Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 aprile 2010

Accordo Italia-Libia Il dramma dei bambini respinti e spariti
l'Unità, 13-04-2010
Umberto De Giovannangeli

Save the Children lancia l'allarme: centinaia di minori potrebbero essere
reclusi nei lager libici o lasciati in balia di organizzazioni criminali
Valerio Neri: «Violati i diritti umani, bisogna fermare i respingimenti in mare»

I minori che non sono arrivati non sono un numero: sono ragazzi che fuggono da situazioni di povertà, di conflitto o disordine generalizzato fermati a metà del proprio cammino. A questi ragazzi stiamo negando una possibilità, un futuro». Negare un futuro. Una chance di vita. Negarli respingendoli. Centinaia di minori respinti in mare dopo l'entrata in vigore della normativa sui respingimenti sono probabilmente bloccati in Libia. Bloccati o per meglio dire reclusi nei centri di «accoglienza», veri e propri lager, stando a quanto denunciato dalle più  importanti  organizzazioni umanitarie internazionali. Deboli tra i deboli, i bambini sono i primi a pagare questa situazione. Ad affermarlo è Save the Children che nel secondo rapporto su «L'accoglienza dei minori in arrivo via mare» rileva che il drastico calo delle presenze di minori nelle comunità siciliane è fonte di preoccupazione per le centinaia di minori stranieri cui «viene negata la possibilità di un futuro» contro «il rispetto della normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di divieto di respingimento, rispetto dei diritti umani e tutela delle categorie vulnerabili». E tra i vulnerabili, i bambini sono al primo posto.
L'organizzazione punta il dito contro «le pratiche adottate dal governo italiano in materia di contrasto all'immigrazione clandestina e gli accordi stipulati con le autorità libiche», si legge nel rapporto, che rischiano di «vanificare il percorso d'integrazione dei minori». Da marzo 2009 a febbraio 2010 sono giunti in Sicilia 278 minori non accompagnati (di cui solo 4 identificati a Lampedusa), successivamente collocati in comunità sul territorio siciliano. Nell'anno precedente, da maggio 2008 a febbraio
2009, i minori non accompagnati sbarcati a Lampedusa erano stati 1.994, mentre, nello stesso periodo erano giunti sulle coste siciliane altri 260 tra bambini e ragazze (inclusi quelli accompagnati). Nel corso dell'anno, rileva Save the Children, sono state effettuate 9 operazioni di rinvio di migranti rintracciati in acque internazionali: raffrontando i dati sugli arrivi degli anni 2008 e 2009 «appare evidente che con ogni probabilità» sono centinaia i minori rimasti in Libia o che vi sono stati rinviati nel tentativo di raggiungere l'Italia. «È necessario che non vengano più effettuate operazioni di rinvio di migranti in arrivo via mare, garantendo il rispetto della normativa nazionale, comunitaria e internazionale in materia di divieto di respingimento, rispetto dei diritti umani e delle categorie vulnerabili», incalza Valerio Neri, direttore generale per l'Italia di Save the Children.
Centinaia di bimbi di cui non si ha più notizie. Bambini lasciati alla mercé di organizzazioni criminali
che gestiscono il traffico di minori o di organi. Bambini costretti a vivere in lager, a in una quotidianità fatta di violenza, abusi, disperazione. In questi lager si affolla una umanità sofferente: decine di migliaia di persone.
Tra di loro anche donne e bambini, migranti economici e rifugiati politici. Molti di loro sono tenuti agli arresti senza processo, mentre altri sono stati abbandonati alla frontiera meridionale con Niger, Chad, Sudan ed Egitto andando incontro alla morte. La gran parte di queste persone giunge con trafficanti che le ten¬gono ammassate in edifìci dispersi per le campagne libiche, in attesa di
organizzare un viaggio che si fa sempre meno sicuro e più difficile. La permanenza può durare mesi e mesi, in condizioni di sovraffollamento e alla mercé dei trafficanti dai quali si dipende in tutto. Talvolta queste persone possono essere scoperte e arrestate dalla polizia libica e finire quindi o in prigione o espulsi dal Paese, rischiando di morire nella traversata del deserto.
Di questa tragedia non tiene conto l'Accordo bilaterale tra Italia e Libia. Semmai l'aggrava. Tra il 5 maggio e il 7 settembre 2009 - denuncia ancora Save the Children - sono stati 1.005 i migranti ricondotti in Libia nell'ambito di 8 operazioni effettuate dall'Italia (in particolare, 883 persone attraverso l'attività congiunta libico-italiana e 172 prese e riportate in Libia dalle autorità di Tripoli). Un numero non quantificabile di migranti respinti è costituito da bambini, come attestato anche da fonti Onu, e sulla base del monitoraggio dei flussi migratori arrivati via mare attraverso la frontiera Sud nei mesi e anni scorsi, nell'ambito dei quali la presenza di minori è costante.
«A partire dal 7 maggio 2009, in aperto spregio delle norme internazionali sui diritti umani, l'Italia ha trasportato forzatamente in Libia o altrimenti consegnato alle autorità libiche centinaia di donne, uomini e bambini, migranti e richiedenti asilo, che tentavano di raggiungere l'Europa imbarcandosi attraverso il Mediterraneo su mezzi di fortuna, rischiando la vita per sfuggire a persecuzioni, torture, altre violazioni dei diritti umani e condizioni di povertà estrema», ha denunciato Amnesty International in un suo recente rapporto.
«Il 75 per cento delle persone che arrivano in Italia via mare - prosegue il rapporto di Amnesty - sono richiedenti asilo e, secondo l'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), tra le persone rinviate in Libia sulla base di questa prassi vi erano cittadini somali ed eritrei, bisognosi di protezione. "Nel luglio 2009, dopo aver incontrato le 82 persone intercettate all'inizio del mese dalla Marina Militare Italiana a 30 miglia da Lampedusa e trasferi¬te forzatamente su una motovedetta a comando libico, lo stesso Unhcr ha dichiarato che non risultava che le autorità italiane a bordo della nave avessero cercato di stabilire la nazionalità delle persone coinvolte o le motivazioni della fuga. Di quel gruppo, smistato in centri di deten¬zione dopo l'arrivo in Libia, faceva¬no parte 76 cittadini eritrei tra cui 9 donne e 6 bambini. Alcuni di loro hanno dichiarato all'Unhcr di aver avuto necessità di cure mediche in seguito all'uso della forza nei loro confronti da parte dei militari italiani e di non aver ricevuto cibo durante l'operazione, durata circa 12 ore. D'allora le cose sono ulteriormente peggiorate.
Secondo Fortress europe, l'os-servatorio sulle vittime dell'emigrazione, nello scorso mese di marzo sono stati almeno 20 i morti alle frontiere del Mediterraneo, nonostante l'azzeramento degli sbarchi a Lampedusa e alle Canarie, in Spagna. La Libia di Gheddafi, della cui amicizia si va vanto Berlusconi, è un Paese che non garantisce in alcun modo la protezione dei migranti sul suo territorio, anche in considerazione del fatto che non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra.
I centri
Migliaia di persone
costrette a vivere
tra abusi e disperazione
Le vittime
Nel marzo scorso
20 morti alle frontiere
del Mediterraneo
Lampedusa
Da maggio 2008 a febbraio 2009 arrivati 1994 ragazzi
Dati a confronto
Da marzo 2009 a febbraio 2010 giunti solo 278 minori
Accordo 







IMMIGRAZIONE
Maroni esclude l'ipotesi di un nuovo decreto flussi
Il Sole, 13-04-2010
Niente decreto flussi all'orizzonte, perché in questo momento c'è troppa disoccupazione. A chiarire i programmi del governo in materia di immigrazione è stato ieri il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, a margine di un convegno all'università Bocconi di Milano. È vero, ha spiegato il ministro, che una mozione del Parlamento impegna il governo a riaprire i flussi, «ma noi dobbiamo tenere conto delle esigenze lavorative, e dei tanti posti di lavoro che si sono persi» negli ultimi mesi. «Prima di far entrare altri nel nostro Paese - ha concluso il ministro - bisogna fare in modo che chi ha perso il lavoro, sia egli un italiano o un extracomunitario residente nel nostro paese - possa ritrovare un'occupazione».







INTEGRAZIONE E...PARLARE DI VOTO, POLLI E SEXY SHOP

Secolo, 13-04-2010
Omar Camiletti
Da Londra ai Paesi Bassi crescono gli esempi di partecipazione dei musulmani al dibattito politico
e sociale dei Paesi dove vivono
In Spagna gruppi e intellettuali islamici intervengono nello scontro sull'abolizione della corrida.
In Inghilterra si monitora la serietà dei candidati. E a Parigi uno scoop "islamico" preoccupa l'export

Interrogare e interpretare alcune vicende offerte dalla cronaca ci fa capire meglio di tanti discorsi come procede l'integrazione della minoranza musulmana in vari paesi europei. Cominciando dall'aspetto civico. Nelle scorse settimane, infatti, nella Catalogna è stato sollevata l'opportunità, con un prossimo referendum, di abolire la corrida, uno dei maggiori simboli dell'identità iberica. Ebbene, numerose associazioni e anche intellettuali musulmani sono intervenuti nel dibattito portando a conoscenza della intera popolazione il punto di vista islamico sulla questione, che ovviamente non vede di buon occhio il sacrificio del toro. Questo inedito impegno può contribuire ancora meglio a far emergere nuovi soggetti politici in cui convergano le tendenze sempre più in crescita di ecosostenibilità, di piani seri per l'immigrazione, che equivalgono poi alla necessità di proposta per l'Europa del futuro. Ancora più vistoso il rilancio nel Regno Unito della cosiddetta "operazione voto musulmano". Il prossimo 6 maggio si svolgeranno infatti in Gran Bretagna le elezioni politiche, e la posta in gioco come spiegato da tutti i commentatori è altissima e non un solo voto può essere "sprecato": neanche quello dei musulmani. L'obiettivo della campagna è quello di elevare il livello di coscienza politica degli elettori musulmani - i quali ovviamente si dividono come il resto dei britannici in conservatori e laburisti - ma si pensa anche che aggiungendo informazioni mirate alla sensibilità islamica si possa rendere possibile una certa influenza sul risultato delle elezioni generali del prossimo mese. «Se i musulmani voteranno saggiamente si potrebbe avere un significativo impatto sui risultati delle elezioni generali» ha annunciato in un comunicato stampa il Comitato per gli affari pubblici dei musulmani (Muslim Public Affairs Committee in United Kingdom). E al comitato hanno già individuato ottantadue collegi elettorali locali, dove la popolazione musulmana è abbastanza numerosa da far pendere la maggioranza su uno o l'altro degli eletti.
In passato, uno dei successi che valorizzò e ampliò il lavoro politico di "operazione voto musulmano" avvenne nel 2005, quando in occasione delle elezioni di quell'anno la mobilitazione dei musulmani provocò nella Circoscrizione Nord di Rochdale il disarcionamento" del deputato laburista Lorbé Fitzsimons ritenuto troppo «pro-guerra». Dalla sua fondazione nel 2000, in cui disponeva solo di una manciata di militanti, il MpacUK è diventato ora un movimento con sedi in tutta l'isola e vanta uno dei più visitati siti islamici sul web della Gran Bretagna. L'opera di sviluppare una normale lobby musulmana si è finora poggiata sopratutto sul monitorare il comportamento di parlamentari eletti dove c'è un consistente elettorato musulmano per vedere se sono "degni" del voto islamico. Il MpacUK si sta concentrando per queste elezioni su Phil Whoolas, ministro in carica dell'Immigrazione, il quale si presenterà a 01-dham nell'Inghilterra nord-occidentale. Sotto osservazione è poi anche il lavoro parlamentare svolto dal deputato laburista Andrew Dismore a Hendon, Londra, considerato troppo "acceso" per la legislazione antiterrorismo, ma viene anche "sfidato" Khalid Mahmud, uno dei quattro deputati musulmani del parlamento britannico, che venne eletto in un circoscrizione di Birmingham nove anni fa, nel 2001, ma il quale si oppose a un embargo sulle armi nei confronti di Israele.
Nel futuro il Comitato intende sempre più «abilitare i musulmani a compiere il dovere-diritto di voto con piena consapevolezza ed in sintonia con l'orientamento complessivo islamico di giustizia sociale, di tutela della salute e di ecosostenibilità». Un altro aspetto di costume viene in risalto da quest'altra vicenda: è di rigore per i musulmani essere discreti riguardo alla sessualità, ma questo non ha fermato un gruppo di cittadini ilamici nei Paesi Bassi, di aprire un negozio "on line" in grado di occuparsi del benessere sessuale dei musulmani, i quali logicamente non avrebbero mai osato entrare in un sexy shop come ce ne sono in tutta Europa. No, questa notizia curiosa non è un pesce d'aprile.
Il sito chiamato El Asira ("la donna catturata" in arabo) dispone di solo una dozzina di prodotti al momento, compresi gli oh per massaggi, lubrificanti, e integratori sessuali, ma spera di avere prodotti specifici di lingerie e gioielli. E il fondatore del sito, Abdelaziz Aouragh, dice però che l'etichetta di "sexy shop" attribuitagli dalla maggior parte dei media è assolutamente inadeguata. «Noi non pretendiamo - dice - di essere un negozio di sesso islamico, o un sexy shop in alcun modo. Non utilizziamo in alcun modo immagini o film pornografici o nudità, e tantomeno un linguaggio scurrile, giocattoli del sesso, tutto ciò che è o che sarebbe in contraddizione con l'Islam». Aouragh afferma inoltre di aver cercato e ottenuto l'okay da alcuni imam, uno dei quali ha detto che c'era obiezioni fondamentali alla vendita di "ausili" a condizione che essi non fossero giocattoli e che fossero venduti solo a coppie sposate. Mentre i criteri per quest'ultima condizione non è ancora ben definita, tutti gli oggetti venduti sono halal, Vale a dire senza prodotti di origine animale vietata, Aouragh ci tiene a precisare che tutti, anche i non musulmani, sono i benvenuti e che molti degli articoli sono già in vendita apertamente nei paesi musulmani. «Se prendiamo - aggiunge Auragh - le grandi religioni monoteiste, ebraismo, cristianesimo e islam, ci si renderà conto che l'Islam è la più aperta con la sfera della sessualità per cui un business come il suo non solo risulta a pro-prio agio nel clima sessualmente permissiva dei Paesi Bassi ma è pienamente in linea con le concezioni della sharia in materia». Per i musulmani più conservatori che si sentono infatti ancora offesi, nessuno li obbliga a visitare il sito di cui dovrebbero ignorare l'indirizzo esattamente come quelli del normali sexy shop o siti haram (vietati).
Un ulteriore notizia d'attualità, stavolta di aspetto economico, e che sta facendo scalpore è quello di un enorme scandalo scoppiato nell'industria alimentare francese: la catena di ristorazione fast food KFC e il pollame congelato Doux sono risultati a dei giornalisti scrupolosi del tutto fuori dai requisiti con cui la carne può essere definita halal ossia lecita da mangiare per i musulmani; questo colpo da giornalismo investigativo di una volta che si è recato nei mattatoi nei ristoranti e ha messo tutto in un video disponibile sul web, potrebbe essere fatale al grande business "halal" che esporta produzione europea nei paesi musulmani ricchi. Cosa susciterà in Arabia Saudita o nei paesi del Golfo ? come sarà presa la notizia che il pollame importato dalla Francia - un mercato in costante crescita da svariati anni - in realtà era un falso halal (lecito da mangiare). Ecco come appare sempre più evidente in queste tre news l'intreccio fra l'islam dei musulmami che vivono nel vecchio "continente" e la realtà politica, socio- culturale e economica europea.









Maroni:nessuna sanatoria
MILANO — «Prima di far arrivare altre persone, bisogna pensare a chi già c'è e il lavoro l'ha perso». E comunque, poi,
nell'eventualità, «per nuovi ingressi di stranieri in Italia si valuterà caso per caso», il ministro Roberto Maroni
allontana, spostandola molto in là, l'ipotesi di un decreto flussi, dice che non ci sarà una nuova sanatoria. Milano, Bocconi,
Forum internazionale promosso dall'università e dal Corriere della sera. Gli stranieri, chiede il titolo dell'incontro, moderato
dal vicedirettore del Corriere Daniele Manca, vanno accolti solo quando fanno comodo?
Maroni premette che in Europa molte nazioni hanno norme molto più dure. «Qui, da noi», dice il ministro, «stiamo
lavorando in un'unica direzione: favorire l'integrazione. E la massima integrazione si ottiene con il massimo contrasto della
clandestinità e della criminalità che la comanda e sfrutta». Cita il modello-Treviso, Maroni, «modello perché se tutto ruota
attorno al lavoro, problemi di convivenza non ce ne sono«. Ma fuori da Treviso? L'altro relatore, don Virginio Colmegna, della
Casa della carità, ricorda: «A Milano, si pensa esclusivamente alla questione dei nomadi. Che invece sono una piccola,
piccolissima parte dei 200 mila immigrati in città».








' 'Basta con zingari ed ebrei ora in Ungheria si cambia' '
Il manifesto dì Vona, leader dell'ultra destra vittoriosa alle elezioni
la Repubblica, 13-04-2010
ANDREA TARQUINI
«CI chiamano nazisti perché siamo i soli che parliamo chiaro, diciamo che ci vuole un cambiamento radicale. È assurdo che le ultime leggi promulgate dal Parlamento uscente siano state leggi contro la negazione dell'Olocausto, e diciamo basta a chi vuole imporre agli ungheresi di sentirei sempre sconfitti per il passato, e per due guerre perdute». Giovanissimo, magro, sempre vestito casual, così Gabor Vona, classe 1978,fresco di buoni studi universitari, arringa i suoi. È lui il leader di Jobbik, l'ultradestra ungherese che alle elezioni parlamentari di domenica è schizzata al 15 per cento e oltre, e si pone ora come modello per le forze radicali di tutta l'Unione europea.
«La nostra patria è come un paese ferito, come un malato cui finora i medici, i partiti tradizionali, non hanno saputo proporre nessuna buona cura. Ma adesso ci siamo noi», tuonava la settimana scorsa Gabor Vona nella casa della cultura di Domoszlo, il suo villaggio natale dove lo abbiamo visto e ascoltato all'ultimo comizio. «1 comunisti negano la malattia e intanto rubano, la Fidesz dice che poiandràtuttobene,iliberali porgono al paziente uno spinello. Solo  noi parliamo chiaro al popolo».
La folla lo ascolta, applaude. Ci sono giovani con le teste rasate, ragazzoni e donne muscolose con l'uniforme nera della "Nuova guardiamagiara",lamiliziavicina al partito, ma anche coppiette chic e famiglie con i bambini in carrozzina. «I partiti tradizionali tacciono sul problema vero del popolo magiaro, solo noi diciamo che le multinazionali hanno distrutto la nostra nazione, nessuno oltre noi osa dire che il 70 per cento della proprietà a Budapest è in mano israeliana, e le multinazionali si comprano e ci tolgono la nostra fertile terra coltivabile rovinando la nostra agricoltura», continua Vona. 31 messaggio sugli ebrei e su Israele è appena velato, ma chiarissimo.
Applausi, grida di approvazione. Vona continua. «Voghamo uno Stato robusto, giustizia e sicurezza per gli ungheresi, per far tornare a sentire gli ungheresi a casa loro. Vogliamo un popolo ungherese che torni fiero delle sue tradizioni, basta con chilo vuol far sentire frustrato e "loser" per il passato. Diciamolo chiaro, certi discorsi sulle pretese responsabilità sull'Olocausto ce li sentiamo ripetere da sessant'anni, e da sessant'anni dura la crisi nazionale». Legge e ordine, duri con le minoranze. «C'è gente che approfitta dello stato sociale, non lavora, sta a casa, incassa, poi magari beve o va a tubare. Noi non abbiamo paura di parlare del problema degli zingari. Basta con i sacrifici chiesti a chi lavora e mantiene non solo i suoi due figli, ma magari anche dieci figli di nomadi». Parole decise anche verso i paesi confinanti, accusati di discriminare le minoranze magiare: «Perché mai noi fieri e antichi magiari dovremmo essere meno fieri degli slovacchi? Per scrivere tutta la storia della Slovacchia basta una sms...voglio un'Ungheria fiera, felice, padrona di se stessa e dei suo destino». Così parla il terzo partito del nuovo Parlamento d'un paese membro dell'Unione europea, e cerca proseliti in tutto il continente.









L'ONDA NERA DELL'EUROPA: LA RISCOSSA DI CHI ODIA GLI STRANIERI

In Ungheria l'estrema destra xenofoba sfiora il 17 per cento
il Fatto Quotidiano, 13-04-2010
di Alessandro Oppes
Era tutto previsto. Se un'inquietante ondata di involuzione reazionaria percorre l'Europa da ovest a est, è proprio nei paesi dell'ex blocco sovietico che l'allarme si è fatto, negli ultimi tempi, ancor più assordante. E l'Ungheria, con la brusca virata a destra delle elezioni di domenica, assume l'imbarazzante leadership continentale del razzismo e della xenofobia. Dietro i conservatori del Fidesz, che portano trionfalmente alla guida del governo il loro lead er Viktor Orban con oltre il 52 per cento dei voti, spunta l'incubo fascista del partito Jobbik, per la prima volta in Parlamento con una valanga di consensi: addirittura a circa il 17 per cento, a breve distanza dai socialisti, protagonisti di un tonfo clamoroso. E ora il giovane leader del movimento di estrema destra, il 31 enne Vona Gàbor, annuncia già che prenderà possesso del suo seggio parlamentare indossando la divisa del Magiar Garda (guardia magiara), il braccio paramilitare - in teoria proibito - del partito.
Si sono fatti largo sulla scena politica con un messaggio semplice e metodi spicci, in un clima di scontento generalizzato per le conseguenze della crisi economica che ha colpito duramente l'Ungheria. Propongono una revisione del Trattato di Lisbona mentre, all'insegna dello slogan "ordine e disciplina", si battono per uno Stato forte e il ripristino dei confini preceden¬ti al 1920. Dicono di coltivare il sogno della "grande nazione ungherese", quella che scomparse con la Prima Guerra Mondiale. Ma, aldilà di questo progetto illusorio, quello che preoccupa di più è il loro discorso razzista e xenofobo: gli ebrei, gli omosessuali e soprattutto i rom sono i nemici da combattere, responsabili, nella perversa concezione di Jobbik, di tutti i crimini più efferati: omicidi, rapine, sfruttamento della prostituzione. Dopo il risultato del voto ungherese, il vero timore che percorre le cancellerie di mezza Europa è che il fenomeno si possa propagare. Anche perché i segnali inquietanti non mancano. Nelle scorse settimane, era stato lo studio di un "think tank" con sede proprio a Budapest, Politicai Capital, a lanciare l'allarme: tra il 10 e il 25 per cento dei cittadini di Bulgaria, Romania, Ungheria e Lettonia accettano le idee diffuse dai partiti di estrema destra, basate sulla xenofobia, l'antisemitismo, il nazionalismo esasperato, la lotta antisistema e il protezionismo economico. Un fenomeno che è legato in parte alla crisi economica, ma non solo. A vent' anni dalla caduta dei regimi comunisti, comincia a farsi sentire in maniera pesante anche lo scontento verso la classe politica che li ha sostituiti. Ad esempio, in Bulgaria (dove il partito nazionalista Ataka ha sfiorato alle ultime europee il 10 per cento dei consensi con la sua dura campagna anti-rom e contro la minoranza turca) quasi un quarto dei cittadini vedono con simpatia le idee di estrema destra. Percentuali preoccupanti anche in Romania (dove circa il 14 per cento si dice pronto a votare il Partito della Grande Romania, oggi attestato a poco meno del 9 per cento) e in Lettonia (11,6). A Bucarest, il Prm unisce nel suo slogan economia e religione: "Cristiani e patrioti per liberare il paese dai ladri". Mentre nella repubblica baltica, dove si erano dovute flessibilizzare le politiche restrittive rispetto ai diritti civili e democratici per ottenere l'ammissione alla Uè, negli ultimi tempi si è tornati all'antico: oggi ci sono ancora 350mila persone di etnia slava considerate apolidi, visto che a loro viene negato il diritto di cittadinanza. Sembra migliorare invece sensibilmente la situazione di altri paesi come la Polonia - il più importante tra gli attuali soci Ue dell' ex-blocco sovietico - che fino al 2003 era su posizioni simili a quelle dell'Ungheria, mentre oggi ha una quota di potenziali estremisti limitata al 6,5 per cento. Sul caso polacco pesa tuttavia l'incognita della recente tragedia
aerea in cui ha perso la vita il presidente della Repubblica Lech Kaczynski. Se, sull'onda dell' emozione, il fratello gemello Jaroslaw si dovesse candidare per prenderne il posto, si ripresenterebbe con ogni probabilità anche in quel paese il rischio di un'involuzione reazionaria. Nel periodo durante il quale guidò il governo di Varsavia, Jaroslaw Kaczynski fu protagonista di una svolta anti-europea, nazionalpopulista e omofoba che creò non pochi grattacapi alle istituzioni comunitarie. Dove scatterà la prossima emergenza? In Slovacchia si prevede già che i nazionalisti radicali del Sns riusciranno a ottenere un buon risultato alle legislative del 12 giugno, che permetterà loro di restare nel governo di coalizione di destra. Ma l'incubo dell'estremismo non risparmia l'Europa occidentale. Aparte i successi della Lega nel nord in Italia, persino un paese tradi-zionalmente tollerante come l'Olanda potrebbe consegnare la maggioranza parlamentare, il prossimo 9 giugno, al Pvv, il Partito della Libertà anti-islamico di Geert Wilders. E la febbre xenofoba contagia anche il Regno Unito dove gli estremisti del British National Party (Bnp) sono riusciti a portare, lo scorso anno, due parlamentari a Strasburgo, mentre in Grecia i razzisti di Allarme Popolare Ortodosso (Laos) mietono consensi con i loro 15 deputati.
II partito Jobbik si è fatto largo criminalizzando ebrei, Rom, gay e impugnando li nazionalismo magiaro









Crolla la sinistra
Voto anti-clandestini L'estrema destra sbanca l'Ungheria
Le elezioni sono state vinte dai conservatori ma il movimento ultranazionalista prende il 17%  e debutta in Parlamento
Libero, 13-04-2010
ALESSANDRO BONELLI

«Ordine e disciplina». Con questo slogan in Ungheria il partito d'estrema destra Jobbik ha fatto breccia nel segmento oggi più conteso dell'elettorato: gli scontenti. Facendo leva sulla crisi economica, sulla disoccupazione e sulla diffidenza nei confronti degli immigrati, il movimento guidato dal 32enne Gabor Vona ha portato a casa quasi il 17% dei consensi e andrà a occupare 26 seggi.
Un risultato di vaste proporzioni, che fa seguito al recente exploit di Geert Wilders in Olanda e al ritorno del Front National di Jean-Marie Le Pen in Francia, ma anche all'astensionismo record nello stesso Paese transalpino, facendo suonare il campanello d'allarme per i partiti tradizionali e moderati che si contendono i governi nel Vecchio Continente. Benché le elezioni ungheresi abbiano segnato il trionfo della formazione di centrodestra Fidesz (a spese dei socialisti, crollati) gli esponenti di Jobbik daranno probabilmente filo da torcere al partito di maggioranza. Già in vista dei ballottaggi, che si svolgeranno il 25 aprile e dovranno assegnare un centinaio di seggi, il movimento ultranazionalista ha fatto sapere ieri che non ritirerà i propri candidati.
Una certa imprevedibilità è una delle caratteristiche che accomunano questi partiti in Europa, insieme al rifiuto dell'immigrazione e al cosiddetto "euroscetticismo". Inoltre Jobbik coltiva posizioni ancora più radicali e talvolta im-
barazzanti: si appoggia a un'organizzazione paramilitare, la Guardia Ungherese, e indica nei rom, negli ebrei e nei comunisti il nemico da battere. Per attirare elettori, molto probabilmente anche da sinistra, il movimento ha utilizzato uno slogan tutt'altro che sofisticato: «L'Ungheria agli ungheresi!». L'affermazione del Jobbik segnala in ogni caso che l'ondata di estrema destra in Europa non si è ancora fermata. Alle recenti regionali francesi al successo dei socialisti si è accompagnato il ritorno del Front National, attestatosi oltre all'11%, con picchi superiori al 22% in alcune zone. Sempre nel voto amministrativo, in Olanda il Partito della Libertà di Geert Wilders si è aggiudicato 17 consiglieri comunali in due circoscrizioni e le proiezioni su base nazionale indicano che alle politiche del 9 giugno potrebbe diventare il secondo partito dei Paesi Bassi.
Il movimento nazionalista ungherese è ora il terzo partito del Paese, con il 16,7% dei consensi, dietro ai socialisti con il 19,3% e al Fidesz, che ha ottenuto oltre il 52%. Dopo i ballottaggi, il partito guidato da Viktor Orban potrebbe ritrovarsi con i due terzi del parlamento e la strada spianata per attuare le riforme, anche modificando la Costituzione. Orban ha proclamato ieri la sua vittoria, affermando che «gli ungheresi hanno votato contro la disperazione». Ha promesso che taglierà le tasse per rilanciare l'economia e che dichiarerà guerra alla burocrazia e alla corruzione. Il leader di Jobbik Gabor Vona ha assicurato che gli farà un'opposizione spietata.









Immigrazione e diritti negati La giunta Zanola è sotto tiro

Bresciaoggi, 13-04-2010
Francesco Di Chiara

Anche Aldo Busi, il celebre scrittore monteclarense, potrebbe far sentire la sua voce nel servizio che Tetris, il programma settimanale di attualità de La 7, manderà in onda domani alle 21, in merito alle polemiche politiche, giudiziarie e sociali che stanno creando problemi all'Amministrazione comunale di Montichari e al sindaco Elena Zanola.
Infatti una troupe televisiva de La7 era presente a Montichiari in questi giorni per un lungo servizio.
In attesa che il sindaco si pronunci sulla sentenza del Tribunale di Brescia, che ha giudicato inammissibile e discriminatorio il regolamento comunale sulla richiesta di residenza da parte degli stranieri, altre dichiarazioni sono pervenute dai leader politici. Francesco Patitucci, neo consigliere regionale per l'Italia dei Valori, ritiene «giusta la sentenza del tribunale di Brescia, è l'ennesima riprova che le ordinanze dei sindaci leghisti, in contrasto con i diritti civili, discriminano i cittadini».
Occorre sottolineare che Elena Zanola è sicuramente di fede leghista, ma espulsa dal partito di Bossi per non aver accettato le condizioni elettorali dell'accordo provinciale Pdl-Lega Nord. Rappresentante in consiglio comunale del fronte Pdl-Lega Nord è Claudia Carzeri, che siede all'opposizione, e che in merito alla sentenza stranieri aggiunge che «difficilmente un giudice può capire i problemi di un amministratore. Inoltre da sottolineare che con una forte disoccupazione l'immigrato vuol venire nei nostri comuni a fare che cosa, visto che non c'è lavoro?».
Gli immigrati faranno sentire la loro voce venerdì a Montichiari, in una manifestazione davanti al Municipio.
Area civica monteclarense, tramite Fabio Badilini, invita intanto i cittadini agli incontri sulla dottrina sociale della Chiesa che si svolgeranno al Garda Forum con Monsignor Canobbio (16 aprile) e Stefano Zamagni (il 20 aprile).
Chiarisce Fabio Badilini che i due incontri saranno «l'occasione per fare chiarezza sulla dottrina sociale della Chiesa. Speriamo che partecipi anche qualcuno dell'Amministrazione comunale». ricordando la polemica dei contributi comunali negati alla Caritas.
Ma il sindaco Zanola troverà contestazioni anche a Vighizzolo, stasera nell'incontro voluto da lei stessa in palestra per parlare di discariche. Il comitato Sos Terra Montichiari sta infatti affilando le «armi» della contestazione, così come Rifondazione Comunista, cui è stato negato l'uso della piazza per le manifestazioni del 25 Aprile e del Primo Maggio.










Immigrazione. Perché legge e accoglienza non siano nemiche

Regolari e clandestini, legalità e cultura dell’integrazione. Ne hanno discusso il ministro Maroni e Don Colmegna sul palco di Economia e società aperta
Sarfatti25, 13-04-2010
Andrea Celauro
Legalità e integrazione: sulle due facce dell’immigrazione, complementari e necessarie l’una all’altra, si è incentrata la sesta conversazione di Economia e società aperta, ieri in Bocconi. Protagonisti, insieme, a Francesco Billari, direttore del Centro Dondena Bocconi di ricerca sulle dinamiche sociali, il ministro dell’Interno Roberto Maroni e il presidente di Casa della Carità di Milano, Don Virginio Colmegna, moderati dal vicedirettore del Corriere, Daniele Manca.
L’introduzione di Billari pone l’attenzione sul fatto che l’immigrazione velocissima che ha contraddistinto l’Italia negli ultimi trenta anni (dai 210 mila stranieri del 1981 ai 4,3 milioni del 2010) è stata una sorta di correttivo demografico per riempire la carenza di autoctoni che si affacciano al mondo del lavoro. Billari cita la letteratura in tema di immigrazione e la ricerca e sottolinea poi: “È da rigettare il legame causale tra immigrazione e criminalità”.

È proprio sul tema della legalità, o meglio della distinzione tra immigrazione regolare e irregolare, che parte il dibattito tra Maroni e Colmegna. Maroni specifica tale distinzione e commenta che, invece, tale nesso causale “c’è tra immigrazione clandestina e criminalità”. Il ministro, tuttavia, sottolinea come i reati compiuti da immigrati siano diminuiti rispetto al 2008 e più dei reati commessi da italiani, legando questo risultato al fatto che gli sbarchi, nello stesso periodo, “sono diminuiti del 90%”. Ciò è stato possibile “principalmente grazie a una politica di accordi bilaterali con i paesi di provenienza e tali politiche rientrano nel quadro europeo del Patto europeo sull’immigrazione e sull’asilo, patto che evita le regolarizzazioni generalizzate e procede invece caso per caso”. Riguardo all’asilo, Maroni ha rimarcato come in Italia, dove vi sono circa 100 mila rifugiati, “il tempo medio tra la richiesta di asilo e la decisione relativa è di sei mesi, ossia meno della metà della media europea”. Il punto nodale in tema di immigrazione, resta poi ciò che è stato fatto con la legge Bossi-Fini, per il ministro: “Legare l’ingresso a un regolare contratto di lavoro. Penso che non ci sia nulla di più efficace”. Maroni porta l’esempio di altri paesi europei: “Anche la Spagna ha scelto la stessa strada, mentre Gran Bretagna e Germania obbligano anche la conoscenza fluente della lingua”. Infine, cita alcuni dati sulle concessioni della cittadinanza: “Sono aumentate di circa 2 mila unità negli ultimi tre anni, nel 2009 sono state 42.121. Ciò dimostra che politiche di rigore riducono i matrimoni di comodo ma favoriscono la cittadinanza”.

“L’immigrazione è un fenomeno complesso, che richiede un approccio strutturale”, ribatte Don Colmegna citando la sua esperienza, e quella, di Milano, di 81 nazionalità diverse. Concorda sul fatto che “la regolarità debba essere l’elemento primario e che l’irregolarità porta con sé un tasso di criminalità”, ma ribadisce quanto anche la stessa clandestinità nasconda in sé situazioni molto diverse tra loro, non tutte legate a un intento criminale. Soprattutto, rifiuta l’idea che chi accoglie sia implicitamente contro la legalità. “Dobbiamo saldare la cultura della regolarità con una cultura dell’accoglienza molto forte”, dice. “Il problema immigrazione va assimilato in termini positivi, di risorsa, evitando tanto l’ingenuità che l’ideologia”. D’accordo con Maroni sul fatto che “il lavoro sia tema fondamentale, tenendo presente però che dietro il lavoro ci sono persone con molte storie”. Importante è per Don Colmegna, “smontare l’idea dell’immigrato povero, quando magari nel proprio paese ha due lauree, smantellare la cultura della paura verso lo straniero, che si abbatte se c’è sforzo di creare relazioni, e far emergere il lavoro nero. Non c’è cantiere che non ne abbia”. E importante è il dialogo con le istituzioni e le forze di polizia incaricate del controllo, in un clima di fiducia reciproca, anche per favorire l’emergere di una capacità di denuncia delle irregolarità che provenga dagli immigrati stessi.

Arrivano le domande e, tra le prime, si pone la questione delle attese e delle code per il permesso di soggiorno. Maroni: “Dal 2006 il permesso di soggiorno è elettronico e, a quella data, il tempo medio di attesa per il rilascio è passato dai precedenti 12-18 mesi a 300 giorni. Oggi poi, questo tempo è sceso a 45-100 giorni. L’obiettivo è di portarlo a 30 giorni. Poiché il problema è però soprattutto il rinnovo, stiamo negoziando il coinvolgimento dell’Anci, per far sì che la pratica di rinnovo sia gestita dai comuni, cosa che permetterebbe di spalmarle su 5 mila comuni e non solo su 104 questure”. “Non tutto ciò che ha fatto il Centrosinistra è stato negativo, dunque”, commenta Manca a proposito delle norme del 2006. “Non tutto, d’altronde io ho un approccio laico su queste cose”. E se Maroni sottolinea il lavoro in tema di permesso di soggiorno, Don Colmegna ribadisce le difficoltà di altri fronti burocratici. “È il caso dei romeni, che ora che sono entrati nell’Unione europea hanno maggiori problemi a ottenere la tessera sanitaria, rispetto a quando erano extracomunitari e accedevano a quella stp, destinata agli stranieri temporaneamente presenti”.

Ma come fa un africano ad avere un contratto prima di arrivare in Italia, domandano dal pubblico? “Deve trovare un imprenditore che lo chiami”, dice Maroni. Il pubblico non concorda, ma il ministro spiega: “È il sistema precedente, quello di entrata in cerca di lavoro, che ha contribuito a creare la sacca di 400 mila irregolari in Italia”. Storce il naso anche Don Colmegna, sottolineando il caso delle badanti, per le quali la relazione con il datore di lavoro può avvenire solo dopo conoscenza. “Si crea la situazione per cui il datore di lavoro deve rimandarle a casa per poi richiamarle ufficialmente”. C’è però una best practice, sottolinea Maroni: “È quella degli stagionali, per i quali sono state coinvolte e responsabilizzate le associazioni di categoria, che vanno nei paesi di origine e selezionano degli stranieri da chiamare”.

























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