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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Dovremmo rammaricarci per la scarsa immigrazione passata

Andrea Billau
Questo contributo prende spunto dall'ascolto in diretta, come sempre su Radio Radicale, del convegno di Confindustria “Libertà e benessere. L'italia al futuro”, che ha visto la partecipazione del gotha dell'industria e della politica nazionale ma non solo(Trichet, Lamy, Almunia).
Mentre ascoltavo mi sono trovato a considerare come la nostra classe dirigente ragioni sempre a breve termine e sembri avere un'incapacità congenita a pensare al medio, figuriamoci al lungo periodo! In particolare quello che risulta dalla riflessione di questa classe dirigente è solo come riuscire reggere la concorrenza a livello globale senza nessuna idea di governance, per l'appunto, a livello globale, C'è chi invece ha questa capacità e riesce a partire dalla crisi attuale a riflettere seriamente sul nostro futuro. Ad esempio voglio citare qui due mie recenti letture, che mi sembra dimostrino questa caratteristica positiva: un'intervista a Jacques Attali e l'ultimo numero della rivista Reset.
Jacques Attali nel suo ultimo libro, in uscita nel nostro paese, “Sopravvivere alla crisi”, parte dai dati reali e non dai desiderata e lui che non è un pericoloso sovversivo(si ricordi la sua partecipazione alla “Commissione per la liberazione della crescita” voluta da Sarkozy), arriva a tracciare un quadro fosco, ma a mio avviso positivo per la consapevolezza che può provocare, della situazione. Riprendiamo il suo pensiero da un'intervista a Repubblica concessa a Anais Ginori; dice, tra l'altro, Attali: “La crisi finanziaria del 2008 non è affatto terminata, nonostante i proclami trionfanti di qualche politico e banchiere. Quelli che gli anglossassoni definiscono “germogli” di ripresa sono, a mio avviso, soltanto segnali passeggeri. Molte banche continuano ad essere insolventi, i prodotti speculativi si accumulano come e più di prima, i disavanzi pubblici sono ormai fuori controllo, il livello della produzione ed il valore dei patrimoni restano in grandissima parte inferiori quelli precedenti la crisi. La causa più profonda di questa crisi è l'impossibilità per l'Occidente di mantenere il suo tenore di vita senza indebitarsi...La congiuntura economica ci riserverà altre brutte sorprese. Personalmente, temo il ritorno dell'iperinflazione scatenata dall'enorme liquidità creata dalla Banche centrali, la possibile esplosione della “bolla cinese” per colpa degli eccessivi crediti concessi e della sovraccapacità della Repubblica Popolare...Di fronte a una crisi, qualunque essa sia, la maggioranza degli individui comincia col negare la realtà. Purtroppo questo meccanismo si applica perfettamente anche alle imprese e alle nazioni. Finora i governi hanno adottato una strategia che fa finanziare dai futuri contribuenti gli errori dei banchieri di ieri e i bonus di quelli di oggi...Quello che più mi colpisce è che molti potenti vorrebbero tornare rapidamente al vecchio ordine, anche se è quello che ha scatenato la crisi finanziaria. Nell'attuale modello economico l'impresa è passata al servizio del capitale, a sua volta manipolato dalle leggi della Borsa. Le cose stanno così dal 1975, data dell'invenzione delle stock-options negli Stati Uniti”. Questa la spietata analisi di Attali a cui voglio accostare le analisi e, soprattutto,  le proposte che si possono leggere nell'ultimo numero di “Reset”, dedicato all'invecchiamento del “Nord del mondo” come chiave per capire verso quale futuro ci dirigiamo e di cui voglio qui citare alcuni interventi.
Jack A.Goldstone, sociologo e politologo statunitense, riprende la classica divisione geopolitica mondiale in primo, secondo e terzo mondo(il mondo capitalista, il mondo comunista e il mondo sottosviluppato), riattualizzandola in questo modo: “..Dalla fine della Guerra fredda, gli strateghi hanno per lo più abbandonato questa divisione in tre gruppi e hanno mostrato la tendenza a credere che gli Stati Uniti, quale unica superpotenza, avrebbero mantenuto la pax americana o che il mondo sarebbe diventato multipolare, con gli Stati Uniti, l'Europa e la Cina nei ruoli principali. Purtroppo, dal momento che essi ignorano le attuali tendenze demografiche, questi punti di vista sono destinati a rivelarsi obsoleti nel giro di qualche decennio. Un approccio migliore potrebbe essere quello di considerare un diverso ordine di tre mondi, con un nuovo primo mondo delle nazioni invecchiate del Nord America, dell'Europa e dell'Asia e del Pacifico(tra cui Giappone, Singapore, Corea del Sud e Taiwan, così come la Cina dopo il 2030, quando la politica del figlio unico avrà prodotto un significativo invecchiamento della popolazione), un secondo mondo che comprende paesi in rapida crescita e dinamici dal punto di vista economico, caratterizzati da una sana commistione di abitanti giovani e vecchi(come il Brasile, l'Iran, il Messico, la Thailandia, la Turchia, il Vietnam e, dopo il 2030, la Cina) e un terzo mondo di paesi in rapida crescita, molto giovani e sempre più urbanizzati, caratterizzati dalle economie più povere e spesso da governi deboli. Per affrontare l'instabilità che verosimilmente deriverà dalla nuova urbanizzazione del terzo mondo , dalla crisi economica, dall'illegalità e dalla potenziale attività terroristica, i paesi industrializzati che invecchiano del nuovo primo mondo devono stabilire delle alleanze efficaci con le potenze in crescita del nuovo secondo mondo e insieme rivolgersi ai paesi del terzo mondo. Nel XXI secolo, le potenze del secondo mondo saranno essenziali, non soltanto perché guideranno la crescita economica e perché consumano tecnologie e altri prodotti realizzati nel primo mondo: essi saranno fondamentali anche alla sicurezza internazionale e alla cooperazione. Le realtà della religione  e della cultura e la vicinanza geografica significano che qualunque coinvolgimento pacifico e produttivo dei paesi del terzo mondo da parte del primo mondo dovrà includere l'aperta cooperazione dei paesi del secondo mondo.” A questa analisi Goldstone fa seguire le proposte volte a implementare questa prospettiva, tra le quali fondamentale è la gestione dell'immigrazione, sia a livello generale, ma anche particolare, come quella rivolta alla “vecchia Europa”: “E' fondamentale perciò, malgrado le preoccupazioni europee circa i potenziali effetti sull'immigrazione, intraprendere i passi necessari all'ammissione della Turchia dell'Unione Europea. Ciò apporterebbe gioventù e dinamismo economico all'Ue – e dimostrerebbe che i musulmani sono ben accetti nell'unirsi agli europei su un piano di parità per plasmare un futuro libero e florido. D'altra parte, escludere la Turchia dall'Unione Europa potrebbe portare all'ostilità non soltanto dei cittadini turchi, che entro il 2050 saranno 100 milioni di persone, ma anche delle popolazioni islamiche di tutto il mondo.” Francesco Orazi, sociologo economico, da parte sua, ricorda che: “Secondo le più recenti proiezioni, la forza lavoro italiana scenderà al 77% circa del suo valore attuale entro un quarantennio. Tutti gli indici demografici mostrano un peggioramento del ricambio della fascia produttiva, oltre che una crescente concentrazione della popolazione attiva nelle fasce d'età più elevate. L'invecchiamento attivo, il prolungamento della vita lavorativa e una robusta iniezione di forza lavoro immigrata, giovane e femminile sono gli antidoti per scongiurare il crack demografico del mercato del lavoro e la lacerazione del patto generazionale”. E il demografo Alessandro Rosina, curatore del “rapporto sulla popolazione italiana. L'Italia all'inizio del XXI secolo” fa notare come: “L'invecchiamento sarebbe risultato un po' meno accentuato in Italia se l'immigrazione fosse stata più anticipata e diluita nel tempo. Paradossalmente da questo punto di vista, più che preoccuparci della troppa immigrazione attuale, dovremmo rammaricarci per la scarsa immigrazione passata”.
Ecco questi solo degli accenni di un'elaborazione seria di quelle che sono le sfide del nostro tempo, tempo di crisi, sfide che se la nostra cosiddetta classe dirigente continuerà a ignorare per le sue comodità, rischiano, come ricorda nel suo libro Attalì, di condurci a una situazione che diventerà ingestibile.
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