Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

21 marzo 2011

Sbarchi a Lampedusa Fallimento del governo dell’irresponsabilità
l'Unità, 19-03-2011
Undicimiladuecentottantacinque sono i tunisini sbarcati a Lampedusa dall’inizio delle rivolte. Secondo il ministro dell’Interno Roberto Maroni si tratta di un numero destinato a crescere. L’importanza del dato aumenta se confrontato con il numero dei tunisini approdati in Italia nel 2010: 4406. Forse è a causa di questa differenza numerica che il Governo italiano sembra essere ancora totalmente in panne di fronte a una simile situazione e continua a invocare  l’aiuto dell’Unione Europea. Una richiesta esclusivamente di carattere economico, inevitabile conseguenza dell’inettitudine dimostrata finora. A sentire Maroni infatti a completare un disegno perfetto di accoglienza destinato a chi arriva mancherebbero solo i soldi. Ma se così fosse non si capirebbe come mai - è quanto accade in queste ore - una parte degli abitanti contesti con tanta veemenza la politica del governo. Insomma una catena di irresponsabilità in cui, ovviamente, a pagarne le conseguenze sono gli abitanti dell’isola e i tunisini rinchiusi in un Cie ormai sovraffollato. Intanto sui giornali i titoli su questo argomento fanno impressione per la loro monotona reiterazione risultando nulla più che bollettini del Viminale quotidianamente aggiornati. L’effetto di tutto ciò è la routine: sbarchi che si susseguono, senza sorprese o colpi di scena, accompagnati da commenti ripetitivi e da proposte invariate e inefficaci. È tutto a tal punto prevedibile che la prossima emozione la proveremo quando il numero delle persone sbarcate supererà i 50.000 e cioè quando sentiremo di nuovo parole come «esodo biblico», «invasione» o simili che rimandano a scenari vicini alla catastrofe. Fino a quel momento a fatica terremo il conto.



La grande invasione è cominciata
Lampedusa sotto assedio. I centri di accoglienza hanno 6mila posti e i profughi sono già il doppio Ma secondo le previsioni nei prossimi mesi arriveranno in 50mila. Impossibile gestirli tutti in Italia
il Giornale, 21-03-2011  
Emanuela Fontana
Roma L'aveva anticipato Gheddafi, la tv di Stato libica l'ha confermato l'altra notte, durante i primi bombarda- menti francesi: Tripoli «non coopererà piü con l'Europa nella sua lotta contro l'immigrazione clandestina». La voce è quella di un anonimo funzionario del regime, ma più del suo annuncio è il mare a sancire che la Libia ha sospeso ogni controllo: ieri oltre 500 immigrati hanno raggiunto Lampedusa. In serata numerose imbarcazioni erano in avvicinamento. Nell'isola ormai il nu-mero dei nordafricani rischia di superare quello dei residenti: 4300 i primi, 6300 i secondi. L'equilibrio è spezzato. Dall'al- larme si è passati all'emergenza. Gli extracomunitari, quasi tutti tunisini, sbarcati dall'inizio dell'anno si awicinano a quota 12mila. È questa la guerra deiritalia: guerra contro il tempo, ossia riuscire a dare accoglienza, cibo e un letto a migliaia e migliaia di persone che potrebbero riversarsi senza controllo, di ora in ora, sulle coste dell'ultima isola italiana. L'Italia è al fianco degli alleati nell'attacco alla Libia anche per pretendere la stessa lealtà: «Solo partecipando - ha chiarito ieri il ministro della Difesa Ignazio La Russa - avremo autorevolezza per pretendere che, esaurita l'emergenza Gheddafi, la comunità internazionale si adoperi con eguale forza per condividere la gestione del fenomeno immigrazione».
Centinaia di lampedusani si sono presentati al porto ieri mattina, davanti alla banchina, bloccando l'accesso ai nuovi arrivati. Da una parte gli immigrati appena sbarcati dal mare, ivestitifradici, dall'altra uomini e donne che vedono la loro isola trasformarsi in una terra di approdo senza regole come mai era awenuto sinora.
Il centro può ospitare un massimo di 850 immigrati. Anche se i ponti aerei proseguono per smistare gli ospiti in altre regioni, la struttura è ormai sfruttata al triplo dela sua capienza. Molti tunisini bivaccano nell'isola. I lampedusani hanno paura che venga costruita una tendopoli. Ieri hanno tentato di bloccare l'attracco di un traghetto proveniente da Porto Empedocle che trasportava tende e bagni chimici. «L'Italia non è unita, siamo soli», ha scritto il parroco, don Stefano, in una lettera a Napolitano.
La solitudine di Lampedusa sarà interrotta in realtà in quarantotto ore. Dal Viminale è partito un imperativo a tutte le Regioni: l'accoglienza adesso deve essere «concreta e immediata». Domani il ministro Maroni riunirà a Roma i governa- tori e i rappresentanti degli enti locali. Chiederà elenchi precisi: aree demaniali, strutture non utilizzate. Un'azione, si fa notare, in linea concorde con il capo dello Stato, che due giorni fa aveva sollecitato un impegno nazionale, di tutti.
Nella stessa giornata di martedi potrebbero avvenire i trasferimenti di centinaia di immigrati da Lampedusa. Il mini- stero delia Difesa ha individuato tre aree al Sud. Il villaggio di Mineo per i profughi può ospitare fino a 2mila richiedenti asilo. Ma serve di più. Non basta una capienza di 2-4 mila posti, quanti ne possono offrire i centri di identificazione (Cie) più Mineo. Le strutture «ufficiali» hanno una capienza non superiore ai 6mila. Le previsioni parlano di una soglia fino a 50mila possibili arrivi nei prossimi mesi. Nei Cie di Brindisi è scoppiata nelle scorse ore una rivolta. Sono stati bruciati materassi, forse è necessaria la chiusura temporanea per riparare i danni.
Roberto Calderoli, scettico come tutta la Lega sull'attacco alla Libia, si augura che «il blocco navale sia utilizzato per impedire esodi di massa verso il nostro Paese». «Certamente sarà cosi», ha risposto il ministro degli Esteri Frattini. Secondo le ultime segnalazioni da Zarzis, il quartier generale dei Caronti tunisini si sarebbe spostato a Djerba, l'isola dei turismo: da qui stanno partendo nuovi barconi alia volta dell'Italia.



Lampedusa insorge: "No alle tendopoli"
Ieri mattina altri 320 sbarchi. L'isola è al collasso e gli abitanti bloccano l'accesso al porto
La Stampa, 21-03-2011
NICCOLÒ ZANCAN  
Poi verra un giorno i in cui di tutto questo ci dovremo vergognare. Vergognarci di aver lasciato solo Hamid dopo 38 ore in mezzo al mare, con soltanto una felpa addosso. Tremava come sull'orlo di morire, due infermieri l'abbracciavano ma non bastava. Allora uno dei due - grosso e con i capelli bianchi - si è sdraiato sopra di lui e sul cemento della banchina del porto, non avendo altro per scaldarlo. Erano le 11 di ieri mattina, altri 320 immigrati stavano sbarcando. Li contavano in fila per tre, ordinate. E qualcuno sorrideva e faceva il segno di Vittoria, se ne aveva la forza, perché ancora non aveva capito cosa lo stesse aspettando.
Tutto già successo, già raccontato, enorme e senza risposte. Basterebbero gli aggettivi dei compassati documentaristi dela Bbc, che da una settima stanno seguendo ogni ombra di Lampedusa, per spiegare come ci vede il resto del mondo. «Pazzesco». «Assurdo». «Disumano». «Ma perché non viene nessuno?». Come se davvero i collegamenti con l'Italia fossero interrotti.
Succede che alle 8 di sera vengono avvistati atri otto barconi. Si annuncia l'ennesima notte al freddo a distribuire tozzi di pane e cartoni di latte, le ultime scarpe da ginnastica made in China. Ormai si accucciano anche sotto i rimorchi dei camion, ovunque. C'è mare, vento, freddo, tutti i ragazzi arrivano fradici. I tunisini sono più di 4000 mila. L'isola sta esplodendo. E mentre succede tutto questo, va in scena la manifestazione dei lampedusani con- tro lo sbarco della tendopoli. Anche loro lasciati soli.
Dalle 9 di mattina bloccano la strada di accesso al porto. La stessa di Hamid. La bloccano perché non vogliono che dal traghetto Siremar scenda il tir con sopra le prime 37 tende che dovrebbero comporre il campo di emergenza, nella zona délia vecchia base militare. Han- no il terrore che quelle tende restino qui per sempre. Paura di giocarsi la stagione turistica. In prima fila, davanti ai carabinieri in tenuta antisommossa, ci sono Pina, Patrizia, Angela e Maria Luisa. Sedute di traverso occupano tutta la strada. Non passa nessuno. Dietro di loro, il paese si dà il cambio. Cosï la scena è paradossale: in porto continuano ad arrivare vecchie carcasse di pescatori africani, ma non parte l'unica nave italiana che collega Lampedusa all'Europa.
Il sindaco Bernardino De Rubeis cerca di conduire la trattativa. La protesta arriva al Governo. Telefona il ministro di Grazia eGiustizia, Angelino Alfano. Il sindaco torna indietro con delle rassicurazioni: «Mi hanno assicurato che si terra un Consiglio dei Ministri straordinario, forse già domani. Lampedusa sarà una zona franca, avremo sconti sulle tasse, il territorio riceverà ristoro, faranno una Campagna televisiva per promuovere il turismo. Metteranno anche una nave in mezzo al mare per la prima accoglienza. E da domani incominciano le partenze: 300 al giorno. Ma quelle 37 tende devono sbarcare».
Lo aggrediseono, quasi lo insultano: «Non ci fidiamo, basta promesse! Noi non ci muoviamo da qui». Poi va in scena quello che viene definito il ricatto dei pesce. «Se non accettiamo le tende, il traghetto non porta il nostro pescato al mercato». Ma anche il rischio economico non fa cambiare opinione ai lampedusani. Cosi alie 9 di sera la situazione è la stessa delle 9 di mattina. Sbarchi e tensione. Va detto che gli agenti stanno facendo il massimo per tenere la situazione sotto controllo, come gli operatori della Croce Rossa e di Medici Senza Frontiere. Ma è una tragedia molto più grande di loro.
In tutta questa solitudine si perdono migliaia di storie. Come quella di Wissem Alayat, arrivato da Parigi in cerca di suo fratello: «L'ho sentíto lunedi notte al telefono, era in mare. Felice, mi ha detto di salutare papà. Che ci saremmo visti presto. Ma l'attimo dopo ho sentito delle grida, panico a bordo. Il telefono staccato». Wissem Alayat è qui perché ha saputo che i pescatori di Lampedusa giovedi mattina hanno raccolto due cadaveri in mare. Vorrebhe vederli, ma finora non c'è riuscito. Gli hanno detto che le bare sono sigillate. Si è dovuto accontentare della descrizione dei corpi stilata dal medico legale. Uno dei due è di età compatibile, ma indossava calze per vene varicose. Wissem Alayat non ha ancora capito se sia ciò che resta di suo fratello



PALAZZO CHIGI
Berlusconi: intervento militare anche per frenare gli immigrati
Il Messaggero, 21-03-2011
MARCO CONTI
ROMA - Intervento militare anche per contenere l'ondata migratoria, in modo da contenere i distinguo della Lega, e posizione ferma contro i francesi e tutti coloro che intendono la missione militare in Libia non tanto per proteggere la popolazione - come chiesto dalla risoluzione 1973 dei Consiglio di Sicurezza - ma per sconfiggere Gheddafi. Silvio Berlusconi hasfruttato la pausa domenica- ie per mettere a punto la línea che.il governo assumera oggi in consiglio dei ministrí sulla crisi libica. Una posizione frutto di un continuo tour telefonico che ha coinvolto, oltre i ministrí Frattini e La Russa, anche la delegazione italiana presso la Nato e l'ambasciatore presso l'Onu, Cesare Ragaglini.
Nell'operazione militare in corso, frutto dei vertice di Parigi di sabato, il Cavaliere si sente tirato per i capelli e il centrodestra si divide tra coloro che si dicono conlrari e chi si mostra scettico su un 'iniziativa militare alia quale «comunque non potevamo non partecipare».
L 'ombrello dei Quirinale "protegge" le scelte del governo e il consenso dell'opposizione lo rafforza, ma il presidente del Consiglio continua ad essere convinto che «un'altra Strada era possibile» e che comunque l'Italia non può essere lasciata sola ad affiontare 1'emergenza degli immigrati. Su questo punto, oggi, il consiglio dei ministrí sarà molto esplicito (al punto che potrebbe chiedere agli alleati un blocco navale) e Berlusconi è convinto che un'intesa si troverà con il Carroccio anche al momento del voto in aula che seguira il dibattito sulla crisi-libica.
Resta il problema dell'iniziativa diplomatica che il Cavaliere vorrebbe al più presto venisse ripresa. II distinguo delia Lega Araba, più la possibilità che il Consiglio di Sicurezza sia chiamato nuovamente a pronunciarsi -pressato da russi, tedeschi e arabi - fanno ritenere a Berlusconi che presto tomerà la politica e cesseranno le armi. Anche perché il Cavaliere resta poco convinto che basteranno i raid aerei a mandare Gheddafi fuori dalla Libia. Senza contare che il "cessate il fuoco" decretato dal Colonnello, che non sta reagendo agli attacchi degli aerei delia "Coalizione", ha per Berlusconi cambiato lo scenario e rischia di far passare Gheddafi come vittima di un'aggressione, spostando i paesi arabi dalla sua parte.
Nel frattempo il premier, che sembra essere stato preso in contropiede dal precipitare degli eventi, anche ieri ha seguito. con buona dose di fastidio lo spettacolo di una maggioranza andare in ordine sparso, mentre i ministri La Russa e Frattini hanno invaso gli schermi della tv impegnando il governo su una linea che Bossi ritiene troppo interventista. Sullo sfondo la principale preoccupazione del premier per il "dopo-Gheddafi" che nemmeno a Parigi si è voluto affronta- re. Con Sarkozy e Cameron uniti ne dare rapidamente il via libera alla missione militare, senza pero spendere una parola sul futuro e sull'autorevolezza del Consiglio nazionale di transizione libica che dovrebbe prendere le redini del Pae- se, o di parte di esso, in attesa di un 'eventuate stabilizzazione democratica.
Decisiva sarà quindi la settimana che si apre e se la guida délie missione passera sot to l'egida delia Nato, come chiesto da Berlusconi a Parigi, è possibile per il premier che si arrivi ad un cessate il fuoco, anche perché nell'Alleanza Atlantica siede un paese, la Turchia, poco incline a missioni militari in terra libica.
Le frizioni in seno alla Nato rischiano di alimentäre lo scetticismo del Cavaliere nei confronti dell'amministrazione Usa che, a suo giudizio, sulla crisi libica ha nei fatti delegato a Francia e Gran Bretagna un compito che sarebbe davuto essere di tutti i paesi dell'Alleanza.


 
Sbarchi senza fine in Sicilia
la Repubblica, 21-03-2011
Circa cento persone che dicono di essere di nazionalità libica sono approdate sulle coste  della provincia etnea. Altre 450 sono arrivate a Lampedusa. Quasi cinquemila gli immigrati presenti sull'isola
Oltre cento sulle coste catanesi e altri 450 a Lampedusa. Continuano, senza sosta, gli sbarchi di immigrati clandestini in Sicilia. Nella notte due barconi con 117 persone a bordo, che hanno dichiarato di essere di nazionalità libica, sono approdati vicino Catania. Il primo, con una cinquantina di immigrati si è incagliato sugli scogli di Riposto, il secondo, con una settantina di extracomunitari, è stato intercettato al largo di Catania e fatto entrare, sotto scorta, nel porto del capoluogo etneo.
Sempre in nottata altri 450 immigrati sono approdati a Lampedusa in cinque diversi sbarchi. Secondo quanto riferisce la guardia costiera 43 sono stati femati dai carabinieri quando erano già arrivati a terra; poi una successione di arrivi di 199, 131, 46 e, infine, 30 persone. Nelle ultime 24 ore sono stati tredici gli sbarchi per complessivi 1.470 immigrati. La situazione a Lampedusa resta tesa. Sono 4.789 i migranti ammassati sull'isola, a fronte di 5.000 abitanti. Ieri i lampedusani si sono mobilitati per fermare le operazioni di sbarco del materiale per la realizzazione della tendopoli. Solo in tarda serata le tende sono state sistemate sul molo.



Uno dei pescherecci con cui sono arrivati è italiano e si è arenato a riposto
Catania: sbarcati un centinaio di libici
Gli immigrati, in tutto 117 sono stati intercettati e portati al Palasport del capoluogo etneo per i controlli di rito
Corriere della Sera, 21-03-2011
MILANO - Oltre un centinaio di libici sono sbarcati nella notte sulle coste del catanese. Sono arrivati con due barconi: il primo, con una cinquantina di migranti si è incagliato sugli scogli di Riposto, il secondo, con una settantina di extracomunitari, è stato intercettato al largo di Catania e fatto entrare, sotto scorta, nel porto del capoluogo etneo. Finora sono stati bloccati 117 uomini che hanno detto di essere libici. Alle operazioni partecipano carabinieri del comando provinciale di Catania e della compagnia di Giarre, militari della guardia di finanza e della capitaneria di porto e personale della polizia di Stato.
TUTTI FERMATI - I migranti che erano a bordo del peschereccio arenatosi a Marina di Riposto sono stati bloccati dalla forze dell'ordine prima che potessero far perdere la loro tracce. Sia il peschereccio che l'imbarcazione intercettata dalla Guardia di finanza al largo di Catania sono state condotte nel porto, dove sono arrivate poco prima delle 5 di stamane. Entrambi i gruppi di clandestini sono stati condotti nel PalaNitta per le procedure di identificazione ed i controlli medici. Il peschereccio arenatosi a Marina di Riposto è italiano e indagini sono in corso per accertare la sua provenienza.



Lampedusa, ancora sbarchi Isolani contro la tendopoli
Avvenire, 21-03-2011
Notte di sbarchi a Lampedusa. Sono 450 gli stranieri arrivati sull'isola a bordo di cinque diverse imbarcazioni. Da ieri mattina alle 7 di oggi sono 12 le imbarcazioni soccorse dalla guardia costiera per un totale di 1.367 persone. In 43, invece, sono riusciti ad arrivare a terra senza essere intercettati, ma poi sono stati fermati dai carabinieri.
Cresce la tensione, dove i migranti sono ormai più di 4mila. Ieri alcune centinaia di abitanti hanno bloccato la banchina commerciale del porto e impedito a un traghetto di attraccare: a bordo della nave c'erano tende e bagni chimici per allestire la tendopoli, che i cittadini non vogliono. «Lampedusa - dicono - non può essere trasformata in un campo profughi a pochi mesi dall'inizio della stagione estiva».
Un accorato appello alle istituzioni è stato lanciato dal parroco dell'isola, don Stefano Nastasi. «Continuano gli sbarchi di fratelli migranti, ma non con la stessa velocità con laquale arrivano le risposte alla comunità di Lampedusa e ai migranti in cerca di speranza - ha detto -. Tace ufficialmente il governo che opera unicamente tramite i suoi organi periferici ma non ascoltando le richieste della popolazione dell'Isola di Lampedusa». «La popolazione - ha concluso il parroco - ha bisogno di risposte concrete e di presenze reali. L'assenza degli uomini di governo è stata ed è grave. Siamo non l'ultimo lembo d'Italia, ma la prima porta del mediterraneo. Non è più solo questione di tende precarie».
LIBICI SBARCATI NEL CATANESE
Oltre un centinaio di libici sono sbarcati nella notte sulle coste del Catanese. Sono arrivati con due barconi: il primo, con una cinquantina di migranti si è incagliato sugli scogli di Riposto, il secondo, con una settantina di extracomunitari, è stato intercettato al largo di Catania e fatto entrare, sotto scorta, nel porto del capoluogo etneo. Fin'ora sono stati bloccati 117 uomini che hanno detto di essere libici. Alle operazioni partecipano carabinieri del comando provinciale di Catania e della compagnia di Giarre, militari della guardia di finanza e della Capitaneria di porto e personale della polizia di Stato.



Lampedusa non vuole la tendopoli
«Vogliono che scoppi guerra civile»
l'Unità, 21-03-2011
Mariagrazia Gerina
In cielo, gli aerei militari fendono rumorosamente l’aria verso la Libia. Ma la guerra per i lampedusani viene dal mare. Il secondo barcone della giornata attracca direttamente al molo, prima del pomeriggio, sotto gli auspici di una pioggia senza pietà. Sono quasi duecento. Man mano che toccano terra vengono fatti accovacciare sul molo, come fossero una colonia di pinguini. Alle donne questo viene risparmiato. Ce ne sono quattro. Per scendere a terra indossano persino delle scarpe con il tacco. Ma tremano di freddo, mentre le avvolgono nei manti termici.
«Siamo partite da Zarzis, siamo state in mare per trenta ore», dice una di loro. E prima di entrare sotto la tenda della Croce Rossa che fa da presidio sanitario sul molo, lancia la sua profezia. «Dietro di noi ce ne sono altre sette». Di carrette, stipate come quella in cui ha viaggiato lei, intende. E che continuano ad sbarcare, fino a notte, una dopo l’altra. Mille nella sola giornata di ieri. Contro poche centinaia di trasferimenti.
Il saldo è un’isola che scoppia. Lo dicono per primi quelli che ormai sono sbarcati da giorni. E sono ancora qua. Assiepati sul piccolo promontorio che costeggia il molo guardano fissi i “nuovi arrivati”. Come se fossero davvero loro i lampedusani davanti agli sbarchi. «Io ormai sono di qui», scherza un ragazzo, «lo vedi, ho il passaporto numero 78», dice agitando il foglietto che gli hanno rilasciato al Centro d’accoglienza. Lì da settimane non c’entrerebbe più nessuno. Ma da 850 posti che c’erano, ci hanno stipato fino 2.400 immigrati. Poi basta. Porte chiuse. Perciò dove mettere chi continua ad arrivare è una domanda che al momento nessuno si fa davvero. Da giorni a migliaia dormono dove possono. Al porto per lo più.
Il molo di Lampedusa dove sbarcano sembra una colonia penale. La Stazione Marittima un lebbrosario dove un’umanità che è difficile contare vive giorno e notte ammassata. Stesa in terra, sulle lenzuola di plastica con su stampato Accoglienza Lampedusa. «Sembrano i teli per avvolgere i morti», dice Alì, arrivato 4 giorni fa, che con Anis, Zakaria e Saif si improvvisa “cicerone” facendosi largo tra i corpi semi-stesi di chi ormai vive in un continuo dormiveglia. «Quanto tempo hanno intenzione di farci vivere così come animali? Non è per questo che siamo venuti qui. Non è a Lampedusa che vogliamo stare. Perché non ci trasferiscono altrove? Vengono, ci dicono, vi trasferiremo domani e poi domani siamo ancora qua. Dov’è l'Europa dei diritti? Non abbiamo neppure il diritto di dormire. L’ultima doccia ce la siamo fatta in Tunisia, una settimana fa».
I “nuovi arrivati” invece i lampedusani che dall'alba sono sul molo a presidiare il porto quasi non li vedono più. Nella giornata di ieri avevano in mente solo una cosa: le tende. Quelle che la Protezione civile vuole montare per dare l’accoglienza che finora è per lo più merce negata. Per quello si sono radunati al porto. A impedire che la nave giornaliera della Siremar depositasse sull’isola quel carico che per loro significa solo una cosa. Che gli immigrati, tunisini, libici, maghrebini, continueranno ad arrivare. Ma da Lampedusa non se ne andranno. Che il governo vuole scaricare su di loro tutto il peso di questa guerra. «E noi un altro paese dove scappare non ce l’abbiamo: solo quest'isola teniamo», sentenzia assisa su una sedia di plastica una signora. Ci hanno provato prima i pescatori, tagliando la strada alla nave per impedirle di attraccare. E poi gli altri da terra, creando un cordone per non far passare i container. «Non ce l’abbiamo con loro che sono povera gente, ma con il governo che li tiene qui così», spiega Salvatore che come tutti sull’isola vive di turismo. «Sono poveracci, che devono fare meschini», gli fa eco Rosanna, che si è calata il cappelletto di lana per ripararsi dalla pioggia. «La verità è che loro sono povera gente che scappa e noi povera gente confinata qui. Con loro». Il sindaco non sa che fare. Si è messo la fascia tricolore per darsi un ruolo. La verità è che al mattino si trova ad arringare la folla: «Gli abbiamo detto che le tende non le volevamo e si sono presentati qui con i tir». Mentre a sera, dopo un lungo filo diretto con «il ministro agrigentino» Angelino Alfano, è costretto a spacciare per un miracolo altre promesse che si aggiungono a quelle fatte nei giorni scorsi. «Domani al più tardi mercoledì si riunirà il Consiglio dei ministri», assicura. «Il ministro Brambilla si è impegnata a rilanciare con una campagna speciale l’immagine dell'isola quando tutto questo sarà finito, mentre per i cittadini dell'isola ci sarà il giusto ristoro», addirittura. E infine, quello che ormai è diventato un refrain: «Da domani partiranno i trasferimenti: 500, al giorno». Ma chi gli crede. Alla fine, le tende sbarcano. E la mediazione, tra i disperati di qua che non sanno dove dormire e quelli di là che non vogliono rassegnarsi ad essere un dormitorio a cielo aperto è che non verranno montate subito. «Quello che vogliono – grida un lampedusano – è che qui scoppi la guerra civile».



Gli sbarchi nell'isola
Tensione a Lampedusa Non verra realizzata la tendopoli
Corriere della sera, 21-03-2011
Alfio Sciacca
LAMPEDUSA — Alla fine si è raggiunto un compromesso. Dopo una giornata carica di tensione, i manifestanti hanno consentíto alla nave Palladio di scaricare tende e bagni chimici ma con l'impegno che non verrà realizzata alcuna tendopoli. Il sindaco Dino De Rubeis parla di «Vittoria», anche se permane molta diffidenza. Da giorni a Lampedusa il clima è particolarmente surriscaldato e anche ieri si è sfiorato lo scontro con la polizia in assetto anti-sommossa. Ad aggravare la situazione ci si è messa la pioggia mentre continuano gli sbarchi. Ieri ci sono stati 8 avvistamentí e con i sei barconi già approdati sono arrivati altri 700 immigrati, a fronte di 350 trasferimenti. Insomma ne arrivano piú di quelli che partono. Risultato: sull'isola ci sono oltre 4 mila immigrati per i quali non c'è piü posto nel centro di accoglienza e nella struttura messa a disposizione dalla parrocchia. E cosi in molti restano nei pressi delia stazione marittima, anche all'aperto e sotto la pioggia. Si vedono scene sconcertanti di immigrati a piedi nudi e i vestiti fradici a chiedere acqua e qualcosa da mangiare. Non tutti riescono ad avere un pasto caldo. «Non è 1'Italia che immaginavamo», si lamentano i tunisini uniti agli isolani nella richiesta di poter lasciare al più presto un'isola ormai trasformata in un centro di accoglienza a cielo aperto. Il governo corre ai ripari anche se era tutto facilmente prevedibile. «Il ministro dell'interno — annuncia il commissario per l'emergenza immigrati, Giuseppe Caruso — ha invitato per martedi i rappresentanti delle Regioni per chiedere siti disponibili. I lampedusani devono pazientare ancora un po' in attesa di altri siti oltre alla nave militare che accoglierà 2 mila persone». Si tratta della San Marco che in giornata dovrebbe essere a Lampedusa. La Marina però precisa che potrà essere utilizzata solo per i trasferimenti dei migranti e non certo per una loro permanenza a bordo, visto che «non si potrebbero garantite condizioni igieniche adeguate».



la costruzione della prevista tendopoli è ancora bloccata dai residenti
Lampedusa: immigrati sono quasi 5000
Nelle ultime 24 ore sono 1.470 gli stranieri arrivati via mare, con 13 diverse imbarcazioni
Corriere della Sera, 21-03-2011
MILANO - Si aggrava sempre più la situazione del centro di accoglienza di Lampedusa. Sono 4.789 gli immigrati presenti attualmente a Lampedusa, a fronte di circa 5.000 abitanti. Gli sbarchi, ormai senza sosta da giorni, sono proseguiti anche durante la notte: nelle ultime 24 ore sono 1.470 gli immigrati arrivati, con 13 diverse imbarcazioni.
APPELLO - La costruzione della tendopoli è ancora bloccata e si aspetta anche per oggi una giornata di proteste da parte dei residenti. Un accorato appello alle istituzioni è stato lanciato dal parroco dell'isola, don Stefano Nastasi. «Continuano gli sbarchi di fratelli migranti, ma non con la stessa velocitá con la quale arrivano le risposte alla comunitá di Lampedusa e ai migranti in cerca di speranza - ha detto -. Tace ufficialmente il governo che opera unicamente tramite i suoi organi periferici ma non ascoltando le richieste della popolazione dell'Isola di Lampedusa». «La popolazione - ha concluso il parroco - ha bisogno di risposte concrete e di presenze reali. L'assenza degli uomini di governo è stata ed è grave. Siamo non l'ultimo lembo d'Italia, ma la prima porta del mediterraneo. Non è più solo questione di tende precarie».



Lega verso il si: ma chiarezza sui profughi
«Quote di rifugiati per ogni Paese e blocco degli sbarchi». D'Alema: governo inadeguato
Corriere della sera, 21-03-2011
Lorenzo Fuccaro   
ROMA — Dopo la sfuriata di Umberto Bossi, con il no alla partecipazione dell'Italia alla missione in Libia contro il colonnello Gheddafi, tutti guardano alla Lega Nord per capire che cosa intende fare. Ci si domanda se dará seguito ai proponimenti filo neutralisti in contrasto con il governo. Interrogativi ai quali risponde un dirigente di prima fila del Carroccio. La rettifica, o meglio il chiarimento sulle reali intenzioni dei bossiani, giunge nella tarda mattinata attraverso le parole del ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli, che condiziona il si leghista all'accoglimento di due condizioni. La prima riguarda l'impegno di tutta la coalizione «a prendere una quota dei profughi in proporzione alla loro popolazione residente». La seconda è che «il blocco navale sia utilizzato per impedire esodi di massa verso il nostro Paese e in particolare Lampedusa e la Sicilia».
La dettagliata presa di posizione fa pensare che si tratti di un cambiamento di atteggiamento e non di una opinione di Calderoli, che rivendica «di non avere mai baciato l'anello a Gheddafi» e ricorda di essersi dimesso da ministro «pur di non accettare diktat del Colonnello libico» per avere indossato una maglietta anti-Islam. «Prendo atto — dice — della nostra adesione all'operazione anche se avremmo preferito un voto dell'Aula». Il cambiamento appare quindi concordato con Bossi ed è dei tutto plausibile che a determinarlo siano state anche le parole dei presidente Giorgio Napolitano, il quale proprio ieri da Milano ha invitato a «evitare allarmismi e assolute fantasie tese a suscitare timori immotivati». In ogni caso, la Lega presenterà in Parlamento una mozione a sostegno delle proprie tesi, rimarcando che «sarebbe stato piü saggio adottare una maggiore cautela assumendo una posizione simile a quella della Germania». Nessuna rottura però, sostiene ancora Calderoli, «è fanta politica immaginare che noi faremo mancare i nostri voti alla maggioranza di centrodestra in caso di passaggi parlamentari che ritengo imprescindibili». Del resto, Calderoli legge «con sod- disfazione» quanto dicono i capigruppo del Pdl, che annunciano iniziative per difendere gli «interessi delia nazione in tema di energia, influenza nel Mediterrâneo e soprattutto immigrazione». Un modo, da parte loro, di cercare di tenere assieme la maggioranza, cosa sulla quale non scommettono Pd e Udc. Massimo D'Alema sostiene che «il governo è inadeguato e non autorevole perché è bizzarro che venga in Parlamento a chiedere 1'autorizzazione all'uso delia forza e una parte della maggioranza non si presenti in Aula: da una parte ci sono dichiarazioni bellicose dall'altra c'è una componente neutralista». Pier Ferdinando Casini ritiene che se la Lega si dissociasse il governo non sopravvivrebbe, ecco perché «alla fine Bossi si piegherà alla ragionevolezza e in Parlamento si allineerà». Ed è appunto ciò che auspicano Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, Fabrizio Cicchitto e Massimo Corsaro. Nei tentativo di scongiurare ciò che vorrebbe- ro le opposizioni, i capigruppo garantiscono al Carroccio che «con la stessa determinazione con la quale assolviamo ai nostri obblighi internazionali chiederemo con apposite risoluzioni che gli organismi internazionali si impegnino a fare fronte alie difficoltà che inevitabilmente e sin da queste ore si scaricheranno sull'Italia, come la situazione di Lampedusa attesta». Non solo. «L'accoglienza dei profughi —fanno notare—deve riguardare tutti e quindi Onu e Unione Europea dovranno fare la loro parte perché è inimmaginabile che l'unica destinazione possa essere il nostro Paese». Insomma «chiederemo atti concreti e immediati e siamo convinti che in questa azione troveremo la coesione dei governo e dell'intera maggioranza».



Immigrazione: proteste in Cie Gradisca, fuggiti sei tunisini
Feriti due militari, otto arresti
(ANSA) - GRADISCA D'ISONZO (GORIZIA), 21 MAR - Sei immigrati di nazionalita' tunisina sono riusciti a fuggire nella tarda serata di ieri dal Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Gradisca d'Isonzo, al culmine di una serie di episodi di intemperanze che hanno coinvolto 15 ospiti della struttura. Nel corso del tentativo di rivolta, due militari sono rimasti lievemente feriti. Otto immigrati sono stati arrestati per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale e sono attualmente in carcere, a disposizione dell'autorita' giudiziaria. (ANSA).



Immigrati, un 'problema' per l'Italia
Qui Brescia.it, 21-03-2022
(g.a.) Il 21 marzo si celebra la “Giornata Mondiale contro il razzismo", data scelta dalle Nazioni unite per ricordare un episodio di 51 anni fa, avvenuto in Sudafrica, a Sharpeville, dove 69 neri, che protestavano contro la "pass law" che teneva praticamente in stato di prigionia la stragrande maggioranza della popolazione nera, vennero falcidiati dalla polizia.
E proprio in occasione della settimana contro il razzismo la “Fondazione Leone Moressa” ha rivolto alcune domande a 600 italiani per sondare il loro grado di apertura verso gli immigrati presenti nel territorio, sia dal punto di vista economico che socio-culturale.
La questione immigrazione preoccupa ancora oltre un italiano su due (55,1%) e viene al terzo posto dopo disoccupazione e criminalità tra i timori dei cittadini dello Stivale. Dall’altro lato però emerge un’alta disponibilità a condividere con chi non è italiano la propria vita (dal vicinato alla scuola) e il riconoscimento dell’importante ruolo svolto in ambito economico.
In particolare, sono i cittadini più “anziani” ad esprimere la maggiori riserve in merito (quasi sei su dieci). Al contrario, i giovani sembrano essere meno preoccupati (48,3%) e temono di più la disoccupazione e dimostrano una maggiore sensibilità rispetto alle questioni ambientali.
Rispetto alla componente straniera nella società e nel mercato del lavoro, gli immigrati sono considerati nella maggior parte dei casi sia una ‘risorsa’ che un 'problema' (49,7%).
Una risorsa in quanto indispensabili per occupare delle posizioni lavorative che gli italiani difficilmente accettano (anche in periodo di crisi), perché contribuiscono a sostenere il sistema di welfare e ad accrescere la ricchezza del nostro Paese (secondo le stime di Centro Studi Unioncamere e Istituto Tagliacarne dal lavoro degli stranieri deriva l’11,1% del valore aggiunto nazionale).
La diversità etnica diventa un ‘problema’ (32,5%) per gli italiani che ritengono che gli immigrati assorbano più risorse economiche di quante ne destinino alla finanza pubblica o quando sono considerati una minaccia all’ordine pubblico.
Secondo gli intervistati, ‘episodi di discriminazione’ nei confronti degli immigrati continuano a persistere e nel tempo sembrano essere addirittura aumentati. In particolare, al Nord e nel Centro sono più avvertiti rispetto alle aree del meridione, ma è proprio nel Sud che tale tendenza sembra essere in aumento.
Un dato, quello sugli episodi di discriminazione, che è confermato anche dall’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) nel Rapporto 2010 dal quale emerge come le segnalazioni siano raddoppiate e riguardano maggiormente gli stranieri (63,4%) soprattutto se uomini, adulti e operai. Complessivamente sono state raccolte 766 segnalazioni nel corso del 2010 quando l’anno precedente erano state 373.
L’Unar è l’organismo che è intervenuto anche nei presunti casi di discriminazione che hanno riguardato alcuni comuni bresciani, bacchettati perché autori di delibere ritenute sbilanciate a danno degli immigrati.
Tra queste ricordiamo i provvedimenti per il bonus bebè e affitti, recentemente annullati dal comune di Adro, e la quinta bocciatura rimediata dall’amministrazione di Brescia sempre sul tema del sostegno economico ai nuovi nati, o ancora, a Ghedi, la retromarcia della Giunta che ha annunciato l’impegno a togliere il vincolo della cittadinanza italiana dalla delibera che escludeva a priori i cittadini non italiani dall'assegnazione di alloggi sociali.
Anche Verolanuova era finita nell’occhio del ciclone sui nuovi criteri di iscrizione anagrafica decisi dal comune.
Per gli italiani intervistati nell’indagine dell’istituto di studi e ricerche, istruzione, assistenza sanitaria e lavoro sono condizioni che dovrebbero essere garantite agli immigrati per incentivare e sostenere il processo di integrazione. Alloggio, ricongiungimento familiare, sostegno economico e libertà di culto sono ritenuti invece fattori secondari.
Alcuni elementi consentono, tuttavia, di ipotizzare un certo grado di apertura nei confronti degli stranieri, sia dal punto di vista lavorativo, che sociale. Gli intervistati infatti non avrebbero alcun problema a lavorare insieme ad uno straniero, né tanto meno a iscrivere i propri figli in una classe dove vi sono il 20% di alunni stranieri. Si accetterebbe volentieri anche di avere un vicino di casa immigrato, sono più reticenti invece ad affittare agli stranieri locali commerciali o appartamenti privati.
In generale, gli intervistati sono molto d’accordo nell’affermare che gli stranieri occupano quelle posizioni lavorative che gli italiani ormai rifiutano e che rappresentano comunque una forza lavoro valida. La questione che gli stranieri tolgono lavoro agli italiani o che sono la causa principale dei problemi di sicurezza e di ordine pubblico è infatti smentita dalla metà degli intervistati, dimostrando come le solite affermazioni sulla presenza straniera in Italia sono per lo più dei luoghi comuni.
“La sfida dell’integrazione”, affermano i ricercatori della Fondazione Moressa,“si vince sul campo, creando un sistema nel quale le diverse culture possano dialogare e confrontarsi nell’esperienza di tutti i giorni nel rispetto delle regole, garantendo parità di trattamento e il rispetto dei diritti fondamentali, affinché la diversità sia considerata un valore più che un freno allo sviluppo, anche economico, del Paese”.



Immigrati: marocchino chiede riconoscimento legale in Italia della poligamia. Ha già tre mogli
Studio Cataldi, 21-03-2011
Emanuele Ameruso
Una questione molto delicata sta per essere affrontata dai giudici genovesi, che si troveranno a breve a dovere esaminare il caso di un cittadino marocchino di 43 anni, un tale Farid, immigrato in Italia, gestore di una catena di macellerie islamiche, il quale chiede formalmente il riconoscimento legale delle sue tre mogli e rispettivi figli, avendo così la possibilità di chiederne il ricongiungimento familiare. Il marocchino vorrebbe, dunque, che lo stato italiano gli riconoscesse la poligamia, che in Italia non solo non è ammessa per legge, ma addirittura viene punita con il carcere. Secondo Farid, il riconoscimento della poligamia gli consentirebbe di potersi ricongiungere con tutte le tre mogli, potendo così vivere insieme a loro, in uno stato egualitario come prescrive la legge islamica, che vieta un trattamento differenziato delle mogli sposate. Trattamento, sostiene Farid, che egli non può offrire in modo uguale, in quanto la legge italiana gli riconosce solo una moglie e non gli è possibile ricongiungersi con le altre due. Farid continua, sostenendo che questa sua causa vuole essere anche un modo per evitare l'ipocrisia a cui sono costretti molti cittadini immigrati mussulmani, che legalmente fingono di divorziare da una o più mogli, per conformarsi alle leggi italiane. Una causa che non solo scatenerà una serie di polemiche inevitabili, ma è anche la spia della difficoltà di integrazione dei cittadini di fede mussulmana, le cui regole di vita familiare non sono spesso compatibili con il rispetto della legalità in Italia.
 

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