Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 novembre 2010

Dario Fo: il degrado cui siamo arrivati è prima di tutto un fatto di cultura, di cui risente anche la politica
"Una giunta rozza e senza stile vogliono solo ferire gli immigrati"
la Repubblica, 25-11-2010
RODOLFO SALA
A  DARIO Fo viene in niente un vecchio proverbio meneghino, per commentare la bravata dell'ineffabile assessore Maurizio Cadeo, quello che ha fatto togliere da via Padova le luminarie "multietiche": «Quand la merda la munta al scagn o la spussa o la fa dagn», sbotta il Premio Nobel mentre sta raggiungendo Milano in treno, da Bologna.
Traduciamo per i non milanesi?
«Quando la protervia e l'arroganza vanno al potere, o puzzano o fanno danni. In questo caso, entrambe le cose».
Arroganza, dunque?
«E idiozia, grettezza, mancanza di stile. Tutte cose che a Milano stanno straripando, come un fiume in piena. Decisioni come questa non hanno neppure un briciolo di ratio, a meno che non si voglia pensare di voler ferire le persone, in questo caso gli immigrati : per loro, neppure gli auguri, non ne sono degni. Ma dai, per favore... C'è dell'altro, a farmi imbestialire, e a dimostrare la rozzezza di questa gente che ci amministra».
Che cosa?
«Mentre in via Padova tolgono quelle luminarie, in piazza Duomo va in scena il Natale dei danée: un suk di lusso, ma molto pacchiano, con stand commerciali, gioielli e auto di grossa cilindrata. Lì si può tutto, perché girano i soldi. Insomma, ci sono due Natali: quello per i ricchi nel centro, e quello per la suburra, indegna persino degli auguri. Pensate come questa le può fare gente rozza, non trovo altre parole per definirla. Ma che Milano è diventata?».
Provi a dirlo lei.
«La Milano col cuore in mano non era solo un modo di dire. Ricchi e poveri si sentivano tutti parte di una   comunità,   la solidarietà   costituiva un tratto distintivo delle classi dirigenti, anche al di là delle preferenze  politiche. Tutto questo ha cessato di esistere, e io questa città non la riconosco più».
C'entra   la politica?
«Il degrado a cui siamo arrivati è prima di tutto un fatto di cultura. Poi, certo, ne risente anche la politica».
Perfino un leghista come Matteo Salvini ha bacchettato l'assessore Cadeo...
«Bene, speriamo che lui e suoi sodali si ravvedano, diventino un po' più normali e la smettano di essere inferociti contro tutto quello che non fa parte del loro orto. Ma ripeto, ciò ma manca è soprattutto lo stile, nelle persone che hanno deciso una bestialità come questa». E cioè?
«Voglio dire che ci possono   essere   contadini che camminano con armonia e ricchi rozzissimi, dall'incedere volgare: ha   mai visto Berlusconi quando cammina?». E la Moratti? «Non mi sembra si   discosti   molto. Ma non voglio andare sul personale, mi interessa denunciare la piega che ha preso Milano. Sono volgari, oltre che inutili, anche le ordinanze che pretendono di imporre il coprifuoco serale in alcune zone della città. Tutto si tiene: e questa storia delle lu¬minarie, a pensarci bene, non deve stupire più di tanto».
Lei sembra sconsolato...
«Questo proprio no. Per fortuna a Milano c'è un vescovo che si chiama Tettamanzi, degnissimo erede di Ambrogio, famoso per i suoi discorsi sulla ricchezza e sulla povertà. Proprio di recente il cardinale ha ricordato che qui si è fatto molto per l'integrazione, ma che adesso si rischia un blocco. Parole giustissime, le sottoscrivo. Il guaio è che a Milano uno come Tettamanzi viene odiato».
Addirittura?
«Il fastidio per le cose che dice è palpabile, lo si tocca con mano. E non solo tra chi comanda, che non perde un'occasione per attaccarlo».
Nessuna speranza?
«La speranza è l'ultimo gesto di chi ha perso tutto : gli rimane solo quella. Non è di speranza che ha bisogno la città per risollevarsi da queste miserie».
Che cosa serve, per cambiare?
«Serve il fare, la partecipazione. Che possono arrivare anche dall'indignazione per quello che ho definito mancanza di stile. A me sembra che un piccolo risveglio ci sia, è per questo che non sono così pessimista».



Immigrazione. I dati sull'emersione
La sanatoria «boccia» 27mila colf e badanti

il Sole, 25-11-2010
Francesca Milano Francesca Padula
Nella ragnatela di una legge (permissiva e poco chiara) e di una circolare (restrittiva) sono finite più di 27mila domande di regolarizzazione presentate in occasione della sanatoria colf e badanti. Concentrate nelle città del Nord, ma non solo. Eclatanti i due episodi di protesta sulla gru a Brescia e sulla torre Carlo Erba a Milano, eppure dal bilancio del Viminale sulle pratiche trattate dalle prefetture emerge che i casi simili, di rigetto, sono molti di più: quasi il 10% delle richieste. Pratiche respinte, a volte per irregolarità dei requisiti di reddito dei datori di lavoro ma in gran parte proprio per l'interpretazione restrittiva che è stata adottata, solo in alcune città, delle istruzioni - tardive - arrivate dal Viminale.
A dare il via libera alla sanatoria è stata una legge di agosto 2009 (n.102) varata per mettere al riparo gli irregolari già presenti in Italia dal reato di clandestinità che stava per essere introdotto con il pacchetto sicurezza. Perchè "permissiva"? Perché ha consentito esplicitamente di presentare la domanda di emersione anche per immigrati lgià raggiunti in precedenza da un decreto di espulsione.
Le pratiche esaminate per prime, perfezionate con il pagamento di 500 euro, sono state chiuse seguendo i criteri scritti nella legge; solo dopo sei mesi (a marzo 2010) è arrivato il chiarimento del ministero dell'Interno (ormai noto come circolare Manganelli dal nome del capo della Polizia) che ha bloccato gli irregolari colpiti da precedente decreto di espulsione. Ma l'interpretazione - come confermano i numeri degli sportelli unici - ha avuto maglie molto strette in alcune regioni (nella sola Lombardia sono state bloccate 8mila domande) mentre è stata applicata in modo più blando in altre. A Catania le colf (o presunte tali) sono state decimate: ogni tre istanze ce n'è una rigettata, e lo stesso è avvenuto a Crotone e a Massa Carrara.
La procedura di emersione, comunque, si avvia alla conclusione: oltre 65 province hanno finalmente finito (o stanno per farlo) il lavoro, mentre le altre sono ancora alle prese con le convocazioni, i fascicoli da integrare e i contratti da firmare. La lentezza degli sportelli è destinata, però, a peggiorare dal 2011, se gli uffici dovessero perdere (come sembra) l'apporto di 650 lavoratori a tempo determinato. I contratti sono in scadenza il 31 dicembre e rischiano di non essere convertiti in assunzioni, come da tempo chiedono gli operatori.
Per dare un assaggio di quello che potrebbe accadere senza di loro, i precari hanno deciso di scioperare. Ha iniziato lo sportello di Roma, poi quelli di Brescia e Firenze, e a seguire la protesta si estenderà anche agli altri grandi centri.



In catene nel deserto: l'odissea infinita degli eritrei

Ottanta sono prigionieri del racket, altri 175 rischiano l'arresto in Libia
Avvenire, 25-11-2010
PAOLO LAMBRUSCHI
Prigionieri nel Sinai, in catene come schiavi, ostaggio dei trafficanti egiziani. Così è finita una parte consistente, ben 80 dei 255 eritrei che nel luglio scorso avevano rischiato di morire nella famigerata prigione libica di Al Braq, in pieno Sahara, dopo essere stati respinti in mare dall'Italia e poi liberati grazie alla pressione delle organizzazioni umanitarie sul nostro governo. Un mese fa alcuni di loro sono fuggiti dalle sabbie libiche alla volta di Israele, su una delle nuove rotte della disperazione verso l'Europa, che ora incrociano il Medio Oriente e la Turchia, a rischiare di morire in un altro deserto. L'allarme è stato lanciato ieri, esattamente come l'estate scorsa, dal blog dell'agenzia di cooperazione allo sviluppo Habeshia. Secondo la quale ci sono 600 persone in condizioni disperate da oltre un mese nel deserto al confine tra Egitto e Israele, prigioniere del racket. Oltre agli 80 eritrei fuggiti da Tripoli, somali e sudanesi. Tra questi, vi sono anche donne, segnala il blog curato da Roma dal sacerdote cattolico eritreo Mosè Zerai. Ciascuno ha versato al racket 2.000 dollari. Ma i trafficanti ne pretendono altri 8.000. «Gli eritrei - racconta don Mosè - mi hanno raccontato di aver lasciato Tripoli per raggiungere Israele dall'Egitto. Ma nel corso del viaggio i trafficanti hanno tradito gli accordi e il prezzo è aumentato. Così li hanno sequestrati». Sulla loro drammatica condizione sappiamo solo quanto hanno raccontato al prete. «Dicono di trovarsi nel Sinai, segregati dai beduini nelle case nel deserto, ma non sanno dire dove perché sono stati incappucciati durante gli spostamenti. Da un mese sono legati con le catene ai piedi, come si faceva nel commercio degli schiavi, continuamente minacciati e da 20 giorni non toccano acqua per lavarsi. Vi sono anche donne debilitate dalla mancanza di cibo e dalla scarsa igiene». Non sono i primi a subire questa sorte. Questa forma di sequestro che sfrutta la disperazione dei profughi è redditizia. Già un anno fa l'agenzia Fortress Europe segnalava questa nuova rotta che parte dal Cairo verso la frontiera israeliana nel Sinai e dalla quale passano mille persone al mese, quasi tutti eritrei ed etiopi. Nei casi peggiori i passeggeri dopo aver pagato sono abbandonati lungo il confine. «Purtroppo - aggiunge don Mosè -questa situazione è anche frutto della chiusura delle frontiere dell'Europa, i richiedenti asilo provenienti dal Corno D'Africa non hanno alternative e si affidano ai sensali di carne umana». Ieri il senatore Pietro Marcenaro, presidente della Commissione straordinaria per i Diritti Umani, ha presentato un'interrogazione urgente al ministro degli Esteri in cui si chiede di verificare la situazione degli 80 eritrei trattenuti in Egitto e di muovere tutti i passi necessari nei confronti del go-verno del Cairo per salvarli. Ma torniamo in Libia, dove a luglio esplodeva il caso di 205 uomini e 50 donne fuggiti dall'Eritrea. Nel 2009 e nel 2010 avevano tentato di passare per l'antica rotta del Mediterraneo ed erano stati respinti in mare e poi arrestati. Ai primi di giugno, ad esempio, una ventina di eritrei venne intercettata e respinta su un barcone diretto in Italia in circostanze mai chiarite. Videro un'imbarcazione con bandiera italiana e si avvicinarono, ma a bordo c'erano militari libici che li riportarono indietro. Il ritorno fu drammatico. «Una persona è annegata in mare, altri tre che conoscevano l'arabo sono stati malmenati perché si sono ribellati. Da quasi sei mesi nessuno ha più notizie di loro. Una donna e il suo bambino di otto mesi sono stati incarcerati al buio per ore senza ricevere cibo né acqua.». A fine
giugno, dopo una rivolta nel centro di detenzione libico di Misurata, i maschi vennero trasferiti nel durissimo carcere di Al Braq, a Sebha, a sud, nel deserto. Le donne rimasero a Misurata e furono sottoposte a violenze e atti degradanti.
Ma ai primi di luglio qualcuno riuscì ad avvisare don Zerai, che rilanciò la notizia su Habeshia. Allora i 255 vennero rilasciati approfittando della nuova legge varata da Tripoli contro l'immigrazione  clandestina che prevedeva una sanatoria, con un permesso provvisorio di tre mesi e il divieto di lasciare la città. Ora, però, i permessi sono scaduti e siamo da capo. «Chi non è fuggito è intrappolato nelle città libiche - chiarisce il sacerdote - senza diritti. In tutto in Libia vi sono un migliaio di eritrei, tutti a luglio hanno beneficiato della sanatoria. Chi ha potuto si è spostato verso Tripoli o Bengasi e lavora in nero. Per rinnovare il permesso devono, però, presentarsi con il passaporto eritreo e un contratto di lavoro. Altrimenti devono rivolgersi alle autorità diplomatiche del loro Paese. Naturalmente non possono farlo in quanto rifugiati». Chi va in ambasciata rischia infatti la deportazione o vendette contro i congiunti rimasti nel Corno d'Africa. Ma, se non rinnovano il permesso, si spalancano le porte delle carceri. «Ho appena ricevuto - racconta il prete - chiamate che riferiscono di retate della polizia casa per casa. E tornare in quelle prigioni è terribile: vivono ammassati e senza potersi lavare, sono maltrattati. Molte donne sono state violentate e messe incinta dalle guardie carcerarie». Chi può fugge allora dall'inferno, come gli 80 ora però imprigionati nel Sinai.
Stando alla convenzione sui diritti umani queste persone non sono criminali, ma avrebbero diritto a chiedere asilo e ad essere protette dai governi della civilissima Europa.



Il Cir: «L'ultima speranza è l'Unione europea»

Avvenire, 25-11-2010
Paolo Lambruschi
A novembre sembra essere calata una pietra tombale sulle speranze dei rifugiati eritrei bloccati in Libia. Ma se l'Ue fa la sua parte, non è ancora detta l'ultima parola.
Ricapitoliamo. Per la legge libica non esistono "rifugiati", solo immigrati regolari o no. Ad oggi quello di Tripoli è l'unico governo africano a non aver mai siglato la convenzione di Ginevra del 1951 sui diritti umani che riconosce il diritto d'asilo. La politica del colonnello Gheddafi è questa e per ora non cambia. E dato che non esistono rifugiati, il governo lo scorso 8 giugno ha intimato all'Acnur, l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati di chiudere l'ufficio, in seguito ria¬perto solo per i casi pregressi. Dallo scorso giugno l'unica organizzazione umanitaria occidentale rimasta a Tripoli è il Consiglio italiano per i rifugiati, Cir, partner dell'Acnur, che opera attualmente con una ong libica. Al direttore, Cristopher Hein, chiediamo cosa è cambiato in Libia in questo mese di novembre. Quali prospettive ci sono che l'Acnur riapra l'ufficio tripolitano e torni ad analizzare le pratiche dei rifugiati?
Le autorità di Tripoli il 12 novembre hanno respinto a Ginevra le raccomandazioni dell'Onu di adottare una legislazione sull'asilo e di firmare un'intesa sulla presenza dell'Alto commissariato nel Paese. La Libia ha respinto tra l'altro anche la raccomandazione di abolire la pena di morte e di garantire l'uguaglianza delle donne davanti alla legge e nei fatti. Al momento mi sembra difficile fare previsioni.
Cosa è cambiato giuridicamente per gli eritrei? Rispetto allo scorso luglio il loro permesso temporaneo è scaduto e devono ripresentarsi alla polizia con un documento del Paese d'origine che dimostri la loro identità. Questo esclude i profughi eritrei la cui situazione ora è tornata preoccupante. Cosa rischiano?
Il carcere per il reato di clandestinità. Qualcuno per disperazione è fuggito in Egitto, dove ora sappiamo cosa rischiano, o è tornato in Sudan, le cui autorità agiscono a intermittenza: a volte sono tolleranti, altre li rimpatriano condannandoli a morte o ai lavori forzati per diserzione.
Ma dalle trattative in corso con l'Onu non può venire qualche spiraglio?
Al momento tutto pare fermo sul fronte del Palazzo di vetro. Guardo invece con maggiore interesse agli sviluppi dei rapporti con l'Ue. La commissaria europea per l'immigrazione  Maelmstrom ha di recente concluso un accordo di circa 50-60 milioni di euro con la Libia. Inoltre è imminente il vertice di Tripoli tra Unione europea e Unione africana dove si parlerà anche di flussi migratori. In questa fase ai libici interessa raggiungere un'intesa con l'Europa che riguardi anche il commercio e il turismo. Ma è chiaro che Bruxelles non può stringere accordi commerciali con un Paese che non garantisce il rispetto dei diritti umani. Le speranze per i rifugiati possono quindi venire dalle pressioni europee.
Oggi sono cambiate le rotte africane verso la Libia? Gli arrivi continuano, in particolare dai Paesi del Corno d'Africa, ma in misura minore. C'è chi tenta di spostarsi verso l'Egitto per poi raggiungere l'Europa verso la Turchia. C'è stato uno spostamento di somali verso il Sudafrica, ma quello Stato l'anno scorso ha avuto il maggior numero di rifugiati e probabilmente è saturo.



I respingimenti, il carcere e le torture

Avvenire, 25-11-2010
L' ultimo capitolo di una già lunga odissea comincia il 6 luglio 2010 quando, dopo una settimana di prigionia nel durissimo carcere di Al Braq, in mezzo al deserto, 200 cittadini eritrei vennero scarcerati, fu loro concesso un permesso temporaneo e il divieto di lasciare la città di Sebah, 75 chilometri a nord. Divieto che nessuno ha mai osservato.
Erano arrivati lì dopo un viaggio di 12 ore chiusi in un camion, senza acqua né cibo e con temperature a stupri
fino a SO gradi.
Provenivano dal carcere di Misurata, dove già da tempo erano rinchiusi insieme a 50 donne eritree, liberate anche loro il 6 luglio.
Si erano ribellati quando nel centro di detenzione era entrato un diplomatico eritreo per identificarli.
Così era scattata la deportazione, per punizione: da Al Braq non si torna. Le donne no, erano rimaste a Misurata a
subire altre violenze e umiliazioni.
La loro colpa? Essere tutti fuggiti da  una dittatura che li recluta a vita nell'esercito. E di voler chiedere asilo in Italia passando per il Mediterraneo. Gli ultimi in ordine di tempo, una ventina, erano stato intercettati domenica 6 giugno scorso in acque internazionali, a circa 20 miglia da Lampedusa, da una nave militare libica, arrivata probabilmente su segnalazione delle autorità italiane o maltesi. Ad Al Braq nonostante le torture e i continui insulti, i 200 reclusi si sono rifiutati di firmare i fogli di rimpatrio. Resistere è stata la mossa decisiva per la loro salvezza. L'agenzia Habeshia, che ha mantenuto i contatti con loro diffondendo sul suo blog le notizie in tempo reale, è riuscita a sensibilizzare numerose organizzazioni umanitarie provocando alla fine l'intervento di Roma.



L'ASSOCIAZIONE «ACS»
Fondata nel '47 da un prete olandese per i profughi

Avvenire, 25-11-2010
L' Aiuto alla chiesa che soffre (Acs) è stata  fondata nel 1947 dal sacerdote olandese Werenfried van Straaten per soccorrete le migliaia di profughi che fuggivano dalla nascente Germania Orientale e aiutare la Chiesa ovunque la mancanza di mezzi economici o la violazione della libertà religiosa ne rendano difficile o impossibile la sua missione. Negli anni '50, padre Werenfried avvia le iniziative per la Chiesa perseguitata dai regimi comunisti oltre la "Cortina di ferro" e Acs diventa un punto di riferimento fondamentale per questa «Chiesa del silenzio». Nel 1984 l'opera viene dichiarata dalla Santa Sede come associazione "di diritto Pontificio" incaricata di intervenire ovunque la Chiesa sia in difficoltà per la
mancanza di mezzi pastorali. Nel 2001, alla morte di padre Werenfried, Giovanni Paolo II lo definisce «insigne apostolo della carità». Oggi l'Acs ha sede in Germania e 17 Segretariati Nazionali in Europa, America e Australia. La raccolta - annualmente oltre 60 milioni di euro -finanzia la realizzazione di circa 6.000 progetti l'anno a beneficio della Chiesa in 135 Paesi di tutti i continenti. Risale al 1999 la prima edizione del "Rapporto annuale sulla Libertà Religiosa", pubblicata dal Segretariato italiano dell'opera. Limitata ai Paesi a maggioranza islamica, il Rapporto è stato, negli anni successivi, esteso a tutti i Paesi del mondo, ampliando l'analisi della situazione di persecuzione e violazione della libertà religiosa. (CE.)



Per 60 nazioni del mondo la fede non è mai un diritto

Cristiani nel mirino in India, Cina, Iraq, Pakistan e Arabia.
Avvenire, 25-11-2010
CAMILLE ElD
Negazione della libertà religiosa, violenze e soprusi in ogni parte del mondo. È quanto emerge dal Rapporto 2010 sulla libertà religiosa nel mondo realizzato dalla sezione italiana di "Aiuto alla Chiesa che soffre" (Acs), opera di diritto pontificio fondata nel 1947 e divenuta uno dei più accreditati osservatori al mondo su questo fronte. Obiettivo del Rapporto è fare il punto sulla situazione e fornire notizie su avvenimenti che rischiano di passare sotto silenzio, ma anche passare dalla denuncia delle violazioni all'azione politica, perché «la libertà religiosa può essere considerata una cartina di tornasole», un test dello stato di applicazione dei diritti umani in qualsiasi Paese, come ha indicato Papa Wojtyla diversi anni fa. In 550 pagine vengono passati in rassegna 194 Paesi, da quelli che detengono il triste primato della lotta alla libertà di fede, come Arabia Saudita e Corea del nord, fino alle persecuzioni in atto in Pakistan e Iraq. Secondo l'Acs sono una sessantina ancora oggi i Paesi nei quali si contano gravi violazioni alla libertà religiosa. Sulla Cina, il Rapporto punta l'indice contro i persistenti tentativi di sganciare la Chiesa sotterranea fedele al Papa dal legame con Roma, sottomettendola al controllo delle autorità governative. «Appare evidente, si legge, la direttiva delle autorità di mantenere il pieno controllo di tutte le attività religiose, intervenendo in modo pesante sulla loro vita interna». Il diritto alla libertà religiosa nel Paese di fatto continua a essere calpestato. Durante il periodo esaminato, «sono continuati gli arresti e l'eliminazione di comunità non ufficiali o sotterranee. Vi sarebbero anche decine di sacerdoti sotterranei in prigione o nei campi di lavoro forzato e una decina di vescovi sotterranei in isolamento». «Ancora è bloccata -sottolinea il Rapporto - la proposta di una legge sulla libertà religiosa, sul tavolo da circa 20 anni. Il governo continua a preferire l'uso di regolamenti a livello locale o provinciale, a cui ognuno dà la propria interpretazione, senza doversi sottomettere a un diritto e a una legge nazionale». L'India continua a registrare un forte aumento delle violenze su base religiosa e in sei Stati della federazione persistono le cosiddette leggi «anticonversione», frutto di una posizione politica ultranazionalista indù. Nel Pakistan, il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge «senza distinzione di razza o credo» sembra una semplice facciata. La legge sulla blasfemia, come dimostra il caso di Asia Bibi, ha fatto e fa vittime fra i non musulmani nella sostanziale indifferenza dell'esecutivo e costituisce anche un pretesto per attacchi, vendette personali o omicidi extragiudiziali compiuti da singoli o folle inferocite. In Europa si distingue il caso della Bielorussia, dove sopravvive il retaggio culturale sovietico. Pur riconoscendo la Costituzione il diritto alla libertà religiosa, l'attività dei missionari incontra numerosi ostacoli amministrativi, e le attività di propaganda religiosa sono sottoposte a severi controlli e limitazioni da parte delle forze di sicurezza. Viene scoraggiato anche il culto dei martiri dell'epoca sovietica. La situazione non è migliore in numerosi Paesi arabi. In Iraq si fa sempre più drammatica la vita delle comunità cristiane, ormai a rischio di estinzione, sottoposte a una sistematica aggressione terroristica che dichiara apertamente lo scopo di eliminare la presenza cristiana nel Paese. In Arabia Saudita, nonostante qualche timido segnale positivo, come la diminuzione delle «incursioni» della polizia religiosa, persistono gravi violazioni della libertà religiosa, in particolare contro gli immigrati cristiani e contro la minoranza sciita del Paese. Nel continente americano, a Cuba, nonostante rimanga «immutata la legislazione e la pratica amministrativa repressiva nei confronti del fenomeno religioso», il Rapporto segnala i gesti di apertura, come l'autorizzazione a compiere atti religiosi precedentemente proibiti e la cancellazione della proibizione degli atti di culto nelle carceri. In Nicaragua il governo sandinista ha invece moltiplicato i suoi attacchi alla gerarchia cattolica, accusata di ostilità nei confronti del governo, ricorrendo anche a tentativi di diffamazione. Il Venezuela ha promulgato una legge sull'educazione nella quale è completamente assente ogni riferimento all'educazione religiosa, considerata «contraria alla sovranità nazionale» e un'intensa propaganda ostile alla Chiesa cattolica viene svolta anche attraverso organi di stampa vicini al governo.
rapporto 2010
L'annuale studio sulla libertà religiosa indica ancora violenze e soprusi Pechino continua a sottomettere al controllo governativo la Chiesa fedele al Papa, mentre in sei Stati indiani persistono le leggi anti-conversione Segnali di apertura, invece, a Cuba



CLANDESTINI,  IMMIGRATI, CITTADINI I PILASTRI DELLA SAGGEZZA DI OBAMA

Come gli Usa accolgono i nuovi americani
il Fatto Quotidiano, 25-11-2010
Furio Colombo
Di fronte all'immigrato che ha perduto tutto e rischiato la vita in cambio di una speranza ci sono i due battenti dell'unica porta per sopravvivere: uno è la legge, l'altro è l'accoglienza. La legge prevede un percorso duro e difficile quasi dovunque. Risponde a garanzie di civiltà quando non ci sono inganni e trappole per giocare la
buona fede dei candidati. Per esempio, secondo il reato di clandestinità non deve colpire un nuovo venuto in qualunque momento di un corretto e legale percorso, durante la lunga attesa dei documenti. Ma mi accorgo che sto parlando di un Paese, l'Italia, che nel rapporto con gli immigrati s'è coperto di infamia: agguati di Stato per colpire chi ha già lavorato e arricchito il Paese ospite per anni e che viene arrestato e cacciato (dopo la prigione, dopo la finzione del reato, dopo mesi d'attesa in un centro di espulsione) spesso un padre isolato dalla famiglia che in tal modo è abbandonata, spesso una madre che non potrà mai più tornare dai figli.
La lettera del presidente degli Stati Uniti pubblicata in questa pagina per mostrare che è un percorso alto e nobile per connettere al nuovo Paese chi è stato costretto a migrare. Quel percorso porta all'ingresso di un grande Paese che non ha mai dimenticato di essere una terra popolata di emigranti in cui la diversità di radici, di cultura, di storia, di religione ha fatto la grandezza e l'unicità del Paese America. Anzi, come dimostra la biografia e il modo di fare politica di Obama, la diversità dilata l'orizzonte molto oltre i limiti del sogno.
LA FRASE INIZIALE e la frase finale dovrebbero apparire negli aeroporti americani per dire al mondo in che Paese arrivi. La frase iniziale: "E un onore per me congratularmi con lei per essere divenuto cittadino degli Stati Uniti" . La frase finale: "Io l'abbraccio come cittadino della nostra terra e le do il benvenuto nella famiglia americana". Parole come queste, dette da un presidente, non possono essere ornamentali. Il pilastro della legge regge la nuova vita, non un vaso di fiori.
La legge, una legge protettiva e decente, esiste anche per l'Italia. E la Convenzione europea per i diritti dell'Uomo. L'Italia l'ha firmata, ne ha fatto un vincolo proprio e ora risulta, nel giudizio delle istituzioni europee e agli occhi di molti giuristi italiani, un impegno totalmente e brutalmente negato, su tutto ciò che riguarda i diritti umani sia dei cittadini italiani (quando carcerati) sia dei nuovi venuti o di coloro che - per sfuggire a guerre e persecuzioni - cercano d'entrare in Italia. Per queste ragioni  i Radicali  italiani hanno riunito il 22 e 23 alcuni dei più autorevoli giuristi: Zagrebelsky, Condorelli, De Sena,  Bultrini,  Conforti,  insieme con Emma Bonino,  Marco I Pannella, Matteo Mecacci. Il tema: "Diritti umani in Europa, violazioni gravi in Italia": E strano che nessun gruppo politico, specialmente quelli che hanno perso nei crolli del recente passato la loro identità politica, abbia scelto di raccogliere la bandiera dei diritti umani e civili dal campo disastrato della guerra dello Stato italiano contro i suoi cittadini (le carceri) e contro coloro che vorrebbero,
con il loro lavoro, la loro nuova e diversa cultura e intelligenza, arricchire e allargare la provincia Italia e farne un Paese grande e rispettato perché civile. Ma il Paese è dominato dalla Lega Nord che ha preso la guida del governo e ha ormai le mani libere per ogni arbitrio, dalle motovedette libiche in mare alle ordinanze crudeli, arbitrarie, illegali dei sindaci della Lega Nord. Ecco che cosa hanno da dire i giuristi riuniti nella biblioteca della Camera dei Deputati:
a) la piena incompatibilità della politica di respingimento dei migranti con il divieto di trattamenti inumani, di espulsioni collettive, con la mancanza di rigore;
b) l'inaccettabile condizione delle carceri (e, si può aggiungere, dei centri di detenzione arbitraria degli immigrati da espellere);
c) la totale mancanza d'indipendenza delle informazioni televisive pubbliche. In esse - aggiungo - s'infiltra a piacimento il ministro dell'Interno o il presidente del Consiglio per intervenire o mentire a piacere. Rileggere la lettera di Obama è importante per sapere che c'è un mondo sbagliato. Sfortunatamente è l'Italia.



Svizzera, la guerra dei manifesti per il referendum sugli stranieri

la Repubblica, 25-11-2010
ANAIS GINORI
GINEVRA—Dopo le pecore nere arrivarono ratti minacciosi, e infine apparve un feroce despota africano pronto a valicare le Alpi con le sue truppe cammellate. Quando le idee politiche si trasformano in fantasmi e strani animali non è mai un buon segno. Sulle rive del lago Lemano, tra scintillanti alberghi e boutique di sobria eleganza, è ricominciata la guerra dei manifesti, con toni e accuse vicini al delirio. È passato un anno dal voto contro la costruzione dei minareti, e gli svizzeri sono nuovamente chiamati a esprimersi sui temi legati all'immigrazione. La domanda posta dall'Udc, il partito di destra, ormai egemone, è diretta: «Siete favorevoli all'espulsione degli stranieri criminali?». L'obiettivo della consultazione è mandar via tutti i cittadini non svizzeri condannati per reati gravi che includono anche la truffa alle mutue pubbliche. Se domenica la proposta verrà approvata, come prevedono i sondaggi, la Svizzera sarà il primo paese in Europa a inserire una "doppia pena" per gli stranieri.
Sandrine Salerno è figlia di genitori immigrati. Madre francese, padre italiano. Socialista, 39 anni, da qualche mese è il sindaco di Ginevra. In meno di due generazioni ha visto la placida Svizzera rivoltata come un guanto. «Il nostro patto di convivenza — dice — rischia di andare in frantumi». Il 24% dei residenti non ha passaporto elvetico, 40% a Ginevra. «Suggerire che tutti gli stranieri sono potenzialmente dei criminali è solo un modo di fomentare xenofobia e razzismo». Eppure funziona, pare. Qualche giorno fa, Salerno è stata costretta a bloccare l'ennesima affissione abusiva. Una gigantografia di Muhammar Gheddafi. Slogan: «Vuole distruggere la Svizzera». La Libia ha protestato, si è sfiorata un' altra crisi diplomatica.
Ma la rimozione di qualche manifesto equivale al tentativo di contenere in un bicchiere la marea montante. I muri svizzeri sono diventati il campo di battaglia sul quale consumare l'ennesimo scontro di civiltà. Un cartellone nel quale si vede un uomo dal volto coperto: «Ivan S, stupratore e presto svizzero?». Ancora. Quattro giovani donne
nude in un lago azzurro, e poi altre, coperte da un velo, immerse in acque torbide. «La Svizzera com'era, e come potrebbe diventare». Nel Canton Ticino i lavoratori transfrontalieri, tra i quali molti italiani, sono stati dipinti come topi pronti a mangiare il groviera locale. In codice si chiama "progetto pecore nere". Il gregge che scaccia via il diverso, come un intruso pericoloso. È il manifesto che ha costruito il successo elettorale dell'Udc alle elezioni federali del 2007, riproposto ovunque in questi giorni. Come un feticcio portafortuna.
Tutto è partito da lì. La novità, oggi, è la reazione opposta e contraria. L'immagine di un gregge che esalta la diversità, con pecore di tanti colori, e promosso dal partito dei lavoratori. Lo slogan ironico dei giovani socialisti "Fuori tutti gli uomini" per ricordare che i criminali sono, prima ancora che stranieri, sono soprattutto esseri umani. Un imprenditore di Losanna ha pagato di tasca propria cartelloni con la scritta "Siamo tutti criminali stranieri!". Il politologo Oscar Mazzoleni, autore di un libro sulla storia dell'Udc, spiega che la destra svizzera è stata sempre un laboratorio di temi e idee, anticipando tendenze poi diffuse in tutta Europa. In passato, ci sono stati molti altri referendum sui temi dell'immigrazione  per lo più ignorati. «Ma con la globalizzazione e le nuove forme di competizione—aggiunge Mazzoleni—è entrato in crisi il modello economico basato sulla redistribuzione della ricchezza sui ceti popolari».
«Vogliamo solo ristabilire lo Stato di diritto e mettere un freno alla criminalità importata» dice Oskar Freysinger, esponente dell'Udc, promotore del referendum sui minareti. Razzista? Per carità, avete capito male. «Noi vogliamo ridurre la xenofobia facendo una chiara distinzione tra gli stranieri che delinquono e quelli che rispettano la legge». All'orizzonte vede nuove consultazioni. In effetti l'Udc ha spedito a milioni di svizzeri un questionario: «Quale politica estera volete?». «Non escludiamo di proporre una consultazione sull'adesione a Schengen», ammicca Freysinger. Tra un anno ci saranno le elezioni federali. I creativi sono già al lavoro per nuovi manifesti.
Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links