Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 maggio 2010

MARONI, IN UN ANNO RESPINTI IN LIBIA 850 CLANDESTINI
ASCA, 10-05-2010

Roma, - ''Su un totale di 37mila sbarchi, sono stati respinti 850 clandestini ma non ne sono arrivati 35mila, grazie all'accordo tra Italia e Libia. Si sono fermati in Libia per il controllo che le autorita' libiche hanno fatto e continuano a fare. Questo e' il dato positivo''. Lo ha detto il ministro Roberto Maroni, intervenuto questa mattina a La telefonata di Maurizio Belpietro su Mattino Cinque.

Sullo scontro con Fini sulla concessione della cittadinanza, Maroni ha spiegato che la Lega ''e' un partito serio che mantiene gli accordi presi dal governo.

Tutto quello che c'e' nel programma di governo per noi e' impegno politico e morale, quello che non c'e' si discute''.









Accordo Ue-Libia entro la fine dell'anno

Immigrazione.aduc, 10-05-2010

Il settimo Round dei negoziati fra Libia e Unione Europea si terra' a Tripoli i prossimi 8 e 9 giugno per portare a un Accordo di Cooperazione e Partenariato in tutti i settori, entro la fine del 2010. Lo ha annunciato a Tripoli l'ambasciatore Adrianus Koetsenrujter, rappresentante dell'Ue in Libia con base in Tunisia.
I punti caldi da affrontare a giugno - secondo quanto ha spiegato alla stampa il diplomatico dell'Ue - sono: 'la libera circolazione delle persone', 'il riconoscimento in Libia di alcuni organismi internazionali come la Corte Penale', 'il riconoscimento del ruolo di rifugiati per immigrati di alcuni Paesi come Somalia e Eritrea' e 'facilitazioni tecniche agli scambi commerciali fra Europa e Libia'.
L'ambasciatore Koetsenrujter ha sottolineato di aver accolto con favore i risultati del 22/mo Vertice della Lega Araba, svoltosi a Sirte a fine aprile, dicendo che 'l'Europa ha apprezzato il ruolo costruttivo della Libia nella ricerca di una soluzione pacifica in Medio Oriente'. L'Unione europea, ha spiegato l'ambasciatore alla stampa, si augura poi che il prossimo Summit tra Ue e Unione africana, che si svolgera' in Libia nel mese di novembre 2010, 'sara' coronato dal successo, attraverso l'attuazione di un piano d'azione per i prossimi tre anni per promuovere il partenariato tra le due organizzazioni'.
La Libia e l'Ue hanno condotto fino ad ora sei tornate negoziali per giungere alla firma di un accordo di cooperazione nel quadro del Memorandum d'Intesa firmato tra le due parti il 23 luglio 2007 a Tripoli.










Letizia Moratti, i clandestini che non hanno un lavoro delinquono

Rainews24, 10-05-2010

"I clandestini che non hanno un lavoro regolare, normalmente delinquono". Ad affermarlo e' il sindaco di Milano, Letizia Moratti, durante un convegno all'Universita' Cattolica di Milano dedicato all'immigrazione.

L'affermazione pronunciata dal sindaco nell'Aula Magna dell'ateneo alla presenza del ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha suscitato diversi brusii di disapprovazione da parte del pubblico in platea.

Lasciando l'Universita', il sindaco Moratti ha rinnovato il
suo appello al Viminale a modificare il reato di clandestinita' per rendere possibili espulsioni rapide nel caso lo straniero irregolare sia in attesa di un processo per altri reati.










La Moratti: "Rendere effettive le espulsioni Un clandestino con altri processi resta in Italia"

il Giornale, 10-05-2010

"Le leggi vanno rispettate - ha osservato il sindaco di Milano a un convegno alla Cattolica - ma un clandestino colto in flagranza non può essere espulso se ha altri processi a suo carico. Per questo il reato va assorbito con altre fattispecie" (video). Il Vaticano: "Urgente promuovere l'integrazione"
Milano - "I clandestini che non hanno un lavoro regolare normalmente delinquono". Lo ha detto il sindaco di Milano Letizia Moratti, intervenendo all’Università Cattolica di Milano al convegno "Per un’integrazione possibile" alla presenza del ministro dell’Interno Roberto Maroni. L’affermazione del sindaco, che ha parlato dopo l’esposizione dei risultati di una ricerca sui processi migratori e le periferie urbane, è stata accolta da un brusìo di disapprovazione da parte del pubblico presente nell’aula magna dell'università.

Altri processi in corso "La clandestinità - ha chiarito Letizia Moratti - è un reato. Ma un clandestino colto in flagranza non può essere espulso se ha altri processi in corso". Quindi "per rendere efficace il reato di clandestinità - è il ragionamento del sindaco di Milano - occorre assorbirlo in altre fattispecie di reato allo scopo di rendere effettiva l’espulsione". Dopo aver sottolineato che a Milano c’è il doppio di alunni stranieri rispetto alla media italiana, il sindaco ha ammesso che nel capoluogo lombardo ci sono altri "casi come via Padova e ci possono essere anche in altre situazioni".

Vaticano: promuovere l'integrazione "In un Paese come l’Italia, che ormai conta un buon numero di immigrati e si confronta con una forte pressione immigratoria, è sempre più urgente l’attuazione di progetti per l’integrazione": così il presidente del pontificio consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti, monsignor Antonio Maria Veglio. I "tristi fatti" di via Padova, a Milano, così come "altre vicende, accadute in Italia negli ultimi mesi, pongono grandi interrogativi sulla gestione dell’immigrazione in zone periferiche già a rischio", ha detto l’esponente vaticano".

Il ruolo della scuola Per l’arcivescovo la scuola "deve partecipare alla ricerca di soluzione dei problemi umani più urgenti e, dunque, è importante investire nella ricerca e nell’insegnamento sui temi riguardanti, per esempio, la democrazia, i diritti umani, la pace, l’ambiente, la cooperazione e la comprensione internazionale, la lotta alla povertà, il dialogo interreligioso e tutte le questioni connesse allo sviluppo sostenibile. Ma - ha aggiunto - sono importanti anche nuovi investimenti sul tema della cittadinanza e della partecipazione, sulla preparazione di educatori, sulla mediazione culturale e su quella sociale. Vi è necessità di una nuova politica fiscale, della casa, dell’accompagnamento e della sicurezza sociale, della tutela della salute e della vita di tutti".









Nei sindacati il 15% di stranieri
Quasi un milione di tessere nei confederali e 123mila associati a Sei-Ugl

il Sole, 10-05-2010
Francesca Maffini

Sfiorano il milione, fermandosi a quota 963mila. Sono i lavoratori stranieri che, a fine 2009, erano in possesso di una tessera sindacale. Già oggi potrebbero essere di più. Stando ai dati forniti al Sole 24 Ore del lunedì dalle sigle confederali, alla fine dello scorso anno la Cisl contava poco più di 379mila lavoratori immigrati tra i suoi iscritti, la Cgil circa 378mila e la Uil 2o6mila. Se si aggiungono i 123mila del sindacato emigrati immigrati (Sei) di Ugl, ovvero coloro che, arrivati da poco in Italia, non sono ancora regolari, si arriva a un milione 86mila. La metà di tutti i lavoratori stranieri in Italia.
«Sei-Ugl è una sorta di "pronto soccorso" che offre tutela contrattuale e sindacale, aiuto per la cittadinanza e la regolarizzazione, assistenza legale e fiscale» spiega Luciano Lagamba, presidente del sindacato. Ugl non ha un elenco degli iscritti immigrati perché, quando il lavoratore diventa regolare e se decide di prendere la tessera, non viene più registrato il suo paese d'origine.
Rispetto al 2008, quando erano poco più di 8oomila, gli iscritti stranieri ai tre principali sindacati sono aumentati del 17 per cento. I lavoratori immi- grati, oltre a essere una voce portante per l'economia (il loro contributo equivale a circa 122 miliardi di euro, il 9,7% del Pil nazionale), sono anche il motore della crescita dei sindacati. Nel 2000, i tesserati extra-comunitari erano 22omila: in dieci anni sono più che quadruplicati, rappresentando quasi il 15% del totale degli iscritti in attività.
Costruzioni (l'Istat calcola che su 100 operai edili, 46 sono stranieri), servizi di cura alla persona e agroindustria sono i settori che raccolgono il maggior numero di iscritti stranieri. Tra questi, alcuni ricoprono ruoli dirigenziali all'interno del sindacato. Rando Devole, nato a Tirana 43 anni fa, in Italia da venti, laureato alla Sapienza di Roma in lettere e scienze sociali, è un esempio: da un anno è segretario nazionale della Fai-Cisl, la federazione agroalimentare. «La mia carica di segretario - spiega - è un segno del salto culturale che il sindacato ha fatto. Capiamo
che i bisogni dei lavoratori stranieri sono diversi da quelli italiani, così cerchiamo di farli convivere». E per il suo impegno a favore degli immigrati all'interno del sindacato, Ciampi, da presidente della Repubblica, gli ha conferito l'onorificenza di Commendatore dell'Ordine della Stella della Solidarietà Italiana. Unendo le sigle confederali, in tutto sono circa 1.500 i responsabili immigrati impegnati nelle strutture sindacali. Alcuni anche nei patronati affiliati. «A Cagliari lavora un tunisino, a Roma un nigeriano e una peruviana, a Prato due albanesi - racconta Alberto Sera di Ital (Uil) -. Ora, in una sede della capitale, stiamo provando a coinvolgere anche cinque mediatrici culturali per assistere gli impiegati italiani e favorire il dialogo».
Il sindacato, sottolinea Devole, è la prima porta aperta per un lavoratore straniero perché «la politica è lontana e lo Stato si mostra solo attraverso gli sportelli della burocrazia». Così, per le pratiche essenziali come la compilazione del permesso di soggiorno, dei ricongiungimenti familiari, delle pratiche di mobilità e assegni familiari, i lavoratori si rivolgono ai sindacati e ai loro patronati che hanno accesso diretto al portale delle poste per la compilazione online dei moduli.
Dopo anni, le loro richieste iniziano a entrare nei contratti di lavoro nazionale. «Per esempio, in alcuni settori, è stata riconosciuta la possibilità di accumulare i giorni di ferie in un unico periodo per tornare nel paese d'origine» sottolinea Liliana Ocmin, origini peruviane, in Italia dal 1993, oggi segretario confederale Cisl per il dipartimento Politiche migratorie, donne e giovani, che aggiunge un ulteriore tassello: «All'interno del Testo unico sulla sicurezza sul posto di lavoro, i sindacati sono riusciti a far entrare nei piani di prevenzione per la tutela dell'incolumità e della salute dei lavoratori, anche le diversità culturali tra i criteri fondamentali».
Le differenze ci sono e vanno valorizzate. La sfida inter-confederale per i prossimi anni, oltre alla lotta al caporalato "internazionale", è«la riforma della contrattazione di secondo livello - precisa Ocmin - lo strumento per conciliare le esigenze di lavoratori e datori di lavoro, italiani e immigrati».









Zuffa tra sindacati: Cisl accusa Cgil di gonfiare il numero degli iscritti stranieri

il Giornale, 10-05-2010
di Francesca Angeli

Un immigrato su due è iscritto ad un sindacato. La Cgil dichiara 380.000 stranieri tesserati nel 2009 e la Cisl 379.183. Ma per quest'ultima non è possibile che il sindacato di Epifani sia riuscito a raccogliere in soli otto mesi 80.000 iscrizioni.
Un immigrato su due è iscritto ad un sindacato. Ma quale? É guerra di cifre tra Cgil e Cisl che si accusano a vicenda di dare i numeri, ovvero di dichiarare molti più iscritti di quanti ne abbiano effettivamente
Tra gli stranieri gli iscritti ai sindacati sarebbero addirittura un milione su circa due milioni di immigrati regolari che lavorano in Italia. Uno su due appunto, una percentuale davvero alta se paragonata a quella dei lavoratori italiani che invece hanno una tessera soltanto nel 30 per cento dei casi. Nel 2009 la Cgil dichiara 5 milioni 746.167 iscritti totali di cui 380.000 stranieri che dunque rappresentano un discreto 6,6 per cento. Nello stesso anno la Cisl notifica 4 milioni 531.085 iscritti di cui 379.139 stranieri pari a una percentuale dell' 8,4 per cento. Infine la Uil con 2 milioni 174.151 iscritti in totale pari al 9,5 per cento.
Ed è proprio il numero degli stranieri iscritti alla Cgil che fa sobbalzare sulla sedia i rappresentanti della Cisl.
«É davvero sorprendente che la Cgil dichiari oggi di avere 380.000 iscritti tra i lavoratori immigrati, quando appena otto mesi fa, aveva comunicato ufficialmente di averne 297.000: senza offesa per una grande organizzazione come la Cgil, questo significa davvero dare i numeri al lotto», è il commento di Liliana Ocmin, segretario confederale Cisl e responsabile del dipartimento immigrati, giovani e donne. L'accusa di aver barato sui numeri per la Cgil è inequivocabile. La Ocmin si dichiara dispiaciuta per il fatto di dover «polemizzare sui dati di un altro sindacato» ma ribadisce di ritenere impossibile che «in soli otto mesi la Cgil abbia fatto 80.000 mila iscritti in più tra gli immigrati».
Le spiegazioni possibili sono soltanto due, conclude la responsabile Cisl: «o tutto il tesseramento della Cgil non è verosimile, oppure sugli immigrati ci troviamo di fronte ad un bluff solo per giustificare un sorpasso per niente credibile ai danni della Cisl che nel 2009 ha raggiunto 375.000 iscritti tra i lavoratori immigrati».
Il commento arriva alle orecchie del segretario confederale della Cgil, Enrico Panini, che lo definisce «sgarbato e presuntuoso». I dati della Cgil sono incontrovertibili, replica Epifani, che fornisce la sua spiegazione per il salto di 80.000 iscritti. «Il dato del 2008 era sottostimato e la progressiva informatizzazione degli archivi consente e consentirà una maggiore precisione analitica. -sostiene Epifani- Un fatto che si evince dagli approfondimenti forniti circa i paesi di origine, le classi di età, il sesso su un campione significativo di iscritti». Insomma tanti stranieri erano già iscritti o stavano per farlo ma la Cgil li ha calcolati soltanto dopo. E pure la Cgil dal canto suo avanza dubbi sulle cifre fornite dalla Cisl che potrebbe aver contato due volte lo stesso iscritto sommando le tessere Cisl con quelle dell'Anolf, l'Associazione nazionale oltre le frontiere promossa appunto dalla Cisl.









Le storie. Un viaggio tra delegati e dirigenti
Moulay «guida» gli edili, Qamil i tessili di Prato

il Sole, 10-05-2010
di Antonia Ilinova

Tra i sindacalisti stranieri ci sono artisti, avvocati, operai. Vengono da tutte le parti del mondo e in genere hanno avuto il tipico percorso in salita dell'immigrato, e sono tutti abbastanza giovani. Quando sono arrivati parlavano ucraino, arabo, romeno, albanese e ora dibattono su problemi burocratici e sindacali in milanese, romano o napoletano. Lo fanno con sicurezza e convinzione, come se il sindacato fosse proprio il vestito che hanno sempre voluto indossare. Rivestono ruoli diversi e ognuno dalla propria posizione - dal delegato al dirigente - difende i diritti dei lavoratori, indipendentemente dalla loro cittadinanza.
L'immigrato che oggi a livello verticale ha l'incarico più alto della scala gerarchica sindacale è Moulay el-Akkioui: il "tuareg" diventato segretario nazionale degli edili Cgil (Fillea). È approdato ai vertici del sindacato italiano nel 2006, dopo vent'anni di attività sindacale, prima da semplice delegato, poi da responsabile dell'immigrazione, poi ancora nelle segreterie provinciale e regionale e dopo esser stato segretario generale della Fillea di La Spezia «Mi sono fatto tutto il percorso e la gavetta per arrivare alla mia posizione attuale e sono fiero di esserci riuscito», dice Moulay.
È venuto dal Marocco nel 1987 portandosi in tasca una laurea in biologia, l'esperienza degli studi in matematica non conclusi all'università di Montpellier e un'infanzia da pastore e boscaiolo accanto al papà. Arrivato qui, e regolarizzato dalla legge Martelli, prima di iniziare la carriera da sindacalista, ha fatto l'analista di laboratorio, l'operaio, il giardiniere, girando un po' tutta l'Italia. «Quando penso a tutto quello che ho fatto - dice - mi sembra di aver vissuto duemila anni». Oggi Moulay ha la cittadinanza italiana ma il cuore resta marocchino. Ha 45 anni, una moglie e due figli: una famiglia di nuovi italiani musulmani. «Per raggiungere traguardi ambiziosi - spiega - servono principalmente tre cose: la passione, il rispetto e la competenza che si ottiene aggiornandosi continuamente e incrementando il sapere». La passione di Moulay nel suo lavoro è indubbia. Spicca anche quando vuole promuovere l'intercultura nel settore edile e quando insiste sulla necessità di concedere agli immigrati regolari i diritti che hanno gli italiani.
Ed è la stessa passione che si sente parlando con Qamil Zej-nati, rappresentante a Prato della Uilta-Uil, la categoria dei tessili, e responsabile dell'ufficio stranieri. «Ho bisogno del front-office - racconta - mi sento appagato quando posso colloquiare con le persone, capirle e aiutarle a risolvere i problemi lavorativi o burocratici che incontrano».
Nel '91 Qamil arriva in nave a Brindisi. Aveva da poco concluso gli studi di flauto traverso all'Accademia delle belle arti di Tirana. In Italia inizia a collaborare con il comune di Prato: fa da tramite nei rapporti tra l'amministrazione e i suoi connazionali che avevano bisogno di una sistemazione provvisoria, poi lavora nell'ufficio immigrazione e alla biblioteca comunale. Più tardi viene assunto in una ditta tessile e si iscrive al sindacato. Diventa delegato nel '96, nel '98 inizia la carriera da sindacalista attraverso la legge 300 e dal 2000 è dipendente Uilta. «Quando è nata la Uilta di Prato -precisa-io ero uno dei 17 tesserati fondatori. Ora gli iscritti sono 1300 di 113 etnie diverse».
Moulay e Quamil sono solo due esempi. Morad el-Omari, un altro marocchino, è segretario provinciale della Filca-Cisl di Teramo, oltre a essere dirigente della comunità islamica abruzzese. Arrivato in Italia nel 2000 con una laurea in economia, si è rimboccato le maniche e ha lavorato pri¬ma in una fabbrica e poi in un panificio per sei notti a setti-mana. È approdato alla Cisl dopo aver vinto un concorso letterario organizzato dall'Anolf (l'associazione della Cisl dedicata agli immigrati).
Alla Cisl di Padova c'è Abdoulaye Laity Fall, un informatico di quasi due metri venuto dal Senegal che tutti chiamano Pap. La Fillea di Pescara può vantare la presenza di un funzionario togolese, mentre Felix Andres Diaz Acevedo, della RepubblicaDomenicana, è delegato della Fai-Cisl di Verona. Nataliya Tsebryck, da due anni è dirigente nazionale del-l'Ugl. E arrivata dall'Ucraina nel '99 con due lauree e qui aiuta italiani e stranieri a far e il calcolo del Tfr o della pensione, a fare il ricongiungimento familiare o il rinnovo del permesso di soggiorno, operazioni che lei stessa chiama un "rompicapo". «Bisogna starci dentro per capire», dice.









Burqa e obbligo di farsi riconoscere

Corriere della Sera, 10-05-2010

Sono d'accordo con le considerazioni di Isabella Bossi Fedrigotti a proposito della multa alla signora musulmana con il burqa (Corriere, 4 maggio). D'accordo soprattutto sul fatto che non è più sopportabile questa specie di federalismo giudiziario per cui ogni sindaco emette ordinanze dilatando i poteri inopportunamente affidatigli in tema di sicurezza. Siccome tutto è riconducibile alla sicurezza dei cittadini, siamo di fronte a «diritti» che variano da città a città! Sulla questione specifica è un susseguirsi di ordinanze, multe, ricorsi al Tar che annulla multe e, a volte, ordinanze stesse. Occorre rapidamente una legge, possibilmente accompagnata dal necessario dibattito culturale, nel principio della armonizzazione europea.

Non si sa, ad esempio, che già da mesi in Commissione I alla Camera si stanno discutendo diversi testi di legge in materia e si sono già tenute audizioni con le rappresentanze del mondo musulmano e di esperti. Speriamo venga licenziata in fretta e contenga semplicissime norme: 1) ciascuno si può vestire come vuole in rispetto del proprio credo religioso o delle proprie tradizioni culturali, né può essere discriminato per questo 2) L'unico limite è il contrasto con precise norme legislative. 3) Il burqa o altro abbigliamento (casco integrale, maschere) che impedisca il riconoscimento della persona nascondendo il volto, non può essere indossato negli uffici pubblici o edifici di particolare interesse pubblico.
Marilena Adamo, senatrice Pd









Immigrazione difficile famiglia al capolinea

Bresciaoggi, 10-05-2010
Massimiliano Magli

CHIARI. Niente reddito e quindi niente contributi da parte del Comune
Ma i Servizi sociali si difendono: «Non c'è stata collaborazione»
Da grande Leroy, iscritto all'elementare «Martiri», vuole fare il calciatore; Jvette nonostante abbia da poco superato i dieci anni sembra già una mammina, mentre i grandi occhi di Suza, due anni soltanto, più che al futuro guardano all'affetto di mamma Joy e papà Ogieriakhi Ogifmwanre (in italiano si traduce in Davide). E i genitori, entrambi nigeriani, non possono che guardare con disperazione a una situazione ormai insostenibile, senza stipendio da quasi due anni e senza aiuti dal Comune di Chiari dove vivono (negli alloggi Aler di via Marchetti), perchè il nuovo piano socioassistenziale vieta di assegnare contributi a famiglie a reddito zero.
La conferma arriva dai Servizi sociali; dove spiegano la volontà di «non rendere recidivo il contributo, poiché è difficile che per un intero anno, oltre all'anno in corso, nessuno dei due genitori non abbiamo percepito almeno alcune migliaia di euro».
«Prima riuscivamo almeno a comprare medicine e alimenti - spiega Joy -. Ora siamo alla fine e non sappiamo nemmeno come andare avanti. Com'è possibile che fino a qualche anno fa la soglia di reddito era da zero a 4.500 euro, e ora invece chi non guadagna nulla non può avere diritto a un contributo?».
Davide parla inoltre di una situazione di discriminazione e disprezzo: «Accade ovunque - assicura -, per le strade ci sentiamo insultare. Sotto casa - ed estrae denuncia e fotografie - la mia automobile è stata vandalizzata spesso. Adesso, dopo un incidente recente, non ho più nemmeno l'auto».
Annamaria Boifava, assessore ai Servizi sociali, conosce bene il caso di questa famiglia: «Li seguiamo da sempre - dice - e abbiamo avuto per loro la massima comprensione. Non sono mancati i contributi in passato, ma dal 2007 a oggi il nostro aiuto poteva limitarsi solo ai voucher, perchè dopo aver erogato denaro per diverso tempo ci siamo visti costantemente rifiutare un preciso percorso di integrazione nel mondo del lavoro. Non vediamo la volontà di affrancarsi da questa situazione».
Quest'anno, ha ricordato l'assessore, sono stati previsti un totale di 24 voucher per aprile, maggio e giugno, «ma la famiglia li ha rifiutati perchè pretende di acquistare liberamente gli alimenti e di non essere vincolata soltanto ad alcuni posti».
L'ultimo colpo è stata l'esclusione dalla mensa scolastica di Jvette: «Così siamo costretti ad andare a prenderla a mezzogiorno e a riportarla alle 14 - commenta Joy -. Avrei preferito poterla sapere al sicuro a scuola, così da muovermi meglio per cercare lavoro».
L'assessore conclude dicendo che «il Comune ha la coscienza a posto, avendo fatto tutto il possibile anche con la collocazione in un alloggio Aler della famiglia, che oggi paga poche decine di euro al mese contrariamente a tanti altri nuclei in difficoltà».
I genitori, che in passato avevano lavorato per alcune cooperative, lanciano l'appello per un posto di lavoro. Chiunque volesse avere un colloquio con loro può contattare il 388-3441671. [FIRMA]









In uscita da Rizzoli il nuovo libro della scrittrice somala Ayaan Hirsi Ali. Pubblichiamo un brano del prologo
Io, nomade per difendere le donne

Corriere della Sera, 10-05-2010

«Ho abbandonato l'Islam perché ci maltratta, ho vagato senza mai trovare radici»
di AYAAN HIRSI ALI
Sono stata nomade per tutta la vita e ho vagato senza radici. Sono stata costretta a fuggire da ogni luogo in cui mi sono fermata. Ho gettato da parte ogni certezza che mi è stata trasmessa.
Sono nata a Mogadiscio, in Somalia, nel 1969. Mio padre venne imprigionato quando ero piccolissima pet il suo ruolo nell'opposizione politica alla brutale dittatura; poi fuggì di prigione e andò in esilio. 
Lo rividi all'età di otto anni, quando mia madre portò i miei fratelli e me in Arabia Saudita per vi¬vere con lui.
L'anno successivo fummo espulsi da questo Paese e ci spostammo in Etiopia, dove si trovava il quartier generale del gruppo di opposizione a cui apparteneva mio padre. Dopo circa diciotto mesi ci trasferimmo di nuovo, questa volta in Kenya.
Ciascun cambiamento mi catapultò impreparata in Paesi con lingue totalmente diverse e mentalità del tutto differenti dalla mia; ogni volta facevo
tristi, spesso vani e infantili tentativi per adattarmi.
L'unica costante della mia vita è stato il tenace attaccamento di mia madre all'Islam.
Mio padre abbandonò il Kenya e noi, la sua famiglia, quando avevo undici anni. Non lo vidi più fino a quando ne ebbi ventuno. Durante la sua assenza, sotto l'influenza di un insegnante, ero diventata una musulmana fervente e devota. Tornai per otto mesi in Somalia, dove assistetti allo scoppio della guerra civile, e al caos e alle barbarie del grande esodo del 1991, quando metà del Paese dovette rifugiarsi altrove e 350.000 persone persero la vita.
A ventidue anni, mio padre mi ordinò di sposare un nostro parente — per me un completo sconosciuto — che viveva a Toronto. Nel viaggio dal Kenya al Canada avrei dovuto fare una sosta in Germania per ritirare il visto canadese per poi proseguire. Una specie di istinto disperato però mi spinse a sottrarmi all'imposizione paterna: presi un treno diretto in Olanda. Tra tutti i viaggi che avevo fino ad allora compiuto nella mia vita, questo fu il più difficile: il cuore mi batteva all'impazzata per il timore delle conseguenze del mio gesto, e per la reazione di mio padre e del clan quando avessero scoperto che ero fuggita.
In Olanda scoprii la gentilezza degli estranei: non ero nessuno per queste persone, e tuttavia mi nutrirono e mi trovarono una sistemazione, mi insegnarono la loro lingua e mi permisero di studiare tutto ciò che volevo. L'Olanda era diversa da qualsiasi altro Paese in cui avessi mai vissuto: era pacifica, stabile, prospera, tollerante, generosa, profondamente buona. Mentre approfondivo l'olandese, cominciai a prefiggermi un obiettivo
molto ambizioso: avrei studiato scienze politiche per scoprire perché questa società, sebbene atea, funzionava, mentre quelle in cui avevo fino a quel momento vissuto, per quanto dichiaratamente musulmane, erano marce di corruzione, violenza e soprusi.
Per molto tempo esitai fra i chiari ideali dell'Illuminismo che apprendevo all'università e la sottomissione ai dettami ugualmente chiari di Allah, a cui temevo di disobbedire. Lavorando nei servizi sociali come traduttrice dall'olandese al somalo per mantenermi all'università, incontrai molti musulmani in difficoltà, nelle case-famiglia per donne maltrattate, nelle prigioni 0 nelle scuole speciali, ma non colsi mai il nesso, anzi evitavo di coglierlo, tra la loro fede nell'Islam e la povertà; tra la loro religione e l'oppressione delle donne e la mancanza di scelte individuali. Per ironia, fu Osama bin Laden a togliermi i paraocchi. Dopo l'11 settembre trovai impossibile ignorare le sue affermazioni secondo cui lo sterminio di vite innocenti (se infedeli) è coerente con il Corano. Cercai conférma in questo libro, e scoprii che era così. Per me ciò significò che non potevo più essere musulmana e, anzi, mi resi conto che non lo ero più da tempo.
Poiché trattavo questi argomenti pubblicamente, cominciai a ricevere minacce di morte. Mi fu anche chiesto di presentarmi alle elezioni per il parlamento olandese come membro del Partito liberale. Diventai deputata ed essendo giovane, nera e donna—e spesso accompagnata da una guardia del corpo — ero molto visibile. Io però godevo di protezione costante, mentre i miei amici e colleghi no.
Decisi di girare un documentario che denunciava l'oppressione delle donne islamiche con il regista Theo van Gogh, nome che aveva ereditato dal nonno, fratello di Vincent van Gogh.
Lo stesso anno Theo venne assassinato da un fanatico musulmano, un ventiseienne marocchino immigrato ad Amsterdam insieme ai genitori.
Scrissi un romanzo autobiografico, Infedele, in cui raccontai le mie esperienze e quanto mi sentissi fortunata per essere sfuggita da luoghi in cui le persone sono riunite in tribù e le questioni degli uomini sono guidate dai dettami e dalle tradizioni della fede; e quanto fossi felice di vivere in un posto in cui gli appartenenti a entrambi i sessi sono considerati cittadini alla pari.
Ho riportato gli eventi casuali che avevano reso così vagabonda la mia infanzia, il carattere volubile di mia madre, l'assenza di mio padre, i capricci dei dittatori, come affrontavamo le malattie, le carestie e le guerre. Ho descritto il mio arrivo in Olanda e le mie prime impressioni su un Paese in cui gli abitanti non sono sudditi di tiranni né governati dalle regole dei legami di parentela del clan, ma sono cittadini del governo da loro eletto (...).
Quando scrivevo Infedele, immaginavo che i miei viaggi fossero finiti. Credevo che sarei rimasta per sempre in Olanda: avevo messo radici nel suo ricco suolo e non avrei mai voluto essere costretta a estirparmi nuovamente. Ma mi sbagliavo. Mi trasferii infatti in America, come molti prima di me, in cerca di un'occasione per costruirmi una vita e trovare sostentamento in libertà e sicurezza, una vita lontana un oceano da tutte le guerre a cui avevo assistito e dal conflitto interno che avevo sostenuto. Questo libro, Nomade, spiega i motivi.
Lettori di Infedele di tutto il mondo mi hanno offerto appoggio e incoraggiamento, ma mi hanno anche posto un gran numero di questioni non affrontate nel libro. Mi chiedevano del resto della mia famiglia, delle esperienze di altre donne musulmane. Più di una volta mi è stata rivolta la stessa domanda: «Quanto la tua esperienza è comune ad altre donne? Ti senti in qualche modo rappresentativa?». Quindi Nomade non tratta soltanto della mia vita vagabonda nei Paesi occidentali, parla anche dell'esperienza di molti altri immigrati, delle difficoltà ideologiche e molto concrete di individui, soprattutto donne, che vivono in una cultura musulmana tradizionale molto rigida, immersa in un'altra estremamente aperta; di come gli ideali islamici siano incompatibili con quelli occidentali, dello scontro di civiltà che io e milioni di altri abbiamo provato e continuiamo a provare sulla nostra pelle.
Quando mi trasferii negli Stati Uniti, e per l'ennesima volta cominciai il processo di inserimento in un Paese sconosciuto, venni assalita da un nuovo e intenso tipo di nostalgia dovuto alla morte di mio padre, a Londra. Ristabilendo i legami con i membri della mia famiglia allargata — i cugini e la mia sorellastra — che vivono negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e altrove, li trovai in situazioni tragicamente precarie: una ha contratto l'aids, un'altra è stata accusata di aver accoltellato il marito, e un terzo invia in Somalia tutto il denaro che guadagna per mantenere il clan. Sostengono, nessuno escluso, di rispettare i valori del nostro gruppo tribale e di Allah.
Hanno la residenza e la cittadinanza dei Paesi occidentali in cui abitano, ma il loro cuore e la loro mente sono altrove; sognano un'epoca che in Somalia non è mai esistita: un'epoca di pace, amore, armonia. Metteranno mai radici dove si trovano? Sembra improbabile. La scoperta dei loro guai è uno degli argomenti di Nomade. Forse penserete: e con ciò? Ogni cultura non ha le sue famiglie sconclusionate? Anzi, per l'industria cinematografica hollywoodiana le famiglie disastrate ebree e cristiane sono fonte di gran divertimento, ma ritengo che quelle musulmane costituiscano una vera minaccia per il tessuto stesso della vita occidentale.
La famiglia è il crogiolo dei valori umani. È in famiglia che i bambini imparano a praticare e a perpetuare le tradizioni culturali dei genitori; è in famiglia che viene stabilita una serie di convinzioni da osservare, trasmesse poi alle future generazioni: è quindi della massima importanza comprendere le dinamiche della famiglia musulmana, perché detiene la chiave, fra l'altro, della sensibilità al radicalismo islamico di tanti giovani. È soprattutto tramite le famiglie che le teorie cospirative viaggiano dalle moschee e dalle madrasse dell'Arabia Saudita e dell'Egitto fino ai salotti olandesi, francesi e americani.









Più bebè grazie agli immigrati

Il Tempo, 09-05-2010

Nel 2008 sono nati 55.394 bambini. Il costante decremento registra un'inversione di tendenza. I dati Asp-Laziosanità: parti gemellari raddoppiati in 20 anni. Mancano posti in terapia intensiva.
Neonati in aumento ma mancano i posti letto Nel Lazio torna a crescere. In senso demografico. Dopo il minimo storico toccato negli anni Novanta, infatti, le nascite sono in aumento. Nel 2008 i nati sono stati 55.394. Il costante decremento della natalità riscontra così un'inversione di tendenza, anche grazie al fenomeno dell'immigrazione con un tasso di natalità del 10,2 per mille abitanti. Secondo i dati di Asp-Laziosanità, aumentano del 7% i nati prematuri tra le 32 e le 36 settimane, così come aumentano i parti plurimi (nel 1982 rappresentavano l'1,4%, nel 2008 il 3%). Cresce l'età media delle neomamme (il 34% ha più di 34 anni) e si riducono le nascite da madri under 20 (solo l'1,4%). Aumenta in modo consistente la quota di donne al primo figlio con età superiore a 30 anni (nel 1982 il 17%, nel 2008 il 62%).

I parti da donne straniere (nel 1994 il 6%), sale al 21%, con le coppie romene tra le più feconde. In forte crescita il cesareo: fra i nati vivi la proporzione passa dal 22% del 1995 al 43% (44% se si considerano anche i parti plurimi). A ricorrere maggiormente (79%) al cesareo sono le strutture private non accreditate, mentre diminuisce la degenza in ospedale delle neomamme (1-2 giorni col parto vaginale, 3 giorni col taglio cesareo).

Diminuisce notevolmente, infine, la mortalità infantile: si passa da 8,4 per mille nati vivi del 1987 a 3,4 per mille. Tra le maggiori cause di mortalità infantile la prematurità (33,5%) e le malformazioni congenite (31,3%). Intanto, è allarme per i posti di Terapia intensiva neonatale per i parti gemellari, in aumento in tutta Italia. Nel Lazio mancano venti posti letto. A lanciare l'allarme è stato Mario De Curtis, direttore dell'Unità di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Umberto I. I gemelli, sottolinea De Curtis, spesso nascono prematuri e con un peso basso, inferiore a 1,5 kg. Per la mancanza di posti letto «si verifica il paradosso per il quale le madri che hanno portato avanti gravidanze a rischio o gemellari, dopo aver partorito, vedono trasferiti i loro bambini in altri ospedali».



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