Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

28 ottobre 2014

INTERVENTI E REPLICHE
Mare Nostrum e il flusso dei migranti

Corriere della sera, 28-10-14
Milena Santerini
Deputata e docente universitaria
La possibile chiusura dell`operazione Mare Nostrum non impedirà che il flusso di persone disperate arrivi sulle nostre coste. Semplicemente, non vedremo o sapremo troppo tardi di altri naufragi come quello al largo di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Dopo le celebrazioni, l`amnesia. Le operazioni di soccorso svolte dalla nostra Marina militare in questi mesi, che hanno portato a salvare almeno 90.000 vite, avevano reso gli italiani consapevoli che il respingimento significa enormi rischi per donne, bambini, uomini che cercano una vita migliore e che si poteva essere fieri di aver risposto a un`emergenza globale con un senso di responsabilità nazionale. Quasi il 60% degli italiani approva questa scelta. D`altronde, è chiaro che solo una strumentalizzazione politica può far credere che Mare Nostrum «aiuti» gli sbarchi. Il numero dei migranti era aumentato ben prima. Infatti, non possiamo nasconderci che i flussi in arrivo sono misti, composti in buona parte da gente che ha diritto all`asilo, proveniente da Siria, Eritrea, Sudan, attraverso la martoriata e frantumata Libia. I flussi diminuiranno inevitabilmente con l`inverno e le cattive condizioni del mare: qualcuno oserà dire che è stato a causa della fine delle operazioni?
Ho visitato recentemente la nave San Giusto, impegnata negli eventi Sar (Search and Rescue) e ho potuto constatare la professionalità e l`umanità della nostra Marina. D`altronde, la docu-fiction Rai-Corriere della Sera «La scelta di Catia» lo documenta. Nel semestre di presidenza italiana del Consiglio Ue abbiamo ancora possibilità di trattare con gli altri Paesi una politica di collaborazione nel Mediterraneo. La revisione del Trattato Dublino III, che impone di chiedere l`asilo nella prima terra di approdo, va condotta alla luce dei profondi cambiamenti geopolitici in atto. Intanto, lasciamo ad altri la responsabilità storica di avere omesso il soccorso di persone che hanno diritto a fuggire e cercare la salvezza per mare.



Globalizzazione e migranti in un colloquio con René Micallef
Quanti miti da sfatare
l'Osservatore Romano 28-10-14
CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
La sfida culturale delle migrazioni; per il gesuita maltese René Micallef ad essere importante in questa frase - titolo di un convegno internazionale organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana - è soprattutto l`aggettivo "culturale". Lo incontriamo nel suo studio presso l`università di Piazza della Pilotta a Roma. Micallef ha studiato biologia all`università di Malta, ha fatto il noviziato a Genova, quindi si è trasferito a Londra. Da qui si è spostato a Parigi per studiare teologia morale, poi a Boston per lavorare alla sua tesi su etica e politica delle migrazioni.
Tra gli Stati Uniti e l`Europa, dove vede le maggiori differenze nelle politiche di accoglienza e integrazione?
Bisogna distinguere tra gli Stati Uniti che hanno una coscienza ben radicata di essere un Paese che nasce da un fenomeno migratorio, e dunque hanno dei canali ben strutturati per accogliere legalmente almeno un milione di nuovi immigrati l`anno e l`Europa dove il fenomeno migratorio è ancora vissuto come un`emergenza o una novità. I Paesi del sud Europa, ad esempio, nell`arco di soli trent`anni sono passati da essere terre di emigranti a Paesi di immigrazione. Per non parlare dei Paesi dell`Europa dell`est, o la stessa Malta, che hanno vissuto lo stesso cambiamento ma in soli dieci anni.
Ancora oggi sull`immigrato vengono proiettate tante paure, dalla crisi del lavoro alla criminalità, come se lo spiega?
In tivù vediamo i barconi che arrivano dall`Africa zeppi di disperati, ma questa gente rappresenta solo il 12 per cento del flusso migratorio. La maggior parte dei migranti arriva col visto turistico in aereo o in treno. Non si tratta dunque dei disgraziati che vediamo lottare per la vita. La rappresentazione che i media hanno costruito intorno alla figura del migrante fa pensare a una continua crisi, a un`emergenza reiterata senza possibili soluzioni. Inoltre molte cose che ci spaventano degli stranieri sono dei miti. Dal punto di vista economico molti studi hanno dimostrato come gli immigrati non rubano il lavoro ai cittadini del Paese nel quale vanno a vivere. E questo vale anche per le economie in crisi come l`Italia, perché in realtà gli immigrati creano ricchezza e nuovi posti di lavoro per gli autoctoni anche in questi Paesi. Un Paese la cui popolazione tende a invecchiare in maniera costante avrà sempre più bisogno di assistenti agli anziani e ai disabili e avrà sempre meno giovani a disposizione per i lavori nei campi e nelle industrie».
Quali i rischi?
Molti migranti arrivano in un nuovo Paese dopo aver subito dei forti traumi, basti pensare ai migranti che partono dal Centro America per giungere negli Stati Uniti attraversando il Messico. Molti subiscono terribili torture, vengono mutilati, altri ancora violentati come il caso delle africane che arrivano in Europa. E il disturbo post traumatico da stress (Dpts) tra i profughi, il più delle volte, non viene trattato. Questo può avere delle ripercussioni importanti sull`individuo che possono sfociare nell`alcolismo, nell`uso di droga, in atti di violenza. Poi quando il profugo arriva solitamente si stabilisce nei quartieri più poveri, ovvero lì dove si hanno già tutta una serie di problemi pregressi, dalle scuole malandate ai servizi che non funzionano. Dunque i disagi e i rischi non sono dovuti alla cultura, alla razza o alla religione degli immigrati, ma alle condizioni difficili che trovano al momento di insediarsi in un nuovo Paese. E queste condizioni sono spesso dovute a vecchi problemi di marginalizzazione e disuguaglianza rimasti irrisolti nelle nostre città.
Una chiave di lettura del magistero di Papa Francesco sta proprio nel messaggio di accoglienza che ha rivolto ai poveri e agli immigrati. Nel libro «Evangelii gaudium: il testo ci interroga», presentato martedì scorso alla Gregoriana, ha scritto che questo le ricorda molto i discorsi di Pio XII.
In quel caso parlo dei discorsi di Pio XII degli anni Cinquanta, che ridimensionava le paure statunitensi verso gli immigrati, in particolare gli italiani, che in quella parte del mondo subivano il pregiudizio di essere visti come potenziali terroristi legati a gruppi anarchico-sovversivi. Se vogliamo c`è un parallelo con l`attuale fobia verso lo straniero quale potenziale terrorista, o quale povero affamato. Ma per rispondere alla domanda, prima dell`Evangelii gaudium, il testo papale più duro e profetico sul tema dell`immigrazione risale proprio a Pio XII nel suo discorso natalizio del 1952. In questo testo, Papa Pacelli stronca le giustificazioni che davano alcuni Paesi per mantenere le leggi anti-immigrazione introdotte negli anni Venti. Pio xii ripete, in forma polemica, l`insegnamento della Costituzione Apostolica Exsul familia, promulgata qualche mese prima: ovvero che la Chiesa dichiara che c`è un diritto a immigrare (e non solo a emigrare), che questo diritto si può certamente limitare in nome del bene comune ma spesso le politiche dell`immigrazione non cercano il vero bene comune e usano questa categoria solo come una scusa per prevenire l`ingresso di stranieri.
Il fenomeno dell`immigrazione può essere risolto solo attraverso le ricette politiche o esistono altri ingredienti da prendere in considerazione?
La sfida culturale delle migrazioni è anche un problema che può essere risolto con l`immaginazione: dobbiamo non solo abituarci all`idea di un futuro che possa includere l`altro, ma immaginare modi e spazi dove l`altro possa diventare una parte del noi, e noi dovremmo sfruttare la ricchezza culturale che ci offre. Quando trattiamo gli altri solo come fonte di problemi stiamo creando le condizioni per costringerli a comportarsi secondo i nostri stereotipi. Quando invece sottolineiamo i loro talenti, allora inventiamo spontaneamente quegli spazi e quelle occasioni che ne esaltano qualità e ricchezze.
Alla Gregoriana
Si tiene nelle giornate di lunedì 27 e martedì 28 ottobre, presso la Pontificia Università Gregoriana, il convegno «La sfida culturale delle migrazioni: rischi e opportunità». Tra i relatori, il rettore Franiois-Xavier Dumortier, il cardinale Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, William Lacy Swing, direttore generale dell`International Organization for Migration di Ginevra, Emma Bonino, già ministro degli Affari Esteri della Repubblica Italiana,
Lino Cardarelli, già vicesegretario generale vicario dell`Unione per il Mediterraneo, l`ambasciatore Cristina Ravaglia (direzione generale per gli italiani all`estero e le politiche migratorie), Hassan Abouyoub, ambasciatore in Italia del re del Marocco, Amaya Valcarcel, responsabile internazionale per l`advocacy (Jesuit Refugee Service).



Rom, l’integrazione è in salita
Avvenire, 28-10-14
Ilaria Sesana
Non è cambiato nulla, l’Italia resta il paese dei campi rom. A oltre 30 mesi dall’avvio della Strategia nazionale per l’inclusione dei rom presentata dal governo alla Commissione europea «permane un approccio emergenziale, continuano gli sgomberi e va avanti la politica dei campi». La denuncia proviene dall’Associazione 21 luglio che ieri, a Milano, ha presentato il rapporto "La tela di Penelope", monitoraggio della società civile sull’inclusione dei rom. Tema attualissimo. Pochi giorni fa a Borgaro, cintura torinese, gli atti di teppismo sul bus dei ragazzi del grande campo dell’Aeroporto hanno spinto il sindaco del Pd a chiedere all’azienda trasporti un autobus solo per loro, suscitando polemiche.
All’indomani dell’approvazione, il 24 febbraio 2012, la Strategia era stata accolta positivamente da diversi attori della società civile perché segnava un’importante discontinuità rispetto al passato. In primo luogo, si esprimeva per il superamento della prospettiva emergenziale, dell’approccio assistenzialista, e della soluzione dei "campi nomadi", e si proponeva di promuovere la partecipazione. Ma il bilancio tratteggiato dalla "21 luglio" presenta molte ombre. «La Strategia – spiega il presidente Carlo Stasolla – si percepisce come una meta irraggiungibile, simile alla tela di Penelope: nei propositi mattutini si cuce, nelle azioni concrete si disfa».
A parole si prospetta la fine dei campi, nella pratica «sono stati costruiti, progettati o sono in fase di realizzazione 20 nuovi campi rom in tutta Italia», sottolinea Stasolla. Tra questi il progetto approvato il 15 maggio scorso dal Comune di Napoli a Scampia, da finanziare con 7 milioni di euro. In base al rapporto, la situazione segregante degli insediamenti formali e informali riguarda circa 40mila rom e sinti ed essa «continua a caratterizzare la geografia di molte aree urbane».
A Milano i campi autorizzati sono passati da sette a cinque (chiuso via Novara, in via di chiusura quello di via Martirano) mentre una quindicina di accampamenti abusivi sono stati sgomberati in città e aree limitrofe. «Aree e campi che esistevano da molto tempo, sono stati chiusi e non più occupati – sottolinea l’assessore alla sicurezza, Marco Granelli – e a tutti gli occupanti offriamo la possibilità di avviare un percorso all’interno dei due centri di emergenza sociale, senza separare le famiglie». Nelle strutture di via Lombroso e via Barzaghi i rom hanno la possibilità di restare sei mesi: gli adulti seguono un percorso di integrazione, i bambini vanno a scuola. «In questi due anni abbiamo accolto 733 persone, circa 500 sono usciti – spiega Granelli – e, di questi, 225 hanno iniziato percorsi di integrazione mentre gli altri, purtroppo, hanno avuto esiti negativi».
Il rapporto evidenzia come sia continuato l’approccio emergenziale al fenomeno: malgrado le promesse, gli sgomberi non si sono mai fermati e restano i megacampi. A Roma, sotto la giunta di Ignazio Marino, ci sono stati ben 37 sgomberi, con un costo medio di 1.250 euro a persona. Mentre per la gestione degli 11 insediamenti capitolini si sono spesi 24 milioni di euro nel 2013. «Programmi e attività – si legge nel rapporto – registrano un ritardo generalizzato e l’assenza di indicazioni per la traduzione in chiave operativa degli indirizzi della Strategia». Altro elemento critico: la partecipazione dei rom risulta solo formale a livello nazionale ed è scarsa a livello locale.
Le conclusioni avanzano diverse richieste al premier Matteo Renzi. Su tutte il riconoscimento dei rom come minoranza nazionale, la promozione di politiche abitative non discriminatorie per superare i grandi campi monoetnici delle periferie. «È urgente affrontare questa tematica – sottolinea don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità – la situazione è sempre più difficile e bisogna agire presto per evitare che i rom diventino capro espiatorio di tanti problemi».



Bonus bebè anche agli immigrati, se mamma o papà hanno la carta di soggiorno
Gli ottanta euro al mese previsti per figli di italiani, comunitari o extraue lungosoggiornanti. Il reddito familiare non deve superare i 90 mila euro. Il disegno di legge di Stabilità in Parlamento
stranieriinitalia.it, 28-10-14
Roma – 28 ottobre 2014 – Ottanta euro al mese per tre anni alle famiglie dove arriva un bambino. É il bonus bebè inserito dal governo nel disegno di Legge di Stabilità per  “incentivare la natalità e contribuire alle relative spese per il sostegno”.
L'aiuto toccherà anche a molte famiglie immigrate. Il testo arrivato alla Camera dei Deputati, infatti, parla di "figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'Unione europea o di cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286" cioè il permesso Ue per soggionanti di lungo periodo, la cosidetta carta di soggiorno.
L'allargamento a mamme o papà comunitari o extracomunitari lungosoggiornanti non è una gentile concessione del governo, ma obbedisce alla normativa europea sulle prestazioni sociali e dovrebbe mettere il bonus al sicuro da un eventuale ricorso antidiscriminazione. Farà poi dimenticare l'odiosa distinzione del bonus bebè varato nel 2006 dall'allora governo Berlusconi, riservato solo ai figli degli italiani.
Il nuovo bonus bebè spetterà per ogni figlio nato o adottato a partire dal 1° gennaio 2015, a patto che i genitori, nell'anno precedente, abbiano conseguito un reddito complessivo lordo non superiore ai 90 mila euro. Questo tetto non vale solo se il bebè in questione è il quinto (o successivo) che arriva in famiglia.
L'assegno verrà corrisposto fino al compimento del terzo anno d’età ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare. Non arriverà automaticamente nelle case visitate dalla cicogna, ma andrà chiesto all'Inps dai genitori, seguendo una procedura che deve ancora essere definita con un decreto.
Meglio, comunque, prendere queste informazioni con le pinze: il disegno di legge di Stabilità deve ancora passare in Parlamento e molto potrebbe cambiare.



Alunni stranieri, la maggioranza è nata in Italia
Avvenire, 28-10-14
Paolo Ferrario
Mentre la politica discute e si divide su come regolamentarla, la presenza degli immigrati nella nostra società è una realtà sempre più consolidata. A partire dalla scuola, dove quest’anno, per la prima volta, gli alunni stranieri nati in Italia superano quelli nati all’estero. Secondo il rapporto diffuso ieri dal Ministero dell’Istruzione e riferito all’anno scolastico 2013-2014, gli alunni figli di migranti sono 802.785 (il 9% del totale), con un incremento di 16.155 unità rispetto all’anno precedente.
Ad aumentare notevolmente (+11,8% su base annua), sono stati appunto gli studenti stranieri nati in Italia, che ormai rappresentano la maggioranza degli alunni con cittadinanza non italiana, arrivando al 51,7% del totale.
E sono aumentati quest’anno anche gli alunni entrati per la prima volta nel sistema scolastico italiano: sono il 4,9% del totale degli alunni con cittadinanza non italiana rispetto al 3,7% dell’anno precedente e al 4,8% di due anni fa. La maggior concentrazione di stranieri si registra nella scuola primaria (283.233 scolari non italiani), seguita dalla secondaria di secondo grado (182.181), mentre la scuola dell’infanzia ha 167.591 iscritti stranieri e 169.780 la secondaria di primo grado.
Rimane costante la varietà e l’ordine dei Paesi stranieri con il maggior numero di alunni presenti nel nostro sistema scolastico. Si confermano, ai primi posti, Romania, Albania, Marocco, Cina, Filippine, Moldavia, India, Ucraina e Perù. La regione che ospita più alunni di cittadinanza non italiana è la Lombardia, con 197.102 presenze. L’incidenza maggiore si registra però in Emilia Romagna dove gli studenti con cittadinanza non italiana sono il 15,3% del totale. Infine, il 10% degli studenti con cittadinanza non italiana frequenta una scuola non statale contro il 13,3% degli alunni italiani.



"Kater I Rades", il naufragio del venerdì santo nel Canale di Otranto diventa un fumetto
Nel 1997 una motovedetta albanese con circa 120 profughi a bordo viene speronata da una nave della Marina italiana. Muoiono in 81, di cui 24 mai ritrovati. È il primo respingimento in mare. Francesco Niccolini e Dario Bonaffino l’hanno raccontato in un fumetto uscito per BeccoGiallo
Redattore sociale, 27-10-14
BOLOGNA – Il 28 marzo 1997 la motovedetta Kater I Rades (in albanese, battello di rada) parte dal porto di Valona. Destinazione Italia. È una piccola imbarcazione, progettata per 10 membri dell’equipaggio, ma in quel venerdì di Pasqua ha imbarcato quasi 120 profughi, intere famiglie in fuga da un Paese allo sbando. L’Italia risponde mettendo in atto il primo respingimento in mare, a cui ne seguiranno molti altri. Avvistata dalla fregata Zeffiro della Marina militare che le intima di tornare indietro, la Kater I Rades viene in seguito speronata dalla corvetta Sibilla. L’urto è violentissimo. In 15 minuti la nave affonda portando con sé il suo carico di profughi. Muoiono in 81, in gran parte donne e bambini, bloccati nella stiva dove pensavano di essere al sicuro. Ma solo 57 corpi vengono recuperati, degli altri 24 non v’è traccia. Dopo 17 anni e un processo che ha portato alla condanna nel 2011 solo del capitano della Marina italiana (2 anni per omicidio colposo, poi derubricato a lesioni colpose) e del pilota della nave albanese (3 anni), quello che viene ricordato come il ‘naufragio del venerdì santo’ nel Canale di Otranto viene raccontato da Francesco Niccolini e Dario Bonaffino in "Kater I Rades. Il naufragio della speranza", fumetto uscito per BeccoGiallo. “Al centro del racconto c’è la storia di queste persone, la percezione che avevano del nostro Paese, i loro sogni”, racconta lo sceneggiatore Francesco Niccolini che frequenta questa vicenda da tanti anni e l’ha portata anche a teatro con la compagnia Thalassia di Brindisi. “Erano persone normali, che avevano perso i primi risparmi con lo scandalo delle piramidi finanziarie, che scappavano da un capitalismo che le schiacciava tanto quanto aveva fatto il socialismo fino a pochi anni prima, persone che volevano raggiungere i parenti, già in Italia. Ho provare a dare loro la parola, perché non l’hanno mai avuta”, dice.
A destare l’interesse di Francesco Niccolini per la vicenda della Kater I Rades è l’incontro con la compagnia teatrale Thalassia e con Luigi D’Elia, attore, scenografo e operatore ambientale che vive a Brindisi. “È stato Luigi a raccontarmi di quando, da ragazzino, aveva assistito agli sbarchi degli anni Novanta, dai primi a Brindisi a quello dei 20 mila albanesi arrivati a Bari con la Vlora e poi rinchiusi nello stadio fino a quelli successivi”, spiega Niccolini che, nel 2011, partecipa alle iniziative del Comune di Brindisi per i 20 anni degli sbarchi con un testo teatrale letto da Anna Bonaiuto. Il passo successivo è raccontare l’episodio più tragico, quello della Kater I Rades. Con la ricerca del materiale, iniziano anche le coincidenze. In quegli anni, esce “Il naufragio” (Feltrinelli), il libro con cui il giornalista e scrittore Alessandro Leogrande racconta la tragedia del Canale di Otranto. Contemporaneamente, Niccolini si ‘imbatte’ nel relitto della Kater I Rades da uno sfasciacarrozze di Galatina (Lecce). La chiglia era stata tagliata in due e la parte superiore data a Costas Varotsos, uno scultore greco che ne ha fatto un monumento collocato sulla banchina del porto di Otranto. “La parte inferiore, i legni e il motore, li ha comprati Luigi – racconta Bonaccini – Sono legni con una forza espressiva incredibile, per i segni del tempo, un anno in mare e gli altri abbandonati nel porto di Brindisi, e della tragedia”. Poi c’è stato l’incontro con l’avvocato di parte civile delle vittime, Stefano Palmisano, e con uno dei sopravvissuti, avvenuto per caso a Firenze. “Mi ha raccontato tutto quello che si ricordava, i piccoli dettagli che nessun verbale riportava – dice Niccolini – : l’effetto del buio, l’elicottero che pensavano fosse lì per salvarli e invece serviva solo per illuminarli in modo che la corvetta riuscisse a vederli”. E alla fine è arrivata la richiesta della casa editrice BeccoGiallo di raccontare una storia sugli sbarchi. “E io ce l’avevo già”, afferma. E così è nato ‘Kater I Rades. Il naufragio della speranza’, una storia “non cupa ma attraversata da pensieri semplici come li abbiamo tutti, le sigarette, la maglia della Juventus, il pallone”.
Nella prefazione al fumetto, il giornalista Alessandro Leogrande definisce il naufragio del venerdì santo, “una strage di Stato”, più che altro per il post-naufragio. “Sono d’accordo – dice Niccolini – La Marina militare si è comportata come l’Aeronautica con Ustica, cancellando documenti, foto, video e facendo finta di niente, ma è stato commesso un crimine e, anche se non ci sono prove per accusare gli ammiragli, un capitano è stato condannato: la Marina se la sarebbe cavata meglio ad ammettere di aver sbagliato”. Ma dopo 17 anni, un processo, lo spettacolo teatrale, il monumento nel porto di Otranto, i legni e il motore restituiti al governo albanese lo scorso giugno e il progetto del Museo della memoria migrante, perché raccontare questa storia? “Questa domanda me l’ha fatta uno degli attori, l’anno scorso, mentre preparavamo lo spettacolo teatrale – risponde Niccolini – Il giorno successivo è arrivata la notizia della strage di Lampedusa. Ecco perché l’abbiamo fatto, perché non la stavamo raccontando per la storia in sé ma come inizio della tragedia”.
Tutto questo però ancora non basta per risolvere i conti con la vicenda della Kater I Rades, conclude, “quelli li risolveremo quando capiremo che dobbiamo trovare, insieme a loro e non contro di loro, il modo perché non siano più costretti a partire per potersi costruire una vita”. (lp)

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