Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

31 maggio 2013

I tedeschi insistono: "Riprendetevi i clandestini che ci avete mandato"
Berlino prima ci accusa ("avete dato soldi e documenti ai profughi per farli venire da noi"), poi ci intima di riprenderci gli immigrati che hanno raggiunto il loro Paese
il Giornale, 31-05-2013
Orlando Sacchelli
La Germania torna a fare la maestrina. Stavolta non sull'economia. Pretende di farci la morale in materia d'immigrazione, come se il flusso di disperati proveniente dai paesi poveri dell'Africa, o dilaniati dalle guerre, fosse un problema solo nostro e non (anche) dell'Europa.
Dopo la protesta della città-stato di Amburgo contro le autorità italiane, ora interviene il ministero dell’Interno tedesco, che per rassicurare i propri concittadini dice che l'Italia si riprenderà i profughi che, fuggendo dalla Libia, dal Ghana e dal Togo, sono arrivati in Germania passando dall’Italia. E ricevendo, da Roma, cinquecento euro e i documenti che autorizzano a viaggiare nei Paesi dell’area Schengen. È da inizio maggio - scrive il quotidiano tedesco Bild - che il ministero tedesco tratta con le autorità italiane. E cita cita un portavoce del ministero dell’Interno tedesco "Abbiamo la promessa dell’Italia, che si riprenderanno i fuggiaschi".
Ma di quante persone stiamo parlando? Sarebbero circa 300 profughi sbarcati ad Amburgo ed altrettanti a Monaco di Baviera. Bild scrive che dovrebbero rientrare nei loro paesi in aereo "a spese dei Paesi coinvolti". Con il rientro in treno o autobus sussiste il pericolo - avverte il tabloid tedesco - di fuga durante il tragitto. Già a fine marzo, il ministero dell'Interno aveva avvertito le autorità dei Laender tramite una circolare: "Nel territorio federale, in particolare sui bus e treni che oltrepassano il confine della Baviera meridionale, è segnalato l’arrivo crescente di appartenenti a Stati terzi dall’Italia". Sprezzante il commento del ministro dell’Interno della Baviera, Joachim Herrmann (Csu), citato dalla Bild: "Il comportamento del governo italiano è sfacciato". Secondo il giornale tedesco l’Italia avrebbe dato documenti e soldi a 5.700 profughi originari del Nordafrica, a condizione di lasciare la Penisola.
L'Italia per ora non commenta. Una nota diffusa dal ministero dell'Interno precisa che "la somma forfettaria di 500 euro" è stata corrisposta agli immigrati "al fine di contribuire alle spese di prima necessità e a supporto di un percorso di integrazione in Italia". "Ovviamente - si legge ancora - qualora lo straniero sia in possesso di un valido permesso di soggiorno e siano soddisfatti i requisiti di ingresso e soggiorno previsti dall’art. 5 della Convenzione Schengen, lo straniero può circolare e può rimanere nel territorio tedesco, come nel territorio di uno degli altri Stati membri, per un periodo di tre mesi trascorsi i quali le autorità tedesche devono rinviarlo in Italia".
Piaccia o no ai tedeschi, il problema immigrazione riguarda tutta l'Europa, non solo i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sulle cui coste approdano i disperati provenienti dall'Africa. Servono risposte comuni. Non ci vuole molto a capirlo.



Cara Germania, tieniti gli immigrati
il Giornale, 31-05-2013
Tony Damascelli
Stanno arrivando. Anzi vengono segnalati già rosacei sulle rive dei laghi di Garda e simili. Prossimamente con sandali e calzini occuperanno Rimini e dintorni. Non trattasi di profughi e clandestini, sono (...)
(...) i tedeschi, quelli che da qualche tempo ce l'hanno con l'Italia e gli italiani. Non dico di Frau Angela che nemmeno rivolge un saluto ad Enrico Letta, primo ministro, e nemmeno gradirei ricordare Herr Günther Oettinger, commissario europeo per l'energia, il quale ci ha messi sulla stessa linea di inaffidabilità di Romania e Bulgaria, lui che quanto a inaffidabilità e ingovernabilità parla per esperienza, avendo mollato pubblicamente la consorte per convivere con una compatriota di venticinque anni più giovane.
Ma la polemica alimentata dai media di Germania sulla calata di profughi dall'Italia alla «Crande Nazionen» per un pugno di euro, cinquecento per l'esattezza, mi sembra davvero l'ultima goccia dinanzi alla quale il capo dello Stato dovrebbe tracimare e mettere sull'attenti l'avversario. A parte il fatto che quei denari servono per soddisfare i primi bisogni, questa è una prassi comune ad altri Paesi e non in esclusiva italiana.
I tedeschi non digeriscono l'arrivo di extracomunitari e africani (sono i profughi della ribellione libica); in verità, negli anni belli per loro, li prelevavano gratuitamente.
I tempi sono cambiati ma la testa è rimasta la stessa, über alles, se sono italiani allora il gioco è scontato. Del resto anche noi, quando vogliamo divertirci e portare come esempio nelle barzellette qualche bamba doc, mettiamo il tedesco al centro della storiella.
Dunque quella dei profughi con biglietto pagato per Amburgo, Colonia, Stoccarda, e il resto di casa Merkel, è una calunnia, una balla, una notizia inesistente perché non risulta da nessun documento, in mano ai ministri di Berlino, l'invito italiano ad emigrare verso la Germania.
Trattasi allora di provocazione, miserabile e volgare, aggiungerei razzista, visto che l'aggettivo va di gran moda dalle nostre parti. Ieri la Bild ha aggiunto la sua testata a quelle dell'Hamburger Abendblatt e a Der Spiegel che avevano aperto le danze sull'argomento con accuse precise al nostro Paese.
È la stampa libera, quella presentabile direbbe qualche bella gioia nostrana. Non c'è da stupirsi, siamo mandolinari, spaghettari, mafiosi, poi, improvvisamente, quando la luce della primavera illumina, si fa per dire, il land ecco che cercano il sole e il mare nostrum, spendendo il minimo, restando preferibilmente sotto i cinquecento euro, una settimana tutto compreso. Benvenuti al sud, d'Europa. Noi vi aspettiamo a braccia aperte. Voi a braccio teso.
Post scriptum: giunge notizia dell'assassinio di un ingegnere italiano accoltellato per strada, a Monaco di Baviera, da un cittadino tedesco. Informate Günther Oettinger, l'energia di cui si occupa è questa. Auf wiedersehen.



Stranieri irregolari, il conto dei controlli
Avvenire, 31-05-2013
Paolo Lambruschi
Ma quanto ci costano i Cie e i controlli alla frontiere, poco dignitosi per le persone e alla fine inefficienti per la sicurezza. L’accusa di sprechi viene da due studi i quali, conti alla mano, puntano il dito contro le politiche italiane di contrasto all’immigrazione irregolare, che hanno impiegato oltre un miliardo e 600 milioni di euro per cercare - invano - di chiudere le porte della fortezza Europa negli ultimi sei anni. Senza contare che 55 milioni se ne vanno ogni anno per tenere in vita il "buco nero" dei Cie, che "ospitano" (non sono formalmente detenuti) centinaia di migranti in attesa di identificazione ed espulsione con un limite massimo di trattenimento di 24 mesi. Una scelta bipartisan, visto che sono stato istituiti nel 1998 dalla legge Turco-Napolitano e via via ampliati dai governi dei due schieramenti.
Cifre importanti in epoca di crisi, tagli e spending review, impennatesi dopo il 2009 con il pacchetto sicurezza per i migranti e poi, ancora, con l’Emergenza Nordafrica, ma che hanno prodotto nemmeno 80 mila rimpatri. Lo rivelano l’indagine “Costi disumani” redatto dall’associazione Lunaria con il supporto di Open Society Foundations e lo studio risalente ai primi di maggio curato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa intitolato "Criminalizzazione dell’immigrazione irregolare".
Secondo Lunaria la spesa pubblica per fronteggiare gli ingressi e le presenze illegali, dal 2005 al 2012, ammonta a un miliardo e 668 mila euro, di cui 1,3 stanziati dallo Stato italiano e 281 milioni dall’Unione Europea. Un miliardo è stato speso per l’attività dei vari centri per migranti, come Cie e Cara, mentre 330 mila sono stati impiegati nel controllo delle frontiere (al 50% circa fondi comunitari) e 117 milioni nelle cooperazione internazionale con paesi terzi. Venti milioni sono andati al rimpatrio volontario assistito e 37 ai rientri forzati
La ricerca denuncia anche scarsa trasparenza e “reticenza delle autorità competenti, in particolare il ministero dell’Interno, a fornire dati e informazioni a soggetti terzi”. La frammentazione delle fonti di finanziamento rende difficile tracciare un quadro chiaro. Non è possibile, infatti, aggiungere le cifre stanziate dall’Italia per il funzionamento dell’agenzia europea Frontex per il controllo delle frontiere.  Il rapporto, che esamina documenti ufficiali italiani, comunitari e internazionali, conclude che i Centri di identificazione e di espulsione non sono efficaci nel contrasto all’immigrazione irregolare ed espongono i migranti a gravi violazioni dei diritti umani “inaccettabili in uno Stato di diritto”. Pertanto è urgente chiuderli, conclude Lunaria, ripetendo quanto chiesto a gran voce da numerose organizzazioni della società civile.
Conclusioni alle quali era giunto, solo con valutazioni economiche, anche il Sant’Anna, i cui curatori calcolavano - mettendo insieme i costi di gestione, quelli per l’attività legale e quelli di costruzione e ristrutturazione delle strutture - in 80 mila euro la spesa per costruire un solo posto letto in più, in circa 20 milioni di euro l’anno la gestione complessiva di tutti i Cie italiani, in 350 euro il gratuito patrocinio a carico dello Stato per una sola persona, mentre 10 euro servono per l’emissione di ogni provvedimento di convalida del trattenimento da parte del giudice di pace e 20 costa il giudice per ogni udienza.
A fronte di questi danari,  su 169mila persone “transitate” nei centri tra il 1998 e il 2012, sono state soltanto 78mila (il 46%) quelle effettivamente rimpatriate contro 540 mila migranti rintracciati in Italia in posizione irregolare tra il 2005 e il 2011. Sempre in quel periodo gli stranieri che non hanno ottemperato all’espulsione sono stati il 60%, pari a 326mila persone, mentre i respinti alla frontiera sono stati il 13,6% (73.500 persone), gli allontanati sono stati pari al 26,1% (141.020). Nel complesso, quindi, chi è stato allontanato tramite respingimenti alle frontiere e provvedimenti di espulsione rappresenta il 39,7% del totale dei migranti rintracciati in posizione irregolare. E nel 2009 con la sanatoria le domande di chi lavorava in nero e senza permesso sono state 134mila. Altro che politiche di sicurezza, insomma. A fronte dell’ingente spesa pubblica i risultati delle “politiche del rifiuto” sono limitati e inefficaci. Trovare un’alternativa credibile è la nuova rotta, ma per ora resta una sfida.



Migrantes: urgente un cambio di rotta
Avvenire, 31-05-2013
Paolo Lambruschi
Riformare i Cie e rivedere tutta la normativa sull’immigrazione alla luce dell’inclusione. Per monsignor Giancarlo Perego, direttore della Migrantes, le analisi dei ricercatori colpiscono per vari aspetti.
«Anzitutto perché i rimpatri sono stati pochi e poi perché le sanatorie dimostrano che i numeri degli irregolari presenti sul territorio sono sempre alti e le espulsioni e i rimpatri sono stati pochi, nemmeno 80 mila a fronte di un miliardo e 600 milioni di spesa pubblica. Quindi la gestione dell’immigrazione solo attraverso politiche securitarie si è rivelata troppo costosa e in defintiva fallimentare. Occorre davvero cambiare rotta, bisogna ragionare in termini di accoglienza e inclusione degli immigrati: forse ci costerebbe meno e sarebbe più produttivo. Ritorno a quelle che furono le conclusioni della Commissione De Mistura nel 2007, cambiare la legge Bossi-Fini. Mi pare che oggi ci sia maggiore serenità e questi tempi di crisi paradossalmente possono aiutare la politica a rivedere l’intero sistema dell’immigrazione evitando questi sprechi. Serve una riforma».
Anche sui Cie monsignor Perego condivide le critiche di Lunaria, presentate già da diversi soggetti della società civile che ne chiedono la chiusura o il superamento.
«Anche in questo campo i costi presentati dal rapporto sono troppo elevati rispetto a quelli che sarebbero i risultati. Stiamo parlando di un miliardo per tutti i tipi di centri che accolgono i migranti. Il periodo di detenzione così lungo nei Cie e le stesse condizioni di vita in cui si trovano i migranti nei centri e che hanno provocato tensioni, sono stati oggetto di osservazioni critiche da parte dell’Europa perché i tempi massimi di permanenza non possono superare i 30 giorni. Sono passati ormai 15 anni da quando vennero istituiti e mi sembra che si veda. Allora a mio avviso è tempo di superare i Cie, trovando forme di accoglienza più dignitose in altri tipi di centri e soprattutto prevedendo tempi molto più rapidi di permanenza degli ospiti con il rimpatrio di quelle categorie che non hanno effettivamente diritto di restare in Italia. Serve davvero un cambio di rotta e lo studio dimostra che è tempo di agire».
Anche padre Giovanni La Manna, gesuita e direttore del Centro Astalli di Roma, da anni sostiene la necessità di chiudere i Cie e di rivedere tutte le politiche di accoglienza.
«Chiudere i Cie? Siamo in ritardo. Non è possibile concettualmente rinchiudere per mesi una persona perché priva di documenti. Magari è un potenziale richiedente asilo. E poi quanto ci mettiamo a identificarlo e a rispedirlo a casa? Logico che si creino tensioni e frustrazioni». Padre La Manna aggiunge al computo dei costi anche i soldi spesi per addestrare i libici al respingimento dei migranti e quelli per costruire centri di detenzioni in Libia.
«Facciamo il lavoro sporco per l’Ue che con il sistema dei respingimenti di potenziali e dei centri di espulsione ha azzerato il diritto di asilo e la Convenzione Onu sui rifugiati del 1951 . Più in generale servirebbe che l’Italia adottasse un sistema unico per i rifugiati. C’è lo Sprar, il sistema dei comuni, che arriva a stento a 4000 posti, mentre con l’Emergenza Nordafrica, quella che doveva portare uno tsunami umano, è stato creato un sistema parallelo che ha portato nelle tasche di chi gestiva ostelli e alberghi 46 euro a persona al giorno. Sono soldi dei contribuenti che vengono sprecati. Era meglio darli ai migranti direttamente. E se con l’estate cominciassero gli sbarchi a Lampedusa, vedrete che grideremo ancora all’emergenza. Il governo tecnico aveva intenzione di migliorare i Cie. Non basta imbiancarli, bisogna chiuderli perché sono inutili e costosi e oggi la politica dovrebbe seriamente rivedere un sistema che spesso porta a lucrare sulla vita dei migranti».
 


«Ius culturae» e revisone della Bossi-Fini
Il momento è adesso
Avvenire, 31-05-2013
Paolo Borgna
Sentiamo dire: con tutti i problemi che ha l’Italia, è proprio questo il momento per parlare di cittadinanza ai figli degli stranieri e di abrogazione del reato di clandestinità? Ebbene, sì: il momento è ora. Perché un governo di larghe intese è l’occasione migliore per sottrarre la materia dell’immigrazione al terreno della propaganda e delle astrattezze ideologiche. E per ridisegnare finalmente, intorno a questo tema, un grande patto civile.
Un patto sorretto da due pilastri: una politica di intelligente e generosa accoglienza e di pieno riconoscimento dei diritti, accompagnata da un convinto e determinato contrasto alla criminalità, che assicuri, soprattutto ai ceti più deboli che vivono nei quartieri popolari delle nostre grandi città la certezza che i nuovi flussi migratori non scardineranno le fondamentali regole di convivenza.
È ora il momento di riconoscere che il reato di 'clandestinità', con la sua forte connotazione ideologica, appartiene alla propaganda. È un reato inutile e ingiusto. Promette risultati che non può raggiungere: perché la sanzione prevista per questo reato – poche migliaia di euro di ammenda – non è certo tale da spaventare i delinquenti incalliti. In compenso, è iniquo: perché riesce invece a spaventare il lavoratore onesto anche se 'irregolare', che spesso ha tentato inutilmente di 'regolarizzarsi'; e alla fine si vede coinvolto in un processo penale, che lo schiaccia crudelmente sullo stesso piano di uno spacciatore o di un rapinatore. Un’ingiustizia ancor più grave se si tiene conto del fatto che la nostra legge sugli ingressi per chi è in cerca di lavoro, con le sue prassi e i suoi tempi lunghi di applicazione, costringe alla irregolarità migliaia di stranieri che hanno un lavoro, una casa, un datore di lavoro che vorrebbe regolarizzarli ma non ci riesce.
Questo giornale lo denuncia da tempo: l’attuale sistema degli ingressi – fondato sulla «chiamata nominativa» di una persona che sta all’estero e, dunque, il datore di lavoro non conosce – si basa su una finzione: che domanda e offerta di lavoro si incontrino all’estero; mentre tutti sappiamo che esse si incontrano nel luogo in cui il rapporto di lavoro deve svolgersi e le persone possono conoscersi. È la legge del mercato: ogni giorno invocata, ma dimenticata soltanto in questo caso. Da questa finzione deriva una 'clandestinizzazione di massa', che coinvolge soggetti che nulla hanno a che fare con il circuito criminale.
L’unico modo per prosciugare questa 'clandestinità di massa' è quello di favorire l’immigrazione regolare, dandole norme precise, procedure snelle, tempi brevi. E così concentrarsi sulla repressione dei delitti e sulla espulsione (effettiva e non solo cartacea) dei loro autori.
Se riuscissimo a ragionare sui fatti e sulle condizioni reali, potremmo alla fine scoprire che su queste considerazioni è d’accordo la stragrande maggioranza degli italiani: anche quelli pronti ad applaudire le campagne contro i 'clandestini' ma pronti, poi, a fare carte false per assumere e regolarizzare quel 'clandestino' così bravo e così utile alla loro famiglia o alla loro azienda. E potremmo anche scoprire che magari quegli stessi italiani sono pronti ad ammettere che al figlio di quel loro dipendente, nato in Italia e che già frequenta la scuola elementare, sia giusto riconoscere la cittadinanza italiana.
Perché questo è il diritto che oggi si vuole introdurre. Non si tratta di dare la cittadinanza a qualunque bambino che, magari casualmente, nasce in Italia; ma a chi già di fatto fa parte della nostra comunità: ad esempio perché è nato da genitori che da anni vivono e lavorano in Italia e frequenta le nostre scuole. È lo ius culturae, che Avvenire ha già da tempo indicato come la strada giusta. È, speriamo, l’idea illuminata anche di questo governo di larghe intese.



Lezione americana sullo ius soli
L'Espresso, 31-05-2013
Roberto Saviano L'antitaliano
Tre nosrri concittadini. Rami Abou Eisa è nato a Biella nel 1987 da genitori egiziani. Suo padre vive in Italia da 33 anni e ha tre fratelli piú piccoli. E l'unico della sua famiglia a non avere la cittadinanza italiana perché quando i sui genitori l'hanno ottenuta lui era già maggiorenne. Ha fatto domanda per la cittadinanza ad agosto 2007 e non ha ancora ricevuto risposta. Non può viaggiare all'estero e non può tornare in Egitto perché per il governo egiziano è un disertore non avendo fatto il servizio militare. Ha 25 anni,studia archeologia a Torino come studente extra-comunitario, pur essendo italiano.
VALENTINO AGUNU è nato a Roma, nel 1987. I suoi genitori sono venuti in Italia dalla Nigeria sei anni prima che lui nascesse. Ha tre sorelle nate e cresciute in Italia. Quando lui era in prima media, con la famiglia, è tornato in Africa, per poi trasferirsi a New York. Valentino ora vive in Italia anche se ha perso i requisiti per chiedere la cittadinanza. Ora ha un permesso di soggiorno per motivi di studio.
Anastasio Moothen è nato a Parma da genitori delle Mauritius. Alla fine delle scuole superiori, non avendo trovato un lavoro, è stato quasi un anno senza permesso di soggiorno. Non poteva iscriversi all'università, non poteva viaggiare e non poteva partecipare concorsi pubblici.
Molto spesso, di fronte alla paura, di fronte al diverso, di fronte al diverso che genera paura, il buon senso arretra. E se rileggiamo la storia dell'uomo dalla prospettiva dei cambiamenti, della introduzione anche di nuovi diritti, comprendiamo quanto, la nostra, sia una storia fatta di conservazione. Eppure il popolo italiano, in un passato recentissimo, è stato vessato da insulti, luoghi comuni, pregiudizi. E che ora sia cosi disposto ad aprirsi a logiche razziali è cosa singolare.
«Gli italiani sono generalmente di piccola statura e di pelle scura, non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché indossano lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e di alluminio nelle periferie delle città, dove vivono vicini gli uni agli altri Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso cucina, dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue per noi incomprensibili, forse antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l'elemosina. Fanno molti bambini che faticano a mantenere. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici, ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche. Propongo che si privilegino i veneti e i lombardi, tardi di comprendonio e ignoranti, ma disposti piú di altri a lavorare». Cosi venivano descritti gli italiani nel 1912, in una relazione dell'ispettorato all'immigrazione del congresso Usa, in un documento ufficiale.
A noi può sembrare assurdo, ma tanto più assurdo è il fatto che con le stesse parole, ancora oggi, molti italiani descrivano gli immigrati che arrivano qui.
OGGI SEI ITALIANO se hai almeno un genitore italiano. Se nasci da genitori stranieri, solo quando compi 18 anni puoi chiedere la cittadinanza. Ma se la tua famiglia per un periodo non è stata residente in Italia, perdi il diritto a chiederla. Poi, quando la chiedi, i tempi per ottenerla sono iunghissimi. Sono un milione i ragazzi nati in Italia, che parlano italiano, che sono italiani ma che non hanno la cittadinanza. Vivono con permessi di soggiorni, se non studiano e non lavorano diventano clandestini. Sono talenti per il Paese, se perdiamo questi Cittadini, perdiamo un valore aggiunto morale ed economico.
Mi piace ricordare Fiorello La Guardia, figlio di padre pugliese e madre triestina, che nel 1933 diventa sindaco di New York perché li esiste lo ius soli. A lui New York deve moltissimo: la possibilita che le minoranze hanno avuto di dimostrare il loro talento, l'arresto di Lucky Luciano, scattato un minuto dopo l'insediamento come sindaco. Neanche per un attimo gli americani lo hanno considerato non americano perché nato da genitori stranieri. L'America non ha rinunciato a quel talento e a quella possibilità. Perché rinunciarci noi?



Musei gratis anche per tutti i figli degli immigrati
CIRDI, 30-05-2013
Un piccola, buona notizia. D’ora in poi, almeno al botteghino dei nostri musei, i figli degli immigrati saranno uguali ai figli degli italiani. E potranno scoprire gratuitamente i tesori dell’arte e la storia del loro Paese.
Tre anni fa raccontammo il caso di tre bimbi di una scuola media di Vicenza, in gita a Firenze con i loro compagni, che però, al contrario di quegli stessi compagni, avevano dovuto pagare per entrare agli Uffizi. Sui loro documenti, infatti, c’era scritto che erano serbi, come i loro genitori. E il regolamento degli Uffizi (come quello del museo Egizio di Torino, della Reggia di Caserta e di tutti gli altri musei italiani) prevede l’ingresso gratuito solo per i bimbi italiani o comunitari. Merito di un decreto ministeriale che equipara agli italiani i bimbi romeni, polacchi o comunque cittadini dell’Ue, dimenticandosi però dei minori extracomunitari, che fino a oggi hanno dovuto pagare il biglietto. Una gabella che non ha colpito solo i figli dei turisti i visita al Belpaese, ma anche ragazzini cresciuti e magari anche nati in Italia, cioè le cosidette seconde generazioni che la legge si ostina a considerare “stranieri”. Nel resto d’Europa non è così. Al Louvre di Parigi, al Prado di Madrid o al Van Gogh Museum di Amsterdam i minori non pagano. Indipendentemente dalla loro nazionalità. E finalmente anche l’Italia sceglie questa linea.
“Il Ministro per i Beni e le Attività Culturali e il Turismo, Massimo Bray, ha deciso di consentire l’accesso gratuito ai luoghi della cultura sul territorio nazionale anche ai minori extracomunitari” spiega oggi un comunicato del ministero, ricordando che “la limitazione ai soli minori comunitari dell’ingresso gratuito, secondo il vigente decreto ministeriale n.507 del 1997, ha portato sempre più spesso al verificarsi di spiacevoli e imbarazzanti situazioni”. Situazioni che Bray definisce “non degne di un Paese che guarda all’integrazione tra i popoli e vede nel suo patrimonio culturale una delle principali risorse”. Quella norma “contrasta inoltre con i principi della Convenzione sui diritti del fanciullo ratificata a New York il 20 novembre 1989”.
Bisognerà cambiare la legge? Probabilmente sì, ma “in attesa di un adeguamento normativo coerente con l’ordinamento e con gli obblighi internazionali, il Ministro ha dato disposizione a tutti gli uffici di recepire immediatamente queste valutazioni, consentendo così l’entrata gratuita nei musei statali anche ai minori extracomunitari”.
Fonte: Stranieri in Italia.it

 

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