Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 luglio 2013

Immigrati: barcone con 85 a bordo al largo della Calabria
Immigrazioneoggi, 25-07-2013
Reggio Calabria, 25 lug. (Adnkronos) - Un barcone con ottantacinque migranti e' stato individuato al largo di Capo Spartivento nel corso di un pattugliamento aeromarittimo nella mattinata di ieri. I finanzieri impegnati nell'attivita' hanno visto un peschereccio che trainava un barcone. Immediatamente sono stati inviati un Guardacoste del Reparto operativo aeronavale di Vibo Valentia dislocato a Crotone e un aereo per monitorare i mezzi intercettati. Nel pomeriggio, i finanzieri hanno verificato il trasbordo dei migranti dal peschereccio al barcone, quest'ultimo era stato sganciato dalla nave madre e stava facendo rotta verso la costa italiana mentre il peschereccio aveva fatto perdere le proprie tracce allontanando si verso acque internazionali. Una vedetta della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria ha raggiunto il barcone e prestato assistenza ai migranti.



Come può Fatima sopravvivere in un Paese sconosciuto?
Corriere della sera, 25-07-2013
Ilaria Morani
Dall’esterno tutto appare in un altro modo, molto più semplice. Fatima è gracile, magrissima, occhi grandi e il capo sempre coperto da un velo; seduta sul divano è persa in un mare di cuscini. E’ arrivata in Italia dalla Libia a bordo di un barcone, e ha ottenuto il riconoscimento di rifugiata politica, una condizione che le ha permesso di avere immediatamente i documenti: carta d’identità, permesso di soggiorno e codice fiscale. Ma questo, come si diceva, è solo quello che appare dall’esterno. Due passi più vicino si intravedono le sfumature della sua storia. Fatima ha 22 anni, è nata in Ciad, ma quando la mamma è stata uccisa da una mina ha raggiunto una zia in Libia. A 16 anni si è sposata e ha avuto un bimbo, che ora di anni ne ha 5. Poi, due anni fa la guerra è arrivata all’improvviso: in Libia apparteneva a un minoranza che l’ha emarginata ancora di più e l’ha costretta a scappare. Allora si è intrufolata in un gruppo di persone diretto a Lampedusa ed è partita da sola affrontando il mare.
Una volta in Italia Fatima è stata immediatamente presa in carico dal governo che le ha consegnato i documenti: una fortuna, ma, nel suo caso, anche una maledizione.
     Gli occhi di Fatima regalano una specie di vertigine.
La sensazione di avere perso un tassello per strada, di avere dimenticato qualcosa di importante. Poi apri l’atlante e cerchi il Ciad. Uno Stato interamente coperto dal deserto del Sahara, montagne, crateri e sabbia. Uno Stato dimenticato, perso in mezzo all’Africa. In Italia non esiste nemmeno il consolato e saranno sì e no una cinquantina i suoi abitanti sparsi per la nostra penisola. Eppure Fatima è arrivata fino alla Stazione Centrale di Milano dove il padre di un amico, un medico volontario, l’ha trovata in un angolo impaurita e ha deciso di portarla a casa con sé. Perché non è posto per dormire, la stazione.  Non lo è per nessuno, soprattutto per una ragazzina, derubata e picchiata.
    Ma come si può sopravvivere in un Paese sconosciuto, senza sapere l’italiano e senza una guida, con la guerra alle spalle?  A queste domande Fatima sorride e scuote la testa. Non si può. O meglio. “Non è vita, serve una casa e un lavoro”, afferma sicura.
 A Lampedusa la ragazza è stata portata in nave fino a Genova e poi dirottata con un autobus verso Arcore. A una cooperativa locale erano stati affidati una ventina di profughi, tutti in regola, all’interno di un programma che prevedeva un alloggio temporaneo e poi un lavoro non retribuito. Dopo un anno la presa in carico da parte dello Stato è terminata: “Ora avete tre possibilità – hanno detto gli agenti ai profughi – o rimanete in Italia e ve la cavate in qualche modo, o vi diamo 500 euro e tornate da dove siete venuti, o prendete 1000 euro e uscite dal progetto di sostegno”. Davanti all’idea di avere qualche euro in tasca molti hanno accettato il denaro. Senza capire che con mille euro non si vive per molto tempo in Italia. Così Fatima ha ricominciato il suo viaggio, prima in Francia a cercare dei parenti (ma è stata prontamente rispedita in Italia), poi ancora ad Arcore (ma è stata dirottata su Milano), poi a Milano (ma è stata rispedita ad Arcore).
    “Nei dormitori avevo paura, poi dalle suore non potevo pregare, allora sono scappata e mi son fermata in Stazione Centrale”, racconta Fatima. Lì, è stata trovata dal medico.
Avere i documenti in regola, ma essere maggiorenne e sana è stato un impedimento. L’accoglienza iniziale ha funzionato, ma poco dopo tanti come Fatima sono stati abbandonati a loro stessi. Senza una conoscenza dell’italiano, senza amici, senza un soldo. Niente lavoro, nessuna casa. Avesse avuto figli, o un problema fisico, per assurdo, avrebbe avuto più chance. Ma sta bene, è sveglia e curiosa. Ha un carattere di ferro e con l’italiano fa passi avanti ogni giorno.
    “Voglio solo lavorare e iniziare la mia vita” ripete come un mantra. “A casa mia se chiedi l’elemosina sei un uomo morto e non voglio di certo iniziare ora“.



Nel garage della moglie del sindaco
il manifesto, 25-07-2013  
Silvio Messinetti
In Versilia hanno costruito una rete per togliere l'ombra ai venditori ambulanti. Sadici amministratori hanno deciso che anche l'ombra è proibita per i «vu cumprà». Non bastassero diritti negati e dignità calpestata. Ma in Calabria fanno anche di più. Sboc- çiano i ghetti «istituzionali» per i migranti. Corigliano, ore 7, di una torrida mattinata di luglio. È arrivato Caronte, il potente anticiclone nordafricano. Ma per Nourredine, Ahmed, Nabil, Moustafà, Youssef, ogni giorno è uguale agli altri. Caldo o freddo che sia, escono da una saracinesca di un magazzino di via Albenga, alla Marina di Schiavonea, popolosa frazione marinara affacciata sullo Jonio. Una fila di palloni modello «Super Santos», cinte, portafogli, articoli da mare, secchielli, salvagenti. Nourredine, il più anziano, sui 60 anni, spinge a fatica il carrellino ambulante direzione lungomare. Dietro di lui, tutti gli altri marocchini. L'immobile, al cui pianterreno sorge il magazzino, è un palazzo scrostato di tre piani con annessa corte. Alle pareti scritte anonime e segni di incuria. Al catasto dei fabbricati del comune di Corigliano Calabro esso è localizzato sul foglio numero 72, particella numero 180, subalterno numero 7. Il locale, 69 metri quadri d'ampiezza, è di categoria catastale Q2, vale a dire un «deposito- magazzino». La proprietaria risponde al nome di Antonietta Rugna. Un nome come un altro, forse. Anzi no. Un nome ingombrante, eccome. È la moglie del sindaco, Giuseppe Geraci, un passato da parlamentare di An, e un presente da primo Cittadino, appena eletto dopo un biennio di commissariamento della città per infiltrazioni della 'ndrangheta. L'insegna in grande vista che campeggia sul magazzino è invece riconducibile ad un'attività commerciale, da tempo dismessa, del figlio del sindaco. Da quando, 40 giorni orsono si è insediato sullo scranno più alto del Município, Geraci ha fatto parlare di sé. Uno scandalo dietro l'altro.
A capo del consiglio comunale il sindaco e i suoi hanno eletto la proprietaria di un villone abusivo con vista mare. La costruzione verrà demolita e lei si è dimessa da presidente del Consiglio. Ma non da consigliera perché a suo dire nella medesima condizione di abusivi si troverebbero altri consiglieri. Ora la vicenda del magazzino dato in afitto ai migranti. Ma c'è di più. La testata coriglianese Altrepagine, diretta da Fabio Buonofiglio, ha scoperto che in realtà quel deposito, per legge «non abitabile», è da tempo la dimora di Nourredine e compagni. Non solo deposito ma anche dormitaria. «Cento euro al mese e a cranio», spifferano alcuni residenti, «ovviamente sulla parola e senza alcun tipo di contratto». Nel locale di via Albenga intestate alla moglie del sindaco vi sono brandine per una mezza dozzina di persone, in condizioni igieniche e sanitarie che paradossalmente dovrebbe essere proprio Geraci, nella veste di massima autorità sanitaria, a controllare ed eventualmente sanzionare. C'è pure un angolo cucina ma non è dato sapere se sia provvisto di acqua potabile. I partiti di opposizione (Sel e liste civiche) chiedono di sapere se il fitto pagato dai lavoratori migranti è regolato da un contratto e se il sindaco ha provveduto a far cambiare la destinazione d'uso dell'immobile, ammesso che ciò sia possibile, dichiarandolo come civile abitazione e non più come magazzino. La differenza non è di poco conto, considerato che le seconde case pagano al comune l'Imu, di gran lunga più salata rispetto a un semplice deposito. Il sindaco ha convocato un consiglio comunale straordinario. Buon senso vorrebbe che si dimettesse. Non lo farà.



Firenze: interpretariato “telefonico” in 116 lingue per i paziente delle strutture sanitarie.
Iniziativa Helpvoice della Asl in collaborazione con la cooperativa Eurostreet di Biella.
Immigrazioneoggi, 25-07-2013
A Firenze medici e infermieri “parlano” 116 lingue. I pazienti delle diverse strutture sanitarie cittadine, infatti, possono farsi capire e ottenere risposta anche se si esprimono in idiomi non particolarmente diffusi da quelli africani agli slavi, dagli ugrofinnici a quelli arabi, orientali, latini, anglosassoni. È il servizio di interpretariato telefonico, che consente di eseguire un triage in vivavoce, entrato a regime nella città toscana. L’iniziativa è partita dopo una sperimentazione gratuita durata poco più di un anno, dal giugno dell’anno scorso ad oggi, durante la quale sono state coinvolte solo la centrale operativa del 118 e le accettazioni dei dipartimenti dell’emergenza e dell’urgenza, vale a dire i pronto soccorso di Santa Maria Nuova, Torregalli, Ponte a Niccheri, del Serristori a Figline e di Borgo San Lorenzo.
Il servizio, Helpvoice è attivo 24 ore per 365 giorni all’anno ed è assicurato dalla società cooperativa Eurostreet di Biella i cui operatori rispondono entro 3 minuti al personale dell’Azienda sanitaria di Firenze, da qualunque presidio ospedaliero o territoriale chiami. A disposizione di medici e infermieri un numero verde al quale rivolgersi da qualunque telefono fisso o cordless con funzione vivavoce, in modo da far sentire la propria voce e quella dell’interlocutore che parla in un’altra lingua, magari il kirghiso, il fiammingo o il punjabi. Facendosi riconoscere tramite alcune opzioni è possibile chiamare anche da un telefono cellulare. Un apposito numero è a disposizione nel caso di problemi tecnici.
All’azienda sanitaria di Firenze questo servizio, da qui al giugno dell’anno prossimo, costerà 8.000 euro, 22 euro al giorno. Non molto se si considera che su quasi 824 mila assistiti, quasi 92 mila sono stranieri, in prevalenza romeni (16 mila), albanesi (14 mila), cinesi (8.600) e marocchini (5.300).

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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