Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 giugno 2013

Rifugiati, il rapporto dell’Onu
Arriva l’effetto Siria È boom di profughi
Nel mondo sono 45 milioni , mai così tanti dal 1994
La Stampa, 21-06-2013
Tomaso Clavarino
I numeri fanno rabbrividire, a maggior ragione se si pensa che la cifra raggiunta è la più alta dal 1994 a oggi: 45 milioni e 250 mila persone, è questo il numero degli sfollati nel mondo nel 2012. Di questi circa 15 milioni e mezzo sono rifugiati, 937 richiedenti asilo, mentre quasi 29 milioni sono le persone costrette a lasciare le loro case pur rimanendo all’interno dei confini dei loro Paesi. Persone fuggite da conflitti, repressione, disastri ambientali e carestie, e provenienti, per il 55%, da Paesi dove sono in corso guerre o violenti conflitti interni: Afghanistan, Siria, Iraq, Somalia e Sudan.
«Sono numeri allarmanti – ha affermato António Guterres, Alto Commissario dell’Onu per i Rifugiati, durante la presentazione del report «Global trends» redatto dall’Unhcr – che riflettono sia sofferenze individuali su larga scala che le difficoltà della comunità internazionale nel prevenire conflitti». Quello siriano è certamente l’indiziato numero uno per l’aumento del numero dei rifugiati nel mondo. Secondo l’Unhcr solo nel 2012 sono state oltre 600 mila le persone costrette a fuggire da Damasco, Aleppo, Homs, in quello che è stato il più grande esodo annuale da parte di un singolo gruppo di rifugiati dal 1999 a oggi. Allora erano state 867 mila le persone costrette a fuggire dal Kosovo. Inimmaginabile è anche il numero degli sfollati rimasti all’interno dei confini siriani: oltre quattro milioni, cifra che contribuisce al raggiungimento del più alto numero di persone, all’interno di questa categoria, da vent’anni a questa parte.
Sempre secondo l’Unhcr dall’inizio del conflitto siriano, nel 2011, sono stati oltre un milione e 600 mila i rifugiati oltre confine, più di metà dei quali bambini. Numeri che raccontano una crisi che non sembra avere mai fine. Una crisi che costringe oltre 23 mila persone ad abbandonare le proprie case ogni giorno e che fa sì che oltre il 46% del totale dei rifugiati sia composto da bambini e ragazzi con meno di 18 anni. Non è un caso quindi che nel 2012 l’Unhcr abbia registrato il più alto numero di richieste di asilo da parte di bambini non accompagnati: oltre 21 mila. L’Afghanistan si riconferma per il 32° anno consecutivo il Paese con il più alto numero di rifugiati (due milioni e 500 mila), seguito dalla Somalia (un milione e 100 mila) e dall’Iraq (740 mila). Paesi dove i conflitti vanno avanti da anni e la situazione sembra essersi stabilizzata. Sono invece i nuovi fronti di guerra ad allarmare gli operatori delle ong e dell’Unchr. Paesi come Siria, Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Mali, potrebbero far aumentare nei prossimi mesi il triste bilancio degli sfollati.
Sul tema è anche intervenuto, con un messaggio rivolto all’Unhcr, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, affermando che «la comunità internazionale ha più che mai il dovere di impegnarsi affinché i diritti fondamentali della persona umana siano non solo invocati ma soprattutto tutelati».



Appello da Lampedusa per le donne rifugiate
Avvenire, 21-06-2013
Claudio Monici
Sono 119 e il più piccolo ha sette mesi. La madre viene da un Paese del Corno d’Africa, del padre non si sa nulla, ma si sospetta qualcosa. Anche per loro, che da qualche giorno sono sistemati, in condizioni inadeguate a causa del sovraffollamento, nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa, l’altro ieri è stata la «Giornata internazionale del rifugiato». Profughi, emigranti del mare, rifugiati in cerca di tutela e garanzie di libertà, soprattutto di salvezza che per loro vuol dire una vita nuova. Più sicura.
Tante storie, diverse per provenienza, ma tutte, comunque, legate fra loro da un unico «filo d’Arianna» che fa rabbrividire e che si dipana lungo una buia e impervia strada fatta di violenze subite e patite e di incubi, viaggi che durano anni, che neppure con una seconda vita si potranno mai cancellare. Come probabilmente è stata costretta a vivere su di se la donna che allatta il suo maschietto di sette mesi, dai tratti somatici troppo diversi, più mediterranei.
Dall’1 gennaio di quest’anno, poco meno di 8000 migranti sono approdati sulle coste italiane, dalla Puglia alla Sicilia, 1140 minori, di cui 985 non accompagnati, soli. Come i 119 che in questi giorni sono «naufragati» a Lampedusa, per lo più sono eritrei e somali.
Ognuno di noi porta con se quel suo personale libro di momenti e memorie, come fosse un album che raccoglie le più belle fotografie della vita. Un cammino che ci appartiene, per sempre.
Poi qualcosa accade: la nostra personale pellicola cinematografica si spezza a metà di quel sentiero e la storia che prima narrava di un bel film adesso cambia bruscamente e diventa incubo.
E quell’album di memorie andrà a raccogliere i segreti del terrore vissuto sulla propria pelle: i vestiti strappati da mani odiose, gli abusi e le violenze orrende subite, le frustate sulla schiena e i calci nella pancia, l’umiliazione, la schiavitù, il carcere a patire ulteriori violenze, le lacrime per gli amici che non sono riusciti a stare in piedi e la cui vita è stata spezzata prima di quell’ultimo gradino che avrebbe permesso loro di superare il tunnel di fatica sulla pista che moltissimi esseri umani si trovano costretti a percorrere per agguantare uno scoglio su cui sta scritta la frase: «Rifugiato, sei arrivato».
Sono da romanzo dell’orrore, i racconti che emergono nelle testimonianze raccolte dagli operatori di «Save the Children Italia» presenti a Lampedusa per garantire la prima assistenza ai minori in cerca di protezione. Un progetto del Ministero dell’interno, con la collaborazione di «Unhcr», «Oim», e «Croce rossa».
Viviana Valastro, coordinatrice del team di «Save the Children», da qualche giorno sta pensando alla vicenda di una ragazzina eritrea di 16 anni che a Lampedusa che è arrivata con «la mia bambina che ha tre anni».
«Abbiamo voluto approfondire il caso, con appropriati colloqui, perché c’era qualcosa che non quadrava: lei molto giovane e quel bambino – racconta la Valastro –. Infatti l’adolescente ha raccontato di avere subito violenza sessuale. Sappiamo che il 90 per cento delle donne sono vittime di violenze sessuali, anche se temiamo che la percentuale in realtà sia il cento per cento. Così come sappiamo che per passare da questa parte del mondo bisogna pagare qualcuno, è chiaro che le donne sono vittime due volte. Molti dei banbini che portano con loro sono il frutto di queste violenze. Lo capiamo subito, quando osservandole al loro arrivo, sui loro volti notiamo uno sguardo assente, che non è quello di una madre felice».
La terra dell’oblio è la Libia. Il transito è un inferno anche per gli uomini. Sopratutto per i giovani che finiscono nelle carceri dove non esiste separazione tra adulti e minori, le violenze continuano nel buio e nel silenzio.
Non è facile fare da catalizzatore di queste testimonianze che grondano tragedie che non riusciamo neppure ad immaginare.
«Dobbiamo farlo per questi giovani soli. Ogni loro racconto aumenta le nostre motivazioni – conclude Viviana Valastro –. Fare di più e meglio, per strapparli da sofferenza e solitudine».



Che reato è quello di essere diverso da un fantomatico "noi"?
Gli Altri, 21-06-2013
Fabio Massimo Nicosia
Del resto, noi tutti siamo "migranti" in senso lato, veniamo tutti da un ceppo asiatico o africano, e il fatto di essere eredi dei nostri bisnonni non ci dà titoli particolari di precedenza o priorità. Certo, non si può negare che, in alcuni casi, l’attrito sia reciproco, come nel caso di alcune condotte dei musulmani. Il problema fondamentale che si pone, allora, è se diversi stili di vita siano compatibili, o, come dice Robert Nozick, «co-possibili», ovvero se l’accettazione di una condotta diversa dalla nostra comporti l’impossibilità, per noi, di adottare le nostre condotte incompatibili. Prendiamo l’esempio del velo delle donne. L’islamica che porta il velo non pretende affatto che altrettanto facciano le "nostre" donne, sicché le due condotte sono compatibili e co-possibili.
Altrettanto vale per l’alimentazione: gli islamici non mangiano carne di maiale, ma a loro volta non pretendono che noi si faccia lo stesso. Sicché la nostra comunità può ben ricomprendere entrambe le condotte. Per fare un esempio a prima stazione ogni tanto e, tutto sommato, la resa nei confronti dello status quo (a prescindere del discorso degli aborti clandestini in regime di proibizione). L’aborto è quindi un caso dubbio nel criterio che abbiamo adottato (condotte co-possibili), pur non avendo a che fare direttamente con la questione dell’immigrazione. Se quindi chi osteggia l’immigrazione fa ciò in nome della difesa dei nostri costumi, dovrebbe quantomeno dimostrare che l’immigrato non solo richiede di comportarsi secondo la propria cultura, ma che anche pretende di imporre questa a noi. D’altra ,parte, chi sono questi "noi"? E del tutto pretestuoso invocare una presunta "nostra" condotta. Noi viviamo infatti in un contesto, almeno in teoria, liberaldemocratico, cioè laico, in cui tutte le condotte diverse sono ammesse, in quanto non pretendano di imporsi alle altre, ed è questa l’unica "integrazione" che può interessare a un liberale. É fastidioso, ad esempio, sentire invocare da un presentatore televisivo la "nostra" religione, perché noi non abbiamo una "nostra" religione, ma disponiamo della libertà di seguire una religione purchessia o di non seguirne nessuna.
A volte qualcuno invoca il criterio di reciprocità, asserendo che noi non dovremmo "cedere" ai costumi degli immigrati, se loro non fanno lo stesso nei nostri confronti a "casa loro". Si tratta, anche in tal caso, di una proposta contraria alla "nostra" cultura liberale, dato che non è buona cosa per noi vestirci da teocrazia come risposta alle teocrazie altrui. Venendo al tema, del referendum, è agevole affermare, seguendo la dottrina classica del diritto penale, che il reato di mera "immigrazione clandestina" ricade nelle figure di reato del "tipo d’autore", in cui viene criminalizzato qualcuno non per ciò che fa, ma per ciò che è: nella fattispecie qualcuno che si trova nel nostro territorio senza permesso. Ma le regole che riguardano il rilascio dei permessi, oltre a gonfiare inutilmente le carceri, sono a loro volta opinabili. Ad esempio, si pretende irragionevolmente che un immigrato venga in Italia solo se già dispone di un contratto di lavoro, ma non è chiaro come possa trovare lavoro qualcuno che sta a migliaia di chilometri di distanza, quando nemmeno i cittadini spesso ci riescono pur stando... sul luogo. E poi chi dice che un immigrato debba per forza essere lavoratore dipendente (per svolgere lavori che gli italiani rifiutano, magari), e non lavoratore autonomo? Ma per divenire tale occorre che il mercato sia aperto, con libera circolazione di capitali, di beni, di servizi e di persone, come avviene o dovrebbe avvenire nell’ambito dell’Unione Europea.
E poi c’è la questione di chi disponeva di un lavoro, ma che per qualsiasi motivo l’ha perduto. É sensato che costui debba essere espulso, privandolo della chance di trovare un altro lavoro regolare, senza costringerlo alla clandestinità e quindi al dumping tra proletari? Ecco, queste mi paiono buone e sufficienti ragioni per sostenere i referendum radicali, e spero che siano condivise da tutte le persone ragionevoli e razionali, che affrontino la questione, come si diceva all’inizio, con la testa e non con le viscere.

    
    
Rifugiati, la presidente della Camera "La crisi non giustifica i 'no' all'accoglienza"
A Roma la ricorrenza dedicata ai profughi di tutto il mondo ha visto la partecipazione di Laura Boldrini, del ministro per l'integrazione, Cecile Kyenge e del delegato dell'UNHCR per il sud Europa, Laurens Jolles. Tendenze "preoccupanti" nel rapporto presentato. Nel 2012, 7,6 milioni di persone sono state costrette alla fuga; 1,1 milioni hanno cercato rifiugio all'estero; 6,5 milioni sono sfollate nel proprio paese
la Repubblica, 20-06-2013
ROMA - Nel 2012 una persona è diventata rifugiato nel mondo ogni 4,1 secondi, raggiungendo i livelli più alti degli ultimi 18 anni: se alla fine del 2011 le persone coinvolte in tali situazioni nel pianeta erano 42,5 milioni, un anno dopo erano ben 45,1 milioni. Di queste, 15,4 milioni erano i rifiugiati, 937mila i richiedenti asilo e 28,8 milioni gli sfollati, coloro cioè costretti ad abbandonare le loro abitazioni, ma rimasti all'interno del proprio paese. E sono, peraltro, i paesi più poveri quelli che accolgono il maggior numero di rifugiati.
Si fugge più spesso e con rapidità. Lo attesta l'ultimo rapporto Global trends sulle tendenze a livello globale in materia di spostamenti forzati della popolazione, pubblicato dall'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR) nell'odierna giornata mondiale del rifugiato. A Roma la ricorrenza ha visto la partecipazione, tra gli altri, del presidente della Camera, Laura Boldrini, del ministro per l'integrazione, Cecile Kyenge, e del delegato UNHCR per il sud Europa, Laurens Jolles. Una delle tendenze "preoccupanti" evidenziate dal rapporto è proprio "la rapidità" con cui le persone sono costrette a spostarsi. Durante il 2012, infatti, 7,6 milioni di persone sono state costrette alla fuga, delle quali 1,1 milioni hanno cercato rifiugio all'estero e 6,5 milioni sono rimaste sfollate all'interno del proprio paese. E' questo il dato che consente di affermare che ogni 4,1 secondi una persona nel mondo diventa rifugiato o sfollato.
L'80% dei profughi approdano nei paesi poveri. D'altra parte lo scorso anno sono state 526mila le persone uscite dalla condizione di rifugiato e 2,1 milioni quanti hanno smesso di essere sfollati. Anche per questa ragione, parallelamente, il rapporto UNHCR evidenzia come, complessivamente, i paesi in via di sviluppo ospitano l'81% dei rifugiati di tutto il mondo, in netto aumento rispetto al 70% di un decennio fa: la metà dei 10, 5 milioni di rifiugiati che rientrano nel mandato di UNHCR (i quasi 5 milioni di rifugiati palestinesi ricadono, invece, nella competenza dell'altra agenzia Onu, UNRWA) sono accolti in paesi che hanno un reddito pro capite annuo inferiore a 5mila dollari Usa.
Il primato dell'Afghanistan come "fornitore" di sfollati. Nel 2012 l'Afghanistan ha mantenuto il primato - che detiene da 32 anni - di primo paese d'origine al mondo di rifugiati: è infatti afgano un rifugiato su 4, laddove le guerre restano la principale causa alla base degli spostamenti forzati di popolazione. E' sempre il Global trends ad affermarlo, sulle tendenze a livello globale in materia di spostamenti forzati della popolazione, pubblicato dall'UNHCR che evidenzia come il 55% di tutti i rifugiati dei paesi presi in esame provenga da appena 5 nazioni colpite da conflitti: dopo l'Afghanistan, Somalia, Iraq, Siria e Sudan. Importanti nuovi flussi si registrano anche in uscita da Mali, Repubblica Democratica del Congo, dallo stesso Sudan verso il Sud Sudan e l'Etiopia. Sono bambini e adolescenti di età inferiore ai 18 anni il 46% dei rifugiati al mondo. Nel 2012, inoltre, è stata registrata la cifra record di 21.300. Domande d'asilo presentata da minori non accompagnati o separati da genitori, il numero più alto mai registrato dall'Alto  mmissariato.
L'intervento di Laura Boldrini. L'Europa può e deve fare di più contro la xenofobia: ne è convinta il presidente della Camera, Laura Boldrini, intervenuta alla conferenza dell'UNHCR per la Giornata mondiale del rifugiato. La Boldrini ha invitato tutti - "cittadini e Stati membri, non solo le istituzioni europee troppo spesso additate come capro espiatorio" - a far "sentire la propria voce per contrastare la xenofobia crescente in tutto il continente e le forze politiche che la fomentano e la utilizzano a scopi elettorali". Secondo la terza carica dello Stato, i temi dell'asilo e dell'immigrazione troppo spesso sono entrati a far parte del dibattito politico "in maniera ideologica" mentre andrebbero affrontati "in maniera più serena e pragmatica". Il presidente della Camera ha poi invitato il Parlamento a discutare "al più presto" il progetto di riforma del sistema comune d'asilo approvato pochi giorni fa dal Parlamento europeo. "E' importante", ha sottolineato la Boldrini, augurandosi che "anche grazie al contributo dell'Italia, si giunga finalmente ad un sistema di asilo europeo che garantisca standard alti e uniformi in tutti i Paesi membri dell'Ue".
"La crisi non basta per negare l'accoglienza". "La crisi economica non può essere invocata - ha aggiunto la presidente della Camera - per negare standard di accoglienza dignitosi a chi fugge da violenze e persecuzioni. L'italia, che è ormai divenuta il sesto paese europeo per numero di rifugiati accolti, deve dare prospettive di integrazione e di inclusione sociale", ha detto Laura Boldrini, nelle nostre città, e a Roma in particolare, da troppo tempo si moltiplicano gli insediamenti informali, dove uomini, donne e bambini a cui lo Stato italiano ha deciso di dare protezione, vivono in condizione di grave degrado, nelle nostre periferie".



VIA DAL PD LA CONSIGLIERA ANTI IMMIGRATI
Corriere ella sera, 21-06-2013
Marco Gasperetti
PRATO — La paura deve essere stata tanta per quella sorella minacciata da un ladro magrebino in camera da letto. Tanto da spingere Caterina Marini, 30 anni, renziana di ferro, consigliera di circoscrizione e membro della segreteria provinciale del Pd di Prato, ad accendere il computer e postare sul suo profilo Facebook un messaggio dai toni così razzisti da lasciare a bocca aperta amici, parenti e soprattutto i compagni di partito. «Che città di merda è questa. Extracomunitari ladri stronzi dovete morire subito», ha postato la Caterina furiosa facendo scatenare un pandemonio. Non solo perché adesso il suo partito la vuole processare e cacciare per quelle frasi «che violano i principi stessi di solidarietà e convivenza civile del Pd», ma perché in città dove gli extracomunitari sono ufficialmente 30 mila (soprattutto cinesi) e, si mormora, quasi il doppio gli «invisibili». La gente si è divisa e addirittura la Marini ha incassato la solidarietà molto scomoda di Forza Nuova, il gruppo di estrema destra.
Il problema è che la consigliera non pare essersi ravveduta, almeno completamente. E addirittura dopo aver lanciato il messaggio choc a chi le chiedeva se lei, già portavoce del partito e donna di mediazione, avesse avuto un colpo di sole per il gran caldo causato dall'anticiclone ha replicato secca e decisa con un altro post xenofobo. «Era un magrebino. Agile come un gatto. E datemi di razzista, non me ne frega niente. La gente ha solo discorsi».
In tanti hanno cercato di dissuaderla a continuare nel turpiloquio razzista, ma solo dopo qualche ora le frasi incriminate sono state tolte, ma non sono servite a spegnere le polemiche, che da Prato si sono spostate a Roma. Il capogruppo della Lega Nord al Senato, Massimo Bitonci, ha accusato il Pd di aver chiuso gli occhi davanti all'episodio di inaudita ignoranza. «Mi chiedo dove siano nascosti lo sdegno della Finocchiaro, la rabbia della Bindi, l'irritazione di Letta o l'ira di Franceschini — ha scritto il senatore — solitamente sempre pronti a puntare il dito di fronte ai passi falsi del prossimo, ma zitti e muti di fronte allo sproloquio osceno ed offensivo fatto oggi su Facebook da una consigliera del loro partito».
La reazione del Pd, a dir la verità, non si è fatta attendere troppo. Ed è stata il segretario del Pd pratese, Ilaria Bugetti, forse la campagna di partito più vicina alla Marini (era stata la sua portavoce), a dire che quelle affermazioni gravissime meritano espulsione dal partito. Certo, ci sarà una commissione che deciderà. «Ma secondo me con quelle dichiarazioni — ha ribadito Ilaria Bugetti —. Caterina è di fatto fuori dal Partito democratico e i motivi mi sembrano chiari: le sue parole violano i nostri principi fondanti che da sempre si rispecchiano nell'anti-razzismo, nella non-violenza e nel rispetto della convivenza. Così ho chiesto una decisione del partito».
Gli unici, per ora, ad esprimere solidarietà alla consigliera democratica sono stati gli esponenti di Forza Nuova. Che, in una nota (che ha provocato nel Pd nuovi imbarazzi e mal di pancia), hanno scritto di non poter che «essere solidali con la consigliera pratese e con la sua famiglia per il grave episodio che ha colpito la sorella e capiamo benissimo che quanto scritto su Facebook è stato uno sfogo esternato in un momento di particolare rabbia e paura».



Afragola, africani picchiati “Ci trattano come animali”
In pochi giorni si moltiplicano gli episodi di violenza contro la comunità nera
Il Fatto, 21-06-2013
Antonio Massari
Afragola (Napoli). Afragola cambia pelle, passo dopo passo, mentre dalle luminarie accese di corso Garibaldi ti avvicini alla piazza del Municipio: si fa sempre più nera, a ogni isolato, in ogni corte che s'apre e in ogni basso abitato. “Uagliò, epassstapall! ”, dice un ragazzino nero al suo amichetto bianco. La versione afragolese dello spot sui biscotti Ringo, purtroppo, non rispecchia la realtà. Anzi. Sabato notte un ragazzo del Burkina Faso è stato aggredito a legnate da due coetanei: mentre scriviamo è ricoverato nel reparto di chirurgia maxillo facciale dell'ospedale Cardarelli di Napoli. Suo cugino ci racconta l'aggressione: “L'hanno fermato mentre era in bici, l'hanno stretto con le spalle al muro, poi l’hanno colpito con un asse di legno, sulla testa, ma lui ha schivato il colpo e la legnata l’ha colpito in faccia”. A quanto pare - anche se non risultano altre denunce - non si tratta di un caso isolato. Fratture al volto, denti rotti, trauma fisico e psichico, per questo bracciante, che dall'Africa ha tentato la fortuna nella provincia di Napoli, la degenza in ospedale si profila lunga e dolorosa. Ieri è morto Samuel, ghanese che gestiva un internet point vicino piazza del Municipio, ma a quanto pare non s’è trattato di razzismo. Le indagini sono in corso, ma un fatto è certo: è volato giù da un terzo piano. Gli inquirenti stanno abbandonando l’ipotesi del suicidio: a lanciarlo dal balcone sarebbero stati degli italiani, tre giorni fa, ferendolo in modo mortale. Forse aveva infastidito qualcuno. E quel qualcuno s’è fatto giustizia da sé. Afragola sembra tranquilla, mentre il sole tramonta, e i bordi della fontana di piazza del Municipio ospitano italiani e immigrati, gli uni accanto agli altri, senza alcuna apparente tensione. Ma basta fare qualche domanda per capire che qui siamo arrivati al-l’umiliazione del tiro a segno: “C'è chi ci colpisce con le patate mentre torniamo a casa”, dice un uomo in un italiano stentato. “Abbiamo visto ragazzi in auto con mazze di legno. Ti fermano, e se gli rispondi, ti menano”.
STORIE di ordinaria umiliazione. E di scarse denunce: in tre anni, a parte il caso di Ibrahim, non ricordo alcuna denuncia, dice un investigatore. Va detto che se sei clandestino, però, denunciare è l'ultimo dei pensieri che può venirti in mente. E lo sfogo di Barah e del suo amico è duro: “Lavoriamo in campagna e nei cantieri, ci pagano poco e paghiamo i contributi, facciamo una vita di merda e adesso non possiamo neanche uscire la sera. Gli animali non pagano le tasse: quindi non possiamo essere degli animali. Però qui da animali ci trattano. E ora ci siamo stancati”. Due giorni fa, dopo il pestaggio del giovane Ibrahim, è stata indetta una manifestazione, qui di fronte al municipio, a cui hanno partecipato immigrati e italiani venuti anche da Napoli. Ma una manifestazione non basta. È necessaria un'inversione di rotta, in questa città, che a detta del suo stesso sindaco, Domenico Tuccillo, sta vivendo un razzismo strisciante. “Andrò a trovare Ibrahim in ospedale, per dare un segnale alla comunità degli immigrati e a quella degli afragolesi. È stato senza dubbio un episodio di razzismo: è un problema che sta crescendo di pari passo con la crisi economica che, in realtà come le nostre, già in sofferenza per la scarsa occupazione, creano disgregazione e conflittualità sociale”. Qui gli immigrati sono migliaia, da decenni, eppure “non c'è un'anagrafe che li censisca - dice il sindaco, che s'è insediato da pochi giorni - manca la conoscenza adeguata della loro condizione. Eppure, le assicuro, questo paese ha una grande tradizione di accoglienza”. C'è un forte sentimento religioso. E anche un forte attaccamento, però, alle ricchezze materiali. “Siamo in gran parte un popolo di edili e carpentieri: la crisi ci ha messo in ginocchio. C'è una gran fame di lavoro. Non credo sia un fenomeno che riguarda solo Afragola: in scala nazionale, a mio avviso, il razzismo e il conflitto stanno deflagrando per colpa della crisi”, spiega il sindaco. Sarà, ma qui gli immigrati denunciano di non voler più uscire la sera per strada, perché oramai si sentono il bersaglio di ragazzi armati di mazze. E con l'umiliazione - basti ricordare i giorni nefasti di Rosarno - il conflitto può trasformarsi in sommossa e guerriglia. Su corso Garibaldi le luminarie azzurre e rosse risplendono, tra bancarelle e negozi che chiudono, mentre gli afragolesi scendono per strada, pronti a salutare Sant’Antonio da Padova che, intorno alle dieci, sfilerà per tutta la città. Pochi giorni fa, a Napoli, è stato ucciso un ragazzo del Bangladesh. Dice Jammil Qaddora, responsabile immigrazione per Cgil Campania: “ Ad Afragola c'è stato un ferito e un morto. Se si tratta di semplice delinquenza o peggio, di camorra, bisogna alzare la guardia. Non vorrei invece che si trattasse di razzismo e, in questo caso, siamo pronti a grandi manifestazioni”.



Dietro le critiche la lotta assurda all’immigrazione
La Stampa, 21-06-2013
Giovanna Zincone
Lo ius soli di stile europeo, il solo in discussione oggi in Italia, non prevede che il figlio di uno straniero nato sul posto diventi all’istante un cittadino, vuole che ci sia andato a scuola o che i suoi genitori ci vivano da tempo. La distinzione tra ius soli puro, che per semplicità chiamiamo all’americana, e ius soli temperato all’europea pareva ormai entrata nel dibattito pubblico nostrano. Non solo, sembrava pure che la variante europea fosse giudicata con favore da un numero crescente di politici raziocinanti di qualunque partito, non ultimo il governatore Zaia. Una riforma di questo tipo che – come è stato detto – allineerebbe la legislazione italiana alla gran parte degli Stati europei può rappresentare ancora motivo di scandalo? Pare proprio di sì. C’è chi, come Sartori, si indigna e dà dell’ignorante proprio a coloro che invece non ignorano di cosa si stia parlando. Lo spauracchio di uno ius soli all’americana, che nessun politico responsabile ha mai proposto per l’Italia, viene agitato ancora in questi giorni fuori luogo e fuori tempo: un fantoccio polemico per ripescare un’espressione di Einaudi.
Ma coloro che se la prendono con una proposta inesistente, così come quelli che mugugnano perfino per una mini revisione che prevede di non tener conto di inadempienze amministrative dei genitori, di fatto hanno un bersaglio più grande e assurdo: l’immigrazione. Purtroppo l’assurdo alligna tra gli umani.
La riluttanza di fondo ad accettare l’immigrazione è un malessere diffuso tra molti cittadini europei, non solo tra gli italiani. Gli scossoni sociali non si assorbono facilmente, richiedono tempi lunghi. Proprio per questo è bene inserire elementi di razionalità che contrastino le pur comprensibili reazioni di spaesamento e di insofferenza. Si tratta di un esercizio abusato, ma evidentemente vale la pena di ripeterlo di tanto in tanto. Ci riprovo.
Si può razionalmente pensare che la presenza di immigrati sia un fenomeno temporaneo e reversibile? Si può ancora credere che si tratti di un incidente di percorso della società italiana, miracolosamente destinata a restare, unica nell’occidente, popolata di soli autoctoni, tutt’al più contornati da lavoratori stranieri destinati ad andarsene? Le ultime valutazioni indicavano più di 5 milioni di residenti stranieri, l’8 per cento della popolazione, con percentuali più alte sulla popolazione più giovane e sui nuovi nati. Possiamo ignorare il peso dei numeri? E vogliamo sul serio credere che le attività preminenti tra queste persone consistano nel delinquere o bighellonare per strada? Nel 2012 gli immigrati erano il 10,2% degli occupati in Italia. I lavoratori stranieri rappresentano un polmone della nostra economia: sono infatti più presenti dei nazionali nelle nuove leve degli assunti, ma sono anche stati colpiti dalla crisi molto più degli italiani. Tra il 2008 e il 2012 il loro tasso di disoccupazione è cresciuto di 2 punti percentuali in più rispetto a quello degli italiani. Chi auspica il blocco degli arrivi dall’estero dovrebbe osservare che quando l’immigrazione rallenta o si ferma è assai probabile che l’intera economia sia inceppata. La crisi ha drasticamente ridotto i nuovi ingressi di immigrati e il governo ha programmato per ora solo permessi di lavoro stagionale. Si segnalano flussi di rientro nei Paesi di origine. Sono tutti segnali negativi: ci dicono che qui manca lavoro per tutti, ma ci dicono anche che la componente straniera rappresenta un fattore di flessibilità molto importante per il sistema economico. Gli immigrati costituiscono poi circa l’80% del lavoro domestico. Mi pare superfluo ricordare a chi vede l’immigrazione come un flagello biblico, il ruolo determinante che questi lavoratori svolgono nel coprire grosse lacune del nostro welfare familiare.
Le migrazioni evidenziano problemi, carenze congiunturali e strutturali. E non sempre le risolvono. In una recente conferenza al Collegio Carlo Alberto di Moncalieri, un brillante economista, Eric Hanushek, ha illustrato – tema ormai ben noto – la forte relazione empirica che esiste tra capitale umano, tra competenze realmente acquisite, da una parte, e crescita economica, dall’altra. E ha indicato l’Italia come un Paese perdente nel confronto con altre economie avanzate: attardato sia sul fronte delle capacità acquisite con l’istruzione, sia conseguentemente sul fronte della crescita. Si aggiunga che il nostro Paese esporta più studenti universitari, più giovani laureati e lavoratori altamente istruiti di quanti ne importi. E questo è un danno. Altro che chiudere le porte a giovani stranieri capaci, per paura che rubino il lavoro ai nostri. Dobbiamo, invece, impegnarci a importare capitale umano e dovremmo al contempo produrne di più: pretendere maggiore qualità dai nostri sistemi di istruzione e più raccordo tra istruzione e lavoro. Si tratta di investimenti a lungo termine, ma necessari e, con il tempo, tremendamente redditizi. Per intanto è bene avere chiaro che la domanda di lavoro non è un bacino immutabile o destinato a un’inevitabile contrazione, non è una torta che lavoratori nazionali e immigrati si litigano tra loro. La presenza sul territorio di lavoratori capaci ai vari livelli è uno dei fattori, anche se certo non il solo, che può attrarre capitali esteri, ingrandire la torta, creare nuove opportunità di lavoro per tutti. Una società e un sistema economico piccoli, chiusi, spaventati e senescenti sono proprio l’opposto di quel che ci serve per la crescita. E non dimentichiamo che gli stranieri sono anche consumatori, inquilini, acquirenti di case: sono anche domanda, non solo offerta. Insomma, se è innegabile che l’immigrazione crei problemi e che quei problemi vadano affrontati, tuttavia fissare l’attenzione solo sul lato oscuro non aiuta a far crescere l’Italia. La cosa vale anche con riferimento specifico ai bambini stranieri. La nostra popolazione è pericolosamente vecchia. Dobbiamo dolerci del fatto che stiano nascendo meno figli di immigrati. Abbiamo un gran bisogno di quei bambini ai quali non si vorrebbe dare la cittadinanza prima dei 18 anni. Ne abbiamo bisogno non solo per la nostra economia, in particolare per l’annoso problema del saldo pensionistico, ma perché ci piace che scorrazzino nei cortili delle nostre scuole e nei nostri giardini. Non credo che basti dare a loro e ai loro genitori un permesso di soggiorno permanente, come suggerisce Sartori. Peraltro già ora, dopo 5 anni di residenza regolare, si può ottenere la carta di soggiorno CE a tempo indeterminato e farla avere ai familiari. Può darsi che alla gran parte degli immigrati questa soluzione vada bene, ma dovrebbe preoccupare gli italiani. Operare in modo che milioni di lavoratori e di loro discendenti siano esclusi il più a lungo possibile dalla cittadinanza e dalla comunità politica non giova alla salute della nostra democrazia. Forse la bontà a volte ci inganna, ma il malanimo, a pensarci bene, ci inganna più spesso.



Lega, insulti alla Kyenge in Veneto. Su Facebook 'epiteto' offensivo
Dopo il caso della leghista padovana, il ministro dell'Integrazione ancora nel mirino del Carroccio per aver definito gli immigrati "una risorsa". Zaia: "Insulti da condannare senza se e senza ma"
la Repubblica, 20-06-2013
ROMA - Dopo il caso degli inviti allo stupro di Dolores Valandro, la leghista padovana, poi espulsa dal Carroccio, sulla pagina ufficiale Facebook della sezione della Lega di Legnago (Verona) è comparsa la riproduzione di un articolo nel quale il ministro dell'Integrazione Cecile Kyenge definisce gli immigrati una risorsa, accompagnata dal commento: "Se sono una risorsa...va a fare il ministro in Congo! Ebete". Lo riferisce il "Corriere di Verona".
Il segretario della locale sezione del Carroccio, Marco Pavan, ha spiegato che "in dialetto veneto 'ebete' è un aggettivo che diventa persino affettuoso e vuol dire ingenuo". Pavan poi ha precisato che il post contro Cecile Kyenge "voleva evidenziare tre dimenticanze del ministro: gli immigrati possono essere regolari o clandestini, che i regolari, se integrati, possono essere una risorsa mentre i clandestini non pagano tasse, che la necessità di avere un lavoro oggi è per prima dei nostri giovani e di quei padri che non riescono a mantenere i figli".
Gli insulti al ministro dell'Integrazione, Cecile Kyenge, "devono essere condannati senza se e senza ma". Così Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, censura quanto scritto sulla pagina facebook della sezione di Legnago della Lega Nord.
"Questi continui casi, oltre a dare uno spaccato che non rappresenta il pensiero della Lega, non ci permettono di parlare dei problemi reali e di avere un confronto con il ministro Kyenge, di cui non condividiamo l'azione politica", ha spiegato. "Chi pensa di fermare l'azione del ministro offendendola sbaglia - ha aggiunto - Serve, e vogliamo, un confronto rigoroso, in cui sia possibile dissentire, ma civile ed educato".



Polistena: l’Asgi denuncia una segnalazione “illegale”
CIRDI, 20-06-2013
Si va a curare, non ha con sé il permesso di soggiorno. Per questo viene chiamata immediatamente la polizia, che prontamente si reca a prelevare la persona. Il tutto è illegale. La normativa italiana, nonostante quello che tentò di fare l’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni con il pacchetto sicurezza, vieta esplicitamente di legare il diritto alle cure alla regolarità del permesso di soggiorno.
Succede a Polistena, in provincia di Reggio Calabria. E’ qui che solitamente si rivolgono anche i migranti che lavorano e vivono a Rosarno, visto che lì non ci sono ospedali – anzi, la storia dell’ospedale di Rosarno (quasi 15 mila abitanti) è uno scandalo, visto che la struttura fu completata nel 1991 ma non è mai stata utilizzata. Comunque: giovedì scorso un ragazzo straniero si presenta al Pronto soccorso di Polistena, accompagnato da un volontario di un’associazione locale. La denuncia di quanto accaduto arriva da un comunicato stampa dell’Asgi, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione.
I medici avrebbero immediatamente chiesto se avesse i documenti in regola. Il volontario ha fatto presente quali sono i termini di legge. Non pochi, e i medici dovrebbero conoscerli tutti: l’articolo 35 del T.U. precisa come “l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”. Ma quando è obbligatorio il referto? L’art.365 del codice penale esclude l’obbligo di referto dei sanitari quando esso esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Ma non basta: l’art.6 del testo unico sull’immigrazione prevede espressamente un’eccezione alla regola dell’obbligo di presentare i documenti di soggiorno proprio con riferimento all’accesso alle prestazioni sanitarie. Senza contare il diritto alla salute riconosciuto dalla Costituzione come nucleo irriducibile dei diritti di ogni essere umano.
Insomma: ce n’è abbastanza perché ai medici venisse almeno un dubbio. Ma l’impressione del volontario e della persona che voleva essere curata, è che il meccanismo all’ospedale di Polistena sia consolidato. Arriva uno straniero che ha l’aria di essere un irregolare (quale sarà poi l’aria di un “irregolare”)? Per prima cosa si chiama la polizia. La quale, come puntualizza il comunicato stampa del direttivo dell’Asgi che denuncia il grave episodio, è arrivata immediatamente e ha portato la persona in questura. “Non si può certo dire si sia trattato di un mero disguido e sorge spontaneo il fondato sospetto che tale episodio non rappresenti un caso isolato bensì la prassi seguita dal personale sanitario ivi operante – denuncia l’Asgi – che risulta avere replicato alle obiezioni sollevate richiamandosi ad un preteso (quanto infondato) obbligo di denuncia in relazione al (puramente presunto) reato di presenza irregolare sul territorio di cui all’art.10 bis del T.U. sull’immigrazione. Non di meno stupisce il comportamento tenuto dalle forze dell’ordine, che avrebbero dovuto astenersi dall’intervenire in tale contesto”.
Abbiamo provato più volte a comunicare con l’ospedale, che pur servendo una zona molto ampia (tutta la Piana di Gioia Tauro) non ha neanche un Ufficio per le relazioni con il pubblico. Due volte siamo riusciti a parlare con la Direzione Sanitaria, chiedendo spiegazioni e conferme sul comportamento dei sanitari. La persona che ha risposto entrambe le volte, una donna che non ha detto il suo nome – il direttore sanitario dell’ospedale comunque è una donna, Loredana Carrera – ha detto più volte di non poter parlare con i giornalisti e allo stesso tempo che alla direzione non era arrivata alcun tipo di segnalazione. Poi, purtroppo, è “caduta la linea” e il telefono è rimasto occupato per ore. In ogni caso l’Asgi si riserva azioni legali e osserva potenziali “profili penali” nell’azione dei sanitari. Intanto, l’associazione si rivolge all’amministrazione dell’ospedale, chiedendo un immediato accertamento dei fatti e un conseguente provvedimento disciplinare.
Nel 2009, all’epoca dell’approvazione del “pacchetto sicurezza” ci fu un’aspra battaglia proprio sulla volontà di togliere il divieto di denuncia per i medici. Manifestazioni di piazza, ma anche battaglie in parlamento. E alla fine quella norma, giudicata da molti pericolosa, uscì dal decreto legge. Ma come si vede ha evidentemente dato i suoi frutti. Nel suo comunicato l’Asgi ribadisce il pericolo che con comportamenti di questo tipo “si inducono gli immigrati a tenersi alla larga dalle strutture sanitarie pubbliche sino a quando le patologie assumono gravità tale da non consentire scelta, così ledendo al tempo stesso la salute delle persone, favorendo la diffusione di eventuali patologie infettive e comunque dando luogo alle maggiori spese per la cura ed il ricovero a fronte di patologie aggravatesi nel frattempo”. Infine un particolare secondario, ma non di poco conto: la persona portata in questura i documenti ce li aveva. Regolari.
Fonte: Cronache di ordinario razzismo.org



 

 

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