Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

14 marzo 2011

Immigrazione, altri due barconi avvistati al largo di Lampedusa
Avvenire, 14-03-2011
Due barconi di migranti sono stati avvistati a sud dell'isola di Lampedusa. Il primo si trova a 18 miglia ed ha a bordo circa 30 persone. Per intercettare il natante è partita dall'isola una unità della guardia di finanza. Un secondo barcone si trova invece a 35 miglia e una stima approssimativa parla di 50 persone a bordo. Per raggiungere questa seconda imbarcazione si è mosso un mezzo della Capitaneria di porto. Sembra, tuttavia, che non siano gli unici natanti con migranti a bordo. Gli avvistamenti sono stati effettuati da un aereo Elephant portoghese in forza al Frontex.
Una manifestazione organizzata dal comitato giovanile Lampedusa per gridare "alle autorità competenti e all'opinione pubblica: ci siamo anche noi". La manifestazione, come spiegano i ragazzi del liceo scientifico Ettore Majorana "non vuole essere contro gli immigrati, ma vuole far sapere che a Lampedusa ci sono anche altri problemi che riguardano noi giovani". Nella spiaggia Guitgia si sono riuniti questa mattina un centinaio di ragazze e ragazzi. Una piccola folla se proporzionata alla popolazione dell'isola che è di circa 5mila abitanti. I ragazzi hanno anche stampato un volantino in cui si legge: "ai tanti problemi che gli abitanti di Lampedusa sono costretti ad affrontare, si è aggiunto da alcuni anni un fenomeno di proporzioni internazionali, che rischia di far collassare la fragile condizione di noi isolani e che compromette seriamente il futuro di noi giovani". Il volantino raccomanda anche ai partecipanti "il più assoluto silenzio con la stampa e le autorità poiché, ad esporre le problematiche, saranno due giovani scelti dal comitati che si limiteranno a presentare soltanto i temi discussi negli incontri organizzati dal comitato stesso".
Intanto sono attesi per oggi a Lampedusa la leader della Destra francese Marine Le Pen e l'eurodeputato leghista Mario Borghezio.



lo, coi clandestini in viaggio per Lampedusa
La Stampa, 14-03-2011
DOMENICO QUIRICO
INVIATO A ZARZIS (TUNISIA)
E  l'attèsa l'essenza del clandestino, il suo spirito vitale. Un tempo si sarebbe detto: la sua anima. L'ho scoperto subito quando ho deciso di tentare il passaggio in barcone dalla Tunisia a Lampedusa. Il clandestino è un uomo che aspetta. Non un uomo che ha paura, che prega, che sogna, che magari accumula rabbia. Attende: di avere la cifra per potersi pagare il viaggio, attende il mediatore che ha il compito di organizzarlo, il passeur con il prezzo giusto. Attende anche la nave che, forse, non affonderà, il mare buono, il momento in cui il carico umano è completo e il viaggio rende, il capitano che ha fama di conoscere l'abbecedario dei venti e delle maree, il momento in cui la polizia è ancor più distratta del solito, Aspetta. Un giorno una settimana uh mese.
Quella del clandestino è una dimensione complessa del presente, aspirato dal passato e proteso al futuro. L'attesa è la sua seconda pelle, la indossa, se ne avvolge, la usa per difendersi. Resta sospeso in un tempo dove le lancette dell'orologio antico si sono definitivamente fermate, non valgono più, ma quelle nuove sono ancora senza carica, immobili. Aspettare, se ci riesci, senza pensare, senza fare previsioni di come andrà, tenendo a bada le speranze.
Ho vissuto alcuni giorni con loro in una «casa». Le case sono rifugi, punti di passaggio, dove ti raccolgono in attesa che dalla nave, al largo, arrivi il via libera. Non è un nascondiglio perché la polizia tunisina sa ed è indifferente. Neppure una prigione. Ormai hai pagato, indietro non puoi tornare; il tuo viaggio in realtà è già cominciato. Perché non è il momento in cui il tuo piede lascia la spiaggia e l'acqua cancella l'impronta, che conta. Conta il punto in cui non puoi più avere ripensamenti.
La casa appartiene al mio «mediatore», quello che nell'impresa del passaggio ha il compito di raccogliere i passeggeri, di riempire la nave. La mia è nella parte alta di Zarzis, uno dei tanti paesi del Mediterraneo sudditi del mare per la vita e per la morte. In questo periodo dell'anno nelle vie dove lampeggiano pezzi rimasti di un grande presepe picaresco, asinelli tenaci che tirano giganteschi carri di ver-zure, lustrascarpe, piccoli venditori di cialde, incontri solo pensionati francesi appisolati per mesi al sole, in alberghi vasti come cattedrali, felici di risparmiare. E poi ci sono le donne francesi, «madames» avvizzite che in un gran tramestio di senili concupiscenze vengono a cercare anche loro calore.
Cinquanta in due stanze Dalla casa il mare neppure si vedeva, solo il vento che lontano faceva sconquasso. Sono due cubi di intonaco bianco   come   quelli che disegnavano i due figli del mediatore che il pomeriggio, indifferenti, facevano i compiti alla tisica ombra di un alberello. È a un passo dallo strada con l'unica, modesta riservatezza di un muro e di un cancello verde. Cinquanta in due stanze di pochi metri quadri, nessun oggetto se non luridi tappeti gettati in terra e coperte. Dalle finestre filtrava una luce con poca forza, rancia e
dorata. Nessuno, via via che passavano i giorni, ha mai chiesto l'ora. È un gesto senza senso. Il tempo ini-zierà dal momento in cui ti dicono: la nave c'è, è per stanotte. Allora puoi contare: a Lampedusa arriverò in venti ore, dunque...
Rivestirmi di questa attesa è l'unico modo in cui, almeno per una infinitesima parte, posso diventare come loro. Prima della casa c'è il passeur,   bisogna trovarlo, convincerlo, pagarlo. Credo di conoscere tutti, o quasi, quelli di Zarsis. Ci sono «i vecchi», il viso intarsiato da grinze, silenziosi, in agguato, appoggiati ai muri vicino alla spiaggia, guardano enigmatici il mare dietro di te, si avvolgono nelle buffate di scirocco. Anche loro aspettano, ti aspettano.
E poi gli altri, i giovani, lupi voraci vestiti di tutto il contraffatto del mondo, in continuo movimento da un bar all'altro, che ridono sguaiati, avidi, prepotenti. Il mondo nuovo che avanza. Tutti, i vecchi e i giovani, hanno sguardi eguali, da doganiere, da agente delle tasse, che non puoi dimenticare: ti trapanano, pesano il tuo portafoglio senza nemmeno vederlo, la tua disperazione, il punto fino a cui puoi andare. Che è, immancabilmente, 1300 euro, la tariffa, il biglietto.
L'etica del passeur Nessuno di quelli che ho incontrato mi ha chiesto perché io, italiano, avessi mai deciso di scegliere le loro barche scalcagnate e l'illegalità per un viaggio che con 150 euro potrei compiere ogni giorno, comodamente. Nessuno mi ha chiesto di più della tariffa normale. Per il passeur gli uomini sono davvero tutti eguali, contano in quanto unità, per lo spazio che occupano sul ponte del peschereccio o del barcone. Il resto, le tue motivazioni la tua di¬
sperazione i tuoi sogni perfino la tua stupidità, per loro è irrilevante.
Il passeur è un imprenditore, con una etica, i conti, la partita doppia, tiranneggiato dalla matematica: tanti uomini tanti viaggi tanti incassi. Tutto si regola
sulla fiducia,  se qualcuno la infrange, raccoglie il denaro   e   sparisce, utilizza una barca guasta,   sbarca   i passeggeri in un altro luogo, tutto crolla. Moussa i miei 1300 euro non li ha voluti subito: «Quando sarai sulla nave, quella grande, mi pagherai, non prima».
Moussa prima aveva un peschereccio, Non era povero, anzi; la pesca rende. Poi, un giorno, si è accorto che i suoi colleghi chiudevano, che il porto era semivuoto. E ha fatto dei conti: quanti uomini poteva portare, quasi senza rischio, invece che tonni e sardine, e che 400 passeggeri volevano dire 700, 800 mila dinari, 400 mila euro. Il passeur è un imprenditore che deve mettere in conto una perdita fissa: il battello che sarà sequestrato a Lampedusa. Del primo che ha utilizzato parla ancora con un po' di rimpianto; chissà che fine ha fatto laggiù in Italia. Ma poi quando hai incassato, tutto è andato bene, e ne compri un altro e riprovi e un altro ancora beh! allora non è più la tua casa, che ti dà vivere, dove rischi la vita ogni giorno. È solo un mezzo che puoi gettare via.
Il passeur non fa mai il viaggio in mare: ha i suoi capitani di fiducia, sa quelli che hanno fatto la traversata più volte, i prudenti e i gradassi, quelli che fiutano le tempeste nel canale di Sicilia per due, tre giorni solo annusando le buffate di scirocco. Non è un mestiere senza rischi. Prima di trovare Moussa avevo pro-vato con un altro. Siamo andati sulla spiaggia in duecento, pronti a partire nella notte. Lui era con noi, sguazzava nell'acqua al mio fianco, un uomo alto, i capelli e la barba arricciata come gli assiri, si teneva su la Jallabah per non bagnarsi e si ap-poggiava nella sabbia a un bastone. Nel buio il suo telefonino suonava continuamente. Ma nel rispondere la sua voce si faceva via via più rabbiosa, poi opaca, poi affranta. La nave si era incagliata nel fondo men¬tre cercava di avvicinarsi il più possibile alla spiaggia e imbarcare. In duecento, immersi nell'acqua fino alla cintola, silenziosi, senza fare domande, si è atteso. Alle tre di notte anche il passeur si è arreso: tutti in ritirata, per chilometri, prima la spiaggia e poi la lunga palude, fino al camion per tornare alle case. Le luci del porto sullo sfondo e della raffineria lampeggiavano beffarde. Il passeur è tornato per ultimo, come se sperasse che ancora, dal mare, sarebbe arrivata con le lampade di segnalazione il via libera, la possibilità di tornare indietro. Sembrava, quando l'ho rivisto, un uomo più vecchio di mille anni: «riproveremo» ha sillabato nel vuoto.
L'avviso di disgrazia Il capitano della sua nave però era un uomo avido. Il mattino dopo ha raccolto una parte dei clandestini, quelli più poveri e disperati, una cinquantina, e ha tentato l'avventura da solo, con un barcone. Gli altri sono tornati dal passeur e hanno chiesto i soldi: basta, con lui non volevano riprovare. Quello era un cattivo segno, un avviso di disgrazia e di confusione. Lui i soldi
per tutti non li aveva più, con una parte aveva comprato il battello che bisognava disincagliare e una parte li aveva ridati a quelli che erano partiti. Gli hanno detto: i soldi o quando torniamo ti sgozzeremo. Lo ha colpito un infarto, è in coma all'ospedale.
I miei compagni di viaggio, tutti giovani, tutti tunisini, non sono uomini dagli impervi silenzi. Mentre le ore si sgranavano nella casa, abbiamo parlato, a lungo. Non c'è attorno a loro nessun alone di tetro dolore. Parlano, si raccontano. Di due cose, in tutti quei giorni bloccati dalla tempesta, non abbiamo mai parlato. Una è stato il mare, questo Mediterraneo con la sua voce i suoi furori le sue leggende la sua retorica. Come se non esistes¬se, come se non fosse il lievito in cui è impastato pericolosamente il nostro viaggio. Il mare, la sua preistorica enormità, non bisogna evocarlo: per non avere paura.
L'assenza della polizìa
La seconda assenza è la polizia, i controlli, il rischio di essere bloccati. In terra e in mare. Perché non esistono. Eppure in questa città dove tutti go¬losi si vantano di avere i migliori capitani per i clandestini, come se fos¬se la vera gloria locale,   le   autorità sanno: i nome dei battelli   da  pesca venduti e riciclati, i mediatori, le case, le spiagge dove si allungano le file dei partenti in attesa, tra torce e chiasso di telefonini. Una è dietro gli alberghi, di sera arrivano i parenti in auto per salutare, si piange si ride, è la festa. Ben Ali barattava il controllo dei clandestini con i silenzi complici dell'Occidente sulle sue infamie dittatoriali. Oggi la Tunisia appena uscita da una rivoluzione è governata da uomini senza carisma e senza autorità. Perché dovrebbero impedire ai suoi giovani, ai suoi figli migliori, di tentare l'avventura, di cercare una vita migliore? Per rischiare un'altra rivoluzione?
Béchir è venuto a cercarmi: è cameriere, un uomo grasso dall'aria paciosa, fuori servizio si mette in testa la papalina viola dell'età aurea di Bourghiba. In un copricapo c'è la vecchia Tunisia povera quieta e operosa scomparsa nei gorghi tentatori della modernità. Ha saputo che voglio partire, ormai mi conoscono tutti, a Zarsis che in fondo senza i turisti è un piccolo paese gli imbarchi sono la notizia. E tutti si danno da fare ogni volta, per giorni, a rassicurare e avvertire: sì, i ragazzi sono arrivati... gli italiani a Lampedusa sono gentili e poi il continente e la Francia chissà... Il figlio di Bechir ha fatto il viaggio, adesso è in Belgio dove ci sono altri parenti, lavora in un locale tunisino, sì tutto è finito bene grazie a Dio. «Perché vuoi andare?» mi ha chiesto e i suoi occhi si sono fatti scuri. «Ti parlo come se fossi tuo padre. Sai cosa vuol dire il passaggio per mare? Sedici ore ti dicono, non è vero, mentono, sono 24, è quanto ha impiegato mio figlio nella burrasca e adesso non ne vuole più parlare perché ha ancora paura. Perché lo fai? Tu non hai bisogno». E mi fa promettere che comunque lo chiamerò quando sarà arrivato il momento.
La scelta dei figli
Béchir è stato il primo. Poi sono venuti altri, nei giorni dell'attesa. Qui quasi ogni famiglia ha un figlio che è partito. Quelli che hanno più figli maschi scelgono il primogenito, come nei nostri Paesi del Sud si faceva al tempo giolittiano degli emigranti: perché è quello che ha il dovere di tenere alto il nome, di farsi onore, di diventare ricco. Anche loro sono venuti a trovarmi, gentili, con l'aria umile che si assume inesorabilmente con qualcuno a cui è capitata o sta per capitare una disgrazia: vogliono capire. Sono venuti anche due padri il cui figlio non è arrivato: viaggiavano su una barca troppo piccola, «avevano   fretta... non hanno saputo aspettare...». E un dramma di due anni fa, ma il loro dolore non lo è. «Mi manca tanto mi manca tanto» mi ripete uno di loro, e gli scendono le lacrime dolci e infantili dei vecchi.
Solo uno dei ragazzi della casa mi ha chiesto: perché? Ma mi ero accorto che ne parlavano tra loro a bassa voce, fittamente, protetti dall'arabo che non capisco. Hanno ragione e diritto di chiedere. Quando ci si mischia anche solo per essere testimoni alle tragedie umane, senza esserne parte, si ha il dovere di essere onesti. Non ho provato a rispondere. Li ho delusi. Avrei potuto spiegare che è stato raccontato come loro, i clandestini di Lampedusa, sono prima di partire e dopo essere sbarcati. Ma che quello che conta è il momento in cui passano da una condizione a un'altra, il viaggio, quando scavalcano la Frontiera, non amministrativa e poliziesca, ma quella della propria condizione umana e diventano altri. Ed è quanto voglio fare. Non avrebbero capito. Perché io sono solo un testimone. Io li guardo. Loro lo vivono.
Il mare si è calmato, stasera non c'è vento, cominciamo a navigare nel buio.
 


Borghezio e Le Pen a Lampedusa
l'Unità, 14-03-2011
«Siamo lontani dal modo di vedere le cose di Borghezio e Le Pen». È quanto si legge in un volantino in cui i giovani di Lampedusa spiegano le ragioni della manifestazione organizzata oggi sull'isola. «Allo stesso tempo - continua la nota - non vogliamo essere coinvolti in inutili polemiche politiche di personaggi che intendono farsi pubblicità o propaganda di partito sulle nostre spalle. Lampedusa è terra di accoglienza e solidarietà. Ripudiamo il razzismo e la xenofobia in tutte le sue forme ed espressioni».
Il portavoce del comitato giovanile di Lampedusa, Tommaso Sarma, spiega ancora: «vorremmo concentrarci di più su quello che riguarda l'isola e noi stessi. Partiamo dall'emergenza che ha a che fare con queste povere persone, ma siamo sorpresi di tutta questa attenzione. Ricordiamo che da Lampedusa passa solo il 10% del flusso migratorio diretto a nord».
Sulla manifestazione, infine, il portavoce dei ragazzi dice: «è un risultato importante perchè non c'è mai stata una mobilitazione di questo genere. Da qui vorremmo partire per preparare una piattaforma di azioni concrete per migliorare la vita sull'isola».



Crotone: nasce a Isola Capo Rizzuto un Centro di accoglienza per trenta richiedenti asilo e titolari di protezione.
Iniziativa del Comune e della Provincia di Crotone, con il finanziamento del Ministero dell’interno.
Immigrazione Oggi, 14-03-2011
Un centro di accoglienza per trenta immigrati sorgerà presto a Isola Capo Rizzuto su iniziativa del Comune, della Provincia di Crotone ed il finanziamento del Ministero dell’interno.
Scopo del progetto è la realizzazione di attività di accoglienza integrata a favore di richiedenti e titolari di protezione umanitaria che transitano sul territorio provinciale e, inoltre, l’erogazione di ulteriori servizi agli ospiti del centro di accoglienza di Sant’Anna.
Per la realizzazione del progetto – si legge in una nota della Provincia – l’Amministrazione provinciale ha individuato quali enti gestori dei servizi di accoglienza la cooperativa sociale Agorà Kroton e la Pro.Civ. Arci di Isola Capo Rizzuto. L’associazione culturale “Dante Alighieri” si occuperà invece di insegnare l’italiano gli immigrati. I servizi all’interno del Cara saranno invece affidati alla stessa cooperativa Agorà Kroton, alla Fondazione Opus diocesana di Crotone ed al Consiglio italiano per i rifugiati.
La somma finanziata è di quattrocentodieci mila euro, più una serie di altri cofinanziamenti da parte di Provincia, Regione e enti gestori per un totale di oltre seicentotrenta mila euro che nel triennio 2011-2013 dovranno portare assistenza e servizi a trenta immigrati.



Fortezza Italia
A cura di AMISnet • 14 Marzo 2011
Radar anti-migranti istallati nelle regioni del sud, iscrizione nel registro degli indagati per il reato di immigrazione clandestina per chi arriva sulle nostre coste, esponenziale aumento della militarizzazione alle frontiere e porte aperte per due esponenti della destra xenofoba europea a Lampedusa. A seguito delle rivoluzioni maghrebine, l’Italia decide di barricarsi.
Puglia, Sicilia e Sardegna sono tre delle regioni su cui si stanno costruendo i radar che il nostro governo ha acquistato per rafforzare la sorveglianza costiera.  Si tratta di sensori di profondità a microonde, appositamente progettati per l’individuazione di imbarcazioni veloci di piccole dimensioni, capaci di captare uno scafo a dieci miglia o un gommone a sette. In Sicilia, il radar è già stato ribattezzato dalla popolazione locale “il mostro di Plemmirio”, dal nome della località in cui è stato istallato. Si tratta di una riserva marina protetta, sulla punta ovest dell’isola, vicino a Siracusa. Anche in Puglia le autorità hanno scelto di istallare il radar in una zona naturale protetta, nel territorio di Galliano, in porvincia di Lecce, e secondo Italia Nostra, associazione in difesa dell’ambiente, ne sono previsti altri tre, che saranno posizionati tra Otranto e Santa Maria di Leuca.
I radar a microonde, che l’Italia ha acquistato dall’impresa israeliana Elta Systems, sono stati comperati grazie al Fondo europeo per le frontiere esterne,creato nel 2007 dal Parlamento europeo e dotato di 1820 milioni di euro per il periodo 2007-2013.
L’Italia, in accordo con le politiche europee, decide di investire nella militarizzazione del territorio, preparandosi a respingere, anzichè ad accogliere.
A Lampedusa, dove negli ultimi giorni sono arrivati più di cento militari, il centro di identificazione ed espulsione di Contrada Inbriacola ha ripreso a funzionare come un tempo: centro a porte chiuse. Chi vi entra viene automaticamente iscritto nel registro degli indagati per il reato di immigrazione clandestina. Il villaggio degli aranci di Mineo, a Catania, in cui il governo ha deciso di “accogliere” migliaia di richiedenti asilo, è quasi pronto per l’apertura: muro, cancelli, reticolati e guardiole sono ultimate e sono arrivati anche i primi cinquanta militari. “Quando quell’area era una parte della base Nato non c’era così tanta sicurezza” dice sarcastico Alfonso Di Stefano, della rete anti-razzista di Catania. Non è solo la militarizzazione dell’area a preoccupare, ma la scelta in sè di creare un centro per così tante persone in un’area in mezzo al nulla. Non è difficile immaginare che il centro, che un tempo ospitava i militari della base statunitense di Sigonella, diventerà un ghetto per migranti, visto che il centro abitato più vicino si trova a otto chilometri dalla struttura.
A concludere il quadro, l’arrivo a Lampedusa di due politici noti per le loro posizioni xenofobe: l’europarlamentare della Lega Mario Borghezio e la leader del Fronte Nazionale di estrema destra francese Marine le Pen. La visita dei due, prevista per il 14 marzo, ha sollevato numerose polemiche negli ambienti anti-razzisti e non solo. “La signora Le Pen e Borghezio con le loro esternazioni violente saranno fuori dalla legge” ” ha denunciato l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) “commetteranno probabilmente ancora una volta il reato di istigazione all`odio razziale, ma ancora una volta sarà loro garantita l`impunità e saranno protetti dalle forze di polizia”.
Il 14 marzo un gruppo di associazioni anti-razziste,  capofila la lampedusana Askavusa, invita tutti a dissociarsi dalle politiche xenofobe del nostro governo, andando a manifestare a Lampedusa, scegliendola come meta per una vacanza last minute, o anche facendo controinformazione da casa propria, per contrastare i messaggi che i due politici lanceranno dall’isola. “La visita della Le Pen e di Borghezio a Lampedusa dovrà diventare una occasione per denunciare i veri responsabili delle politiche di morte e di esclusione portate avanti dai governi europei e in particolare dal governo italiano, con la vergognosa pratica dei respingimenti collettivi in acque internazionali che adesso qualcuno vorrebbe ripristinare” conclude l’Asgi.
La militarizzazione di Mineo, Alfonso Di Stefano, Rete antirazzista Catania



Il giudizio sugli immigrati: dagli italiani aperture, ma con riserva. Sondaggio della Fondazione Leone Moressa in occasione della Settimana contro il razzismo.
L’immigrazione rimane al centro del dibattito sociale. Gli italiani sono disposti all’accoglienza, ma gli immigrati rappresentano ancora un problema più che una risorsa per l’Italia.
Immigrazione Oggi, 14-03-2011
La questione immigrazione preoccupa ancora oltre un italiano su due (55,1 per cento) e viene al terzo posto dopo disoccupazione e criminalità tra i timori dei cittadini del Bel Paese. Dall’altro lato però emerge un’alta disponibilità a condividere con chi non è italiano la propria vita (dal vicinato alla scuola) e il riconoscimento dell’importante ruolo svolto in ambito economico.
È quanto emerge dal sondaggio, su un campione di 600 persone, effettuato dalla Fondazione Leone Moressa in occasione della Settimana contro il razzismo, che si concluderà il 21 marzo con la Giornata mondiale contro le discriminazioni razziali.
La ricerca ha l’obiettivo di conoscere il grado di apertura degli italiani verso gli immigrati presenti nel territorio, sia dal punto di vista economico che socio-culturale.
Secondo lo studio, sono in particolare i cittadini più “anziani” ad esprimere la maggiori riserve in merito alla presenza dei cittadini stranieri (quasi sei su dieci). Al contrario, i giovani sembrano essere meno preoccupati (48,3%) e temono di più la disoccupazione e dimostrano una maggiore sensibilità rispetto alle questioni ambientali.
Rispetto alla componente straniera nella società e nel mercato del lavoro, gli immigrati sono considerati nella maggior parte dei casi sia una risorsa che un problema (49,7%). La diversità etnica diventa un problema (32,5%) per gli italiani che ritengono che gli immigrati assorbano più risorse economiche di quante ne destinino alla finanza pubblica o quando sono considerati una minaccia all’ordine pubblico.
Secondo gli intervistati, episodi di discriminazione nei confronti degli immigrati continuano a persistere e nel tempo sembrano essere addirittura aumentati. In particolare, al Nord e nel Centro sono più avvertiti rispetto alle aree del meridione, ma è proprio nel Sud che tale tendenza sembra essere in aumento.
Istruzione, assistenza sanitaria e lavoro sono le condizioni che secondo gli italiani dovrebbero essere garantite agli immigrati per incentivare e sostenere il processo di integrazione. Alloggio, ricongiungimento familiare, sostegno economico e libertà di culto sono ritenuti invece fattori secondari.
Alcuni elementi consentono, tuttavia, di ipotizzare un certo grado di apertura nei confronti degli stranieri, sia dal punto di vista lavorativo, che sociale. Gli intervistati infatti non avrebbero alcun problema a lavorare insieme ad uno straniero, né tanto meno a iscrivere i propri figli in una classe dove vi sono il 20% di alunni stranieri. Si accetterebbe volentieri anche di avere un vicino di casa immigrato, sono più reticenti invece ad affittare agli stranieri locali commerciali o appartamenti privati.
In generale, gli intervistati sono molto d’accordo nell’affermare che gli stranieri occupano quelle posizioni lavorative che gli italiani ormai rifiutano e che rappresentano comunque una forza lavoro valida. La questione che gli stranieri tolgono lavoro agli italiani o che sono la causa principale dei problemi di sicurezza e di ordine pubblico è infatti smentita dalla metà degli intervistati, dimostrando come le solite affermazioni sulla presenza straniera in Italia sono per lo più dei luoghi comuni.
“La presenza sempre più capillare degli stranieri nel sistema sociale ed economico italiano – affermano i ricercatori della Fondazione Leone Moressa – influisce sul livello di percezione dei cittadini, che valutano il fenomeno migratorio ancora come un problema, più che come una risorsa. Quando l’immigrato non è un oggetto astratto di discussione pubblica, ma un soggetto che entra a far parte della convivenza pratica e quotidiana – perché vicino di casa, collega di lavoro o compagno di scuola – allora le cose cambiano e gli italiani si scoprono “inclusivi” nell’esperienza quotidiana”.



Milano: la Costituzione letta in tutte le lingue del mondo dagli immigrati.
Iniziativa promossa per il 150/mo dell’Unità d’Italia il prossimo 17 marzo in piazza della Basilica di San Lorenzo.
Immigrazione Oggi, 14-03-2011
La Costituzione letta in tutte le lingue del mondo dagli immigrati. Così le comunità straniere di Milano celebreranno il 150/mo dell’Unità d’Italia il prossimo 17 marzo alle ore 11.00, in piazza della Basilica di San Lorenzo (corso di Porta Ticinese, 35).
La manifestazione è promossa dall’Associazione CIRCLA - Centro di integrazione permanente di rappresentanza della comunità Latino-Americana, in collaborazione con A.R.I. (associazionene Rumeni in Italia), Associazione Arcobaleno onlus, Associazione Sodalis, Cappellania Migranti - Santo Stefano, Comunità di Sant’Egidio, CO.RE.IS Italiana, Prima Scuola Cinese Milano Italia, Unione Giuristi Cattolici di Milano e con il patronato degli enti locali e di diversi consolati di Paesi di origine degli immigrati.
“La sfida di oggi – scrivono in una nota gli organizzatori – è passare da una società multiculturale a una interculturale, dove le identità culturali, etniche, religiose e sociali non entrino in conflitto, ma creino la convivialità delle differenze. Solo superando i punti di vista egocentrici e soggettivi, il pregiudizio e lo stereotipo, può diffondersi una sana convivenza umana, basata sull’accoglienza, il rispetto e la condivisione”.



«Sei un negro e puzzi» Operaio congolese pestato dai colleghi
Spedizione punitiva, il mandante sarebbe un addetto alle pulizie che lavora nella stessa fabbrica del giovane rifugiato politico. Insulti e minacce di morte nei confronti del giovane si sono ripetute per giorni.
l'Unità 14-03-2011
VIRGINIA LORI
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Un giovane originario del Congo è stato pestato a sangue da quattro uomini che sono scesi da due auto e l'hanno colpito al volto prima con pugni e poi con diversi calci gridandogli «negro di m...» e «torna nella foresta». L'episodio, secondo quanto riferisce la Cgil di Monza e Brianza, è avvenuto lunedì scorso all’esterno dell'azienda dove il giovane, Kelly, lavora a Cernusco sul Naviglio, in provincia di Milano.
Secondo quanto riferito dalla vittima, che vive in Italia con lo status di rifugiato politico, il gruppo si sarebbe scagliato contro di lui in seguito ad alcuni dissidi avuti con un altro lavoratore di circa 50 anni, all' interno della fabbrica. Il gruppo infatti, mentre lo pestava gli intimava di chiedere scusa al cinquanten¬ne. Dopo il pestaggio il giovane è stato ricoverato in ospedale con diverse lesioni al volto. La denuncia è stata fatta dalla Cgil che ha organizzato una conferenza stampa insieme al lavoratore straniero.
E a seguito della denuncia pubblica avvenuta ieri mattina, è stato sospeso il presunto mandante del pestaggio a cui è stato sottoposto il lavoratore congolese. La Terdeca, che è un’azienda metalmeccanica, dopo aver appreso della vicenda, portata alla luce anche grazie all’impegno della Cgil di Monza, ha chiesto al giovane 24enne di rientrare al lavoro al più presto e ha sospeso l’uomo che da giorni lo insultava fino al pestaggio del 7 marzo. Il presunto mandante sa-rebbe un addetto alle pulizie con cui Kelly avrebbe litigato perchè aveva sporcato il pavimento con le scarpe dopo aver lavorato ad un macchinario che perdeva olio. «Sei sporco e puzzi come tutti i negri», gli avrebbe detto l'uomo in quell'occasione e da allora gli insulti sarebbero proseguiti praticamente ogni giorno accompagnati da minacec. Kelly aveva reso noto, durante una conferenza stampa convocata ieri, che sarebbe tornato in commissariato perchè l'uomo continua a minacciarlo di morte. Nel pestaggio, secondo alcune fonti, sarebbe stato coinvolto anche il figlio dell’addetto alle pulizie.
INTOLLERANZA E XENOFOBIA
«La componente razzista presente in questa vicenda è evidente -ha spiegato Maurizio Laini, segretario cittadino della Cgil di Monza -. Siamo di fronte a un fatto grave, che non può essere considerato un semplice conflitto tra lavoratori. Dobbiamo interrogarci di fronte ad atti di violenza come questo, perché, pur senza voler fare strumentalizzazioni, sono segnali di un clima di intol-leranza e xenofobia davvero preoccupante che, come Cgil, abbiamo sempre combattuto e continueremo a combattere».
Denunciare, da parte del giovane rifugiato politico, è stato considerato un atto di civiltà, una lezione rispetto agli aggressori che vorrebbero «rimandarlo a casa». ♦



LA TRAGEDIA  ROM NON HA INSEGNATO NULLA
I VUOTI ANNUNCI DEL CAMPIDOGLIO
Augusto Battaglia FORUM WELFARE PD
l'Unità, 14-03-2011
 A poche ore dal voto di Strasburgo che impegna l'Europa a fissare standard minimi per l'integrazione sociale, economica e culturale dei 12 milioni di rom del continente, dal Campidoglio vuoti annunci sul "Piano nomadi". Mentre la UE parla di alloggi e salute, di formazione e lavoro, ad un mese dal tragico rogo della roulotte, sindaco e commissari vari sciorinano le solite ricette: Croce Rossa, tendopoli, caserme, centri per rifugiati, campi sosta.
In attesa della Protezione Civile, ci si chiede se sia accettabile che la Capitale non riesca a gestire una vicenda che riguarda poco più di settemila persone, metà bambini e minorenni, e poche centinaia di vecchi consumati da una vita dura. Che si continui a parlare di nomadi e campi sosta, dipingendo comunità sedentarie da ben quattro generazioni come carovane di girovaghi. Sorvolando sui tanti ragazzi rom nati in Italia, marchiati dall'impropria etichetta di immigrati, finanche clandestini, solo per limiti della norma e complessità burocratiche.
Il campo sosta, utile soluzione ponte, ha consentito di arginare tensioni, equilibrare presenze sui territori, attivare interventi sociali, sanitari, educativi, di avviamento al lavoro. Ha facilitato la regolarizzazione di persone prima penalizzate da un rapporto precario con le istituzioni. Primi passi del difficile percorso di integrazione, che deve andare avanti, oltre l'emergenza. Intanto con una norma sulla cittadinanza, o almeno il permesso di soggiorno, per chi è nato e vive stabilmente in Italia, evitando a tanti giovani la violenta umiliazione del Centro Identificazione ed Espulsione. Ma, soprattutto, con nuove politiche locali per il superamento dei campi.
Tante famiglie rom sono in grado di auto finanziarsi e costruirsi un alloggio, magari con un limitato incentivo pubblico, come a Padova con i Villaggi della Speranza. Allora, anziché continuare a sperperare risorse in campi, bagni chimici, autobotti e vigilanza, meglio progettare piccoli insediamenti a moduli standard integrati nella città. E per i nuclei più disagiati implementare i programmi di assistenza, anche con fondi europei, riducendo via via le presenze nei campi, fino a lasciare poche aree attrezzate per transiti ed emergenze.
Ma, soprattutto, ai giovani va data l'opportunità di affrancarsi dalla dipendenza da attività sommerse o, peggio, illegali. Cooperative sociali, Opera No-
madi hanno promosso esperienze interessanti, dalla lavanderia di Roma alla raccolta differenziata di Reggio Calabria, I sinti giostrai chiedono spazi nei parchi. Un piano per il lavoro da costruire in una virtuosa collaborazione tra enti locali e terzo settore può mettere alle spalle secoli di marginalità, di pregiudizi, di tensioni.*

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