Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 marzo 2012

Italiane e straniere un fiore per i diritti
Insieme sull'Altare della Patria per deporre una corona di mimose. Cosi la Fondazione lotti ha voluto siglare un «patto» simbolico di alleanza
l'Unità, 09-03-2012
LIVIA TURCO

Quanto sarei felice di poter dire in un luogo solenne che amo l'Italia». È da questa affermazione che tante volte ho ascoltato dalle amiche «nuove italiane»" che è nata l'idea di compiere un gesto simbolico di cittadinanza, di onore per l'Italia, di alleanza ira italiane ed immigrate. Ieri, 8 marzo, giornata di festa e di lotta delle donne, siamo andate a deporre una corona di mimosa e di alloro sull'Altare della Patria, davanti al Sacello del Milite Ignoto, simbolo della nostra Repubblica.
Quaranta donne autorevoli, per ciò che fanno nella loro vita, per ciò che hanno dato al loro paese d'origine, per ciò che fanno in Italia e che insieme rappresentavano tutti i continenti del mondo, hanno accettato l'invito della Fondazione Nilde Iotti ed insieme con le volontarie della fondazione medesima, sono salite sui gradini dell'altare della Patria per deporre una corona di mimosa ed alloro. Hanno accompagnato questo gesto con pensiero e riflessioni che potrete leggere sul sito della Fondazione medesima (www. fondazionenildeiotti.it).
È stata una grande emozione sentire la gioia delle nostre amiche perché accolte ed amate nel luogo più sacro delle nostre istituzioni. II colore della mimosa che campeggiava davanti al Milite Ignoto era più luminoso perché era davvero il fiore di tutte e l'Altare della Patria è diventato più umano perché luogo dell'incontro e dell'amicizia tra storie e culture diverse. Quello di ieri non è stato un solo gesto simbolico ma l'inizio di un percorso e di un cammino di scambio e di riconoscimento tra italiane ed immigrate. Non basta più soltanto aiutarci a gestire la reciproca emancipazione all'interno delle nostre vite. Italiane e «nuove italiane» devono irrompere sulla scena pubblica e diventare le costruttrici autorevoli della nostra convivenza civile. Abbiamo una risorsa in più per fare questo che è l'alfabeto dei sentimenti. È un alfabeto universale che si fa capire da tutti attraverso i gesti della vita quotidiana ed è proprio nella quotidianità della vita che le donne costruiscono la mescolanza delle culture e delle civiltà.
Le donne solo leader di una filiera della convivenza basti pensare alle badanti, alle insegnanti, alla cura dei figli, alla capacità di costruire momenti di festa nei quartieri e nelle loro comunità attraverso le tante associazioni femminili. Quest'azione quotidiana per la convivenza deve uscire dall'invisibilità deve diventare forza politica e simbolica. Dobbiamo costruire un patto, un'alleanza, tra italiane e «nuove italiane» per un'Italia migliore. Un'alleanza attorno ad obiettivi concreti e condivisi: la dignità del lavoro, un welfare che garantisca la sicurezza a tutte le persone, una scuola inclusiva ed interculturale che non lasci indietro nessuno; una democrazia più forte che dia la possibilità per i figli di immigrati
che nascono in Italia di essere riconosciuti come Cittadini italiani e preveda il diritto di voto a livello locale per gli immigrati da cinque anni residenti nel nostro Paese; promuova il diritto alla libertà religiosa cosi come previsto dall'articolo 19 della nostra Costituzione; un patto, un'alleanza tra italiane e «nuove italiane» per costruire un'Italia più umana, per promuovere la cittadinanza europea e proseguire la battaglia per i diritti umani sul piano mondiale.?



Due giovani bosniaci, nati e cresciuti in Italia, trattenuti nel Cie di Modena perché i genitori sono diventati irregolari.
Lunedì un presidio delle associazioni presso la sede del giudice di pace dove si terrà la prima udienza.
ImmigratiOggi, 09-023-2012
Andrea e Senad, fratelli di 23 e 24 anni di origine bosniaca ma nati e cresciuti a Sassuolo, da circa un mese sono trattenuti al Centro di identificazione ed espulsione di Modena dopo che i genitori hanno perso il lavoro e si sono ritrovati senza permesso di soggiorno.
“L’assurdità della nostra storia è che non possiamo essere espulsi perché la Bosnia non sa neanche chi siamo”, scrivono i due giovani in una lettera indirizzata alla Corte europea dei diritti dell’uomo e al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Una storia – come riporta Ansa – che ha mobilitato la società civile: lunedì prossimo un gruppo di associazioni organizzerà un presidio presso la sede del giudice di pace, dove si terrà la prima udienza relativa ai due giovani. “In Francia si diventa subito cittadini – scrivono i due giovani – qui invece speriamo almeno di non restare reclusi in questo carcere”.
Dopo l’interessamento del legale che segue i due giovani, anche la politica si sta muovendo. I consiglieri regionali del Pd, Luciano Vecchi e Palma Costi, hanno presentato un’interrogazione urgente in Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna per chiedere alle istituzioni “di mettere in atto tutte le azioni possibili per pervenire alla loro immediata liberazione”.



Non chiamateli "ospiti": sono cittadini L'Italia sono anche Andrea e Senad
Sono due ragazzi ventenni nati in Italia ma rinchiusi da febbraio nel Cie di Modena perché i genitori hanno perso il lavoro come ambulanti e non hanno mai naturalizzato i figli, entro la maggiore età, all'ambasciata bosniaca. Sono a tutti gli effetti italiani, ma vittime dell'illecito amministrativo
la Repubblica, 08-03-02012
ROMA - Non chiamateli "ospiti": sono cittadini. Andrea e Senad, poco più che ventenni sono fra quegli italiani costretti nel limbo di uno Ius soli che non è permesso in Italia. Andrea e Senad sono rinchiusi da febbraio nel Cie di Modena perché i genitori hanno perso il lavoro dopo una vita di fatiche come ambulanti, e non hanno mai naturalizzato i figli, entro la maggiore età, all'ambasciata bosniaca. Sono a tutti gli effetti italiani, ma vittime dell'illecito amministrativo: nati qui, con un percorso di studi compiuto a Sassuolo, ma privi di un documento che li legittimi come tali, anche se questa è la loro effettiva condizione. I genitori sono irregolari e questo status passa ai figli di conseguenza.
Una vicenda assurda. "L'assurdità della nostra vicenda - si legge nella lettera che hanno inoltrato alla Corte Europea dei diritti dell'uomo e al Presidente Napolitano - è che non possiamo essere espulsi perché il paese dei nostri genitori, la Bosnia Erzegovina, non ci ha mai censiti né sa chi siamo. Così rimaniamo al Cie, a spese del contribuente italiano in attesa di un provvedimento di espulsione che non potrà mai essere eseguito. In Francia si diventa subito cittadini, in Italia non speriamo nella cittadinanza ma almeno speriamo di non restare reclusi in questo carcere ed essere definiti ospiti".
Razzismo istituzionale. "Questo è l'ennesimo caso di razzismo istituzionale - ha denunciato Cécile Kyenge, portavoce nazionale del Primo marzo 2 - il governo deve dare risposte concrete sui diritti di cittadinanza delle seconde generazioni perché questo è solo l'inizio di un problema che si ripeterà negli anni: è quindi importante dare soluzioni definitive oggi". In occasione della prima udienza, lunedì 12 marzo alle 8.30, infatti, la società civile assieme a Pd, Arci 3, Italia sono anch'io 4, LasciateCIEntrare, associazione GiùleFrontiere, e i comitati primo marzo, si troveranno in via San Pietro 1 a Modena, per un presidio davanti al giudice di pace e per continuare a sensibilizzare la popolazione con una petizione per il loro rilascio immediato e la loro regolarizzazione.



Figli di immigrati, Reggio capofila
Diritti di cittadinanza: la nostra provincia ai primi posti in Italia per la raccolta di firme a favore dell’Italia sono anch’io
Gazzetta di Reggio, 09-03-2012
Roberto Fontanili
La campagna per i diritti di cittadinanza “L’Italia sono anch’io”, decollata da Reggio nel settembre scorso, andrà ancora avanti per far pressione sulle forze politiche e garantire che in parlamento, come hanno promesso, presentino in tempi ragionevoli un progetto di legge congiunto che trasformi gli immigrati «da oggetto a soggetto di diritti». Il diritto di essere italiano, se si nasce in Italia da un genitore residente da almeno un anno e per il diritto di voto dei lavoratori stranieri residenti in Italia nelle elezioni amministrative.
L’impegno per questa azione di “moral suasion” sul parlamento è stato rinnovato ieri in Comune dal sindaco Graziano Delrio (dopo la conferenza stampa dellaltro ieri a Roma) e dai rappresentanti della trentina di enti, associazioni e sindacati, all’indomani della consegna avvenuta martedì scorso da parte del sindaco Graziano Delrio alla Camera dei deputati di 100mila firme per ciascuna delle due proposte di legge e che ha visto la provincia di Reggio con 5.423 firme raccolte figurare ai primi posti tra le province italiane.
Una campagna, ha ricordato lo stesso Delrio, partita solo il 9 settembre scorso al campovolo in occasione di Festareggio «e con un brutto clima, poi rischiarato dall’intervento del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e che ha avuto anche il merito di fare chiarezza e informare i cittadini e di stimolare un dibattito culturale a vent’anni di distanza dalle prima legge sull’immigrazione».
E’ stata proprio la necessità di spiegare e informare chi firmava, il tratto caratterizzante della raccolta di firme, che ha visto complessivamente oltre 10 mila adesioni in tutta la provincia. Un traguardo frutto oltre che di appuntamenti specifici e di tanti gazebo organizzati in occasione di eventi e iniziative, ha visto gli stessi cittadini scegliere di recarsi nei diversi municipi a firmare. Dalle 492 raccolte a Correggio, alle circa 150 di Quattro Castella, Sant’Ilario, Casalgrande e Cavriago, fino a quelle dei Comuni più piccoli.
Ma è stato proprio la necessità di non abbassare l’impegno, che è arrivato l’invito non solo del sindaco, ma anche dai rappresentanti di Arci, Filef, Caritas, che si sono rivolti ai partiti reggiani (che hanno contribuito alla raccolta firme come Pd, Rifondazione Comunista, Sel e Pdci), di continuare in proprio impegno per arrivare a una proposta di legge unitaria. Una possibilità già intravista in occasione dell’incontro che si è tenuto martedì alla Camera dei deputati.



Akim e la vittoria più bella "Io sul ring finalmente da italiano"
Viene dal Marocco, aveva sei anni quando arrivò a Bologna. Si allena alla palestra Tranvieri, assieme a tanti immigrati. A quattro anni dalla prima domanda, il giuramento sulla Costituzione. "La boxe mi ha salvato, ho imparato a tirare i pugni ma anche il rispetto delle regole"
la Repubblica, 09-03-2012
LUCA SANCINI
"Maestro adesso possiamo combattere per il titolo italiano". La prima telefonata dopo aver giurato sulla Costituzione, Akim, 23 anni da Kenitra, Marocco, l'ha fatta a Sergio Rosa, che gli ha insegnato la boxe. Così a quattro anni dalla prima domanda, Akim Chebakia, bolognese da quando ne aveva sei, talento da boxeur e la testa a posto dopo un'adolescenza difficile, potrà lottare in autunno a Roma ai campionati assoluti, nella categoria gallo. Mercoledì mattina in Comune per il giuramento era un giorno speciale.
"C'ero andato con mia mamma - racconta Akim - poi all'uscita mi hanno fatto un a sorpresa: c'erano anche un mio caro amico e le mie sorelline, è stata una battaglia diventare italiano, ma ce l'ho fatta". Cinquantacinque chili, ottima tecnica e "un gancio sinistro che addormenta", dice il maestro, Akim sbuffa, suda, tira pugni ogni giorno dentro la palestra della Pugilistica Tranvieri, aderente all'Aics, la società che organizza il Santo Stefano, l'appuntamento più prestigioso della boxe bolognese. "Ho fatto pari l'ultima volta al Santo Stefano, ma l'avversario era un "leggero", cinque chili in più, e diciamo che l'arbitraggio non è stato casalingo" scherza Akim, sin qui 32 incontri di cui solo sei persi e cinque vinti per ko.
"Diciamo che i suoi colpi si sentono, adesso dipende da lui, dovrà allenarsi e allenarsi ancora, ma può andare lontano 'sto ragazzo, ai campionati italiani se la può giocare, poi chissà
magari ci sarà anche la Nazionale" sorride Rosa, 62 anni da Budrio, che insieme a Sergio Di Tullio, il suo stretto collaboratore, ogni giorno insegna la boxe e molto altro ad una cinquantina di ragazzi. Quasi la metà stranieri, marocchini, russi e albanesi.
Il papà di Chebakia faceva l'insegnante in Marocco, ma perso il lavoro nel 1989 venne qui. Poi l'ha raggiunto nel '95 tutta la famiglia, quando lui trovò un lavoro da operaio, all'Atc, nelle officine del deposito Battindarno. La mamma casalinga badava alle sorelle, la più piccola aveva tre mesi quando arrivarono in Italia, Akim era un bambino, poi un ragazzino che sognava di fare l'ala destra, crescendo dalle parti dell'Ospedale Maggiore.
"Non sono stati anni facili, ho rischiato di perdermi e potevo finir male. La palestra mi ha salvato, ho imparato non solo a tirare i pugni ma anche l'educazione e il rispetto delle regole, mi sfiancavo di allenamenti, così alla sera andavo a letto e non in giro a trovare guai". Poi, cinque anni fa, l'incontro con Rosa, grazie al fratello più grande che frequentava la Tranvieri. Il maestro e il boxeur, storia di un rapporto speciale, se il pugile si lascia guidare e se al maestro "lascia il cuore". Rosa, quando Akim combatte, è all'angolo, gli toglie i paradenti, l'avvolge con l'asciugamano, gli sussurra e grida consigli e conforti. "Chebakia è un grande prospetto - dice Maurizio Roveri, decano dei giornalisti bolognesi di pugilato - un vero talento tecnico, e ha tutte le carte in regola per diventare un professionista". Akim ha da poco aperto un locale, una piccola ma carina enoteca in via Fioravanti, l'ha chiamato "Bologna Gran Bistrot". Il lavoro dietro al bancone e la passione per la palestra. Ancora pugni, ancora corda, ancora sudore, ancora gli urli del maestro in bolognese. Per seguire il sogno di diventare presto un campione. Italiano.



Immigrati, arriva il permesso a punti Due anni di tempo per accumulare crediti
Diventa indispensabile sottoscrivere l'Accordo d'integrazione e cioè imparare la lingua italiana e i principi fondamentali della Costituzione. Se trascorsi due anni non saranno stati ottenuti crediti sufficienti, addio permesso di soggiorno e si procederà all'espulsione
la Repubblica, 08-03-2012
VLADIMIRO POLCHI

ROMA - Scatta il permesso a punti. Dal 10 marzo gli immigrati che intendono entrare in Italia dovranno sottoscrivere l'Accordo d'integrazione, imparare la lingua italiana e i principi fondamentali della Costituzione. Non solo. Se passati due anni, non avranno ottenuto crediti sufficienti, addio al permesso di soggiorno e via libera all'espulsione.  
Le eredità del governo Berlusconi. Il permesso di soggiorno a punti, così come la nuova tassa sui rinnovi dei permessi, sono entrambi lasciti del governo Berlusconi. La tassa (dagli 80 ai 200 euro) dovrebbe essere a breve alleggerita, data l'intenzione del nuovo esecutivo di raddoppiare la durata dei permessi. L'Accordo d'integrazione ha invece anche il timbro dell'attuale governo: i ministri dell'Interno, Annamaria Cancellieri e dell'Integrazione, Andrea Riccardi, hanno infatti sottoscritto - il 2 marzo scorso - le linee di indirizzo per la sua applicazione.
I nuovi obblighi. Dal 10 marzo l'immigrato che fa domanda per ottenere il permesso di soggiorno dovrà sottoscrivere l'Accordo con lo Stato, con cui si impegna ad acquisire una conoscenza elementare della lingua italiana, dei principi fondamentali della Costituzione e del funzionamento delle istituzioni e della vita civile in Italia. Il cittadino straniero dovrà anche adempiere l'obbligo di istruzione dei figli minori e assolvere gli obblighi fiscali e contributivi. E ancora: gli immigrati dovranno seguire cinque ore di educazione civica, organizzate gratuitamente dallo
Sportello Unico per l'Immigrazione 1.
Chi non fa punti se ne va. All'atto della firma dell'Accordo, vengono assegnati all'immigrato 16 crediti. Passati due anni lo Sportello Unico procede alla verifica: l'accordo sarà rispettato se il punteggio è pari o superiore ai 30 crediti. Se i punti saranno pari o inferiori a zero, lo straniero verrà espulso. Chi si fermerà tra uno e ventinove avrà una proroga di un anno per recuperare. I crediti vengono decurtati in caso di condanne penali, anche non definitive e di sanzioni pecuniarie di almeno 10 mila euro. Aumentano, invece, con la partecipazione a corsi, il conseguimento di titoli di studio, onorificenze, svolgimento di attività economico-imprenditoriali, scelta di un medico di base, partecipazione ad attività di volontariato, sottoscrizione di affitto o acquisto di una casa.
A chi si applica l'Accordo? Il nuovo regolamento si applica allo straniero di età superiore ai 16 anni e fino ai 65 anni, che fa ingresso per la prima volta nel territorio nazionale e presenta istanza di rilascio del permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno.



Discriminazione istituzionalizzata nelle agenzie immobiliari. Allarme dell’Unar: con gli immigrati diminuisce il valore degli immobili.
Denuncia dell’Ufficio antidiscriminazioni: ai venditori vengono impartite “istruzioni a discriminare”.
ImmigrazioneOggi, 09-03-2012
“Istruzioni a discriminare”. Così sono definite dall’Unar le raccomandazioni che le agenzie immobiliari forniscono ai propri dipendenti.
È uno dei fenomeni fotografati nella Relazione al Parlamento 2011 sulla parità di trattamento e la xenofobia e discriminazione in Italia, curata dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali (Unar) e diffusa ieri dal Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio.
Nella classifica degli ambienti più “discriminatori”, quello della casa occupa il sesto posto, con il 6,3% dei casi segnalati all’Unar. In particolare, per quanto riguarda le agenzie immobiliari, si assiste “a un comportamento discriminatorio – si legge nella Relazione – su sollecitazione o di una terza persona gerarchicamente sovraordinata o di un documento organizzativo che impone a tutti coloro che vi sono sottoposti di tenere comportamenti discriminanti”. E “alcune agenzie hanno emanato regolamenti interni tesi a escludere gli stranieri dalle transazioni relative a una certa tipologia di alloggi nel timore che la presenza di immigrati potesse far calare il valore degli immobili. In altri casi, sono stati direttamente i responsabili delle agenzie a intimare ai propri collaboratori di applicare questo genere di criteri”. Sempre rispetto alla casa, la Relazione cita un’altra ricerca condotta tramite l’invio di e-mail in risposta ad annunci di affitto, dalla quale emerge che quando il mittente della e-mail era una persona con un cognome arabo le possibilità di mancata risposta da parte del locatore erano molto più alte rispetto al caso di un nome di assonanza slava o italiana.



 

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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