Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

11 maggio 2010

Adesso c'è un Forum contro l'Italia oscurantista e intollerante
Romana Sansa
Fortemente atteso, si è costituito sabato 8 maggio il Forum Immigrazione "Per una civile convivenza" del Partito Democratico. Dalle 10 alle 18, introdotto dal coordinatore Marco Pacciotti, da Khalid Chaouki dell'Esecutivo dei Giovani Democratici e dalla presidente del  Forum Livia Turco, il cui  appassionato intervento ha illustrato i contenuti di una bozza di programma in materia.
Il confronto nel merito si è avvalso di decine di interventi. La costituzione di un Forum di cui si sentiva il bisogno. L'affluenza da tutta Italia, con una vivace presenza di giovani immigrati di seconda generazione, molti dei quali già cittadini o intenzionati a diventarlo, malgrado i limiti dell'attuale legislazione in tema di cittadinanza, ha rappresentato un pezzo importante della realtà dei migranti nel nostro Paese. Esponenti di Comunità, come Edgar Serrano, intervenuto assieme a una delegazione del Coordinamento nazionale Immigrati; associazioni storiche come l’Arci (Filippo Miraglia) e il Consiglio dei Rifugiati in Italia  (Christopher Hein), studiosi come Luigi Manconi  e Aldo Bonomi e tanti amministratori locali come Franco Corradini, assessore alle politiche sociali di Reggio Emilia e il Sindaco di Caulonia, la cui esperienza d’integrazione è stata raccontata da Wim Wenders. E c’erano, poi, imprenditori,  religiosi, donne di grande esperienza e cultura. Come sintetizzare quanto è stato detto e quanto è stato deciso?  Ci ha provato Maurizio Migliavacca , coordinatore della segreteria del partito, che  ha sottolineato la difficoltà, ma insieme la determinazione, di un cammino, che dev’essere di tutto il Pd, per affermare la cultura dei diritti contro l’oscurantismo dell’Italia delle paure. 

l'Unità 11 maggio 2010



MILANO, CONVEGNO ALL'UNIVERSITÀ' CATTOLICA: «PER UN'INTEGRAZIONE POSSIBILE»
Maroni: "In Italia le nuove banlieue"

La Stampa, 11-05-2010
Fabio Poletti

Parigi bruciava. L'Italia brucerà. Lo dicono in uno studio dell'Università Cattolica di Milano: «Anche un singolo episodio può fungere da catalizzatore di contrasti latenti, da causa scatenante di manifestazioni violente». A Parigi nel 2005 ad accendere la miccia bastò la morte di due minorenni di origini maghrebine ma nati in Francia, rimasti fulminati in una cabina elettrica mentre cercavano di sfuggire alla polizia. In Italia le cronache -molto meno gravi - sono quelle degli ultimi anni da Castel Volturno, Rosarno o via Padova a Milano. Bastano queste al ministro dell'Interno Roberto Maroni - pure lui al convegno dal titolo che sembra una scommessa: «Per un'integrazione possibile» - per lanciare l'allarme: «Anche nelle nostre città ci sono dei rischi che avvenga quello che è capitato nelle banlieue parigine».
Per scongiurarlo - ammette - non c'è che una strada: «Sicurezza e integrazione sono un binomio inscindibile. Rispetto delle regole e rigore, significa possibilità di integrarsi meglio».
C'era una volta la tolleranza zero. Adesso c'è la politica delle «finestre rotte». Vincenzo Cesareo del Dipartimento di Sociologia dell'Università che ha curato la ricerca, giura che non ci sono molte ricette per spegnere i fuochi sotto la cenere: «Il degrado genera altro degrado. C'è la necessità di interventi solleciti al fine di contenere pericolose derive». In Italia - a differenza che in Francia - gli immigrati di seconda generazione non sono ancora la miscela esplosiva che chiede gli stessi diritti dei loro coetanei. Anche se precario, il mercato del lavoro continua ad assorbire manodopera immigrata. Ma nei quartieri più degradati, la convivenza tra «italiani» e «stranieri» è sempre più difficile: «A una più alta concentrazione di stranieri, corrisponde una maggior richiesta di vigilanza».
I dati della ricerca sembrano dare ragione a chi chiede più sicurezza. Gli stranieri in Italia sono oltre cinque milioni. Mezzo milione in più dell'anno scorso. Mezzo milione e passa sono irregolari. Ma quello che preoccupa sono gli indici della criminalità. Nel Nord Est ogni mille stranieri, cinque sono responsabili di atti criminali. Nel Centro quasi otto ogni mille. «Quattro volte di più degli italiani nel Nord, sei volte di più che al Sud». Eppure ci sono anche gli italiani che sul degrado fanno affari. Ilda Curti, assessore all'Immigrazione a Torino, racconta dei padroni di casa che affittano in nero agli stranieri: «Intorno al degrado c'è una economia speculativa. Sono quelli a cui il degrado conviene».
Che non tutti gli immigrati siano destinati a commettere reati lo raccontano i dati forniti dall'assessore. Sotto la Mole quasi otto iscritti
all'università su cento sono stranieri, il venti per cento dei mutui accesi nelle banche torinesi sono di extracomunitari. Un dato che farebbe sperare. Ma su cui sorvola il sindaco di Milano Letizia Moratti che nel suo intervento in Cattolica scivola in una facile equazione che poi cerca di rettificare: «I clandestini che non hanno un lavoro regolare, normalmente delinquono». In sala si sente qualche infastidito brusio. La politica nazionale rumoreggia. Più che le «espulsioni rapide» chieste dal sindaco, colpiscono le parole con cui bolla gli immigrati. Livia Turco del Pd attacca Letizia Moratti: «Parole irresponsabili, alimentano solo paure». Leoluca Orlando dell'Idv gioca facile: «Il sindaco guardi a quelli che commettono reati nel suo partito». In difesa del sindaco Moratti - forzando pure le sue parole - ci si mette l'europarlamentare della Lega Mario Borghezio: «Fare i buonisti con i clandestini come fa certa sinistra è da idioti. Se la pensa come me è solo un buon segno».









"Modello Verona" contro il pericolo banlieue

laPadania, 11-05-2010
PAOLO BASSI

Prevenire un "rischio banlieue" in Italia, ma anche snellire le precedure burocratiche per la regolarizzazione degli stranieri, così come implementare la collaborazione a livello europeo per il controllo dei confini. Sono alcuni degli argomenti toccati ieri dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, prima in una diretta telefonica su Canale 5 e poi dal palco di un convegno sull'immigrazione organizzato dall'università Cattolica di Milano.
LA CRISI UE E QUELLA DEL PDL
Rispondendo alle domande di Maurizio Belpietro, l'esponente leghista ha assicurato che la crisi finanziaria che sta attraversando l'Europa «non allontanerà il federalismo. Questa riforma - ha spiegato - significa spendere meglio i soldi pubblici, risparmiare tagliando gli sprechi. Significa ridurre il debito pubblico. Quindi, se sarà bene applicato, il federalismo, aiuterà conti pubblici italiani». Poi una veloce digressione su un'altra situazione di "instabilità", quella del Popolo della libertà. Per Maroni, il partitone azzurro nato dalla fusione di Forza Italia e Alleanza nazionale, deve «trovare una tregua al suo interno. Sarebbe un atto di irresponsabilità continuare a litigare per beghe interne quando. Ci sono da affrontare temi che non sono solo italiani, ma europei. Ci sono paesi che rischiano la bancarotta e non possiamo essere così miopi da guardare le nostre,, anzi le loro beghe interne».
CITTADINANZA BREVE MAI
Altro tema da mettere in chiaro con gli alleati è quello delle modifiche alla legge sulla cittadinanza. «La Lega pensa che la cittadinanza sia la fine di un processo di integrazione che va favorito, ma non va accorciato», ha precisato il titolare del Viminale, aggiungendo che: «Vi sarà un confronto in Parlamento. Non essendo nel programma di governo, non c'è vincolo di maggioranza. Noi siamo un partito serio che mantiene gli accordi presi. Nel patto di governo tutto quello che c'è per noi è un impegno politico e morale. Quello che non c'è, si discute».
MENO BUROCRAZIA PER I PERMESSI
Sempre sul tema dell'integrazione, parlando all'Ateneo di largo Gemelli, il ministro ha annunciato come sia sua intenzion e   portare l'espletamento delle pratiche per ottenere il permesso di soggiorno a 30 giorni entro giugno.  «Quando sono arrivato io - ha ricordato - il tempo medio per avere il documento era di 18 mesi, adesso siamo arrivati a 45 giorni, in media, ed entro giugno voglio arrivare in tutte le questure ad avere un tem-po massimo di concessione di 30 giorni».
PREVENIRE IL RISCHIO BANLIEUE
Maroni, citando il riscontro ottenuto dalla ricerca commissionata dal ministero dell'Interno e dall'università Cattolica di Milano, ha messo in allarme circa il rischio che anche nelle nostre città possa avvenire ciò che è successo nelle banlieue parigine. Una ricerca «utile - ha commentato Maroni -perché fornire anche gli elementi su cosa fare per prevenire questi rischi. Azioni che per l'esponente dell'Esecutivo, «coinvolgono il Governo, ma soprattutto il mondo delle autonomie, i Comuni. Per questo - ha sottolineato - ho proposto di continuare questa collaborazione tra ministero dell'Interno e Cattolica e di aprirla alla partecipazione dell'Anci». Maroni è fiducioso: «Se ciò avverrà, mettendo insieme gli sforzi di tutti, riusciremo a definire un modo di intervento italiano di eccellenza nella gestione dei processi di integrazione dei cittadini stranieri». Per Maroni, sicurezza e integrazione sono «un binomio inscindibile. C'è una recente ricerna che dice che la città che viene percepita come quella che meglio integra gli stranieri è Verona, dove il rigore verso l'immigrazione clandestina è massimo. D rispetto delle regole e il rigore significa la possibilità di integrarsi meglio».
MALTA RIENTRI IN FRONTEX
La lotta contro l'immigrazione clandestina, secondo Maroni, ha fra i suoi pilastri il controllo dei confini. Un'azione da portare avanti anche a livello europeo. Per questo morivo il ministro ha annunciato che giovedì «si terrà un vertice bilaterale Italia-Malta. I quell'occasione - ha illustrato - cercheremo di convincere i colleghi maltesi a riprendere le azioni di pattugliamento del Mediterraneo». Il Go-verno di La Valletta, ha infatti deciso di abbandonare il programma Ue Frontex. Una decisione che, ha concluso il ministro dell'Interno, «può avere conseguenze negative, perchè rompe un fronte che finora è stato unito nel cotrollo del Mediterraneo. Frontex ha appunto questo compito».









Sicurezza e integrazione, la linea della Cattolica che piace tanto a Maroni
In una ricerca voluta dal ministro l'analisi delle banlieue a rischio. Paure e fattore religioso visti con un nuovo realismo

"Riorganizzare le strategie"
Il Foglio, 11-05-2010

Milano. Ieri si è formalizzata per la prima volta un'alleanza di concetti e definizioni fra il Viminale e l'Università Cattolica di Milano, l'ateneo della chiesa italiana, in tema di integrazione e sicurezza. Nell'aula magna di Largo Gemelli è stata presentata una ricerca commissionata un anno e mezzo fa dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni, a un gruppo di docenti interdisciplinare che hanno studiato alcune delle periferie urbane italiane più a rischio. "Un monitoraggio", lo ha definito il titotare del Viminale, "che si è rivelato uno strumento molto utile per impedire che in Italia si creino delle banlieue". Anche se i toni usati dal sociologo Vincenzo Cesareo, coordinatore della ricerca "Per un'integrazione possibile", sono stati sufficientemente sobri ed ecumenici, la novità politica era evidente e non è passata inosservata. Il concetto di "sicurezza", è stato sdoganato all'interno di una comunità accademica, per di più cattolica. La necessità di un maggior controllo delle zone degradate non è quindi più considerato uno strumento demagogico per raccogliere consensi e parlare alla pancia degli elettori, ma una condizione imprescindibile per poter realizzare l'integrazione.
Il capitolo più innovativo della ricerca, scritto dal sociologo Marco Lombardi, è intitolato "I percorsi e le politiche della sicurezza nelle periferie italiane" e affronta anche la questione della radicalizzazione religiosa, che Lombardi definisce "recruitment magnete". Ha elencato le caratteristiche del degrado: aggregazioni mono-etniche che favoriscono la radicalizzazione su base religiosa; isolamento della po-polazione residente, soprattutto se anziana; ricomparsa dell'analfabetismo e della diserzione scolastica; bullismo, etilismo, microcriminalità, truffe agli anziani, violenze sessuali, e infine racket degli alloggi. Fenomeni, che fino a ora erano stati registrati dalle cronache dei giornali e dalla politica, ma non dal mondo accademico. Scrive infatti Lombardi nella sua conclusione dedicata agli strumenti operativi: "Bisogna riorganizzare le strategie di repressione, rivedere le politiche abitative per impedire che vengano gestite da gruppi criminali, creare un concetto di sicurezza partecipata per coinvolgere tutti i residenti. Potenziare le rete associative, anche quelle religiose, riprogettare l'arredo urbano, ricorrere alla penetrazione delle tecnologie di sorveglianza di pattugliamento del territorio". Nella conclusione, ci si spinge addirittura a teorizzare la "relocation" dei ghetti per spostare i comportamenti devianti in zone prestabilite e così governarle meglio. Musica per le orecchie di Maroni.
Le aree più critiche delle periferie urbane studiate dai ricercatori si trovano a Milano, nell'enclave fra viale Monza e via Padova, (quasi 30 mila stranieri su 138 mila residenti) e a San Siro; a Tor Pignattara alla periferia di Roma (centinaia di persone vivono in alloggi precari e abusivi), a Chieri, in provincia di Torino, e ad Acerra, in provincia di Napoli. "L'immigrazione è una sorta di cartina di tornasole perché acutizza problemi, conflitti e degrado", ha osservato Cesareo, mentre il rettore dell'Università Cattolica, Lorenzo Ornaghi, politologo sempre molto ascoltato dalla Cei, ha commentato: "L'insicurezza non è solo percepita, è reale. La formula magica non esiste, ma dobbiamo essere in grado di trovare una sintesi fra l'accoglienza degli stranieri e il rispetto della sicurezza; fra l'umanità e la difesa dei diritti dei residenti grazie a dei criteri di intervento più scientifici".
L'integrazione realizzabile
Anche se i commenti al convegno hanno ruotato intorno alla polemica suscitata da un'uscita poco felice del sindaco Letizia Moratti ("i clandestini non lavorano"), la vera novità politica è un'altra: l'affinità di visione fra l'elite degli studiosi cattolici e Roberto Maroni. Nel suo intervento finale, il ministro ha puntato anche sul tema delle autonomie. Cioè dei poteri che gli enti locali hanno per intervenire nel campo della repressione e dell'integrazione. Il titolare del Viminale è stato molto pragmatico. Ha ribadito che il rischio banlieue nelle periferie è un problema grave, ma che si può prevenirlo. Ha sottolineato che l'integrazione è un obiettivo realizzabile, ma solo se si conoscono e si studiano i territori difficili da governare. E non ci si dimentica che, a fianco della repressione, bisogna offrire delle alternative per l'inserimento, a cominciare da un maggior accesso al mercato del lavoro per tutti i residenti. Sulla base di un binomio ormai inscindibile: integrazione e sicurezza.








Maroni: «Rischio banlieue», fischiata frase della Moratti
Il sindaco di Milano: «I clandestini di norma delinquono»

Il Messaggero, 11-05-2010
di RENATO PEZZINI

MILANO - Se si sgombera il campo dalla retorica e dalla propaganda, si finisce per dover prendere atto di cose sorprendenti in tema di immigrazione. Sorprendente, infatti, è uno studio sul tema stranieri condotto dai ricercatori dell'Università Cattolica di Milano. Tanto per dirne una: a dispetto dei proclami, in Italia nell'ultimo anno i clandestini sono aumentati. Si stimava  che all'inizio del 2009 fossero
420 mila, adesso si stima che siano diventati 544 mila. Un dato che solleva più di un dubbio sull'efficacia delle "politiche di contenimento" adottate negli ultimi due anni nel nostro Paese.
I risultati dell'indagine sono stati presentati ieri. C'era il ministro Maroni, c'era il sindaco di Milano Letizia Moratti, e c'erano soprattutto gli studiosi della Cattolica che hanno messo nero su bianco i risultati del loro lavoro.
I numeri - oltre a documentare l'aumento dei clandestini - dicono cose molto interessanti in tema di criminalità. A cominciare dal fatto che l'equazione "straniero uguale delinquente" è una forzatura ad uso propagandistico. Infatti, la percentuale di immigrati finiti nelle maglie della giustizia per aver commesso reati classificati nel genere "criminalità violenta" si aggira intorno allo 0,7 per cento e varia a seconda delle zone d'Italia: lo 0,5 nel Nordest, lo 0,7 per cento nelle regioni del Centro. Poco più alte (ma sempre di gran lunga inferiori alla "percezione" dei cittadini) le cifre di chi commette reati di "criminalità appropriativa", principalmente furti e borseggi: gli stranieri che compiono questo tipo di azioni sono circa otto su mille, quindi lo 0,8 per cento.
Numeri, fra l'altro, che aumentano nelle periferie delle grandi città e diminuiscono invece in provincia e nei piccoli paesi dove - paradossalmente- il senso di pericolo determinato dalla presenza degli immigrati è più vivo, spesso alimentato anche dalla classe politica. Del resto pure Letizia Moratti si è mostrata vittima di questa "paura": «I clandestini che non hanno un lavoro regolare normalmente delinquono» ha detto durante il suo intervento. Frase salutata da un infastidito brusìo della sala che l'ha poi costretta a rettificare il tiro.
Tornando alla presenza degli stranieri. Il rischio, secondo i ricercatori, è che proprio nelle periferie e nelle zone d'Italia più degradate si concentri la loro presenza facendo così aumentare le condizioni di disagio nelle quali vivono (quindi anche la loro disponibilità a delinquere) e anche la xenofobia degli italiani che condividono con loro quegli spazi: «Se non interveniamo prima» dice il ministro  Maroni  «potrebbero venirsi a
creare condizioni simili a quelle che si sono create nelle banlieu parigine e che hanno portato alle rivolte del 2005. Come intervenire? Combattendo la clandestinità e lo sfruttamento degli stranieri, ma dando anche ai sindaci gli strumenti per attuare politiche sociali in grado di favorire 'integrazione».









Moratti antibuonista: «I clandestini delinquono»

II primo cittadino di Milano a un convegno con Maroni: «Quando non hanno un lavoro, in genere commettono crimini» Il ministro la difende e annuncia: «Permessi di soggiorno in 30 giorni». Ma da sinistra piovono accuse di razzismo
il Giornale, 11-05-2010
Alberto Giannoni

Milano Letizia Moratti ha finito da poco di parlare, ed è appena uscita dalla splendida aula magna dell'Università cattolica di Milano. Piuttosto divertito la segue a pochi passi Matteo Salvini, giovane (e a volte urticante) capogruppo comunale della Lega. E commenta: «Beh, io l'avrei detto in modo diverso, però...». E se ne fa una questione di «lessicalmente e politicamente corretto» perfino Salvini - lo stesso che non molti mesi fa ha provocatoriamente evocato «carrozze della metro riservate ai milanesi» - vuol dire proprio che le dichiarazioni del sindaco di Milano, fraintese o no, sono davvero forti.
E infatti le parole della Moratti per tutto il giorno sono al centro di anatemi, lamenti e indignazioni di tutto il meglio (si fa per dire) della sinistra, politica e non. Ma cosa ha combinato il sindaco di Milano? È intervenuta nella prestigiosa accademia ambrosiana per la presentazione di una ricerca che il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha commissionato a una squadra di studiosi, e dopo aver elencato tutta una serie di misure sociali, progetti di integrazione e interventi d'assistenza messi in campo dal Comune, ha osservato che «i clandestini che non hanno un lavoro regolare, normalmente, delinquono». In quel momento la platea resta in silenzio, poi parte un brusio sottile. Di lì a poco il discorso del sindaco termina - come gli altri - accolto da un timido applauso. Ma quel brusio nei commenti dei politici diventa un frastuono. Per la verità monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del pontificio consiglio per la Pastorale dei migranti, non sembra turbato. Parla dell'urgenza di progetti d'integrazione, e di «grandi interrogativi» posti dai fatti di via Padova (la guerra in strada fra egiziani e sudamericani).
La Moratti intanto precisa le sue parole. Spiega che sarebbe necessaria una riforma, affinché i reati commessi da clandestini siano assorbiti dal reato di clandestinità, per evitare che l'espulsione sia bloccata dagli altri iter processuali. Ma la giostra della propaganda politicamente corretta è partita, e nessuno la ferma. Apriti cielo. Il dipietrista più dipietrista di Di Pietro, Luigi De Magistris, sobriamente parla di «volgare razzismo», e sentenzia che «le affermazioni del sindaco di Milano confermano che nel nostro Paese si sta ritornando alla colpa d'autore di Hitler, come provano anche le recenti iniziative del governo». Il democratico Filippo Penati, che aspira a sfidare la Moratti nel 2011 per lo scranno di Palazzo Marino, dichiara che il suo sindaco «è ormai un emulo del peggior Borghezio». L'ex ministro Livia Turco, si indigna: «Parole irresponsabili che alimentano la paura». Dall'Arci parlano di «razzismo istituzionale».
Lo studio commissionato sulla scorta dei fatti di via Padova, conferma che le periferie sono delle polveriere: il curatore, il sociologo Vincenzo Cesareo, certifica «un alto potenziale di rischio, con la possibilità di un'emersione improvvisa del conflitto». E il ministro  Maroni,  leggendolo,
vede «chiaramente che anche nelle nostre città ci sono dei rischi che avvenga ciò che è avvenuto nelle banlieue parigine qualche anno fa». Ma fa anche presente che il governo sta lavorando sul fronte dei diritti: due anni fa il tempo medio per avere il permesso di soggiorno era di 18 mesi. «Adesso siamo arrivati a 45 giorni - annuncia - ed entro giugno voglio arrivare in tutte le questure a un tempo massimo di 30 giorni». Il ministro annuncia anche che giovedì parteciperà a un incontro bilaterale Italia-Malta per parlare della collaborazione per il pattugliamento del Mediterraneo. E lui stesso difende l'ex collega di governo, politicamente imputata per aver costruito «un'equazione fra criminalità e clandestinità»: «Ha detto un'altra cosa - precisa - che mi pare non sia propriamente questa equazione». I dati sui fenomeni criminali della prefettura di Milano, intanto, danno questi risultati: gli stranieri in città sono il 62 per cento dei denunciati e il 71 per cento degli arrestati totali.









Alla presentazione della ricerca sull'integrazione in Cattolica. Poi la precisazione: non voleva essere un'equazione
Moratti: «I clandestini di norma delinquono»

Corriere della Sera, 11-05-2010
Andrea Galli

MILANO — Finisce così: Mario Borghezio è contento («Letizia la pensa come me») e il Partito democratico non lo è per niente, «la pensa come Borghezio». Qui il leghista non c'entra, è una sorta di metro di valutazione (lui, per la cronaca, è il primo a chiamarsi dentro). C'entra piuttosto Letizia Moratti, sindaco di Milano, che ieri mattina, in Cattolica, alla presentazione di una ricerca sull'integrazione, ricerca voluta dal ministro Maroni lì in prima fila — la ricerca vuol lanciare un modo nuovo di approcciare le tematiche dell'immigrazione, meno urla, meno slogan, più rigore scientifico —, dicevamo, la Moratti si è così espressa: «I clandestini che non hanno un lavoro regolare normalmente delinquono».
Brusio in sala, in giornata il brusio diverrà polemica politica, richiesta di scuse, con la Lega a Milano finalmente d'accordo, non accadeva da tempo, con il suo sindaco; e con il sindaco a spiegare che non aveva voluto far l'equazione clandestino uguale criminale, e che comunque lei intendeva parlare della clandestinità, e «la clandestinità è reato».
Nessuna nota ufficiale dell'università Cattolica, ma un certo fastidio è stato registrato, è stato fatto notare che si teneva tantissimo, alla ricerca, e che della ricerca si è parlato poco, nel senso che la notizia è stata un'altra. La ricerca, spiega il capo della squadra che l'ha condotta, il professor Vincenzo Cesareo, pubblicamente elogiato da Maroni, ha certificato alcune cose, che fanno al caso nostro: «Il numero degli immigrati regolari che commettono reati», ha detto Cesareo, «è uguale a quello degli italiani. Più alto, invece, è il numero dei clandestini. Ma bisogna tener conto di ragioni, cause, motivi: il disagio, situazioni di ricatto, la povertà, la fame».
Il sociologo Aldo Bonomi, studioso di Milano e dei suoi angoli più lontani, nascosti, non vuol parlare della frase incriminata; dice però che in città
la politica dovrebbe tranquillizzare, non esasperare i toni, e che, sempre in città, bisognerebbe uscire dalle paludi, guardare al domani, molto multietnico, pensare alla nuova Milano, costruirla, non perdersi nelle polemiche.
Sono cinquantamila, i clandestini in città. Nei cantieri edili il 30% e passa dei muratori, ha censito la Cgil, è clandestino; prima dell'ultima sanatoria, le badanti clandestine, tra Milano e provincia, erano almeno 30 mila. Il vicesindaco Riccardo De Corato ha inviato un comunicato per dar ragione e appoggio alla sua Moratti: «A Milano e nelle città del Nord otto reati su dieci commessi da extracomunitari, portano la firma di clandestini. La situazione è ben chiara a tutti gli operatori della sicurezza, ma è evidentemente sconosciuta, se non rimossa, ai tanti buonisti». Filippo Penati, a capo della segreteria di Bersani, ha detto: «Abbiamo ascoltato frasi indegne per un sindaco». Frasi «gravissime», ha aggiunto la Cgil. Per Livia Turco, presidente del Forum immigrazione del Partito democratico, «parole così irresponsabili finiscono per alimentare le paure».
Il ministro Maroni, incalzato, difenderà il sindaco. E in fase di commento preferirà parlare di giugno: «Entro il prossimo mese, vogliamo portare il tempo massimo per un permesso di soggiorno a trenta giorni».
Nell'aula magna della Cattolica c'erano tanti giovani, studenti e fra loro ragazzi italiani figli di immigrati stranieri: la cosiddetta seconda generazione, della quale spesso si parla ma che ancora poco, quasi niente, viene coinvolta, ascoltata, consultata. Dice Carnuta, 22 anni a settembre, peruviana e milanese, che avrebbe voluto fare al sindaco un po' di domande, ma la Moratti aveva un altro impegno istituzionale ed è dovuta correre via.








Slogan della peggiore Lega: il clandestino è delinquente

l'Unità, 11-05-2010
Laura Matteucci

I clandestini che non hanno un lavoro regolare normalmente delinquono». Con la consueta grazia e la profonda conoscenza del fenomeno migrazione che spesso sfoggia, il sindaco di Milano Letizia Moratti dà la sua chiave di lettura. Paradossalmente, ad un convegno all'Università Cattolica dal titolo «Per un'integrazione possibile». Persino tra gli astanti del paludato incontro - presente anche il ministro dell'Interno Roberto Maroni - si levano parecchi mormorii di dissenso, che nell'eco nazionale diventeranno una netta censura di quella che viene definita una «indegna generalizzazione», da parte del Pd, e pure da qualche parlamentare Pdl. Lei, il sindaco già in campagna elettorale, tenta poi un'inutile marcia indietro, spostando l'attenzione su un altro suo cavallo di battaglia (agli immigrati), l'appello ad una riforma del reato di clandestinità per renderlo prevalente rispetto ad altre fattispecie delittuose, in modo da rendere immediata l'espulsione degli irregolari: «Bisogna studiare delle formule per garantire l'efficacità (testuale, ndr) della legge». L'inciampo nel sostantivo rivela forse un certo qual disagio per una frase che, se anche «sfuggita» di bocca, proprio per questo riflette il suo esatto pensiero. Moratti non manca di agitare lo spauracchio via Padova (quartiere ghetto creato dal Comune dove, a febbraio, una lite tra extracomunitari finì con un morto e ore di guerriglia urbana). Ma nemmeno Maroni la segue fino in fondo, e si limita a commentare che la Moratti non avrebbe fatto l'equazione clandestini uguale delinquenti, «non proprio», oltre a proporre un generico parallelismo con le banlieues parigine. Persino la senatrice Pdl Maria Ida Germontani sbotta: «Ancora una volta ricordiamo che il 9,6% del Pil è frutto del lavoro degli immigrati, molti dei quali per ritardi burocratici vivono in clandestinità». E ricorda quanti giovani senza lavoro vengono arruolati dalla criminalità organizzata. Per il Pd si tratta di «parole irresponsabili», dice Livia Turco. «Moratti dovrebbe sapere che, a causa della Bossi-Fini, tantissimi lavoratori in Italia anche da 10 anni, che pagano le tasse e i contributi all'Inps e che fanno i lavori più umili, se perdono il lavoro e non riescono a trovarlo entro 6 mesi diventano clandestini e vengono espulsi».
In Italia vivono 5 milioni di stranieri (il 10,7% irregolare), 500mila in più rispetto all'anno precedente. Nell'arco di 8 anni potrebbero raddoppiare. E a breve la legge sulla cittadinanza approda in Parlamento.








Clandestini, bufera sulla Moratti ' Normalmente delinquono' '
Maroni frena. Insorgono Pd, Idv e sinàicati, proteste in Rete

la Repubblica, 11-05-2010
ZITA DAZZI

MILANO — «È del tutto evidente che un clandestino, se è clandestino, normalmente delinque, dato che non ha un lavoro regolare». Un immediato mormorio, di stupore e di indignazione, si è levato ieri mattina, nell'aula magna dell'Università Cattolica affollata come nelle grandi occasioni, di fronte all'affermazione del sindaco di Milano. Letizia Moratti, fredda e algida come sempre, ha esposto la sua teoria commentando i risultati di una ricerca della Cattolica su "L'Integrazione possibile" commissionata dal ministro dell'Interno Roberto Maroni, presente in aula. Il ministro, tirando le conclusioni, ha espresso timori per la situazione delle periferie delle grandi aree urbane: «Ci sono rischi nelle nostre città che avvenga ciò che è successo nelle banlieues parigine qualche anno fa. Servono iniziative per prevenire il pericolo, coinvolgendo il governo e il mondo delle autono-
mie». Maroni ha anche annunciato che entro giugno il rilascio dei permessi di soggiorno avverrà in massimo trenta giorni.
Appena la frase di Letizia Moratti è rimbalzata su Internet, in pochi minuti si è scatenato il pandemonio, tanto che il primo cittadino di Milano ha subito tentato di smentirla, o quanto meno di rettificarla, uscendo dal convegno, inseguita dalle telecamere. «No, non ho detto questo — ha negato la Moratti — Il Comune sta portando avanti una politica di assistenza, di integrazione e di sostegno a chi vive nella regolarità». E poi ha aggiunto: «La clandestinità è un reato, le leggi devono essere rispettate, ma è difficile perché, se un clandestino viene colto in flagranza, non può essere espulso, quando ha altri processi a carico. Per questo ho chiesto una modifica delle norme sulla clandestinità».
Di fronte al montare delle proteste, il ministro Maroni ha cercato di gettare acqua sul fuoco: «Il sindaco non ha fatto propriamente l'equazione fra clandestini e criminali». Ma il diluvio di polemiche era già iniziato: «È grave che il sindaco di una importante città, come Milano, pronunci parole così irresponsabili che alimentano semplificazioni e paure — ha tuonato Livia Turco, ex ministro degli Affari sociali, e presidente del Forum immigrazione del Pd —Il clandestino non è una persona che delinque ma è una persona che non ha il permesso di soggiorno. Per la legge Bossi-Fini tantissimi lavoratori, in ltalia anche da 10 anni, propagando le tasse e i contributi, se perdono il lavoro e non riescono a trovarlo entro 6 mesi diventano clandestini e vengono espulsi».
Alla Turco fa eco Savino Pezzotta, ex lader della Cisl, parlamentare Udc, che, appena fuori dalla Cattolica, sbotta: «I clandestini sono persone, non una categoria astratta. E in genere si tratta di persone che lavorano, anche se in nero, perché in Italia non è facile mettersi in regola e a questo governo non sta facendo molto per eliminare questa illegalità».
L'europarlamentare dell'Idv Luigi De Magistris, parla di «volgare generalizzazione razzista, smentita anche dalle statistiche in materia» e accusa la maggioranza di aver imboccato «una pericolosa china della criminalizzazione del migrante e della persecuzione del diverso. Unico obiettivo di questo esecutivo "leghistizzato" è una propaganda populista». Di razzismo istituzionale parla Filippo Miraglia dell'Arci: «A questo governo la vicenda Rosarno non ha insegnato niente se la Moratti continua a imputare alle vittime le colpe di chi crea razzismo e discriminazione». Si complimenta invece l'europarlamentare Mario Borghezio della Lega Nord che definisce «coraggiose» le parole della Moratti: «Esprime opinioni molto simili alle mie e a quelle della Lega. L'epoca dell'ipocrisia è finita e i politici con senso di responsabilità sentono il dovere di chiamare le cose con il loro nome"









EVVIVA LA MORATTI ANTI-CLANDESTINI

Libero, 11-05-2010
di MAURIZIO BELPIETRO

Letizia Moratti manifesta in genere la stessa allegria di un addetto delle pompe funebri nel giorno delle esequie. E questo, ovviamente, non la rende molto simpatica agli occhi dell'opinione pubblica e per la verità neppure a quelli di chi, come me, ha il compito di occuparsi di lei e di commentarne le decisioni. Ciò premesso e sgombrato il campo al dubbio ch'io la trovi amabile, non mi resta che difenderla. Già, perché ieri la sindachessa di Milano ha sostenuto che gli immigrati clandestini senza un lavoro «normalmente delinquono». Non lo avesse mai detto: l'aula dell'Università Cattolica (...)
(...) in cui ha fatto il suo intervento è stata percorsa da un brusio d'indignazione e pochi minuti dopo sono cominciate a piovere le dichiarazioni di condanna di Livia Turco, della segreteria del Pd e perfino dei radicali. C'è chi le ha dato della pazza («è in stato confusionale»), chi ha minacciato azioni penali collettive contro di lei e chi l'ha dipinta come un Babau elettorale, che alimenta paure ingiustificate nella popolazione. Insomma: tutto il politicamente corretto si è rovesciato su di lei.
Ora, che la Moratti non sia un mostro di affabilità siamo d'accordo, ma che sia un mostro punto e basta no. Che ha detto di tanto incredibile? Che i clandestini abitualmente delinquono? E dove sta la novità? La prima cittadina meneghina non ha rivelato nulla che già non si sapesse e non fosse documentato da statistiche universitarie che anche alla Cattolica dovrebbero conoscere. Basta leggersi un paio di ricerche del sociologo Marzio Barbagli, studioso bolognese di rigorosa fede post comunista. Il professore, nel suo ultimo rapporto che analizza i dati del 2007, spiega che gli stranieri  sono stati denunciati per il 24 per cento degli omicidi volontari, per il 32 per cento di quelli  tentati e per il 49 per cento dei furti. L'elenco prosegue con il 32 per cento di scippi, il 52 dei furti in appartamento, il 68 dei  borseggi e il 40 per cento dei denunciati per violenza sessuale. Considerato che la popolazione straniera rappresenta fra il 5 e il 10 per cento di quella complessiva, si capisce la dimensione del fenomeno.
Naturalmente qualcuno potrebbe obiettare che tutto ciò non prova nulla, se non che gli immigrati delinquono, nella media, più degli italiani, ma non c'è traccia di una maggior incidenza dei reati da parte di chi non ha permesso di soggiorno e, conseguentemente, neppure un lavoro. Ma anche qui, suppliscono i libri di Barbagli, il quale utilizzando gli ultimi dati disponibili (2006), spiega che gli irregolari sono autori in media di tre quarti dei delitti attribuiti agli stranieri. Vale a dire il 74 per cento degli omicidi, il 72 per cento dei tentati omicidi, il 62 per cento delle lesioni dolose e altrettanto per quanto riguarda le violenze carnali. Si potrebbe continuare con le risse e lo spaccio di stupefacenti, ma o dato cambierebbe di poco. Se poi non ci si fida di Barbagli perché troppo in odor di sinistra riformista, si possono consultare le tabelle della Caritas-Migrantes, che in qualche caso è più a sinistra di D'Alema e Veltroni messi insieme. Secondo l'autorevole organizzazione cattolica le denunce di cittadini stranieri sono passate da meno di 90 mila nel 2001 a 130 mila nel 2005, con un aumento quasi del 46 per cento. E i dati più recenti confermano la sensazione che dal 2005 ad oggi le cose non siano andate meglio ma peggio.
Come abbiamo detto, la sindachessa non è un esempio di gaiezza e per questo c'è chi l'ha ribattezzata Mestizia Moratti.
Ma per quel che ci riguarda, rispetto alla prima cittadina è ancor più triste che qualcuno, pur avendo di fronte  dati e analisi, continui per ragioni politiche a non voler vedere  e, soprattutto non capire, cosa sta succedendo in questo Paese ad immigrazione forzata. Comunque non preoccupatevi: ci penseranno gli elettori. Anzi: ci hanno già pensato. 







Il sindaco di Milano: non hanno lavoro quindi commettono reati. Boni: assolutamente vero
Moratti: «Il clandestino delinque? È normale»

laPadania, 11-05-2010

I clandestini che non hanno un lavoro regolare normalmente delinquono». Così il sindaco di Milano, Letizia Moratti, è intervenuta ieri nel corso di una conferenza sull'immigrazione che si tiene all'università Cattolica di Milano alla presenza del ministro dell'Interno Roberto Maroni. «La clandestinità è un reato, ma un clandestino colto in flagranza -spiega - non può essere espulso se ha altri processo in corso». Per il sindaco «per rendere efficace il reato di clandestinità occorre assorbirlo in altre fattispecie di reato». Quanto alla situazione di via Padova, secondo Letizia Moratti «altri casi - conclude - ci potrebbero essere». Lasciando l'Università il sindaco di Milano ha rinnovato il suo appello al Viminale a modificare il reato di clandestinità per rendere possibili espulsioni rapide nel caso lo straniero irregolare sia in attesa di un processo per altri reati. «Non vedo cosa ci sia di strano a sostenere un'equazione tanto semplice quanto evidente che porta a sottolineare come una persona che vive clandestinamente in questo Paese può incorrere più facilmente, rispetto ad altre persone, in una serie di reati». Così Davide Boni, consigliere regionale lombardo della Lega Nord. «Chi vive nell'ombra - sottolinea Boni - ed è giunto sul nostro territorio senza alcuna autorizzazione, difficilmente riuscirà ad integrarsi nel totale rispetto delle leggi e per questo motivo risulterà più semplice l'ingresso nel mondo della criminalità». «I dati evidenziano come da sempre vi sia una correlazione tra clandestinità e reati commessi, tanto che molti carcerati sono irregolari. Senza dubbio se tutti giungessero nel nostro Paese rispettando le procedure di legge, siamo certi che parecchi reati potrebbero essere scongiurati», conclude Boni. «Quanto fastidio dà commenta l'euro parlamentare della Lega Mario Borghezio - la verità contenuta nelle parole coraggiose sui clandestini pronunciate dal sindaco Moratti. La reazione schizofrenica della sinistra milanese - molto sinistra e ben poco milanese - lo dimostra inequivocabilmente. Che una persona gentile, sensibile ed equilibrata come la Moratti esprima sul tema, sia pure con un linguaggio assai moderato, opinioni molto simili a quelle mie (e della Lega) è un ottimo "segno dei tempi": che l'epoca dell'ipocrisia è finita e che i politici con senso di responsabilità sentono il dovere di chiamare le cose con il loro nome. Il buonismo idiota verso i clandestini rimane appannaggio di quegli ipocriti della sinistra che, per attaccare la Moratti, non trovano argomento più convincente che assimilarla a me».






Polemica per la frase del sindaco
Moratti: i clandestini senza lavoro regolare di solito delinquono

il Sole, 11-05-2010

ROMA  «I clandestini che non hanno un lavoro regolare, normalmente delinquono» dice il sindaco di Milano, Letizia Moratti. Durante un convegno all'Università Cattolica, Moratti ha poi rinnovato il suo appello al Viminale a modificare il reato di clandestinità per rendere possibili espulsioni rapide se lo straniero irregolare è in attesa di un processo per altri reati. «Visto che la clandestinità è un reato - ha osservato il sindaco - le leggi devono essere rispettate, ma un clandestino colto in flagranza non può essere espulso se ha altri processi a suo carico. Per garantire l'efficacia del reato di clandestinità - ha osservato - occorrerebbe assorbirlo con altre fattispecie di reato e renderlo prevalente per rendere effettive le espulsioni».
Molte le polemiche su queste frasi. «La Moratti non trova di meglio che emulare il peggior Borghezio» afferma Filippo Penati (Pd),capo segreteria politica di Pierluigi Bersani. «Se qualcuno crea clandestini è lo Stato» dice Gaoussou Ouattarà, della direzione dei Radicali italiani, al presidio organizzato dal movimento di Marco Pannella a Milano per chiedere tempi più veloci nel rinnovo del permesso di soggiorno. Anche l'arcivescovo Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, ricordando proprio i fatti della rivolta in via Padova a Milano nel febbraio scorso, ha affermato: «Questa e altre vicende, accadute in Italia negli ultimi mesi, pongono grandi interrogativi sulla gestione dell'immigrazione in zone periferiche già a rischio».
Ma il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha difeso Letizia Moratti. Poi ha aggiunto che la collaborazione tra Viminale, università, enti locali e in particolare Comuni, attraverso l'Anci, può essere l'antidoto alla possibilità che anche nelle città italiane nascano rivolte come nelle banlieue parigine. Lo studio della Cattolica, presentato ieri, parla in questo senso di «alto potenziale di rischio».
Per il ministro dell'Interno quello tra sicurezza e integrazione è un binomio inscindibile che spetta anche alla responsabilità dei sindaci e ha insistito sull'esempio di Verona: «Lì il rgore contro l'immigrazione clandestina è massimo. Rispetto delle regole e rigore significa anche possibilità di integrarsi meglio». Maroni ha annunciato un nuovo obiettivo che il ministero si è dato: «Quando sono arrivato io - ha spiegato - il tempo medio per avere il permesso di soggiorno era di 18 mesi. Adesso siamo arrivati a 45 giorni ed entro giugno voglio arrivare in tutte le questure a un tempo massimo di 30 giorni». Ma non manca l'allarme sul fronte della lotta all'immigrazione clandestina: «L'uscita di Malta dal Frontex - ha spiegato Maroni - può avere conseguenze negative perchè rompe un fronte che finora è stato unito nel controllo del Mediterraneo». Il vertice bilaterale di giovedì prossimo con Malta sarà l'occasione, ha spiegato il ministro, per «convincere i colleghi maltesi a riprendere con noi le azioni di pattugliamento del Mediterraneo».








L'INTERVISTA VINCENZO CESAREO
«Non generalizziamo, ma attenti al rischio banlieue»
II sociologo è autore della ricerca presentata ieri all'università Cattolica: «In città ci sono potenziali conflitti inesplosi»

il Giornale, 11-05-2010

«Il rischio c'è.Se non facciamo niente siamo alle banlieu». Vincenzo Cesareo è il sociologo che con la collega Rita Blichi ha coordinato la ricerca sull'integrazione che il ministro degli Interni Roberto Maroni ha commissariato alla Cattolica. Si occupa da anni del tema im-migrazione, anche da segretario generale della fondazione Ismu, l'istituto scientifico che promuove ricerche e studi sulla società multietnica. È certo più propenso ad analisi e saggi piuttosto che alla polemica politica, ma deve ammettere che il sindaco di Milano, parlando di immigrati, non ha affatto pronunciato un'eresia, se non al politicamente corretto. Allora professore, sulla base dei dati che sono in suo possesso, e della sua esperienza, la Moratti ha sbagliato oppure no? «La cosa è molto semplice. Il sindaco l'ha detto enfatizzando, ma quel che ha detto in parte è vero. Se li vediamo nel loro complesso, infatti, i tassi di criminalità degli immigrati sono superiori a quelli registrati fra gli italiani, ma se scorporiamo i regolari vediamo che questi delinquono come gli italiani». Dunque la differenza da dove viene fuori?
«La differenza viene fuori dagli irregolari. In realtà è indubbiamente vero che gli irregolari portano a un tasso complessivo superiore a quello degli italiani». Però...
«Però non possiamo dire che tutti gli irregolari siano dei criminali. E delinquono di più perché partono da situazioni stressanti, drammatiche, spesso di sfruttamento». Dunque il sindaco di Milano ha solo sbagliato l'avverbio secondo lei? Se avesse detto «più frequentemente» invece che «normalmente» avrebbe solo fotografato la realtà? «Direi di sì».
E come risulta la situazione di Milano per quanto  riguarda l'immigrazione la criminalità?
«La situazione di Milano è una via di mezzo fra le città in cui l'integrazione è migliore e altre. Sul piano economico l'integrazione è superiore».
Quali sono le altre peculiarità milanesi?
«Abbiamo riscontrato una particolare propensione per i fenomeni appropriativi. Furti eccetera. Nelle piccole città si applica spesso la tattica dell'isolamento. Gli immigrati non vengono in contatto, ma se si verifica un contatto partono conflitti. A Milano ci sono conflitti potenziali, che se non si interviene in modo immediato possono dar luogo a conflitti».
C'è il rischio di fenomeni simili a quelli delle banlieue?
«I conflitti oggi sono latenti. La conflittualità manifesta è bassa, ma basta niente perché i conflitti si manifestino in tutta la loro violenza, come è successo in via Padova».






MORATTI, NON SONO PENTITA. 80% REATI COMMESSO DA CLANDESTINI

ASCA, 11-05-2010
Roma- ''Io non sono pentita, pero' il ragionamento che avevo fatto era un po' piu' complesso di come e' stato rappresentato. Quello che noi vediamo e' che a Milano, e normalmente nelle citta' del Nord, gli autori di 8 reati su 10 commessi da extracomunitari sono ad opera di clandestini''. Il sindaco di Milano, Letizia Moratti, intervenuta questa mattina a 'La telefonata', la rubrica di Maurizio Belpietro su Canale 5, ribadisce la tesi che ieri ha scatenato le polemiche.

E ripete che ''noi abbiamo chiesto al governo di assorbire anche i reati predatori, come furti, scippi, rapine, nelle norme sulla clandestinita', in modo che sia possibile l'espulsione immediata anche quando la persona clandestina deve rispondere alla giustizia italiana di altri reati''. La Moratti non riesce a fornire il numero di immigrati clandestini a Milano: ''Purtroppo - dice - proprio perche' clandestini, le stime sono molto vaghe. Dovrebbero essere dai 30 ai 40mila. Noi, con la nostra politica di rigore, abbiamo diminuito di molto la presenza dei cittadini rom. Mentre nel 2006 erano quasi 10mila, a maggio 2010 ne sono stimati circa 2500 tra autorizzati e insediamenti abusivi, perche' abbiamo fatto 261 sgomberi di insediamenti irregolari per riportare nella legalita' il sistema. Abbiamo anche detto ieri, e lo ribadisco oggi, che e' un binomio inscindibile quello del sostegno all'immigrazione regolare, quindi gli aiuti, a chi sceglie di venire nel nostro Paese regolarmente, per l'integrazione scolastica, per la mediazione culturale, e quindi il sostegno e la solidarieta'; ma insieme a questo - sottolinea il sindaco di Milano - anche il rigore nei confronti di chi e' nel nostro Paese in forma irregolare.

Ricordiamoci che da agosto di quest'anno, tra l'altro, la clandestinita' e' reato. Quindi, io non rinnego assolutamente niente di quello che ho detto ieri, ma il ragionamento era piu' complesso e la richiesta e' quella di assorbire gli altri reati nel reato di clandestinita'. Perche' il paradosso - conclude la Moratti - e' che un clandestino se commette un altro reato puo' rimanere in Italia. E questo io come faccio a spiegarlo ai miei cittadini che mi chiedono sicurezza?''.








Barbagli: l'incidenza sul totale dei reati non va confusa con quella sul totale dei clandestini
Irregolari e statìstiche a doppio taglio "Siamo sfruttati, non criminali"

la Repubblica, 11-05-2010
VLADIMIRO POLCHI

ROMA—Gli immigrati irregolari «normalmente» non delinquono. Al contrario: in maggioranza lavorano, in nero e sottopagati. L'equazione tra clandestini e criminali, allora? Cozza contro statistiche ufficiali e pareri degli esperti. «Il numero degli irregolari autori di reato è incomparabilmente inferiore al numero dei clandestini presenti in Italia». Marzio Barbagli, sociologo esperto d'immigrazione e sicurezza in Italia, smentisce il sindaco di Milano: «Si fa confusione coi numeri». Guardiamo ai numeri allora. «E' indubbio che gli stranieri nel nostro Paese commettono una quantità di reati sproporzionata alla loro presenza numerica — spiega Barbagli — ma quello che sappiamo, in verità, è solo il numero dei denunciati e non quello dei reati». Qualche esempio? La quota degli stranieri sul totale dei denunciati ha toccato nel 2007 il 24% per gli omicidi volontari consumati, il 40% per le violenze sessuali, il 32% per gli scippi, il 52% per i furti in appartamento, il 68% per i borseggi. E ancora: «Nello spaccio oltre un denunciato su tre è immigrato—continua Barbagli —. Nei primi quattro mesi del 2009 si è raggiunto il record storico: il 37,1% delle persone accusate di produzione, traffico e spaccio di stupefacenti non è di nazionalità italiana». Se si guarda però al complesso dei reati, secondo i dati Istat il tasso di criminalità degli immigrati regolari è «solo leggermente più alto» di quello degli italiani (tra 11,2% e 11,4%, contro lo 0,75% degli italiani). Non esiste inoltre un
legame fra aumento degli im-migrati e aumento dei reati: tra il 2001 e il 2005 gli stranieri sono cresciuti di oltre il 100%, le denunce nei loro confronti solo del 45,9%.
Chi delinque di più? «Dipende dai reati — risponde Barbagli—generalmente i romeni rappresentano il39% dei denunciati stranieri». Non solo. La parte del leone la fanno gli immigrati privi del permesso di soggiorno. La quota degli irregolari sul totale dei cittadini extracomunitari denunciati è infatti altissima: negli omicidi consumati raggiunge il 74%, nel furto con destrezza, cioè i borseggi, l'88%.
«Questo non vuol dire che ha ragione la Moratti—chiarisce il sociologo — perché anche tra gli irregolari (stimati in circa mezzo milione) quelli che delinquono rappresentano una stretta minoranza». E gli altri? Lavorano. «Gran parte degli immigrati non in regola è vittima di sfruttamento da parte di datori di lavoro italiani — denuncia Edgar Galiano, coordinatore del Comitato immigrati in Italia—e le parole della Moratti non fanno altro che rinforzare il clima xenofobo che si respira nelle nostre città».
Secondo un'indagine condotta tra ottobre e novembre 2009 dall'economista Tito Boeri per la Fondazione Rodolfo Debenedetti, infatti, il 66% degli irregolari ha un lavoro, è impiegato in nero e fa turni molto pesanti: 1' 80% non si ferma neppure il sabato, il 32% lavora di domenica e il 38% fa anche turni notturni (contro il 22% degli immigrati regolari). Lavorano tanto, ma guadagnano poco: chi non è in regola guadagna in media il 12,4% in meno di chi lo è.








E Fassino rincara: "Immigrati, meno ingressi più diritti"

la Stampa, 11-05-2010
Federico Monga

«Io candidato a Torino? I dirigenti decideranno quello che può vincere»
Il problema del Pd non solo è stare sul territorio ma dargli risposte, da Nord a Sud. A Sassuolo abbiamo 10 circoli ma ha vinto la Lega. Al Sud abbiamo governato 10 anni ma il quadro non è cambiato e dobbiamo interrogarci su cosa hanno ottenuto i nostri dirigenti».

Piero Fassino al convegno di «Areademocratica» di Cortona ha detto che a volte il leghismo irrompe nel suo cuore. Si sta scoprendo bossiano?
«Era una battuta provocatoria. Io non inseguo il Carroccio. Ma il voto delle regionali ci ha detto che il Nord è un problema centrale per il Pd e per il paese. E noi stiamo lasciando in mano alla Lega praterie sconfinate. Il rapporto tra Pd e società è in crisi. Dobbiamo dare risposte ai bisogni e alle paure del Nord che rappresenta il 70% dei lavoratori dipendenti, il 70% degli autonomi, il 70% della base fiscale, il 75% dell’export e dove l’immigrazione arriva al 20%».

La Lega risponde mentre il Pd è ancora all’analisi.
«La Lega non dà risposte concrete. Semmai cavalca temi molto vicini ai cittadini. Le soluzioni proposte spesso sono propagandistiche e illusorie. Faccio l’esempio dei rapporti commerciali con Cina e India. Con i dazi, come dice il Carroccio, a rimetterci sarà l’Italia perché la risposta di Cina e India sarà di chiusura e le nostre esportazioni che sono il doppio delle importazioni verrebbero penalizzate».

La Lega cavalca soprattutto l’immigrazione. Il Pd cambia registro?
«Fino ad oggi tutte le politiche hanno consentito porte facilmente aperte e pochi diritti. Ribaltiamo il punto: porte meno facilmente aperte ma tutti i diritti garantiti a chi è regolare e non infrange le leggi».

La sinistra è stata troppo permissiva?
«Questo è un luogo comune. Un conto è affrontare il tema quando l’immigrazione era al 5%. Ora siamo tra il 10 e il 15%».

La Lega dice: l’asilo ai nostri. E il Pd?
«No si può fare la guerra dei bambini. Serve un grande piano per potenziare asili e materne. In Germania il 35% ha il posto garantito. Noi siamo al 10%. Arriviamo al 35% e il conflitto non ci sarà più. Se si tutelano solo gli italiani si producono segregazione e insicurezza. Ma se tuteli l’immigrato in base al principio che è più povero avrai l’italiano contro. Serve una doppia risposta».

E la richiesta di case popolari?
«Anche in questo caso urge un grande piano di social housing. Nel Paese c’è un 25% di italiani che non è proprietario, per lo più anziani e giovani che non hanno risorse sufficienti. Ora l’ingresso degli immigrati aumenta la domanda».

Senza risorse è un sogno.
«Non è detto che debbano essere tutte pubbliche. In Lombardia la Fondazione Cariplo sta investendo molto dei suo dividendi in un vasto programma di social housing».

Il Sud è un problema?
«Gigantesco e anche legato al Nord. Un Sud che continua ad apparire come una terra solo di crisi non fa che alimentare nel Nord un sentimento di estraneità verso l’Italia».

Dal 2000 avete governato voi al Sud.
«E questo è un elemento aggiuntivo: la classe dirigente non ha risolto il problema del mezzogiorno semmai in alcuni casi è parte di questo problema».

Lei potrebbe essere il candidato del Pd al Comune di Torino. Il capoluogo Sabaudo può essere il laboratorio per la soluzione di questi problemi?
«A Torino ci sono tutte le condizioni per vincere. Veniamo da un lungo periodo di buona amministrazione da Castellani a Chiamparino. La cosa che mi interessa è che si scelga il miglior candidato per vincere. E questa è una scelta che spetta ai dirigenti del Pd torinese».








Uso del burqa

Corriere della Sera, 11-05-2010

Caro Romano, rispondendo a un lettore, lei ha sostenuto che il burqa non può essere regolamentato da singole ordinanze comunali. Salvo
errori, la regolamentazione già c'è e dal 1931. Dice l'articolo 85 del R. D. del 18 giugno 1931 - n. 773: «È vietato comparire mascherato in pubblico».
Si può osservare che mascherarsi significa vestirsi da Pulcinella o Arlecchino, e certo non è questo il caso.
Ma mascherarsi significa anche «rendersi invisibili 0 irriconoscibili». E indossando il burqa mi sembra proprio che ci si renda irriconoscibili.
Adriano Giudici
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La legge del 1931 prende in considerazione casi e situazioni completamente diversi e non mi sembra applicabile al burqa. Suppongo del resto
che anche il Belgio e la Francia avessero nel loro codice disposizioni simili a quella da lei citata. Ma questo non ha impedito che i loro governi
proponessero al Parlamento una legge particolare. Aggiungo che il burqa nasconde il volto, ma rivela esplicitamente l'identità religiosa di chi lo
porta È una professione di fede, e chi lo indossa non è né «invisibile né irriconoscibile».










I «samaritani» dell'Arizona che dissetano i clandestini
Due manager e un giudice in pensione sul Camino del Diablo seguono le tracce degli immigrati per lasciare bottiglie d'acqua

Corriere della Sera, 11-05-2010
Guido Olimpio

MONTAGNE DI TUMACÀCORI (Arizona) — Il ragazzo senza nome si è tolto la maglietta e l'ha posata vicino a un arbusto. Poi si è tolto la cintura, bianca e vistosa, dai jeans. Ne ha fatto un cappio, se le è messa al collo e ha provato a impiccarsi a un alberello. Ma il ramo era troppo esile e si è spezzato. Ci ha riprovato. E alla fine ha trovato pace. Il ragazzo senza nome, forse un immigrato clandestino messicano, si è tolto la vita per sfuggire all'inferno. Come centinaia di altri ha attraversato clandestinamente la frontiera tra Messico e Arizona seguendo quello che chiamano il tracciato dell'Amnistia. Un viaggio verso l'ignoto, segnato da trappole. Dove muoiono come mosche: oltre 5 mila dal 1999, quasi 90 negli ultimi mesi.
Partono dalla cittadina messicana di Aitar con qualche bottiglia d'acqua, lattine di Red Bull e un sacchetto di cibo. Troppo poco per una marcia estenuante nel deserto che può durare anche una settimana. E non «uno 0 due giorni» come promettono i coyotes, i trafficanti di uomini che portano «dall'altro lato» per mille, duemila dollari, rischi compresi. D'estate il nemico è il calore, con temperature oltre i 45 gradi. Di notte e d'inverno, il freddo. Muoiono disidratati o per ipotermia. Si perdono, vagano in circolo, sono rapiti dalla follia. Molti consumano le scorte il primo giorno, poi bevono l'urina, scavano i cactus cercando l'acqua, si denudano perché il corpo perde sensibilità e attendono la fine invocando San Toribio, il protettore degli immigrati. Ma come ha scritto una poetessa, «il Rosario e l'Ave Maria non bastano». Quando si segue El Camino del Diablo, una via aperta dai Conquistadores e oggi usata dai clandestini, «servono preghiere speciali». Chi sopravvive al clima, deve guardarsi dai banditi e dai narcos.
Come in un'antica parabola, in una terra dove spesso vige la legge del più forte, non mancano le anime buone. I samaritani, che provano a lenire le sofferenze. Loro missione è battere deserto e montagne, a piedi 0 in jeep, per lasciare bottiglioni d'acqua lungo i percorsi seguiti dagli immigrati. Mi arrampico all'al-ba con tre di loro sui monti di Tumacàcori, a sud di Tucson. La frontiera è poche miglia più a sud. Ed, un passato da dirigente, è al volante di uno scassato fuoristrada pieno d'acqua. Peter, già funzionario di una grande banca, e il giudice Mike lo assistono nella missione. Un ex
geologo, con l'aiuto di segnalazioni e la ricognizione diretta, ha preparato una mappa dei possibili sentieri. Quindi ne ha fissato le coordinate sul Gps. Da pensionati collaborano con una donna combattiva, Shura Walls, che coordina uno dei gruppi di solidarietà. Sono il cuore generoso dell'Arizona che si contrappone a quello arido di chi trova il tempo di danneggiare i contenitori per l'acqua.
Per scovare i passaggi, i samaritani seguono «i resti». Zainetti, lattine, felpe, scarpe, effetti personali. Oggetti che gli immigrati sono costretti ad abbandona¬re prima di essere recuperati dai camioncini che devono portarli più a nord. Ogni settimana i «Samaritani» e altre as-sociazioni — come «No More Deaths», «Humane Borders»—vanno in aiuto degli «invisibili». Alcuni team sono in grado di prestare i primi soccorsi. Bendano i piedi ridotti a piaghe, applicano una flebo, sfamano. Altri pensano al rifornimento dell'acqua. Raggiunto il punto — un angolo sperduto—lasciano una dozzina di «boccioni», marcati con data e un codice. Quindi recuperano quelli vuoti, abbandonati da chi si è dissetato. Più a ovest, nel mezzo della riserva indiana Tohono O'odham, dove i «bianchi» non possono entrare, il compito ricade sulle spalle di un nativo-americano, Mike. Un tipo scorbutico quanto generoso che ha sfidato il no della tribù. Molti nella riserva, poverissima, sono complici dei trafficanti di marijuana. Mike, Berretto verde diventato insegnante, ha creato quattro postazioni nella terra dei suoi avi. Piccole gocce d'acqua in un mare di terra, cactus e rovi che ti aprono pantaloni e scarpe. La Tohono Reservation è una grande tomba a cielo aperto. È qui che si registra il numero più alto di vittime. Alcune, come il ragazzo senza nome, sono recuperate. Tante rimangono lì ad imbiancare sotto il sole. Quante? «Per ogni corpo trovato, calcoliamo che ve ne siano altri 10 o 20», dice Shura Walls.
L'azione dei Samaritani si sovrappone ai corridoi dei clandestini. Il primo è a est di Nogales, il secondo punta su Arivaca lasciandosi a sinistra i monti Tumacàcori, il terzo è a Occidente lungo la riserva Tohono fino a lambire El Camino del Diablo che piega verso Yuma. Spesso gli immigrati scelgono la via del deserto perché sperano di beffare la Border Patrol. Canyon selvaggi, torrenti secchi e alture possono servire per sfuggire alla ricognizione. Gli agenti rispondono come fossero in guerra. Pattugliano a cavallo 0 usando i potenti quad (moto a 4 ruote), aiutati dall'alto da elicotteri, e seminando sensori che segnalano il passaggio di un essere umano. Al loro fianco i poliziotti, forti della nuova legge decisa dal governatore, e qualche volontario diventato vigilante. Sentinelle di un muro che qui è stato completato solo in parte e che comunque non basta per fermare i clandestini.
Se la barriera non è un deterrente, non fa paura neppure la natura. Come dice Ed, il paesaggio cambia da una settimana all'altra. E facile perdersi é devi stare attento a dove metti il piede, un saliscendi continuo, basta un nulla per finire in un fossato con una caviglia slogata. Se il clandestino cade e non può più camminare, viene abbandonato. E toccato a minorenni che provavano a ricongiungersi coi genitori, a giovani senza lavoro, a campesinos del Chiapas che cercavano un'occupazione stagionale nelle piantagioni. Alcuni hanno avuto l'umile onore di una croce in legno tra le rare piante. Altri, dei quali non si conosce l'identità, sono ricordati con delle coordinate geografiche. Le ossa di una novantina sono state cremate e poi poste in minuscoli loculi. Due blocchi in cemento contrassegnati da numeri nel cimitero Evergreen di Tucson. È la sezione A, la più remota. Un grande spiazzo di terra, con molte tombe abbandonate, su cui sventola una grande bandiera americana.








La vendetta dello Stato islamico dell'Iraq
Rappresaglia indiscriminata sui civili per dimostrare di esistere ancora

Il Foglio, 11-05-2010

Quest'anno in Iraq non c'era ancora stata una giornata così violenta come quella di ieri. Venti attacchi ben coordinati, cento morti. E' sufficiente il racconto del massacro di Hilla per capire che si tratta della vendetta degli uomini dello Stato islamico dell'Iraq - lo pseudo partito armato che si vanta di rappresentare gli interessi, e i metodi ultraviolenti, di al Qaida nel paese mediorientale. Parla per loro la tecnica usata anche ieri, elaborata e poi affinata in sette anni di stragi contro i civili. Due attentatori suicidi con autobomba hanno atteso nel parcheggio di una fabbrica di tessili che i lavoratori sciamassero fuori dai cancelli all'ora di pranzo per farsi saltare in aria. Si trattava di un bersaglio non militare, la cui unica attrattiva era di essere indifeso e affollato. Poi, dopo un'ora, un terzo attentatore con un giubbetto esplosivo s'è infiltrato come al solito nel caos tra i soccorritori, i feriti e la gente, quando la situazione era ancora più vulnerabile, e s'è fatto anche lui saltare.
Hilla è una città sciita, e come tale rientra nella lista dei bersagli dello Stato islamico (fu devastata anche nel 2005 da un singolo attentato davanti a una clinica, uno dei peggiori, 125 morti). Anche gli altri bersagli in lista (e chi non c'è, su quella lista?) hanno subito attacchi: i sunniti di Fallujah, una moschea sciita, la polizia assaltata a nove posti di blocco con fucili d'assalto silenziati - un salto di qualità nell'arsenale di al Qaida - ancora i sunniti a Mosul. Lo Stato islamico ora colpisce dovunque, per dimostrare di essere coriaceo e di esistere ancora. E punisce tutti gli iracheni perché nessuno offre più collaborazione, attiva o tacita, come negli anni passati.



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