Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

30 luglio 2010

Francia, giro di vite sui Rom «Chiuderemo 300 campi illegali»
La svolta dopo gli incidenti nella Loira. Critiche da Bucarest e Sofia
Sarkozy: «Espellere gli irregolari». L’opposizione contesta
Corriere della Sera 30 luglio 2010
PARIGI — Chiusura entro tre mesi di 300 accampamenti illegali, la metà di quelli esistenti. Ispezioni fiscali perché, ha spiegato il ministro degli Interni Brice Hortefeux, «molti francesi trovano sorprendente la cilindrata di certe auto che trainano roulotte». E ancora: espulsione «quasi immediata» degli irregolari provenienti da Romania e Bulgaria che violano la legge.
Nicolas Sarkozy, con i suoi ministri guidati da Hortefeux, ha lanciato una vera guerra contro la comunità il cui nome è solo uno dei tanti motivi di scontro. Rom, gitani, manouche o come la legge francese prevede gens du voyage anche se di «viaggiatori» ce ne sono ormai pochi. Dei 400 mila rom (il termine più corretto) presenti oggi in Francia, il 95% sono cittadini della République e due terzi sono sedentari. Gli «irregolari» sarebbero 15 mila, provenienti soprattutto da Romania e Bulgaria: cittadini Ue liberi di arrivare fin qui, ma poi soggetti ad autorizzazioni speciali per restare. In gran parte finiti nelle bidonville o nei campi illegali che il governo vuole eliminare.

La nuova battaglia di Sarkozy, lanciata secondo l’opposizione per sviare l’attenzione da scandali politici e crisi economica nonché per reimporsi come «uomo di ferro», è nata da un fatto in apparenza minore. Il 17 luglio a Saint Aignan nella Loira, due giovani rom (francesi e sedentarizzati) avevano forzato in auto un blocco della polizia che aveva poi sparato uccidendone uno. Erano seguiti due giorni di scontri: i rom avevano assalito un commissariato, bruciato auto, rotto vetrine. E Sarkozy aveva denunciato «i problemi posti dai comportamenti di alcuni rom e gens du voyage », preannunciando un vertice di governo sull’emergenza, tenutosi mercoledì scorso.

«Sarkozy sui rom non cede alla gauche », titolava ieri Le Figaro. «Repressione» scriveva in prima pagina Libération. E Le Monde nel suo editoriale attaccava «l’errore di M. Sarkozy. Che non è fare la guerra alla delinquenza, aumentata del 16,4% dal 2004, ma di fare una generalizzazione che libera fantasmi e pregiudizi, fa riapparire l’immagine degli zingari che rapiscono bambini e rubano». Le numerose associazioni che rappresentano i rom e alcune ebraiche, quelle per i diritti umani e contro il razzismo, singoli intellettuali, gente normale hanno riempito i media con dure proteste indignate, ancor più indignate il rifiuto dell’Eliseo di ricevere rappresentanti dei rom in vista del vertice. L’opposizione, in genere divisa, almeno su questo fronte è unita. E chiede, tra l’altro, che la legge del 1990 che obbliga i Comuni oltre i 5 mila abitanti a creare aree di accoglienza per i nomadi sia finalmente rispettata (lo è a metà). Qualcuno, come l’avvocato dei rom Henri Baum, preannuncia denunce contro lo Stato per «incitazione all’odio razziale», mentre da Bucarest il premier Emil Boc rimanda al mittente le accuse di non «occuparsi del problema»: tutti gli Stati dell’Ue, ha detto, hanno «obblighi e responsabilità comuni» verso i milioni di rom d’Europa, ampiamente discriminati.

Dall’entourage del presidente, che già da ministro degli Interni chiedeva tolleranza zero contro i nomadi (frenato dall’allora presidente Chirac), nessun segno di cedimento. Il portavoce nel partito di governo Ump ha dichiarato che socialisti, verdi e chiunque è con loro «preferiscono negare la realtà» sui rom, come fanno «per le questioni dell’immigrazione».




Arizona, proteste e arresti per la legge anti-immigrati

Il reportage
Il sindaco di Phoenix: «Dobbiamo regolarizzare i clandestini. Ora tocca aWashington»
Corriere della Sera 30 luglio 2010
PHOENIX (Arizona) — Davanti al municipio Sheila, ventenne bionda acqua e sapone, sembra la tipica manifestante pro diritti civili, una sostenitrice della decisione del giudice Bolton di sospendere l'applicazione delle misure più dure della legge anti-immigrati varata dall'Arizona. E invece sta protestando per la causa opposta: «Con questa gente che arriva e accetta un salario di due dollari l'ora, quando lo troverò un lavoro?».
Tende-prigione I clandestini nella tendopoli fatta allestire da Arpaio

La protesta contro la legge è più avanti, presso gli uffici dello sceriffo della contea: poche centinaia di manifestanti fronteggiati dalla polizia in divisa antisommossa. Molti vengono arrestati per aver invaso la sede stradale della Washington Avenue.

Lo stop imposto dalla corte federale di Phoenix alla norma che impone alla polizia di ricercare i clandestini e di arrestarli non ha chiuso la partita: la governatrice Jan Brewer ieri ha presentato ricorso alla corte d'Appello di San Francisco. E i primi sondaggi dicono che solo il 10% dei cittadini dello Stato condivide la decisione del tribunale che ha giudicato parti della legge SB 1070 contrarie alla Costituzione che riserva le regole sull' immigrazione ai poteri federali. L'82% avrebbe voluto vedere la legge applicata.

«La decisione di ieri è un sollievo, non una vittoria: abbiamo solo guadagnato tempo. Ora è Washington — governo e Congresso— che deve fare la sua parte», mi dice il sindaco di Phoenix, Phil Gordon, nel suo ufficio all'undicesimo piano della torre municipale, proprio di fronte a quella della banca Wells Fargo che, curiosamente, ospita al suo interno gli uffici dello sceriffo Joe Arpaio, nemico giurato del sindaco.

I cittadini di Phoenix hanno eletto senza problemi un sindaco democratico, campione della lotta contro la criminalità ma anche protettore degli immigrati, da lui considerati una ricchezza per la vita economica della città, e un capo della polizia repubblicano e ultraconservatore, che da tre anni è impegnato in una crociata contro i lavoratori clandestini. I suoi metodi sbrigativi hanno indotto il sindaco — è la prima volta che accade con un «primo cittadino» non di origine ispanica — a chiedere la rimozione del suo sceriffo: «Per questo ho pagato un prezzo elevato, politico e non» racconta Gordon. «Sono stato attaccato e sottoposto a indagini di ogni tipo».

Ma ora, mentre Arpaio sta compiendo uno dei suoi raid dimostrativi— 200 vetture della polizia che setacciano la periferia latina di Phoenix con telecamere al seguito — il sindaco ragiona sugli sbocchi possibili di questa situazione. «Le angherie dello sceriffo sono intollerabili, ma se vogliamo rispondere all'esasperazione di chi considera quella degli immigrati una concorrenza sleale perché chi non ha documenti accetta qualunque salario, dobbiamo arrivare a una regolarizzazione del fenomeno che non può che passare attraverso un intervento federale».

Una sanatoria era stata proposta qualche anno fa, quando l'economia era ancora florida, dal presidente George Bush che, però, fu bloccato dal suo stesso partito. Oggi per Obama è ancora più difficile perché la forte crescita della disoccupazione negli Usa spinge molti a chiedere il rimpatrio forzato degli stranieri accusati di «togliere lavoro ai nostri concittadini». Fino a ieri si diceva che gli immigrati svolgevano incarichi rifiutati dagli americani, come la raccolta della frutta e dell'insalata nei campi o le pulizie negli alberghi. Alcuni conservatori, però, ora sostengono che la crisi porterà molti disoccupati ad accettare mestieri più umili. E' un argomento cavalcato anche dallo sceriffo Arpaio: «Considero offensivo sostenere che un giovane americano non può lavorare in campagna. Io da ragazzo raccoglievo foglie di tabacco in Massachusetts. E con molti latinos che se ne stanno andando, già vedo più giovani americani dietro i banchi dei fast food».

Il sindaco Gordon scuote la testa: «Non ha senso: nessun bianco accetta di andare a raccogliere frutta sotto il sole a 45 gradi». Anche l'altro argomento economico usato dai conservatori — i contribuenti pagano 2,5 miliardi di dollari per le spese scolastiche e sanitarie delle famiglie degli immigrati senza documenti— non lo convince: «Sono situazioni da regolarizzare, ma già oggi molti clandestini pagano le tasse e, comunque, la loro fuga sta già producendo grossi danni economici: centri commerciali che chiudono, un pezzo del patrimonio immobiliare della città abbandonato, che perde valore, imprese che faticano a trovare gente disposta a fare alcuni lavori».

Insomma adesso tocca a Obama, ma per lui questa è un'altra questione incandescente da affrontare. Il suo metodo— cercare di spingere la gente a ragionare con fredda razionalità - qui rischia di funzionare meno che altrove. «Le confesso una cosa che da politico non dovrei mai dire, una cosa che fa perdere voti— mormora Gordon — Almeno qui nel West è molto diffusa la sindrome dello scorpione. Quello che nella favola uccide la rana che lo sta traghettando dall'altra parte del fiume perché questa è la sua natura. Molti si innamorano delle proprie idee e non le cambiano nemmeno quando dimostri loro che sono sbagliate, che non sono nel loro interesse».


ASSIMILAZIONE O INTEGRAZIONE LE SCELTE DEI NUOVI ARRIVATI

Corriere della Sera 30 luglio 2010
Risponde Sergio Romano

Caro Taliani,
Assimilazione è stata per molto tempo una parola neutrale, con una connotazione, se mai, piuttosto positiva. Descriveva il processo che consente all’immigrato di venire gradualmente assorbito dal Paese che lo ha accolto e di essere infine «simile» a coloro che lo abitano da tempi immemorabili. A nessuno passava per la mente di considerare sbagliato un percorso che dimostrava anzitutto la liberalità e l’apertura del «padrone di casa». Poi, soprattutto dopo gli anni Sessanta del secolo scorso, l’assimilazione parve ai nuovi sociologi una manifestazione di arroganza, una sorta di prevaricazione. Non era giusto chiedere agli immigrati di assimilarsi. Occorreva «integrarli», cioè creare uno spazio in cui il nuovo arrivato e la sua famiglia avrebbero vissuto conservando una buona parte delle loro tradizioni e dei loro costumi. La tappa successiva fu il multiculturalismo, vale a dire l’organizzazione di una società in cui diversi gruppi etnici e religiosi possono convivere separatamente: una sorta di soffice apartheid in cui ogni gruppo evita per quanto possibile di pestare i piedi degli altri. I governi cominciarono ad adeguarsi alla nuova filosofia e la svolta, negli Stati Uniti, avvenne all’epoca della presidenza Carter, nel 1976.

Le intenzioni erano nobili e illuminate. A me, tuttavia, sembrò che la formula presentasse qualche rischio. Gli Stati migliori sono quelli in cui il concetto di cittadinanza e di eguaglianza sono collocati, nella scala delle virtù, su un gradino più alto di quello su cui sono le tradizioni ereditarie e le peculiarità etnico-religiose. Se l’identità del gruppo è più importante dell’identità collettiva, è possibile che i singoli gruppi finiscano per avere due patrie e due lealtà. In linea di massima, perché no? Tutto bene, quindi, sino al giorno in cui un evento politico rende la doppia lealtà difficile, se non impossibile. Che cosa accadrebbe alle comunità ebraiche americane, per esempio, il giorno in cui gli interessi degli Stati Uniti divergessero radicalmente da quelli di Israele? Non basta. Nei Paesi che praticano l’integrazione piuttosto che l’assimilazione, i gruppi tendono a creare associazioni che dovrebbero rappresentare gli interessi dei loro membri, ma servono spesso a promuovere le ambizioni e l’ideologia di coloro che ne assumono il controllo.

Per fortuna, caro Taliani, la maggioranza dei nuovi arrivati non si chiede se l’integrazione sia meglio dell’assimilazione. Lavorano, imparano la lingua del posto, mandano i figli nelle scuole pubbliche, cominciano a interessarsi della politica locale, scoprono le bellezze e le qualità del Paese in cui abitano. Quando gli fu spiegata la differenza tra la poesia e la prosa, il borghese gentiluomo, protagonista di una commedia di Molière, scoprì che «faceva della prosa senza saperlo». Anche gli immigrati, per fortuna, fanno dell’assimilazione senza saperlo.




Immigrazione: rivolta Cie Bari,sei in fuga,feriti 4 militari

Danneggiati nella notte moduli abitativi e suppellettili
30 luglio
(ANSA) - BARI, 30 LUG - Una trentina di immigrati hanno attuato nella notte una protesta nel Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Bari-Palese.
Gli immigrati hanno devastato tre moduli abitativi, ferendo due carabinieri e due militari del Battaglione San Marco. Sei ospiti del Centro sarebbero riusciti a fuggire. Gli immigrati, armati di spranghe, hanno distrutto suppellettili e i vetri dei moduli abitativi, aggredendo le forze dell'ordine e riparandosi poi sui tetti. Nelle fasi piu' concitate della rivolta, sei ospiti avrebbero abbandonato la struttura. (ANSA).



Nel catanese nasce centro di accoglienza per 88 minori (2)

27 luglio 2010
(Adnkronos) - Il Pon Sicurezza ha stanziato 1.998.096,46 euro, cofinanziati dalla Unione europea, a sostegno del progetto presentato dal Comune in provincia di Catania. Come previsto l'Obiettivo operativo 2.1 del Pon Sicurezza "Realizzare iniziative in materia di impatto migratorio", verra' realizzato un centro specializzato per l'accoglienza di minori stranieri attraverso la ristrutturazione dell'edificio dell'ex Casa delle Fanciulle.

Il centro non vuole solo offrire accoglienza temporanea ai ragazzi, ma essere anche uno spazio di incontro e dialogo fra culture diverse attraverso attivita' multiculturali e interetniche. Il progetto, inoltre, prevede che la struttura sia gestita a costo zero grazie agli utili derivanti dai servizi di lavanderia, stireria e cineteatro offerti alla comunita' locale. Previsti all'interno anche laboratori di artigianato ceramico, nel rispetto della tradizione di Caltagirone, e di ebanisteria e lavorazione di pietre dure. L'edificio ristrutturato, tre piani per circa 3mila metri quadrati, avra' una capacita' di accoglienza di 88 minori.



NON SI AFFITTA AGLI IMMIGRATI
di Massimo Baldini e Marta Federici 30.07.2010




Permesso di soggiorno anche per lavoro a progetto

intrage.it 30/07/2010
Il premesso di soggiorno per studio potrà essere convertito in uno per lavoro anche nel caso di lavoratori con contratto a progetto, ma solo per quelli che si trovano già in Italia. Lo ha precisato il Ministero del Lavoro, con la nota 33612010. Lo straniero che passerà quindi dallo studio al lavoro con contratto di lavoro parasubordinato - tipo co.co.co. o a progetto - e che avrà un permesso di soggiorno ancora in corso di attività, potrà presentare regolare domanda ed ottenere il permesso per lavoro. La nota, spiega il Ministero, si è resa necessaria a causa della poca chiarezza sulla materia e della necessità di un orientamento uniforme in tutta Italia, considerato che la formula del contratto a progetto è sempre più diffusa, anche tra i lavoratori stranieri. Tale conversione sarà però subordinata ad alcuni fattori. In primis, non sarà applicata ai nuovi arrivi, ma solo a coloro che stanno già studiando regolarmente in Italia. Fanno eccezione alcune categorie, come ad esempio gli artisti di comprovata fama oppure gli imprenditori che svolgano attività che hanno ricadute positive sull’economia italiana. In secondo luogo, le conversioni potranno aver luogo entro certi limiti, a livello territoriale e sulla base dei "decreti flussi". Il contratto a progetto dovrà inoltre essere valutato e si dovrà accertare che si tratti effettivamente di lavoro autonomo.



"Questa città non si chiuda ai diversi"

VareseNews 30 luglio 2010
Dopo l'aggressione a sfondo razziale su un autobus varesino, l'intervento dei Giovani Comunisti-Federazione della sinistra
Di seguito il comunicato stampa a firma di Valerio Todeschini, del coordinamento provinciale GC in merito ai fatti della scorsa settimana che hanno visto coinvolta una giovane ragazza di origini brasiliane.
Varese, giovedì 22 luglio scorso, una ragazza viene insultata e picchiata sull’autobus perchè si lamenta del caldo. E le viene gridato “sporca negra, negra di merda”. Un atto, l’ennesimo purtroppo, che ci dà il senso di come nella città giardino ormai sempre più si sta insinuando una sorta di razzismo diffuso, strisciante, che diventa una giustificazione per gli atti più brutali, verso chi è ritenuto diverso (sia dal punto di vista razziale che sessuale). Varese, la Lombardia, che dal punto di vista economico dovrebbero essere, e probabilmente lo sono, il ponte dell’Italia intera verso il resto del mondo, a livello sociale invece si chiude sempre di più. Si chiude verso le altre etnie, verso gli immigrati, verso chi è portatore di idee diverse e di stili di vita diversi. Non riusciamo ad aprirci, a capire che la multiculturalità può essere una risorsa. Guardiamo città come Londra, New York, l’esempio più calzante e famoso di città globali. Lì la multiculturalità, nonostante problematiche che persistono (anche gravi), è stata messa a valore. La città si è aperta ai processi globali, sapendo ad esempio coagulare le diverse culture creando qualcosa di nuovo e importante che dia il senso di un’immagine veramente globale, a partire dall’economia fino alle arti. Qui invece a Milano facciamo l’EXPO e chiudiamo le Kebabberie, poniamo seri limiti alla contaminazione tra culture diverse.
Questo grazie alla poca lungimiranza della classe politica che ci governa: ci riferiamo ovviamente a PDL e LEGA NORD. Questi due partiti non solo non fanno niente per invertire questa tendenza di chiusura verso il diverso (a una settimana dal fatto citato all’inizio rimane un silenzio assordante, quello dei due partiti che governano questa provincia), che piano piano porta all’aumentare del razzismo diffuso nella società, ma anzi cavalcano i sentimenti più beceri e pericolosi che esistono tra il popolo. La politica ha pesanti responsabilità, con la loro propaganda questi due partiti sdoganano e legittimano atteggiamenti come quello descritto all’inizio, quando Maroni afferma che “con gli immigrati bisogna essere più cattivi” dà una giustificazione alla società per mettere in atto questi comportamenti, di picchiare una ragazza sul pullman perchè si lamenta per il caldo, di uccidere un ragazzo perchè ruba due biscotti in un bar a Milano.
Dal Governo alle Giunte comunali questa destra legittima e cavalca la guerra tra i poveri, anzi la fa crescere, approfittando della crisi economica. Il Ministero delle Finanze ci dice che l’evasione in Italia è pari a 120 MIliardi di Euro. Cosa fa il Governo Berlusconi? Attua una manovra iniqua, che fa pagare la crisi alle fasce più deboli: dopo questa Finanziaria chi è senza lavoro e aspetta la pensione di vecchiaia la prenderà dopo un anno e quindi ci rimetterà 550 euro al mese, che per 13 mensilità fa 7550 euro. Ecco cosa fa questa destra! Fa pagare la crisi ai più deboli, ai pensionati, ai precari; ma contemporaneamente dice a quest’ultimi che stanno peggio perchè ci sono gli stranieri (che pagano i contributi e quindi le pensioni ai nostri anziani, soldi che probabilmente non vedranno perchè una volta finito di lavorare torneranno nel loro paese d’origine), perchè c’è chi ci ruba il lavoro; quando loro fanno in modo di peggiorare le nostre condizioni di vita, quando affermano che Marchionne può tranquillamente spostare la produzione FIAT in Serbia senza nemmeno curarsi di tutti i soldi che i contribuenti italiani hanno versato nelle casse di quell’azienda. Ecco qual è il binomio di questa destra, tagliare sulle fasce più deboli e dare la colpa a quelli che stanno peggio, ecco cosa fa.
Alimentano quindi così il razzismo, gli creano il terreno politico per crescere. In tutto questo Berlusconi afferma che vuole cambiare la Costituzione. Ma in quale direzione? Mi sembra che se queste sono le premesse, il senso è uno: togliere quelle parti che ancora difendono le classi più povere, e togliere quegli elementi che ancora pongono un freno al razzismo dilagante su cui questa destra cresce. Noi crediamo che questo progetto vada fermato. Crediamo che davanti a tutto questo la sinistra deve avere il coraggio di impostare una battaglia unitaria con tutti quei soggetti, politici e sociali, che ancora fanno della lotta contro il razzismo uno dei loro punti fondamentali. Bisogna unire tutte le forze democratiche in questa battaglia per difendere la nostra costituzione. La Federazione della Sinistra, che unisce (finalmente) diverse anime della sinistra, è pronta da subito a confrontarsi su questo terreno, contro ogni forma di razzismo, per la salvaguardia dei valori fondamentali contenuti nella nostra Costituzione nata da quella bellissima lotta contro il fascismo che si chiama Resistenza.



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