Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

29 dicembre 2011

Quella brutta legge che allontana dai diritti di assistenza
l'Unità, 27-12-2011
Saleh Zaghloul
La Corte Costituzionale (sentenza n.329 del 12 dicembre 2011) ha dichiarato l’illegittimità della legge 388/2000 (legge finanziaria 2001), nella parte in cui chiede il possesso della carta di soggiorno per concedere ai minori immigrati «l'indennità di frequenza» per minori invalidi. Si tratta di una indennità concessa ai mutilati e invalidi civili minori di 18 anni «per il ricorso continuo o anche periodico a trattamenti riabilitativi o terapeutici a seguito della loro minorazione». Tale imposizione, secondo la suprema Corte, priva il minore immigrato disabile, anche regolarmente soggiornante, di diritti fondamentali (istruzione, salute, lavoro) in violazione della Costituzione italiana e della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo.
La legge 388/2000, del centrosinistra, è forse il provvedimento normativo più censurato dalla Corte Costituzionale (compete a questo titolo con il pacchetto-sicurezza del centro destra). Numerose sono le sentenze che ne hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale nelle parti che richiedono il requisito della carta di soggiorno per l’accesso degli immigrati regolari alle provvidenze ed alle prestazioni, anche economiche, di assistenza sociale (assegno sociale, assegno di invalidità). La carta di soggiorno è rilasciata a chi possiede determinati livelli di reddito, e soggiorna regolarmente da almeno cinque anni. È stata istituita per semplificare il soggiorno di chi vive in Italia da anni e la Suprema corte ha più volte sentenziato che non deve essere usata per escludere gli immigrati dal diritto alle misure di assistenza sociale. Modificando le parti censurate della legge non solo si ristabilisce lo Stato di diritto e si aiuta l’integrazione, ma si alleggeriscono i nostri tribunali, e la stessa Corte, di una grande mole di lavoro.



Italia 2040: 1 su 5 sarà straniero, 1 su 3 avrà più di 65 anni
Avvenire, 28-12-2011
Siamo un Paese per vecchi, con un numero di nonni in graduale aumento negli anni a venire. L'asticella dell'età media, ferma a 43,5 anni nel 2011, si alzerà fino ad un massimo di 49,8 anni nel 2059. Dopo tale anno, l'età media è destinata a stabilizzarsi sul valore di 49,7 anni. La trasformazione della struttura per età della popolazione, fotografata dal rapporto Istat sul futuro demografico del Paese, comporta un marcato effetto sui rapporti intergenerazionali.
L'indice di dipendenza degli anziani (cioè il rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione in età attiva - 15-64 anni), oggi pari al 30,9%, cresce fino a un livello del 59,7% nel 2065, senza sostanziali differenziazioni rispetto sia allo scenario alternativo basso (59,4%) sia a quello alto (59,7%).
Particolarmente accentuato entro i prossimi trenta anni è l'aumento del numero di anziani: gli ultra 65enni, oggi pari al 20,3% del totale, aumentano fino al 2043, anno in cui oltrepassano il 32%. Dopo tale anno, tuttavia, la quota di ultra 65enni si consoliderà intorno al valore del 32-33%, con un massimo del 33,2% nel 2056. A scattare la fotografia è l'Istat, con il suo report sul futuro demografico del paese.
E se da un lato aumentano le tempie grigie, dall'altro cala il numero di giovanissimi. La popolazione fino a 14 anni di età, oggi pari al 14% del totale, evidenzia un trend lievemente decrescente fino al 2037, anno nel quale raggiunge un valore minimo pari al 12,4%. Dopo tale anno la percentuale di under 15enni si assesta fino a raggiungere un massimo del 12,7% nel 2065. Il margine di incertezza associato a tale stima fa comunque ritenere che nello stesso anno, precisa l'Istat, tale quota potrebbe oscillare in un intervallo compreso tra l'11% e il 14%.
La popolazione in età lavorativa (15-64 anni) evidenzia, nel medio termine, una lieve riduzione, passando dall'attuale 65,7% al 62,8% nel 2026. Nel lungo termine, invece, ci si aspetta una riduzione più accentuata, fino a un minimo del 54,3% nel 2056, annodopo il quale l'indicatore si stabilizza, con un valore del 54,7% nel 2065, per un intervallo di stima compreso tra il 53,8% e il 55,8%.
Nel periodo 2011-2065 l'incidenza della popolazione straniera sul totale passerà dall'attuale 7,5% a valori compresi tra il 22% e il 24% nel 2065, a seconda delle ipotesi. E' quanto emerge da uno studio dell'Istat sul futuro demografico del paese.
Per l'Italia in complesso, considerando lo scenario centrale, l'incidenza di stranieri residenti verrebbe a registrare decisivi incrementi, passando dal 7,5% nel 2011 al 14,6% nel 2030, per poi raggiungere il 23% nel 2065). Su scala territoriale, pur partendo da livelli iniziali ben diversi, tutte le aree del Paese saranno comunemente interessate dal processo di crescita relativa della popolazione straniera: le regioni del Centro-nord, in primo luogo, vedrebbero più che raddoppiare l'incidenza di presenze regolari, muovendo da valori iniziali intorno al 10% a livelli superiori al 26-27%, fino a un massimo del 29% nel Nord-ovest. Le regioni del Mezzogiorno, conclude l'Istat, si confronterebbero con valori più modesti d'incidenza, muovendo da valori attorno al 3% per raggiungere circa il 10% nel 2065.

   

Nel 2065 gli immigrati saranno il 24% così l'Istat fotografa il futuro demografico
In una ricerca dell'istituto le previsioni sull'evoluzione della popolazione italiana: il picco di "affollamento" previsto nel 2042, quando saremo quasi 64 milioni. Nel 2056 solo il 54,3% sarà in età lavorativa
la Repubblica, 28-12-2011
ROMA - L'età media degli italiani nel 2059 sarà di 49,8 anni. E' la proiezione contenuta nello studio sul futuro demografico del paese realizzato dall'Istat. Nello scenario centrale elaborato dall'istituto di statistica, l'età media aumenta da 43,5 anni nel 2011 fino a un massimo di 49,8 anni nel 2059. Dopo tale anno l'età media si stabilizza sul valore di 49,7 anni, a indicare una presumibile conclusione del processo di invecchiamento della popolazione.
 Particolarmente accentuato entro i prossimi trenta anni è l'aumento del numero di anziani: gli ultra 65enni, oggi pari al 20,3% del totale, nello scenario centrale aumentano fino al 2043, anno in cui oltrepassano il 32%. Dopo tale anno, tuttavia, la quota di ultra 65enni si consolida intorno al valore del 32-33%, con un massimo del 33,2% nel 2056.
La popolazione fino a 14 anni di età, oggi pari al 14% del totale, evidenzia un trend lievemente decrescente fino al 2037, anno nel quale raggiunge un valore minimo pari al 12,4%. Dopo tale anno la percentuale di under 15enni si assesta fino a raggiungere un massimo del 12,7% nel 2065. Il margine di incertezza associato a tale stima fa comunque ritenere che nel medesimo anno tale quota potrebbe oscillare in un intervallo compreso tra l'11% e il 14%.
Secondo l'Istat la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) evidenzia, nel medio termine, una lieve riduzione, passando dall'attuale 65,7% al 62,8% nel 2026. Nel lungo termine, invece, ci si aspetta una riduzione più accentuata,
fino a un minimo del 54,3% nel 2056, anno dopo il quale l'indicatore si stabilizza, con un valore del 54,7% nel 2065, per un intervallo di stima compreso tra il 53,8% ed il 55,8%.
La ricerca prende in esame anche il numero complessivo dei residenti in Italia. Stando alle previsioni, nel 2065 la popolazione sarà pari a 61,3 milioni ("scenario centrale") dopo aver toccato un picco di 63,9 milioni nel 2042. Cumulando gli eventi demografici relativi al periodo 2011-2065, l'evoluzione della popolazione attesa nello scenario centrale è il risultato congiunto di una dinamica naturale negativa per 11,5 milioni (28,5 milioni di nascite contro 40 milioni di decessi) e di una dinamica migratoria positiva per 12 milioni (17,9 milioni di ingressi contro 5,9 milioni di uscite).
Sulla base delle ipotesi concernenti i movimenti migratori con l'estero e sulla base di un comportamento riproduttivo superiore a quello della popolazione di cittadinanza italiana, si prevede che l'ammontare della popolazione residente straniera possa aumentare considerevolmente nell'arco di previsione: da 4,6 milioni nel 2011 a 14,1 milioni nel 2065, con una forbice compresa tra i 12,6 ed i 15,5 milioni.  Contestualmente, nel periodo 2011-2065 l'incidenza della popolazione straniera sul totale passerà dall'attuale 7,5% a valori compresi tra il 22% e il 24% nel 2065, a seconda delle ipotesi.



Il nostro futuro multietnico
la Stampa, 29-12-2011
GIOVANNA ZINCONE
Bisogna smettere, e pure in fretta, di pensare l’italiano tipo come un individuo dotato di nonni nati in Italia. Questo è un messaggio chiave che trasmette il rapporto dell’Istat sul futuro della popolazione del nostro Paese. Infatti, a vivere in Italia nel prossimo mezzo secolo saranno sempre di più persone e famiglie che hanno origini straniere, più o meno lontane nel tempo. E fin d’ora non sono poche. Già all’inizio del 2011 i residenti stranieri in Italia erano più di 4 milioni e mezzo, cioè il 7,5% del totale. E dal computo sono esclusi gli immigrati e i loro discendenti che hanno ottenuto la cittadinanza. L’Istat prevede, seppure con molte cautele metodologiche, che nel 2065 la percentuale degli stranieri arrivi nell’ipotesi più bassa al 22% e in quella più alta al 24% dell’intera popolazione residente.
Possono sembrare dati impressionanti, ma non è il caso di lasciarsi impressionare. E per una serie di motivi. Come sanno bene i ricercatori dell’Istat, le previsioni sulla popolazione quando si proiettano su tempi molto lunghi possono presentare grosse sorprese. Su un arco di tempo più breve (20 anni), immaginando cioè nel 1987 cosa sarebbe successo nel 2007, l’Istat aveva previsto un impatto quasi irrilevante dell’immigrazione, e lo stesso aveva fatto l’Irp, cercando di prevedere nel 1988 cosa sarebbe successo 20 anni dopo. Insomma, in quegli anni il contributo dell’immigrazione alla popolazione del nostro Paese era stato largamente sottovalutato.
Siamo sicuri di non cadere, oggi, nell’eccesso opposto? Probabilmente stiamo rischiando di sopravvalutare il numero dei nuovi arrivi. Non è, infatti, detto che il mercato del lavoro italiano, in futuro, sia ancora capace di attrarre potenti flussi dall’estero. Già con il decreto flussi del 2010 il Governo italiano ha offerto più permessi di soggiorno rispetto a quelli di fatto utilizzati. E il tasso di disoccupazione degli immigrati tra il 2008 e il 2010 è aumentato tre volte e mezzo di più di quello degli italiani. Così come non è detto che potenti esportatori di popolazione verso l’Italia, come la Romania o la Cina, abbiano in futuro condizioni economiche tanto peggiori delle nostre, e tali da spingere a emigrare in massa nel nostro Paese. Emigrare è costoso anche in termini emotivi e, se la differenza di prospettive economiche tra il posto che si lascia e quello verso cui si va non è abbastanza ampia, non si emigra. Non è detto neppure che gli stranieri che si fermano in Italia continuino a fare più figli degli italiani. Insomma, quando guardiamo a un futuro lontano, ci possiamo sbagliare sui numeri. E comunque se i numeri fossero alti sarebbe un bene: vorrebbe dire che nel nostro Paese c’è un’economia attraente.
Quello di sbagliare sui numeri non sarebbe grave. L’Istat, inoltre, guardando al futuro, ha ritenuto opportuno distinguere tra immigrati che restano stranieri e coloro che hanno ottenuto la cittadinanza. Fa le sue previsioni in base alla legge attuale, ma osserva giustamente che la normativa sulla cittadinanza può cambiare. Ed è probabile che cambi. Un recentissimo sondaggio del Centro Italiano di Studi Elettorali dà un 71% di favorevoli a dare subito la cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia, e conclusioni analoghe vengono da Tti, il sondaggio annuale condotto da Gmf e Compagnia di San Paolo. A maggior ragione potrebbe essere accettata la riforma oggi in cantiere, che la concederebbe ai figli di immigrati che risiedono stabilmente da un certo numero di anni. Quindi, il numero di persone statisticamente straniere potrebbe ridursi parecchio, in seguito a una nuova normativa.
Quest’osservazione apre un’altra questione più importante: basta la cittadinanza a fare il cittadino? L’immigrazione è un fenomeno complicato da interpretare, perché ci interessa non solo la sua accertata capacità di sopperire alle carenze di popolazione e forza lavoro, di aiutarci a tenere i conti pubblici in ordine, ma anche per l’impatto che può avere sulla coesione sociale. Se vogliamo ragionare su quest’aspetto, la distinzione giuridica tra immigrati rimasti stranieri e quelli divenuti cittadini non basta. Si può non essere immigrato ed essere comunque straniero e questo è proprio il caso dei bambini nati in Italia. Ma, se prendiamo in considerazione un altro aspetto, quello dell’identità, della cultura, osserviamo che molti che restano stranieri in base al diritto, sono italiani per identità e per cultura. Un’interessante inchiesta televisiva, che ha fatto incursione in varie scuole piene di bambini in gran parte ancora stranieri, ci ha dato un saggio di quanti di loro parlino un ottimo italiano, magari con un po’ di accento dialettale, di quanti tra loro conoscano la storia del Risorgimento, anche meglio di altri bambini con nonni italiani. Questo vale ovviamente anche per molti immigrati arrivati da adulti e rimasti stranieri, perché non vogliono scegliere o perché preferiscono evitare i lunghi tempi di attesa e le trafile della nostra burocrazia. Se ci sembra opportuno prevenire futuri conflitti tra italiani con nonni italiani e italiani con nonni stranieri, dobbiamo porci due obiettivi. Il primo consiste nel favorire una maggiore integrazione sociale e strutturale. Infatti, non possiamo segregare gli immigrati, specie le seconde generazioni, in percorsi scolastici di minore qualità, in occupazioni scarsamente remunerate e poco considerate socialmente, non possiamo farli vivere in quartieri degradati. Le rivolte delle Banlieue dovrebbero averci insegnato qualcosa. Ma non basta: dobbiamo mirare anche all’integrazione culturale, offrire rispetto, e questo è il secondo obiettivo. Non possiamo accettare che si traccino, come alcune forze politiche stanno facendo, barriere di disprezzo nei confronti degli immigrati in genere e di certe minoranze in particolare. Individui anche benestanti e colti, se si sentono estraniati, possono diventare membri attivi di gruppi eversivi, come dimostrano varie biografie di attentatori. Per tutti questi motivi è bene smettere di pensare all’Italia come un Paese di noi e di loro. Già ora ha poco senso, tra cinquant’anni sarà semplicemente ridicolo. O tragico.



“Gli immigrati? Feroci”, nuova sparata di monsignor Bertoldo – Commenta
Nuova esternazione del vescovo emerito di Foligno: "riconsideriamo le nostre relazioni con loro". E' polemica
Tuttoggi, 29-12-2011
Elisa Panetto
“Gli immigrati? Qua, in Italia, pretendono rispetto, accoglienza, giustizia. Ma loro cosa danno? Ferocia. Dobbiamo riconsiderare le nostre relazioni con loro”. È con queste parole di fuoco che dalle colonne del blog Pontifex Roma, monsignor Arduino Bertoldo, vescovo emerito della città di Foligno, commenta l’attentato perpetrato il 24 dicembre in Nigeria dal gruppo fondamentalista islamico Boko Haram contro alcune chiese cristiane. Almeno 40 i morti, secondo il vescovo “un bilancio fortunatamente basso. Poteva andare peggio”. Nell’Ottava del Natale, per Monsignor Bertoldo sono questi, oggi, i Santi Innocenti. “Il mio pensiero non può non cadere, con somma tristezza, su coloro, cristiani, che in Nigeria sono morti soltanto per assistere ad una messa” ha affermato il vescovo. “Davanti a scenari tanto gravi, con maturità, dobbiamo allora riconsiderare le nostre relazioni con loro. Questi Tizi da noi vogliono ogni tutela, a Firenze, scossi e indignati, hanno rivendicato doverosa protezione, arrivando persino ad insultare tutti come razzisti, cosa che non è. Ed oggi cosa ti fanno? Assaltano i cristiani nella solennità del Natale. Una cosa vigliacca, brutta e orribile. Sono scosso – prosegue con Bruno Volpe di Pontifex Roma –, non è pensabile perdere la vita in quel modo e solo per aver assistito alla messa di Natale. È una vergogna, l’Occidente deve far sentire la sua voce e saper dire basta, pacificamente, a queste tragedie”.
Queste dichiarazioni arrivano a poco più di una settimana da quelle in cui il presule, classe 1932, chiedeva a Maurizio Crozza di pentirsi “per evitare l’Inferno”, dopo che il comico genovese aveva imitato Papa Benedetto XVI nell’ultima puntata del programma “Italialand”. Ma queste non sono sicuramente le prime (e molto probabilmente non saranno le ultime) “uscite” di Monsignor Bertoldo. Come non ricordare quando, durante il “Rubygate”, ebbe a dire che “Vendola chiede a Berlusconi di cambiare stile di vita. Ma lui si è guardato? Almeno Berlusconi nel peccato non offende la regola naturale, segue la natura. Vendola offende sia il peccato che la natura e dunque è messo molto, ma molto peggio e taccia”. Ma a destare un certo clamore è stato anche il commento, richiestogli sempre dal direttore del blog ultracattolico, Bruno Volpe, sulle violenze sessuali di cui sono vittime le donne. “Se una donna cammina in modo particolarmente sensuale o provocatorio, qualche responsabilità nell’evento la ha e voglio dire che dal punto di vista teologico anche tentare è peccato. Dunque anche una donna che camminando o vestendosi in modo procace suscita reazioni eccessive o violente, pecca in tentazione”.


Via i rifugiati afgani dai binari dell'Ostiense Largo ai ristoranti di lusso e all'alta velocità
La tendopoli deve essere smantellata perché intralcia i cantieri della compagnia di Montezemolo. Da dieci anni i profughi alloggiano tra i binari. L'Ong Medu chiede al Campidoglio una struttura stabile per risolvere il problema. A Roma ottomila senza dimora, di cui la maggior parte sono profughi ventenni
la Repubblica, 28-12-2011
RAFFAELLA COSENTINO
ROMA  -  Ha i giorni contati la tendopoli degli afgani impiantata ad aprile dall'Associazione Medici per i diritti umani 1 (Medu) accanto al binario 15 della stazione Ostiense, da cui sono passate 700 persone in sei mesi e oltre un terzo sono minori. Venti tende blu nascoste tra una piazzetta e un binario, sotto il ponte dell'air terminal costruito per i mondiali di calcio di Italia '90 e poi rimasto inutilizzato. Davanti, una fila di bagni chimici rossi, piazzati come soldatini all'ingresso del recinto. "Riqualificazione" significa che i profughi della guerra in Afghanistan non possono più restare. L'Air Terminal di Ostiense diventerà, a breve, l'hub dell'Ntv 2 (Nuovo trasporto viaggiatori) di Montezemolo. Alle spalle apriranno i ristoranti di "Eataly - Alti cibi", l'élite enogastronomica italiana. Le tende sono un ostacolo per il cantiere. L'Ong Medu chiede al Campidoglio una soluzione stabile per porre fine a un'emergenza che dura da dieci anni: un centro d'accoglienza per persone in transito, profughi che si trovano a Ostiense temporaneamente in attesa di raggiungere i paesi nordeuropei. Tra i ragazzi Medu ha rilevato "frequenti lesioni per le percosse della polizia in Grecia e congelamenti degli arti per i viaggi fatti nelle celle frigorifere dei Tir".
Le testimonianze. Occhi scuri e profondi, sopracciglia folte, sguardo intelligente. È il viso di un ragazzo hazara di 17 anni appena arrivato da Jalalabad. "Mio fratello lavora per gli americani, i talebani ci avevano avvertito. Una notte sono arrivati in casa e hanno ammazzato mio padre e le mie tre sorelle - racconta con innaturale freddezza - io mi sono nascosto e sono scappato in Pakistan da mio zio, che mi ha detto: 'tu qui non puoi restare', e mi ha dato i soldi per il viaggio". È sveglio ma indeciso: non sa se restare o ripartire. Con i trafficanti ha fatto un viaggio lampo, appena un mese, di cui solo tre giorni in Grecia. Poi su un tir ha attraversato la frontiera nordorientale italiana ed è arrivato a Milano, l'ultimo tratto in treno fino a Roma. È riuscito a non farsi prendere le impronte digitali, quindi non è vincolato a chiedere asilo in Italia.
Storie di fughe rocambolesche. Sono approdate in un angolo della capitale centinaia di storie di violenza, di fughe coraggiose e rocambolesche da una guerra in cui l'Italia è pienamente coinvolta. Tra le tende si parla pashtu, urdu e farsi. Difficile ricordare la vita di prima. Omar racconta solo che a Kabul aveva un negozio di vestiti, lasciato nel 2007 assieme alla moglie e ai quattro figli. Ibrahim, 25 anni, è un artigiano abile. Sa fare i tappeti persiani al telaio. Ma qui l'unico lavoro è il volantinaggio: 4mila volantini al giorno per 30 euro di paga. Lavora per dieci giorni al mese e i soldi li vede dopo tre mesi. Gentile, disponibile, ma pieno di sconforto è Alì, pachistano. "Sono un tecnico, posso fare qualunque riparazione elettronica" è la prima cosa che dice in inglese. "E' stata una grossa perdita venire qui. Un amico mi ha detto: se vai in Italia puoi guadagnare 1000 euro al mese". E' con questa speranza che è partito, facendosi prestare 6mila euro per il viaggio. Pensava che avrebbe facilmente risanato il debito. "Invece qui ho visto il disastro. Ora non posso tornare senza ripagarli. Vendo piccoli oggetti, orecchini, braccialetti, quando va bene guadagno 20 euro in una giornata - racconta - mia figlia in Pakistan mi dice sempre solo una cosa al telefono 'papà voglio vederti' e quando va al mercato con la madre compra sempre fiori per me, che non riesco a tornare".
Il ritardo dei cantieri. Ntv, il primo operatore privato italiano sulla rete ferroviaria ad alta velocità, chiede una soluzione al Campidoglio: si è in forte ritardo nei cantieri. "La presenza della tendopoli impedisce  l'avvio dei lavori nella parte esterna della stazione - fa sapere la società -  Siamo fiduciosi che il Comune trovi in tempi brevi, come ha promesso, una sistemazione adeguata per i rifugiati, anche perché un prolungato blocco dei lavori avrebbe inevitabilmente un impatto sui nostri progetti".
La capitale dei rifugiati senza dimora. Nella capitale, secondo Medu, ci sono 1200 rifugiati in lista d'attesa per un centro d'accoglienza. "Il sistema di accoglienza e integrazione per le sue gravi insufficienze produce nuovi homeless": è la denuncia del coordinatore Alberto Barbieri. L'Ong ha appena pubblicato un libro "Città senza dimora", in cui si legge che ci sono  ottomila senza tetto a Roma, mille a Firenze. La maggioranza sono giovani rifugiati, ai quali rimane la strada come unico alloggio. Eppure l'Italia non è invasa dai profughi. Ecco i dati dell'Alto commissariato Onu per i rifugiati 3: il numero di rifugiati residenti in Italia è di 56mila, contro i 600mila ospitati in Germania, 300mila nel Regno unito, 77mila nella piccola Olanda.



Immigrati, nuova opportunità per l'integrazione: il libro è un passaporto
Settimo Potere, 28-12-2011
Fabio D'Avino  
L'atmosfera natalizia avvolge tutta l'Italia regalando un po' di serenità a chi riesce a godersela, anche se i tempi sono un po' bui. Ma questo Natale non è stato uguale per tutti. A Firenze, lo scorso 13 dicembre, Gianluca Casseri, vicino al movimento neofascista "Casa Pound", ha ucciso tre senegalesi e poi si è tolto la vita durante un conflitto a fuoco con le forze dell'ordine. In Nigeria è tornata alla ribalta la lotta tra Islam e Cristianesimo: sono esplose varie bombe in alcune chiese provocando oltre trenta morti. Un Natale di sangue che accende una lampadina, quella della riflessione. Riflettere sul mondo e sulle nostre città, capire perché gli immigrati vengono in Italia, se è vero che il razzismo esiste ancora, comprendere le dinamiche dei flussi migratori e compenetrarsi per cercare di cambiare punto di vista mettendosi nei panni di chi abbandona il proprio paese per cercare fortuna altrove. E capire quanto conviene all'Italia cambiare politica e concentrare le proprie forze per regolarizzare l'immigrazione.
Noi con gli immigrati, africani e non, siamo a contatto tutti i giorni. Sono argomento di discussione nelle case come nelle trasmissioni televisive. Ognuno avanza la propria soluzione, oscillando tra tolleranza zero ed utopia. Ma si parla con molta leggerezza, senza cognizione di causa.
Tempo fa, mi capitò di acquistare un libro di poesie africane da due giovani senegalesi a piazza dei Martiri, nel centro di Napoli. I versi mi hanno lasciato senza parole. Ogni frase evoca colori, profumi e paesaggi dell'Africa incontaminata, povera ma piena di vita. Lo stile di vita descritto è diverso da quello occidentale, all'apparenza più arretrato eppure più umano. La corsa al progresso assume caratteri grotteschi al confronto del progetto di madre Natura e dei suoi disegni per l'uomo, trattati alla stregua di scarabocchi dalla tecnologia, calpestati dalla sete di potere che ha scritto la storia dell'umanità.
Sono diventato amico di Cheik. Prima che mi dicesse il suo nome, per me, era "il senegalese che vende libri". Me ne ha consigliato un altro dicendomi: "Questo l'ha scritto un mio fratello. Leggilo e poi, se vuoi, torna da me". Il libro si chiama "Il mio viaggio della speranza", di Bay Mademba. Da allora, è cominciato un duro ed appassionante lavoro di approfondimento delle dinamiche dell'immigrazione, fatto di osservazione, tante letture e lunghe chiacchierate con gli extracomunitari venuti in Italia, confermando - nella quasi totalità dei casi - le voci sulle loro pessime condizioni di vita e sulle loro difficoltà ad integrarsi. Ma sono venuto anche a conoscenza di un'iniziativa silenziosa e nobile, un vero esempo da seguire per valorizzare la diversità rendendola un'arma in più e non un male da debellare.
Un racconto di speranza: i libri aprono le porte del mondo
Leggo il libro consigliatomi da Cheik e torno a piazza dei Martiri per incontrarlo. Mentre passeggio per Napoli, penso alla storia di quel senegalese che sogna l'Europa ma non sa come fare per arrivarci. A differenza di molti africani che decidono di attraversare il deserto da clandestini - a bordo di camion stracolmi, come racconta Fabrizio Gatti nel suo libro "Bilal" -, Bay decide di andare in Turchia e provare a raggiungere lo stivale da Est. Ci riesce - dopo una breve sosta in Grecia - lottando contro la fame, la sete e il mare. Giunto in Italia da clandestino, riesce ad integrarsi grazie ad un'associazione, la "Giovane Africa Edizioni", che gli offre un lavoro nobile ed onesto: vendere la cultura africana. E proprio loro, poi, hanno deciso di pubblicare la sua storia.
Finalmente incontro Cheik, entusiasta e con la voglia di conoscere il dettagli del suo viaggio. La sua storia è molto diversa da quella di Bay, e la cosa mi sorprende. Avendo parlato con molti immigrati, ormai credevo che per arrivare in Italia l'unica strada era quella della partenza in barca dalle coste del Nord Africa, delle lunghe permanenze in Libia in perenne attesa dei visti per partire regolarmente, degli sbarchi a "Lampa Lampa". Poi, con un po' di fortuna, si riusciva ad arrivare nello stivale e cominciava la trafila dei permessi di soggiorno scaduti, del lavoro precario e dei lunghi tentacoli della malavita con la loro illusione dei soldi facili. Cheik, invece, è venuto in aereo grazie all'associazione "Giovane Africa Edizioni", che edita la cultura africana, valorizza l'interculturalità e aiuta gli immigrati a regolarizzare la propria permanenza nel Belpaese. E Cheik, i libri della sua terra, li vende col sorriso sulle labbra e la gioia nel cuore. Il guadagno è di pochi euro ogni prodotto venduto, ma la vera opportunità è la tranquillità del viaggio, un lavoro e la sicurezza dell'integrazione. Praticamente, la realizzazione del sogno di ogni africano che desidera l'Europa.
Tolleranza tutta italiana
Chiacchierare con Cheik è un vero piacere. L'interculturalità è un valore tanto grande quanto sottovalutato. Purtroppo, si parla anche di argomenti spiacevoli, come l'omicidio di alcuni suoi connazionali a Firenze, argomento scottante della cronaca nazionale dell'ultimo periodo. E di qui, una disamina su quelle che sono le zone che gli sono sembrate più tolleranti. "Sono più buoni qui", dice riferendosi a Napoli. "Sono stato a Milano, Firenze, Palermo, Salerno, Roma, ma Napoli è davvero la migliore di tutte. Al Nord sono più razzisti, noi vendiamo libri, non facciamo niente di male, eppure molti non ci vedevano di buon occhio". E in effetti sono molto benvoluti nella zona in cui lavorano. Si appostano spesso all'esterno di una delle librerie più famose della zona ma nessuno dell'azienda ha mai avanzato problemi, cosa che in altre città gli è successa. "Cose come quelle successe a Firenze non devono accadere - mi ha detto. "Siamo tutti fratelli, perché anche se abbiamo la pelle di un colore diverso siamo tutti appartenenti al genere umano".
Un modello per l'integrazione contro l'ingiustizia
"Giovane Africa Edizioni" rappresenta una possibilità concreta per i giovani africani di vivere onestamente e sfamare se stessi e le proprie famiglie vendendo la propria cultura. Un'opportunità per pochi, al momento, che però potrebbe trasformarsi in un modello per la corretta integrazione degli extracomunitari. Ma c'è, come sempre, un altro lato della medaglia assolutamente da non trascurare. Ci sono tante persone che muoiono cercando di arrivare in Europa attraversando il Mediterraneo, ormai tristemente noto per essere diventato il cimitero acquatico più grande del pianeta. Un continente dimenticato dal resto del mondo, dove le forze di polizia fanno il bello e cattivo tempo senza essere controllati da nessuno, picchiando e derubando coloro che scappano dai loro paesi verso la Libia, la Tunisia, il Marocco, nazioni dalle quali partono le imbarcazioni clandestine dirette in Italia e Spagna. E chi riesce a raggiungere la propria meta da clandestino, spesso, vive in condizioni disumane.
Poi ci sono le donne. Come gli uomini, le poche che hanno il coraggio di scappare devono attraversare il deserto e non tutte riescono ad arrivare in Europa, costrette a prostituirsi nel proprio paese per racimolare i soldi per emigrare. E purtroppo, anche nei paesi europei, sappiamo cosa succede. Di notte, sono centinaia le ragazze costrette a vendere il proprio corpo in cambio di denaro. Le dinamiche che stanno alle spalle di queste "attività" sono oscure ma facilmente intuibili. In Italia si chiamano camorra, mafia, 'ndrangheta. Gli incubi di migliaia di ragazze sono il denaro facile della criminalità organizzata.
Le tasse sono uguali per tutti
Secondo gli ultimi dati Irpef, nel 2010 il 64,9 % degli immigrati ha versato circa 6 miliardi di euro, una media di 2.810 euro a testa. Una cifra minore rispetto a quella degli italiani (il 75,5 % paga l'Irpef, con una media di 4.865 euro a contribuente) ma comunque considerevole, che evidenzia alcune questioni spinose. Prima di tutto, quando c'è il denaro di mezzo, l'uguaglianza non viene mai messa in discussione - inutile ricordare episodi razzisti di vari esponenti del Governo, figli di un'ideologia malata che non fa altro che alimentare la xenofobia. Secondo, c'è ancora tanta precarietà nel mondo del lavoro e degli extracomunitari. In molti, anche se in regola, vivono ancora in uno stato di povertà. In ultimo, basta guardarsi intorno e provare a fare un rapido calcolo per capire quanto potrebbero aumentare le entrate nelle casse dello Stato se tutto il lavoro nero fosse regolarizzato. Una piaga che colpisce l'extracomunitario quanto l'italiano, che però fa leva sulla fame e sul bisogno più forte degli immigrati, disposti a lavorare anche per una manciata di euro al giorno.
La resa dei conti
La Fondazione Leone Moressa ha elaborato i dati del Ministero delle Finanze sulle dichiarazioni dei redditi del 2010. Si legge nel loro ultimo comunicato: "E' ovvio che se il sistema riuscisse ad eliminare le sacche di illegalità che colpiscono anche i lavoratori stranieri, l'apporto degli immigrati alla finanza pubblica sarebbe certamente maggiore, contribuendo ad un'integrazione che passa anche per il pagamento delle tasse''.
A prescindere dal colore della pelle o dalla provenienza geografica - africani, albanesi o italiani -, il lavoro nero in Italia è stimato intorno al 10, 3 %. Di solito, calcoli del genere sono sempre molto "ottimisti", a causa di alcuni vizi nel conteggio. Bisognerebbe aggiungere, ad esempio, tutti i clandestini che, per legge, in Italia non dovrebbero nemmeno esserci, eppure lavorano. In ogni caso, prendendo per buona l'ultima stima, è possibile arrivare alla somma che le casse dello Stato perdono a causa del lavoro nero. Prima, però, un po' di cifre - arrotondate per facilitare il calcolo - raccolte dagli ultimi dati Istat. Popolazione italiana: 60 milioni. Immigrati in Italia: 4,5 milioni. Media Irpef italiano/immigrato: 3800 euro circa. Calcolando il 10,3 % di lavoro nero, sono 6,6 milioni di persone che non pagano le tasse. Moltiplicando il numero per la media di Irpef ipotizzata, lo Stato perde più di 25 miliardi di euro. Ciò vuol dire che, in un periodo di crisi come quello attuale, non solo sarebbe importante creare posti di lavoro in più, ma, al posto di alcune decisioni impopolari, sarebbe una mossa socialmente ed economicamente arguta regolarizzare quello che già c'è ma sfugge agli occhi della legge. Sarebbe utile cominciare con più di controlli nei luoghi di lavoro con maggior rischio di evasione fiscale - come i cantieri e il settore dell'agricoltura -, in modo da combattere il lavoro nero e lo sfruttamento dell'immigrazione, considerata sempre di più come un problema da risolvere, una fonte di ricchezza - culturale ed economica -, invece, se valorizzata e regolarizzata.

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