Clemenze

Sulle carceri sono d'accordo con il Foglio. Finalmente. Ma che miseria i soliti moralisti accaniti.

Luigi Manconi
Ah, com’è bello e, soprattutto rasserenante, trovarsi incondizionatamente d’accodo - per una volta nel corso di quindici anni - con quanto viene scritto sulle pagine che, graziosamente, mi ospitano. Ah, com’è rilassante poter condividere interamente quanto scritto nei due editoriali del Foglio del 16 e del 17 dicembre a proposito delle misure adottate dal ministro della Giustizia Paola Severino. 
Ne consegue un singolare paradosso (che fa onore al Foglio): il tecno-governo del preside Monti viene valutato con obiettività non così frequente. E, dunque, apprezzato quando assume provvedimenti apprezzabili. E la “sospensione della democrazia” può determinare condizioni tali da consentire scelte in genere definite “impopolari”. Altri quotidiani di centro destra – fedeli al motto di Manlio Scopigno: “il calcio non è uno sport per signorine”. Figuriamoci la politica – non vanno tanto per il sottile e, pur avendo come riferimento un partito della “maggioranza”, se ne impippano. Così titolano: “A noi tasse, ai ladri libertà” (alcuni messaggi su facebook mi comunicano che Marco Travaglio ha scritto esattamente le stesse cose, ma non ho avuto occasione di verificarlo). Sotto il profilo politico, non si può non convenire con quanto scritto dal Foglio: “Stupisce che dal centrodestra, non solo dalla Lega ma anche da esponenti autorevoli del Popolo della libertà, si siano levate voci critiche” dal momento che “il principale provvedimento è un’estensione temporale a 18 mesi di una norma che era stata introdotta da Angelino Alfano, approvata quindi sia nel governo sia in Parlamento dal centrodestra”. Va aggiunto che  la formulazione originaria del disegno di legge Alfano prevedeva, assai ragionevolmente, l’estensione del termine di pena da scontare in detenzione domiciliare fino a 24 mesi. Scrive ancora il Foglio: “ha senso criticare un indulto mascherato solo se si intende, e non sarebbe male, proporne uno alla luce del sole”. Ben detto. Ma devo aggiungere che, dell’intera questione “dei delitti e delle pene”, mi interessa sempre più un aspetto che anche il Foglio sembra trascurare; e che, da qualche tempo, mi pare solleciti l’attenzione di Marco Pannella: ovvero il carcere come grande questione morale. Non mi riferisco solo al fatto che consentire – o non tentare di arginare – la crescente disumanizzazione di un segmento così significativo del sistema statuale sia di per sé immorale. Penso anche ad altro. Immagino, cioè, che dietro l’indifferenza, quando non l’ostilità, nei confronti dei reclusi, vi sia una miserabile interpretazione di quella teoria retributiva della pena, già discutibile di per sé. In questo caso, la retribuzione varrebbe al fine di “compensare” simbolicamente, all’interno di una concezione integralista e organicista del corpo sociale, la sofferenza delle vittime attraverso la sofferenza degli autori di reato. Se, dunque, il dolore dell’offeso è dovuto alla perdita di una vita, l’irreparabilità di tale perdita può essere compensata solo da un dolore altrettanto irreparabile inflitto a chi, quella privazione assoluta, ha determinato. In altre parole, se quel reato è, per sua stessa natura, non retribuibile in quanto non è restituibile la vita che ha spento, la sola retribuzione (pena) per chi si è reso responsabile di quel reato è, anch’essa, il-limitata. Ma questa concezione, che ritiene di affermare una morale intransigente, è invece la negazione di ogni moralità umana.      
20 dicembre 2011 
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