Sono innanzitutto persone che hanno contribuito per anni al benessere di questo Paese, che voi avete regolarizzato molti di essi con una sanatoria record e che oggi, una volta vittime di una crisi economica indipendente da loro, non possono essere buttati via e etichettati come clandestini da rimpatriare. La Lega Nord si deve solo vergognare di fronte a proposte razzista che non rispettano il principio di uguaglianza tra le persone per racimolare qualche voto. Invitiamo tutti i sindacati ad opporsi con fermezza a questo tentativo di creare una categoria di lavoratori di serie B e a lottare uniti per la tutela dei diritti di tutti senza discriminazioni". Così in una nota Khalid Chaouki, Responsabile Nuovi Italiani del Pd.
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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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