L’arte dell’interpretazione

 

Giulia Di Giacinto 
Dopo una settimana dall’approvazione è stato pubblicato ieri, sul sito del Governo, il testo del Decreto Legge  in materia di rimpatrio dei cittadini di Paesi terzi irregolari. 
Solo il 28 aprile scorso i giudici comunitari si erano pronunciati sull’interpretazione della direttiva c.d. rimpatri 115/2008/CE, in seguito ai contrasti sul reato di immigrazione clandestina nonché sul trattenimento nei Centri per gli stranieri irregolari: con questa sentenza la Corte Europea aveva non solo definitivamente bocciato il reato di immigrazione clandestina, ma aveva anche chiarito il significato dell’art. 15 della direttiva stessa in materia di trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione. E’ lo stesso Ministro Roberto Maroni, a seguito dell’approvazione del decreto legge, a citare questa direttiva e l’impegno del Governo a rispettare i dettami comunitari. Ma qualcosa non quadra. Sarà solo una questione interpretativa o invece siamo di fronte al solito pugno duro inefficace che porta questo governo ad approvare misure troppo severe per essere, non solo legittime, ma anche attuabili? La direttiva parla chiaro: la permanenza può essere prolungata fino a 18 mesi nei casi di eccezionalità “in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l’operazione di allontanamento rischi di durare più a lungo a causa: della mancata cooperazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato o dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai paesi terzi”. Ma la direttiva parla anche dei Centri come luoghi attrezzati e disciplina le fasi della procedura di rimpatrio al principio di gradazione delle misure da prendere: dalla meno restrittiva per la libertà, concessione di un termine per la sua partenza volontaria, alla misura maggiormente restrittiva, il trattenimento in un apposito centro. 
L’attuale disciplina delle espulsioni nel nostro ordinamento, contenuta nel T.U. immigrazione (d.lgs. 286/1998) presenta, invece, un impianto strutturalmente differente da quello delineato dall’Europa. Il problema è, come sempre, tutto italiano: prevedere regole durissime a fronte di problemi complessi che richiedono uno studio e un piano elaborati. Nessuno nega che il problema immigrazione debba essere affrontato, ma la questione è che il Ministro non dice quanto costerà all’Italia questo trattenimento lunghissimo. Non si tratta solo di rispetto dei diritti umani e della dignità dell’uomo ma di costo-opportunità: Maroni dovrebbe spiegarci come mai ci sono così tanti problemi nel reperire i documenti di viaggio dei cittadini trattenuti nei CIE. Non sarà forse perché i Paesi della primavera araba non hanno intenzione di riprendere, almeno ora, i loro cittadini fuggiti? Ed allora il punto è questo: cosa cambia nel trattenere 6 o 18 mesi qualcuno in un centro, a spese dello Stato e in condizioni di dubbia umanità, se tanto si conosce già la risposta negativa dei Paesi di appartenenza? Le condizioni nei CIE sono diventate insostenibili e il Ministero, vietando ad aprile con una circolare interna l’ingresso a chiunque non sia stato già autorizzato in passato, dimostra di saperlo e di voler tenere questa realtà lontana dagli occhi dei cittadini.
Il dubbio che la normativa in materia d’immigrazione stia diventando solamente una bieca misura deterrente all’ingresso in Italia a me è venuto, caro Maroni mi dica che mi sbaglio.
 
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