Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

26 ottobre 2010

Immigrati, uno su 4 vive in Lombardia
Il rapporto Caritas per il 2010: in tutta Italia sono 5 milioni, pari al 7% dei residenti
Immigrati, uno su 4 vive in Lombardia
26 ottobre 2010 Corriere della Sera
Il rapporto Caritas per il 2010: in tutta Italia sono 5 milioni, pari al 7% dei residenti
MILANO - In 20 anni, gli immigrati regolari in Italia sono aumentati di 20 volte: erano mezzo milione nel 1990, sfiorano i 5 milioni nel 2010 (7% dei residenti). Insieme al numero degli immigrati, anche a causa della crisi, «sono aumentate le reazioni negative, la chiusura, la paura», nei loro confronti da parte degli italiani. Lo afferma l'annuale rapporto sull' immigrazione della Caritas Italiana e della Fondazione Migrantes, giunto alla ventesima edizione («Dossier 1991-2010: per una cultura dell'altro»), presentato questa mattina. Oltre un ottavo degli immigrati, quasi 600 mila, sono di seconda generazione. Un immigrato su quattro vive in Lombardia (982.225; 23,2%). Roma (405.657) perde il primato di provincia col più alto numero di immigrati a vantaggio di Milano (407.191).

I NUMERI - Il dossier stima, al primo gennaio 2010, in 4.919.000 (uno ogni 12 residenti), il 51,3% donne, la presenza degli immigrati regolari, circa 700 mila in meno di quanti ne ha registrati l'Istat (4.235.000). Il dossier infatti, a differenza dell'Istituto centrale di statistica, include anche tutte le persone regolarmente soggiornanti ma non ancora iscritte all'anagrafe. Solo negli ultimi dieci anni l'aumento degli immigrati residenti è stato di circa 3 milioni mentre nell'ultimo biennio di quasi un milione. La comunità più numerosa si conferma quella romena (21%), segue l'albanese (11%), la marocchina (10,2%). In Lombardia vive il 23,2% degli immigrati (982.225); poco più di un decimo nel Lazio (497.940; 11,8%). Segue il Veneto (480.616; 11,3%) e l'Emilia Romagna (461.321; 10,9%). A fronte di una media del 7% di stranieri sui residenti, in Emilia Romagna, Lombardia e Umbria si supera il 10% e in alcune province il 12% (Brescia, Mantova, Piacenza, Reggio Emilia).

I MINORI - Nel 2009 sono nati da entrambi genitori stranieri 77.148 bambini (21 mila in Lombardia, 10 mila nel Veneto, 7 mila in Emilia Romagna e Lazio); queste nascite incidono per il 13% su tutte le nascite e per più del 20% in Emilia Romagna e Veneto. I minori sono quasi un milione (932.675), il 22%; sono il 24,5% in Lombardia e il 24,3% in Veneto; il valore più basso si ha nel Lazio e in Campania (17,4%) e in Sardegna (17%). Altro dato significativo del rapporto: 572.720 (il 13%) dei residenti stranieri sono di seconda generazione. Si tratta per lo più di bambini e ragazzi nati in Italia, nei confronti dei quali l'aggettivo 'stranierò è «del tutto inappropriato», osserva il dossier. Gli iscritti a scuola sono 673.592 (7,5% degli studenti). Nel 2009, sono stati censiti 6.587 minori non accompagnati dei quali 533 richiedenti asilo, per lo più maschi (90%) con età fra i 15 e 17 anni (88%); per questi, «non sempre, al raggiungimento dei 18 anni, le condizioni attuali (3 anni di permanenza e 2 di inserimento in un percorso formativo) consentono di garantire loro un permesso di soggiorno». (Fonte: Ansa)



Le due facce della Lega: chi dà la caccia ai "neri" e chi crede nei migranti

Osservatorio Italia-razzismo 26 ottobre 2010
Francesca Terzoni
Ettore Pirovano, Presidente della Provincia di Bergamo (Lega Nord), il 30 giugno 2009 dichiarò in un’intervista a Radio Padania che “al pronto soccorso devono essere curati prima gli anziani italiani e poi gli stranieri, a prescindere da gravità e ordine di arrivo”. Ad agosto, alla “Berghèm Fest” di Alzano, le sue parole furono altrettanto indecenti: “Vedo troppi straccioni per le strade che chiedono la carità, gente che sicuramente in tasca non ha il permesso di soggiorno, da caricarli sui pullman e, poi, sui charter”. Domenica scorsa, al Congresso provinciale della Lega, Pirovano ha da ultimo lanciato un vero e proprio appello agli amministratori pubblici: “Cari sindaci, andate a fare delle belle retate laddove ci sono immigrati clandestini. Servono e ora potete farlo, ci sono i mezzi e i poteri giusti”.
Parole ben diverse da quelle di Gianangelo Bof, Sindaco leghista di Tarzo (TV), che ha scelto di sostenere economicamente il diritto all’istruzione di tutti i bambini: “I bambini sono il nostro più grande patrimonio: su chi altro dovremmo investire? Che siano africani o trevigiani purissimi cambia esattamente zero”. “Investire mille euro oggi su un bambino, per non avere tra dieci anni un ragazzo nel disagio che ci costerebbe molto di più, per me è amministrare bene”. “L'unica differenza è tra chi vive nella legalità e chi delinque. Chiarito questo, siamo tutti cittadini della stessa città” perché “chi rispetta i doveri, deve vedere rispettati i propri diritti”.
A guardare da fuori, la diversità appare un valore anche nella Lega, che pure rifiuta di accogliere – e fa perfino peggio - persone e culture diverse dalla propria. Dove c’è il riconoscimento della diversità, lì la speranza non è morta.


Barcone con 128 immigrati intercettato nella costa catanese: «Siamo palestinesi»

26 ottobre 2010 Corriere della Sera
Agganciato dalle motovedette della Guardia di Finanza, viene trainato verso il porto della città etnea
CATANIA - Un'imbarcazione con a bordo circa 128 migranti è stata intercettata da motovedette della guardia di finanza al largo dalle coste di Riposto, nel Catanese. Il natante è stato bloccato e rimorchiato verso il porto di Catania. A bordo i finanzieri hanno iniziato a svolgere indagini per identificare le parsone a bordo.
GLI SCAFISTI - Da quanto si è appreso le persone sull'imbarcazione dicono di essere palestinesi. Tra loro ci sono anche sette presunti componenti l'equipaggio la cui posizione è al vaglio della magistratura. Il natante è in condizioni precarie e quindi viene trainato verso il porto di Catania a bassa velocità. L'arrivo al porto è previsto attorno alle 10 del mattino.



Aumentano le tutele per i figli di immigrati

"Sarà più difficile espellere i genitori"
26 ottobre 2010 La Repubblica
VALERIA PINI
Aumentano le tutele per i minori figli di immigrati irregolari a rischio di espulsione. La Corte di Cassazione, nel massimo consesso delle Sezioni Unite, ha deciso che non si possono mandare via gli stranieri, anche se hanno commesso reati, nel caso in cui il loro allontanamento dall'Italia, tramite il rimpatrio, abbia riflessi negativi sul generale equilibrio psico-fisico dei loro bambini. Con questa decisione la Suprema Corte ha accolto il ricorso di una signora africana, madre di tre figli residenti a Perugia, condannata per sfruttamento della prostituzione e raggiunta da foglio di via.

La signora si era rivolta alla Suprema Corte dopo una decisione della Corte d'Appello di Perugia del 2009.
Pauline N. A. ha protestato e ha fatto presente di avere tre figli ai quali il suo rimpatrio avrebbe nuociuto. Intanto proprio per il "comportamento poco attento della madre" i ragazzini erano stati dati in affido part-time a una famiglia umbra fin dal 2003.

La Cassazione, con la sentenza numero 21799, ha stabilito che i "gravi motivi" che, in base alle norme sull'immigrazione, consentono la temporanea autorizzazione del genitore con foglio di via, a rimanere in Italia, debbono essere interpretati in maniera elastica. Per i giudici non devono essere applicati solo alle "situazioni di emergenza o alle circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla salute" del minore, ma a un ventaglio molto più ampio di circostanze.

Fra i "gravi motivi" vanno ricomprese tutte le circostanze in grado di produrre "qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile e obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico derivi o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto".

Secondo la Cassazione si tratta di "situazioni di per sè non di lunga o indeterminabile durata, e non aventi tendenziale stabilità e che pur non prestandosi ad essere preventivamente catalogate e standardizzate, si concretano in eventi traumatici e non prevedibili nella vita del fanciullo che necessariamente trascendono il normale e comprensibile disagio del rimpatrio suo o del suo familiare". Adesso i giudici di Perugia dovranno meglio riconsiderare se sussistano le condizioni per convalidare l'espulsione di Pauline "esaminando i rapporti dei tre figli con la madre e il pregiudizio che agli stessi potrebbe derivare dall'espulsione della donna".



SALVINI: «VA'ACIAPA'IRAT»
I rom citano in giudizio
Milano e il Viminale per avere le case gratis
LA PADANIA 26 ottobre 2010
MILANO - I ROM VOGLIONO PORTARE IN TRIBUNALE L'AM¬MINISTRAZIONE COMUNALE E IL MINISTRO MARONI PERCHÉ PRETENDONO SIA DATA LORO UNA CASA POPOLARE. DlECI ROM DEL CAMPO MILANESE DI VIA TRIBONIANO, INFATTI, HANNO PRESENTATO UN RICORSO IN SEDE CIVILE NEI CONFRONTI DEL
SINDACO DI MILANO Letizia Moratti, del prefetto Gian Valerio Lombardi e del ministro dell'Interno Ro¬berto Maroni, perché vengano assegnate a loro quegli alloggi promessi ai tempi dei "progetti di autonomia abitativa" prima sottoscritti dall'ammi-nistrazione comunale e dalla Prefettura, poi bloc¬cati.
Gli avvocati Alberto Guariso e Livio Neri, che hanno presentato il ricorso al Tribunale di Milano, fanno riferimento, in particolare, all'accordo firmato mesi fa dal Comune e dalla Prefettura, con il quale erano state individuate «le famiglie rom destinatarie degli alloggi Aler (di edilizia popolare, n.d.r.)» con «l'assegnazione nominativa a famiglie attualmente residenti nel campo Triboniano», che dovrebbe es-sere sgomberato nelle prossime settimane.
Per la mancata asse-gnazione di case popolari i nomadi chiamano ora in causa anche il mini¬stro Maroni, che durante una conferenza stampa di fine settembre scorso disse che i rom non avrebbero potuto acqui-sire gli alloggi indicati nei rispettivi progetti, bensì altri, che sarebbero stati reperiti facendo leva «sul gran cuore di Milano».
«Va' a ciapa' i rat», ha affermato l'eurodeputato della Lega Nord Matteo Salvini ricorrendo a un'espressione che letteralmente significa: "Va' a catturare i topi", ma che viene comunemente usata per mandare a quel paese il proprio interlocutore. «Una risata li seppellirà -ha continuato Salvini -anche se qualche giudice buontempone, magari amico di don Virginio Colmegna, lo troveranno». Salvini ha quindi confermato che l'amministrazione comunale non deve lasciarsi intimorire e deve pro¬seguire con la politica degli sgomberi dei campi rom.
«Avanti con gli sgomberi - ha concluso Salvini -chissà forse i nomadi troveranno Gianfranco Fini ad aiutarli».
Sulla vicenda è intervenuto anche Davide Boni, presidente del Consiglio della Regione Lombardia, secondo il quale «la notizia si commenta da sè».
«Le famiglie nomadi invece di impegnarsi a cercare una casa ed un lavoro, come fanno tutti i milanesi e i lombardi - ha detto Boni -, continuano a pretendere una serie di diritti acquisiti che invece non hanno in nessun modo. Si tratta di un atto che dimostra come non vi sia neppure un briciolo di riconoscenza nei confronti di quelle istituzioni che hanno aperto e mantenuto il campo, offrendo ai nomadi l'occasione per integrarsi realmente nel tessuto sociale mi¬lanese. Dinanzi a questo ennesimo atto, auspico che lo sgombero del campo di Via Triboniano venga effettuato nel più breve tempo possibile».
«Grottesca», è stato il commento lapidario del vicesindaco di Milano Riccardo De Corato riguardo alla notizia della decisione dei rom di fare causa alle istituzioni locali e nazionali per la mancata as¬segnazione di alloggi di edilizia popolare.
«In Lombardia non abbiamo alcuna intenzione di farci intimidire da denunce di rom e dalle predicozze ricatto-fintomoraliste di Don Colmegna, né tanto¬meno di farci dettare dalle loro esigenze l'agenda politica», ha affermato invece Romano La Russa, coordinatore provinciale del Pdl e assessore alla Sicurezza in Regione Lombardia, secondo il quale «sarebbe davvero paradossale se la magistratura accogliesse le istanze dei nomadi».



Cassazione, la sanatoria dei giudici Il clandestino ha figli? No espulsione

Enza Cusmai
il Giornale 26 ottobre 2010
E ora neppure l’irregolare che commette un reato o viene beccato senza documenti si può rispedire nella sua terra di origine con il foglio di via. Basta che all’anagrafe risulti essere genitore e abbia un minore da accudire e il gioco è fatto. Le Sezioni Unite della Cassazione ieri hanno emesso una sentenza (la numero 21799) che non farà certo piacere al ministro dell’Interno, Roberto Maroni e agli uomini che ogni giorno lottano per allontanare i clandestini dal nostro paese.

I giudici ovviamente sostengono che la politica non c’entra e che prevale il benessere dei figli degli irregolari al di là di ogni pregiudizio e ogni valutazione. Ai figli, dicono i giudici, va evitato «il trauma del distacco dai genitori e quello dello sradicamento dal nostro Paese dove stanno vivendo». In pratica, non potendo tenere i bambini da soli in Italia e rispedire i genitori a casa, meglio tenerli uniti, ovviamente qui.

Il caso pratico da cui sono partiti per arrivare a definire un principio che ogni giudice del paese dovrà ormai applicare, è tutt’altro che eccezionale. È la storia di Pauline, una madre africana condannata per sfruttamento della prostituzione e raggiunta da foglio di via. Pauline, però, non ci pensa nemmeno lontanamente a tornarsene in Africa. E sostiene che il rimpatrio danneggerebbe i suoi tre bambini peraltro già affidati, part-time, a una famiglia umbra fin dal 2003. La causa finisce in Cassazione che, clamorosamente, dà ragione alla madre naturale dei tre bambini. Secondo la Suprema Corte, infatti, «i gravi motivi» che, in base alle norme sull’immigrazione, consentono la temporanea autorizzazione del genitore con foglio di via a rimanere in Italia debbono essere interpretati in maniera elastica. Non si possono applicare solo alle «situazioni di emergenza o alle circostanze collegate alla salute» del minore, ma a un ventaglio molto più ampio di situazioni che producono «qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che deriverebbe al minore dall’allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall’ambiente in cui è cresciuto». Una frase che comprende in pratica ogni situazione di distacco: cosa c’è, infatti, di peggio che allontanare un bambino da una madre o da un padre? Ma i giudici precisano e cercano di rassicurare: «Si tratta di situazioni di per sé non di lunga o indeterminabile durata». Forse fino a quando i figli saranno maggiorenni? Non è dato saperlo. Sta di fatto che ora i giudici di Perugia dovranno meglio soppesare il visto all’espulsione di Pauline «esaminando i rapporti dei tre figli con lei e il trauma che potrebbero subire se venisse rimpatriata».
E ovviamente è polemica sulle possibili distorsioni che questa sentenza può creare nella pratica. Lo ammette lo stesso Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci contento del responso della Cassazione: «È una buona notizia, una decisione che fa chiarezza perché c’era stata una clamorosa sentenza a marzo che invece faceva prevalere l’interesse del Paese alla gestione delle frontiere su quello del minore che adesso viene rimesso al centro della tutela come prescrivono numerosi trattati». Ma proprio Miraglia ammette i rischi. «Oggi si fa giustizia di quella argomentazione cinica che fa perno sul rischio che gli immigrati utilizzino i figli per aggirare la legge e sfuggire all’espulsione - premette - ma se in Italia la legge impedisce l’ingresso regolare e obbliga ad aggirare le norme, non è colpa di un minore se il genitore va contro la legge».



SE L'IMMIGRATO RESTA UN ESTRANEO

La Repubblica 26 ottobre 2010
RENZO  GUOLO
La Merkel proclama il fallimento del multiculturalismo, o di quel modello di integrazione che si regge sul riconosci¬mento di un certo grado di diversità cul¬turale nello spazio pubblico, soprattutto in re¬lazione alla presenza dell'islam in Europa. Ma tutti gli Stati europei sono alle prese con la crisi del proprio modello di integrazione. A riprova che il radicale mutamento indotto dalla globa¬lizzazione ha sottoposto a dura prova un baga¬glio di soluzioni che si riteneva ormai consoli¬dato. L'irruzione di culture altre nello spazio so¬ciale solleva, infatti, questioni enormi, tra le quali il concetto di cittadinanza, la laicità dello stato, il pluralismo religioso. Tutti si interroga¬no sul che fare ma nessuno dispone di ricette miracolose.
Il multiculturalismo mostra palesi limiti perché amplificala già vasta frammentazione sociale. Ma in crisi è anche il modello assimilazionista, come ci ricorda non solo il famoso caso delle ragazze musulmane del liceo di Creil, espulse da scuola perché la laicità fran¬cese non permette che venga ostentato alcun segno religioso nella sfera pubblica, nemme¬no il velo. Un modello che taglia gordiana-mente i nodi ma fatica a legittimarsi quando non riesce a distinguere nettamente tra ciò spazio pubblico o privato. La rivolta delle banliues ha mostrato poi che il presupposto dello scambio assimilazionista, concessione della cittadinanza contro rinuncia ai partico¬larismi identitari, non funziona: per i giovani delle periferie i diritti sociali di cittadinanza restano un miraggio senza politiche pubbli¬che di sostegno. Così non trovano lavoro e hanno cattivi risultati a scuola, l'istituzione cui è assegnato il compito di trasmettere i "va¬lori repubblicani".
Gran Bretagna, Olanda, e alcuni lander tede-schi, hanno adottato un modello multicultura-lista. Ma esasperano il riconoscimento delle dif¬ferenze senza definire il terreno comune sul quale le diverse culture devono incontrarsi per rendere possibile un comune senso di apparte¬nenza. Sono, così, proliferate comunità paralle¬le, etniche o religiose; e, come tutte le figure pa¬rallele, destinate a non incontrarsi mai. La Gran Bretagna si è stupita quando ha preso atto che gli autori degli attentati di Londra del 2005 non era¬no stranieri ma cittadini di Sua Maestà. Perfet¬tamente integrati, ma solo all'interno delle loro comunità chiuse, in questo caso quella etnica pakistana.
Francia e Gran Bretagna, hanno comunque confermato, sia pure con qualche variante per evitare di alimentare l'ulteriore crescita di forze xenofobe, i loro modelli. È l'idea di fondo che li sorregge: per quello assimilazionista la convin-zione che la coesione sociale sia garantita dalla condivisione di ideali come i valori repubblica¬ni e la laicità "negativa" dello Stato; per quello multiculturalista, l'idea che singoli e gruppi sia¬no meno conflittuali quando coltivano la pro¬pria identità religiosa e culturale. Modelli che hanno entrambi come presupposto lo ius soli: è cittadino non solo chi è nato lì ma anche l'immi¬grato che voglia diventarlo attraverso un adesio¬ne basata non sul legame etnico ma sul contrat¬to.
E in Italia? Il nostro paese non ha elaborato al-cun modello: a seconda delle diverse maggio¬ranze di governo, ha prevalso una concezione inclusiva o esclusiva dello straniero. In realtà, un modello si è imposto. Sotto il pugno di ferro leghista ne è nato uno nominalmente assimila¬zionista, ispirato dalla generica formula «gli immigrati rispettino le nostre leggi e tradizio¬ni». Ne è derivato un assimilazionismo monco: l'assenza di cittadinizzazione lo rende poco ap¬petibile agli immigrati, chiamati a rinunciare alle proprie identità, culturali, etniche e reli¬giose, in cambio del nulla. Se in Francia quella rinuncia ha come oggetto di scambio la cittadi¬nanza, in Italia l'assimilazionismo in salsa pa¬dana assume il volto dell'imperativo senza contropartite.
Un modello essenzialmente disciplinare. fondato sullo ius sanguinis che sbarra l'accesso alla cittadinanza allo straniero. Formalmente assi-milazionista, questo modello funziona, di fatto, come un modello multiculturalista. Stigmatiz-zando gli immigrati come portatori di irriduci¬bili differenze etniche, e religiose, rinuncia a qualsiasi interazione con lo straniero, alimen¬tando una separatezza che riproduce intoccabi¬li ghetti identitari. Questo assimilazionismo senza assimilazione, questo multiculturalismo negato e di fatto riprodotto nella sua versione ostile dell'enclave identitaria, è però foriero di futuri conflitti. Dentro al magma oscurato della separatezza sociale crescono, più che stranieri, estranei senza nessuna lealtà politica verso il Paese in cui vivono.



Esecutivo tecnico
Tasse, immigrati, toghe Il piano ammucchiata

MARCO GORRA
Libero quotidiano 26 ottobre 2010
L'unico problema è che uno è convinto di essere il leader della destra di domani e l'altro è convinto di essere il leader della si¬nistra di domani. (...)
(...) Quanto al resto, Gianfran-co Fini e Nichi Vendola sono d'accordo praticamente su tut¬to. Tanto che, a vedere le posi¬zioni dei due su argomenti co¬me fisco, giustizia, immigrazio¬ne, riforme, si ha a tratti l'im-pressione che i due militino nello stesso schieramento. Im¬pressione che deve avere avuto anche il fondatore di Repubbli¬ca Eugenio Scalfari nel propor¬re Fini e Vendola come punte di diamante di una futuribile santa alleanza antiberlusconia-na da mettere in piedi in Par¬lamento onde far nascere un governo tecnico che archivi una buona volta Berlusconi. L'idea di Scalfari in ambienti fi-niani è piaciuta parecchio, tan¬to che Italo Bocchino sarebbe felice di tramutarla addirittura in cartello elettorale: «Ci pre¬senteremmo al voto con uno schieramento formato da chi vuole migliorare il Paese, a pre-scindere dalla provenienza po¬litica». E le premesse ci sono tutte. Perché le convergenze parallele come quelle tra Fini e Vendola sono impressionanti.
A partire dall'ultimo fronte aperto sabato scorso dal presi¬dente della Camera, ossia quel¬lo fiscale. Per finanziare la rifor¬ma dell'università, il leader di Fli ha rispolverato la vecchia idea bertinottiana di «tassare al 25% le rendite finanziarie». Che suona assai analogo a quanto sostenuto da Vendola ad inizio settembre: intervistato da Pa¬norama, il governatore puglie¬se chiedeva di «tassare le ren¬dite parassitarie e le transazioni finanziarie. Chi ha di più deve pagare». Unità d'intenti anche per quanto riguarda il versante immigrazione.  Qui la parola magica è cittadinanza: per Fini gli immigrati devono poter di-ventare cittadini italiani dopo cinque anni di permanenza, ovviamente in regola, nel no¬stro Paese. Vendola - il cromo¬soma rosso non tradisce - è ad¬dirittura più avanti: un annetto fa la giunta pugliese ha delibe¬rato l'esenzione dal ticket sani¬tario per tutti gli stranieri, rego¬lari o meno che siano. Istrutti¬vo, in questo caso, notare la so-vrapponibilità della forma oltre che della sostanza. Perché nel Fini scalda la propria platea con frasi ad effetto del tipo «l'immigrato, regolare o meno, resta sempre una persona con i diritti fondamentali» ricorda da parecchio vicino il Vendola che invoca «un avamposto per la difesa dei diritti civili e umani» degli immigrati contro le deci-sioni «parafasciste del gover-no».
Altro giro, altra corsa. Capi-tolo coppie di fatto ed omoses-suali. Sulla questione, così co-me sui temi etici in generale, Fini è agli antipodi rispetto alle posizioni della maggioranza. La linea del Fli - espressa a più riprese negli ultimi mesi - è netta: sì alla regolarizzazione delle coppie (etero od omoses-suali) non sposate, ridiscussio-ne di quanto approvato dal go-verno in termini di fine vita e modifica della legge 40 sulla procreazione assistita. E anche qui il pensiero di Vendola rie-cheggia vieppiù. Italia Uno, 20 settembre: «Sono favorevole al riconoscimento delle coppie di fatto». Curiosamente, Fini e Vendola si trovano d'accordo anche nella parte limitativa, es-sendo entrambi contrari al di-ritto di adozione per le coppie gay. Non sarà un caso, da ulti-mo, che a salutare la vittoria di Vendola alle ultime Regionali come «buona notizia» era stata Libertiamo, fondazione anima-ta dallo sherpa finiano in tema di bioetica Benedetto Della Ve-dova. E sulla giustizia? Stessa roba anche qua. Vendola, week end appena passato: «il Lodo è solo uno dei mille escamotage 
che da 15 anni Berlusconi cer¬ca per sottrarsi ai processi. È un grande scandalo la più grande e costante violazione del prin¬cipio di civiltà dell'articolo 3 della Costituzione, per cui tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge». Gianfranco Fini, ie¬ri: «Piaccia o non piaccia, la legge è uguale per tutti». Super¬fluo dire a chi non importa se piace o meno.
Queste le premesse, impos¬sibile che i due non si trovino d'accordo anche sulla bontà di un governo tecnico per silurare il Cavaliere. E infatti non solo si trovano d'accordo, ma fanno pure il coretto. Vendola: «Go¬verno tecnico? Sì, ma solo per la legge elettorale». Fini: «Go¬verno tecnico? Sì, ma solo per la legge elettorale». Gianfranco e Nichi, uno che pare la copia carbone dell'altro. Resta solo da capire chi sta copiando chi.
Più tasse e immigrati L'ammucchiata ha già il programma
Rialzo delle aliquote sulle rendite finanziarie, cittadinanza
breve e diritti alle coppie omosessuali. Altro che governo tecnico, Fini e Vendola sono d'accordo su tutto.


Sentenza della Cassazione sui genitori immigrati: «I figli hanno diritto di crescere insieme a loro»

Avvenire 26 ottobre 2010
Si abbassa la possibilità di espulsioni per i genitori immigra¬ti irregolari. Nell'in-teresse dei minori stranieri,   diventa
infatti più difficile il rimpatrio anche per chi ha già ricevuto il foglio di via. Lo ha sta-bilito la Cassazione che ha accolto il ricor-so di una madre africana condannata per sfruttamento della prostituzione e per que-sto era stata raggiunta dal foglio di via. La donna, Pauline N.A, ha sostenuto che il rimpatrio avrebbe nuociuto ai suoi tre bambini, in affido part-time a una famiglia umbra fin dal 2003, dato che la Corte di Ap¬pello di Perugia non aveva valutato che lei pur non essendo una "madre modello" manteneva, comunque, un rapporto con i figli che era anche migliorato nel tempo. Ad avviso della Suprema Corte i «gravi mo¬tivi» che, in base alle norme sull'immigra¬zione, consentono la temporanea autoriz¬zazione del genitore con foglio di via, a rimanere in Italia, devono essere interpre¬tati in maniera elastica tale da non essere applicati solo alle «situazioni di emergen¬za o alle circostanze contingenti ed ecce¬zionali strettamente collegate alla salute» del minore, ma a un ventaglio molto più ampio di circostanze. Spiega Piazza Cavour che tra i «gravi motivi» vanno ricomprese tutte le circostanze in grado di produrre «qualsiasi danno effettivo, concreto, per-cepibile ed obiettivamente grave» al mi-nore, a seguito dell'allontanamento del fa-miliare o del suo «definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto». Secondo la Cassazione, si tratta di «situazioni di per sè non di lunga o indeterminabile durata, e non aventi tendenziale stabilità e che pur non prestandosi ad essere preventiva¬mente catalogate e standardizzate, si con¬cretano in eventi traumatici e non preve¬dibili nella vita del fanciullo che necessa¬riamente trascendono il normale e com¬prensibile disagio del rimpatrio suo o del suo familiare». Adesso i giudici di Perugia dovranno meglio soppesare il visto all'e-spulsione di Pauline «esaminando i rap¬porti dei tre figli con lei e il trauma che po-trebbero subire se venisse rimpatriata».



Brescia, città aperta l'anima antirazzista del nord

Gianpaolo Silvestri
Terra 26 ottobre 2010
È "La nonviolenza per la cit¬tà aperta" l'impegnativo tema del 23° Congresso del Movi¬mento nonviolento che si ter¬rà in Brescia dal 30 ottobre al primo novembre (i lavori si svolgono presso il Centro Saveriano d'animazione missio¬naria, via Piamarta, 9). Il Mo¬vimento nonviolento, fondato da Aldo Capitini nel lontano 1961 e ora guidato dal presi¬dente Daniele Lugli e da Mao Valpiana (segretario), si con¬fronta oggi con il volto nuovo delle nostre città, con l'imbar¬barimento del loro vivere civi¬le, con la solitudine, angoscia e alienazioni dilaganti. Lo fa con la «politica della nonvio¬lenza, che ora deve sperimen¬tarsi con le contraddizioni che vivono le nostre città che ospi¬tano nuovi cittadini ma fatica¬no ad aprirsi alla convivenza», come recita il promo per l'im¬portante appuntamento. Im¬pegno non certo facile, sicu¬ramente non scontato e non a caso affrontato nella città le¬onessa d'Italia immersa nel¬la mitica padania ed inquina¬ta dai numerosi veleni sparsi a piene mani dalla Lega lom-barda. Eppure proprio a Bre¬scia e nella sua provincia ab¬biamo la più alta percentua¬le d'immigrati regolarizzati e -specialmente e forse non a ca¬so - la loro maggiore autorganizzazione e sindacalizzazio-ne. In tutti i cortei sindacali ormai lo spezzone multietnico della Fiom bresciana è diven¬tato un fatto felicemente ordi¬nario, simbolicamente alto ed efficacissimo. Adrio, il suo sin¬daco, la scuola con il sole del¬le Alpi, paiono allora un altro pianeta, un breve incubo. In¬vece sappiamo che così non è, che l'odio pervicacemente alimentato da Bossi ed epigo¬ni, ha creato consenso (anche elettorale), ha barbarizzato il
senso comune, ha edificato mura di paura, ha pervaso l'in¬tera popolazione modifican¬done comportamenti e indo¬le. La risposta nonviolenta, il faticoso, difficile e talora este¬nuante confronto/scontro, la voglia di capire e convince¬re, è forse ancora uno dei po¬chi strumenti utili e non solo declamatori auto-consolatori per cambiare davvero in me¬glio, per sconfiggere le indot¬te paure e l'incapacità di indi¬gnarsi. La pratica democratica è un percorso irto e - nell'am¬biguità del presente - è terreno accidentato e in salita: sappia¬mo però da sempre che la li¬bertà non s'impone e rapporti nonviolenti anche con i nostri "avversari" sono tra i pochi in grado di impregnare del nuo¬vo i rapporti tra le persone e modificare il reale. Illuminan¬ti in questo senso le commis¬sioni tematiche in cui si com¬porranno i lavori del congres¬so, attraverso le quali si defi¬niranno gli obiettivi di lavo¬ro per i prossimi tre anni e gli strumenti praticabili per il lo¬ro conseguimento: educazio¬ne, ecologia, antimafia, movi¬mento, antimilitarismo, con¬vivenza. Fra gli impegni inelu¬dibili anche il cinquantesimo anniversario della Marcia Pe¬rugia-Assisi il cui primo punto programmatico è "l'opposizio¬ne integrale alla guerra" (an¬niversario che coincide - co¬me abbiamo - visto anche con il cinquantesimo della nasci¬ta del Movimento Nonviolen¬to). La nonviolenza è in cam¬mino, ma c'è ancora molto da fare per aiutarla a organizzar¬si, a crescere e consolidarsi ma sono di buon auspicio le paro¬le di John Lennon scelte come imput del congresso: War is over. Speriamo e buon lavoro.
Per info: www.nonviolenti.org



Se l'Africa e povera i colpevoli non sono solo gli stranieri

SANOU MBAYE
Il crollo dei prezzi delle risorse naturali africane, che in pas¬sato ha portato a deficit cronici, ha invertito la tendenza. I consumi, alimentati dall'enorme domanda asiatica di mate¬rie prime africane, sono in aumento in tutto il continente. Per gran parte dell'Africa questa svolta dovrebbe segnare una decisiva rottura con la povertà endemica. Ma non sarà così, a meno che i leader africani non cambino il loro approccio. Si stima che l'Africa detenga oltre il 10% delle riserve mondiali di petrolio e un terzo dei giacimenti di cobalto e di metalli di base. Il Sud Afri¬ca possiede da solo il 40% dell'oro del mondo, che sta salendo alle stelle dall'inizio della crisi finanziaria globale. Il potenziale agrico-lo africano è stato a malapena toccato. A lungo termine è improba¬bile un calo della domanda mondiale di materie prime e di mano¬dopera dall'Africa. La Cina, che dal 2003 ha aumentato di cinque volte gli scambi con l'Africa, ha svolto un ruolo di primo piano in questa svolta, che ha incoraggiato gli investitori di altri Paesi, compresi Europa e Stati Uniti, a ripensare il loro approccio agli investimenti in Africa. Questo si è tradotto in un flusso costante di investimenti per molti miliardi di dollari nella regione.
Come risultato, il Fmi prevede quest'anno una crescita del Pil del 4,7% nell'Africa sub-sahariana, che diventerà quasi il 6% nel 2011. Sfortunatamente, tuttavia, mentre la direzione del commer¬cio dell'Africa sta cambiando, non è così per la sua composizione - si esportano materie prime e si importano pro-dotti finiti. Da quando è finito il colonialismo, mezzo secolo fa (almeno nella maggior parte dei casi), l'Africa sub-sahariana ha conosciuto molte false partenze. Si ricorda il 1960, quando il «braccio lungo» dell'economia mondiale ha dato all'Africa la possibilità di salvare le sue ec¬cedenze, investire in settori a valore aggiunto e aumentare la produttività. Ma l'Africa ha spre¬cato l'occasione, consumando beni stranieri. Questo modello per¬petua alcuni dei peggiori comportamenti dell'élite africana. Cen¬tinaia di anni fa molti re africani s'impegnarono con le potenze imperiali in ascesa in Occidente per fermare la crescita dell'indu¬stria indigena nell'Africa precoloniale. Invece di far sì che i loro popoli cominciassero a produrre i propri beni, questi governanti hanno scelto di importarli dall'Europa in cambio dei loro sudditi -o di quelli dei governanti vicini - esportati come schiavi. A quei tempi le merci importate consistevano principalmente in perline, alcol e soprattutto armi, che consentivano a questi governanti di esercitare un'estrema violenza sul loro popolo. Era un sistema che senza dubbio andava a vantaggio dei partner dell'Africa. Ma che non sarebbe esistito senza l'attiva e volonterosa partecipazio¬ne delle élite africane. Quando la schiavitù fu abolita a metà del XIX secolo, i termini dell'accordo tra questi governanti e i colo-nizzatori occidentali cambiarono, dal commercio di schiavi al commercio di materie prime. Dopo l'indipendenza nei primi Anni 60, durante la Guerra Fredda, molti governanti africani sfrutta-rono l'antagonismo tra l'Occidente e il blocco sovietico per man-tenere le loro economie predatrici. Oggi perseguono lo stesso obiettivo con l'aiuto soprattutto della Cina, ma anche dell'Iran, del Venezuela e, occasionalmente, dell'India e del Brasile. I grup-pi di potere delle élite continuano a cospirare con gli interessi stranieri per cannibalizzare le economie nazionali e conservare i prerequisiti del potere: flotte di auto di lusso, aerei privati, conti bancari in paradisi fiscali, proprietà d'oltremare, beni di consu¬mo, armi, ecc. Il loro disprezzo per i prodotti locali si estende alla sanità e all'istruzione: piuttosto che investire in questi settori vi¬tali, i governanti africani si rivolgono all'estero per avere assi¬stenza sanitaria privata e istruzione per sé e per i propri figli. Questa cultura di sfruttamento senza freni delle risorse umane e naturali dell'Africa - non attraverso uno sforzo imprenditoriale e la creazione di ricchezza, ma con una politica predatoria - è molto radicata. Infatti, i pochi sindacalisti, gli intellettuali, e gli altri che sfidano questi regimi di solito non cercano di cambiare il modo in cui funziona lo Stato, ma piuttosto di assicurarsi che, come usano dire, arrivi il loro «turno per mangiare». Ci si potrebbe aspettare che organizzazioni non governative nazionali e internazionali col-mino la lacuna. Non è così. Se alcune Ong hanno ottenuto grandi risultati nel combattere i mali dei poveri dell'Africa, la stragrande maggioranza è percepita vuoi come una «quinta colonna» dell'Oc¬cidente, vuoi come un rifugio per membri ai margini delle élite che usano la diffusa povertà come un'altra sorgente di lucro. Secondo stime pubblicate dal Financial Times l'I giugno, almeno 854 miliar¬di di dollari (702,6 miliardi di euro) sono stati dirottati dall'Africa dal 1970 in una serie di fughe di capitali. Tuttavia, questo costo non è nulla rispetto allo sfregio degli africani considerati in tutto il mondo come «i dannati della Terra». A parte le regioni devastate dalla guerra, solo l'Africa ha così tanti giovani - circa il 60% della popolazione - che sono disposti a sfidare ogni pericolo per fuggire dalle loro terre. Per quanto sia triste e doloroso ammetterlo, oggi una flotta di navi negriere alla fonda sulle coste dell'Africa sarebbe presa d'assalto dagli aspiranti deportati. Alla svolta del millennio una riunione dei capi della Chiesa africana fu convocata sull'isola senegalese di Gorée per esortare gli africani a valutare la loro par¬te di responsabilità nel commercio degli schiavi.
L'invito non fu ascoltato, in linea con la generale atmosfera di negazione che circonda l'argomento. Gli storici e gli altri che si azzardano a rompere il silenzio sono stigmatizzati come traditori della causa africana. Tuttavia la verità non può essere negata. L'Africa affronta una crisi di rappresentanza e di governabilità a causa di una filosofia disfunzionale. Se gli africani vogliono cam-biare questa realtà non possono risparmiarsi un dibattito colletti-vo sulla complicità delle loro élite nel diffuso impoverimento. L'economista senegalese Sanou Mbaye, ex membro del consiglio di amministrazione della African Development Bank, è autore del libro «L'Afrique au secours de l'Afrique (L'Africa in soccorso dell'Africa). Copyright: Project Syndicate, 2010. www.project-syndicate. Traduzione di Carla Reschia















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