Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

4 febbraio 2011

Lavoro ai Fianchi
La politica degli indifferenti
l'Unità 4 febbraio 2011
Luigi Manconi
Nel non avvento in acque calme/dove non muove foglia/niente accade né possa accadere/all’ intelletto impigrito. (Nelo Risi)
***
“Non si accende una fiaccola per metterla sotto il moggio” (Matteo  5,15).Provvidenzialmente, questa volta, la fiaccola non è stata messa sotto il moggio: alcune centinaia di persone l’hanno tenuta ben stretta,sulla scalinata del Campidoglio ,il primo febbraio a Roma.Ma il rischio che quella luce , già non troppo  potente, possa spegnersi, o ridursi a lumicino, c’è, eccome. Ed è per questa ragione che vale la pena parlare ancora di quella manifestazione  “Per i profughi del Sinai”, promossa da Cir, A Buon Diritto, Centro Astalli e agenzia Habeshia.
Qui è d’obbligo una premessa. Non  credo,  di soffrire di quella forma, sottile e insidiosa, di “narcisismo etico” che induce chi ne è affetto a pensare che ciò di cui si interessa ( e che lo appassiona) “valga” più di quanto interessa ( e appassiona) altri.E parlo di , temi di politici,  conflitti sociali,  battaglie culturali. Dunque, non penso che, ciò per cui mi do da fare, sia” più importante” di ciò per cui si danno da fare altri. Tuttavia ,l’isolamento e il silenzio  fin’ora  riservati a quei profughi dovrebbero rendere la mobilitazione per salvare loro la vita, una priorità morale e politica.E  infatti dal 20 novembre scorso circa 250 infelici, provenienti dal Corno d’Africa, si trovano, nelle mani di una banda  di predoni nel deserto del Sinai in territorio egiziano. Molti di essi, presumibilmente, sono stati trasferiti altrove o venduti ad altri trafficanti; 8 sono stati uccisi e altri 4 hanno subito l’ espianto forzato di un rene; tutti gli altri attendono incatenati e affamati, che parenti ed amici raccolgano il denaro necessario per salvare loro la vita.  Ciò nell’inerzia della Comunità  internazionale e delle istituzioni. Il comitato per i diritti umani della Commissione Esteri della Camera ha svolto un’ audizione; il senatore Pietro Marcenaro ha presentato un’ interrogazione; il governo italiano è intervenuto, presso le autorità egiziane e la Comunità europea: ma nella mozione approvata dall’ Europarlamento la richiesta di  assistenza per quei profughi non è accompagnata da alcuna proposta di iniziativa concreta a loro tutela; il ministro Frattini ha risposto con una lettera  non distratta alle sollecitazioni delle organizzazioni umanitarie senza che la cosa avesse alcun  seguito. Tutto qui o poco più. Nel frattempo in Egitto è successo ciò che è successo:  e, dunque, la vicenda di alcune centinaia di profughi viene ulteriormente sopraffatta dal rumore di avvenimenti tanto dirompenti da risultare decisivi per gli equilibri geopolitici dell’intera area.E così alla fiaccolata di martedì scorso hanno partecipato quei non tantissimi cittadini, informati tramite  il web e volontari e militanti dell’associazionismo attivo nella tutela dei diritti umani. Dei circa mille parlamentari, ripetutamente invitati a partecipare, erano presenti-salvo errori- tre: Paola Binetti, Savino Pezzotta, Jean Leonard Touadi. A un precedente appello, redatto da don Moses Zerai, sacerdote eritreo che funge da tramite per  i sequestrati,  hanno aderito oltre quelli citati, i seguenti parlamentari: Matteo Mecacci, Rita Bernardini,Livia Turco, Luigi Zanda, Benedetto Della Vedova, Gennaro Malgieri, Guido Melis, Marco Perduca, Flavia Perina, Renato Farina (e non credo di dimenticare alcuno). Non tantissimi vero?Aggiungo di aver misurato con mano quanto la questione fatichi a trovare ascolto e di aver constatato come tutte le iniziative intraprese si scontrino con una distratta inerzia e con una scettica accidia. Come spiegarlo?Per quanto detto all’inizio,sono consapevole che tutti abbiano “le mille cose da fare” ( Luigi Tenco) e seriamente penso che siano tutte o quasi importanti. Ma c’è altro. Anche i i profughi del Sinai sono vittime dell’epopea del berlusconismo e del suo declino . La”invasione dell’ultracorpo” di Silvio Berlusconi nello spazio pubblico ha reso, in qualche modo, tutto “secondario”. E, poi, i migranti, i profughi, i richiedenti asilo, i fuggiaschi, gli esuli, i rifugiati appartengono,tutti, a quella categoria generica , e crudelmente falsa di “clandestini”,considerati –al miglio -in un’ottica fuorviante. Ovvero con un atteggiamento pietistico, solidaristico, umanitaristico.Tutti concetti che, pur dotati di una robusta radice di valore, tendono a richiamare più la dimensione delle emozioni e dei sentimenti che quella delle garanzie e dei diritti. Nel migliore dei casi, “roba da Caritas” e non da politica, sia nella sua forma istituzionale sia in quella militante. A me ciò appare uno dei i più tragici errori, che possiamo commettere.Un errore che indebolisce i diritti e rende miserevole la politica.



Per i click day 400mila domande

Più spazio a Milano, Roma e Brescia per le prime 20mila quote
il Sole 24 Ore 4 febbraio 2011
Franca Deponti Francesca Padula
Nella gara online tra immigrati e posti di lavoro il primo giorno di click ha chiuso sei a uno. Il secondo è stato quello del raddoppio, due domande per ogni posto in palio. Ieri, giornata conclusiva, nemmeno il pareggio. In totale 40omila domande di assunzione per i centomila ingressi messi in palio dal decreto flussi 2010: è il bilancio finale delle tre giornate di invio online delle richieste. Il31 gennaio è stato il turno dei paesi riservatari che godono della precedenza in nome degli accordi in materia migratoria con l'Italia e che hanno totalizzato - per tutti i tipi di lavoro - 325mila domande per i 52.080 ingressi a disposizione: in questa squadra di 19 giocatori, i
due protagonisti indiscussi sono stati Bangladesh (51mila richieste) e Marocco (50mila). I lavoratori sono stati "chiamati" - per legge devono risiedere all'estero - soprattutto da Milano (42.477 domande), Roma (25.582) e Brescia (20.137).
Il 2 febbraio la finestra del lavoro domestico: in tutto 3omila assunzioni da altri paesi, ma a cliccare sono stati 61mila datori di lavoro (famiglie) che hanno inviato richieste doppie rispetto al totale. Record per colf ebadanti della Cina (32.628) a ulteriore conferma della massiccia presenza di domande da parte dalle famiglie di connazionali che usano il decreto flussi anche come ricongiungimento mascherato di connazionali che vogliono entrare in Italia per lavoro (si veda Il Sole 24 Ore del 24 gennaio e deli° febbraio).
Ieri, infine, la giornata delle conversioni dei permessi di lavoro stagionale, studio o tirocinio, ma anche di lavoratori già formati all'estero che chiedono di otte¬nere un permesso di soggiorno per lavoro (autonomo o subordinato): erano previste limila pos¬sibilità, ma le richieste si sono fermate a quota 6.969.
Ora la procedura si sposta agli sportelli unici dopo il riparto ter-ritoriale delle prime 2omila quo¬te d'ingresso deciso dal ministero del Lavoro, che ha favorito le province dove sono state presen-tate più domande (a Milano 2.938, a Roma 1.291, a Brescia 1.059). La seconda distribuzione arriverà a metà febbraio tenendo conto delle consultazioni in corso tra enti locali, associazio¬ni dei datori è sindacati.
Nel frattempo, il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, mercoledì prossimo riferirà al Senato sulle difficoltà operative
del click day, su richiesta del Pd. Ma il nodo della gara telematica non sta tutto nella lotteria del posto assegnato in base all'orario di arrivo della domanda. Conclusa la fase dell'invio si apre quella dell'esame delle domande che non è meno problematica e che presenta tempi di attesa mediamente lunghi. Gli sportelli unici dell'immigrazione spesso in carenza di personale "allungano" i tempi soprattutto nelle realtà dove più forte è la richiesta: basti pensare che a Milano e Roma ancora oggi sono aperte le pratiche della sanatoria colf del 2009. Non solo. Tra il click e il posto di lavoro ci sta il ritorno in patria, necessario per ritirare il visto de-gli immigrati che sono già entrati e lavorano in nero. Un viaggio inutile, costoso e a rischio di espulsione nel caso di controlli alle frontiere.



«I cattolici cambino scelte politiche»

Riccardi, fondatore di Sant’Egidio: aprire una stagione nuova e creare un centro
Aldo Cazzullo
Corriere della Sera 4 febbraio 2011
«Quando arrivammo qui a Trastevere, negli Anni 70, ci rubarono i motorini. La prima trattativa di Sant’Egidio— racconta il fondatore, Andrea Riccardi— fu con i ladri, per farceli restituire. Allora a Trastevere c’era il popolo. Si viveva nei bassi. Ora le case valgono 10, 12, anche 15 mila euro al metro quadro» . E Sant’Egidio è stata riconosciuta dalla Farnesina come «istituzione internazionale» , segnata da «terzietà» e «indipendenza da qualsiasi tendenza politica» . Che cosa significa? «Non distacco. Semmai, diversità di visione. Approccio alle questioni sociali a partire dai poveri. Ci sentiamo profondamente radicati nella romanità e nel carattere italiano, e nello stesso tempo decisi ad aprirci all’Africa, all’America latina, ai mondi asiatici. Un’apertura in controtendenza rispetto al ripiegamento, all’introversione degli ultimi anni» . Come vede oggi l’Italia nel mondo? «Rimpicciolita. Ho cominciato a frequentare gli scenari africani e mediorientali negli Anni 80, e allora l’Italia era considerata un grande Paese. Eravamo la frontiera tra Oriente e Occidente, la marca di passaggio tra Nord e Sud. Non è solo la globalizzazione; è l’Italia che si è assentata, ripiegata su se stessa» . Come valuta le vicende di questi giorni? «Le inquadro in una stagione finita, che si potrebbe definire la storia di un bambino mai nato. La Seconda Repubblica non è mai nata, eppure si ha la sensazione che stia morendo. Si è passati dalla Repubblica dei partiti a quella della tv e dei talk-show. Non dico sia tutto da buttare. Abbiamo l’euro. Ma non abbiamo più fiducia nell’Europa: e come possiamo reggere il passo di Cina e India con le navicelle degli Stati europei? Benedetto XV diceva che le nazioni non possono morire. Ma gli Stati forse sì. Il Belgio ad esempio si sta suicidando» . Anche l’unità italiana è a rischio? «Un rischio c’è. I 150 anni sono un po’ una festa triste. Non riusciamo a fare un discorso sull’Italia. Non abbiamo un’idea del Paese, della sua missione. L’ultimo che l’ha avuta è Wojtyla, di cui sto per pubblicare la biografia. Giovanni Paolo II aveva un’idea dell’Italia, e del suo ruolo del mondo. L’aveva anche di Roma, di cui leggeva il nome come un palindromo: Amor» . Il voto anticipato sarebbe un dramma o una svolta? «Né l’uno né l’altra. Sono stanco dell’enfasi apocalittica dell’ultima notizia politica. Ci manca una visione. Non vediamo la crisi del ceto medio, l’impoverimento del Paese. Alle nostre mense venivano gli stranieri: ora vengono signore borghesi, impiegati. Conosco divorziati che devono lasciare le loro case e dormono per strada, finendo per perdere anche il lavoro. Ci allarmiamo per gli zingari, che a Roma sono 5 mila su 3 milioni di abitanti, e presentiamo gli sgomberi come una grande operazione, mentre è solo teatro, che per loro diventa tragedia. Temiamo gli immigrati, che sono una ricchezza; e intanto chiudiamo i nostri anziani nei cronicari o nella villetta con la badante» . Il mondo cattolico ha dato troppo credito a Berlusconi? «Il mondo cattolico ha fatto la Dc; poi, dopo il Concilio, con la Dc ha desolidarizzato. Qualcuno l’ha votata turandosi il naso, altri hanno seguito il provvidenzialismo del principe rosso liberatore. Dopo l’ 89, il mondo cattolico si è spezzato in tanti frammenti. Il cardinale Ruini ha dato credito all’ipotesi di Berlusconi. Ma il sistema bipolare non ha garantito la stabilità. A ben vedere, a modo loro erano più stabili i governi democristiani. Mi chiedo se non sia tempo che il mondo cattolico assuma un’altra posizione, dia il suo contributo di idee nuove in un assetto politico diverso, plurale» . Lei una volta disse che il Partito democratico non è la soluzione. «I due poli non sono la soluzione. E il terzo polo, allo stato, è un cartello elettorale. C’è molto cammino da fare. Forse è tempo di costruire un centro, ma non solo per aggregazioni. I cattolici sono chiamati a elaborare visioni. A pensare di più. A costruire una nuova idea dell’Italia, una missione per l’Europa. Ci sono tante energie nel Paese. È il tono antropologico che va giù, sono l’uomo e la donna italiani» . Non può essere ancora Berlusconi il leader per rilanciare il Paese? «Chi ha gestito la Seconda Repubblica non può rilanciare il Paese» . Chi allora? Un’alleanza tra il centro e il Pd? «Non basta discutere di cronaca politica. Un’alleanza ci può essere, ma non si può partire da lì. Il problema è che ci sia un centro. Non si tratta di far rinascere la Dc, ma di aprire una stagione nuova, con un appello alla gente, per offrirle non solo sacrifici, anche prospettiva e respiro. Serve una legge elettorale diversa da questa, che non esprime la geografia profonda della realtà italiana e manda in Parlamento i nominati dai leader. Credo che al mondo ci sia un posto per l’Italia. Noi abbiamo un genio, una funzione. E abbiamo dei punti di riferimento: Napolitano, la Chiesa. Il mondo cattolico ha un vissuto e risorse per aiutare a costruire un’identità nazionale e laica, non in contrasto con l’essere cristiani. E mi chiedo se dal mondo cattolico non possa venire qualcosa di intelligente, di politicamente originale» . Quale direzione prenderà la rivolta del Nordafrica? Cosa può fare l’Occidente? «L’Occidente ha passato gli ultimi dieci anni a guardarsi dal pericolo verde. Ma gli islamici sono rimasti spiazzati dalla rivolta. I ribelli sono giovani, si convocano via sms. Gli islamici sono vecchi. Certo, il passaggio dalla democrazia degli sms al governo non è facile. Ma l’Occidente dovrebbe fidarsi meno di questi guardiani che abbiamo appoggiato fino all’ultimo, come Ben Ali. E potrebbe dare il suo contributo alla "democristianizzazione"degli islamici, sul modello turco di Erdogan. Questa non è la rivoluzione araba. L’idea di rivoluzione, durata due secoli, è morta con l’ 89 e con Wojtyla. Possiamo costruire una transizione pacifica» .


C'è ancora tanto da fare!

Marco Pacciotti
venerdì 4 febbraio 2011 Facebook
Leggendo con attenzione il rapporto, che qui sotto troverete nella estrema sintesi fatta da l'ANSA, emerge un Italia ancore impaurita e in parte abbagliata da luoghi comuni difficili da rimuovere. Di positivo la consapevolezza della insostituibilità dei migranti per il sistema Italia e il riconoscere che non rubano lavoro, bensi ne fanno di rifiutati dagli italiani. Di negativo il persistere del preconcetto  immigrazione\criminalità, l'ignorare che i migranti ormai tendono sempre più a stabilizzarsi con le famiglie nel nostro paese e la conseguente percezione di fenomeno di passaggi dell'immigrazione. Di qui un certo scetticismo radicato ovunque, nella possibilità di inserimento degli stranieri e nella costruzione di comunità multiculturali. Insomma scarsa conoscenza di un fenomeno cheè strutturale e irreversibile, che ha messo radici profonde , non solo nell'apparato produttivo , ma anche nella società italiana.
Questa analisi sotto riportata più in dettaglio, ribadisce la necessità di "alfabetizzare" gli italiani e i partiti politci, su quello che in un futuro immediato, sarà il fenomeno sociale di più ampia rilevanza all'interno del nostro paese e dell'Europa. Non a caso i dati inerenti le migrazioni, gli aspetti quantitativi, di durata e qualità vengono costantemente monitorati su scala mondiale, da istituzioni di varia natura. La conoscenza di questi processi che avvengono su scala mondiale e sono destinati a mutare la composizione sociale di interi continenti, rappresentano  per la politica e l'economia , il vero benco di prova su cui misurarsi e gli scenari di riferimento per una governance mondiale, in cui questa rappresenta una delle variabili più rilevanti.

ANSA
"Insomma faremmo bene ad occuparcene anzichè preoccuparcene!! Preoccupati, convinti che ce ne siano troppi. Sicuri che, se irregolari, andrebbero rimpatriati. Eppure consapevoli del loro essere "necessari". Ecco cosa pensano gli italiani degli immigrati. A rivelarlo è il rapporto annuale Transatlantic Trends, realizzato dal German Marshall Fund degli Stati Uniti e dalla Compagnia di San Paolo e presentato oggi a Roma dall'Istituto Affari Internazionali. L'Italia, secondo il rapporto, è tra i Paesi piú scettici nei confronti dell'immigrazione se paragonata ai grandi Paesi dell'Ue, agli Usa o al Canada. Eppure, nonostante la percezione degli immigrati sia peggiorata negli ultimi due anni, il 76% degli italiani reputa gli stranieri insostituibili, in quanto "impiegati in mansioni che non potrebbero essere svolte altrimenti". Il 53% degli italiani, secondo il documento, ritiene che gli immigrati siano "troppi". Dato che posiziona il nostro Paese tra quelli piú "preoccupati" sull'immigrazione, secondo solo alla Gran Bretagna dove, tra l'altro, quasi il 25% degli intervistati ritiene che l'immigrazione sia il problema piú grave del Paese. E, secondo il 56% degli intervistati, la presenza di immigrati regolari aumenta il livello di criminalitá, che per il 57% è ulteriormente accresciuto dai flussi clandestini. Meno evidente, invece, la percezione che gli immigrati influiscano sul mercato del lavoro: il 69% ritiene infatti che la loro presenza non porti via posti".



Immigrati come risorsa, italiani scettici

Redazione online
03 febbraio 2011 Corriere.it
Contribuiscono alla criminalità e sono «zavorra fiscale». Ma hanno diritto al voto e non portano via il lavoro
MILANO - Gli italiani sono scettici nei confronti dell'immigrazione. Più della metà teme che la presenza di stranieri contribuisca all'aumento della criminalità, e non fa distinzione in questo tra regolari e clandestini. Come avviene negli Stati Uniti e in Spagna, anche se in misura minore, la maggioranza degli italiani ritiene inoltre che gli stranieri rappresentino una «zavorra fiscale», traendo più benefici in termini di servizi sanitari e sociali rispetto al loro contributo in tasse. Allo stesso tempo però, più la metà degli italiani è favorevole a concedere il diritto di voto ai regolari e il 65% guarda con ottimismo alle seconde generazioni e al loro livello di integrazione.
LAVORO, POCHE PAURE - Non solo: due connazionali su tre non credono che gli immigrati portino via il lavoro ed è anche politicamente maturata ormai da tempo la consapevolezza dell’esistenza di una significativa richiesta di mano d'opera immigrata. È questa la fotografia scattata dal rapporto «Transatlantic Trends: Immigration 2010», presentato a Roma. Curato dall'Istituto Affari Internazionali e realizzato dal German Marshall Fund degli Stati Uniti e dalla Compagnia di San Paolo, insieme ad altri partner, lo studio mostra come stia cambiando l'atteggiamento di nordamericani ed europei nei confronti dell'immigrazione e in che misura le posizioni dei partiti sull'immigrazione influenzano le intenzioni di voto.
L'ITALIA - Negli otto Paesi analizzati (Stati Uniti, Canada, Francia, Spagna, Italia, Olanda, Gran Bretagna e Germania) è stato intervistato un campione casuale di mille intervistati dai 18 anni in su. In tutti gli Stati presi in esame l'immigrazione è ancora considerata come un problema piuttosto che come una opportunità. Il 56% degli italiani ritiene che gli immigrati regolari contribuiscano all’aumento della criminalità e i numeri cambiano poco se si parla di clandestini (57%). Quanto ai musulmani, però, il nostro Paese si mostra meno «preoccupato» di altri e il 37% degli intervistati afferma che gli stranieri di religione islamica sono «bene o molto bene integrati».
LAVORO E CRISI - Quanto al lavoro, in Italia la manodopera immigrata è vista come necessaria alla luce anche del basso tasso di natalità e del fatto che il 20% della popolazione ha più di 65 anni. Negli ultimi anni il governo ha quindi rilasciato centinaia di migliaia di visti per motivi di lavoro e l’opinione pubblica pare convinta che gli immigrati rappresentino una forza lavoro complementare per il Paese. Un dato che assume un significato maggiore se si considera che lo studio è relativo al 2010 e quindi influenzato dalla crisi che ha colpito l'economia mondiale. Il rapporto ha inoltre evidenziato che gli italiani sono i meno preoccupati della concorrenza degli immigrati nel mercato del lavoro: più di due terzi (69%) non ritengono che gli immigrati portino via posti di lavoro agli italiani e tre quarti della popolazione (76%) afferma che gli immigrati vengono impiegati per mansioni che non potrebbero essere svolte altrimenti. Se si volge lo sguardo al lungo periodo, tuttavia, gli italiani non sono certi di voler far fronte alla mancanza di manodopera locale attraverso l’immigrazione: la maggioranza (49%) si dice contraria a incoraggiare l'immigrazione per motivi di lavoro nonostante la popolazione locale continui ad invecchiare.



Tendopoli davanti al Campidoglio "Rom di Muratella, basta promesse"

la Repubblica di Roma 4 febbraio 2011
TENDOPOLI davanti al Campidoglio. Un centinaio di residenti di Muratella hanno improvvisato un campo abusivo per dire al sindaco: «Basta promes se sui rom» vogliamo i fatti». «Vogliono installare telecamere per controllare il perimetro del campo nomadi alle pendici della collina Alitalia—spiega il portavoce Marco Romagnuolo — Ma a che servono, se le denunce già le facciamo noi? Vogliamo lo sgombero, che si fa se muore un bambino, ma non se è a rischio la salute di 5mila persone».



Vietato alle maestre cedere il pasto ad una bimba
il Fatto quotidiano 4 febbraio 2011
Luca Telese
In fondo la storia è molto semplice: una bambina di quattro anni lasciata senza pasto, nella mensa del suo asilo, e rimandata a casa per volontà di un
sindaco. In fondo questa è una nuova, piccola, storia feroce, una storia di uomini coraggiosi che si mettono a fare la guerra ai bambini. Ed è una di quelle facili guerre con cui alcuni amministratori della Lega provano a stravolgere la faccia bella del nord e a macchiare la generosità dei veneti con il pretesto della buona amministrazione. Sarebbe forse una “Nuova Adro” - questa storia - se a Fossalta di Piave la solidarietà dei genitori (che sono andati a protestare
in istituto), delle insegnanti e dei collaboratori scolastici non si fosse opposta alle decisioni del sindaco e della direttrice scolastica. E sarebbe una
storia sicuramente incredibile se a raccontarla a “Il Fatto” non fossero le testimonianze dei genitori, le carte bollate e persino le parole dei diretti interessati.
ECCO che cosa è successo. Nella Scuola dell’Infanzia “Il Flauto Ma gico” di Fossalta di Piave (che fa parte dell’Istituto comprensivo di Meolo) – una deliziosa scuola con i giochi fuori e cinque maestre bravissime - c'è una bambina di origine africana (la chiameremo Speranza, anche se questo non è il suo nome). Speranza ha una famiglia povera ma felice. Il padre operaio, la madre che si prende cura dei figli: lui lavora nelle industrie della zona, il pane non manca. Speranza ha quattro fratellini: due più piccoli di lei, due più grandi, già alle elementari. Quando entra in età scolare non riesce a iscriversi a scuola, perché non trova posto: l'istituto può accogliere solo cinquanta bambini. Quest'anno la mamma di Speranza (che chiameremo Maria, anche se questo non è il
suo nome) fa in tempo a ricevere una buona notizia e un colpo durissimo. La buona notizia è che Speranza potrà finalmente entrare a scuola perché c'è posto per lei. Accede al tempo pieno, impara subito l'Italiano, si integra, aiuta la propria famiglia – e la madre che si esprime con pochissimi vocaboli e i verbi all'infinito - a inserirsi nella comunità fossaltina. Ma poi arriva anche il colpo: il papà di Speranza, dopo aver perso il suo lavoro e non essere riuscito
a trovarne uno nuovo, sceglie di emigrare in Belgio, dove gli hanno promesso un impiego certo. Lo fa, e la piccola famiglia straniera inizia a vacillare. Era lui che si esprimeva in un italiano corrente, lui che teneva i rapporti con gli altri genitori. Maria resta sola: i soldi che arrivano dal Belgio sono pochissimi rispetto alle necessità di cinque bambini. I bimbi delle elementari hanno la refezione e il tempo pieno, ma Speranza, nella sua nuova classe, (anche se con la tariffa agevolata) deve pagare comunque cinquanta euro al mese. Se devi stringere la cinghia sono comunque tanti soldi. E così Maria si rivolge ai servizi sociali del comune, che le rispondono di non poter intervenire per aiutarla. Nel frattempo (solo una settimana fa), le maestre della scuola escogitano una soluzione: ognuna di loro rinuncerà una volta a settimana al pranzo a cui ha diritto (sul posto di lavoro) e lo cederà alla bambina. E' un gesto di solidarietà pragmatico,
discreto. Aderiscono anche le due collaboratrici scolastiche, è d'accordo l'insegnante di religione che viene una volta a settimana. In un istituto in cui si servono 60 pasti e in cui mangiano 50 bambini, in realtà, le pietanze che ogni giorno avanzano basterebbero (e avanzerebbero) per tutti. Ma le maestre vogliono che non ci siano irregolarità e così si arrangiano: un giorno una di loro torna prima, un giorno un'altra si porta un panino, un altro ancora
un'altra salta il pasto e dice scherzando che le farà bene alla linea. Ma qui finisce il lato bello della storia e inizia la commedia surreale e grottesca. Il sindaco leghista Massimo Sensini (che è stato informato dai servizi sociali e dalla direttrice) viene a sapere della soluzione che è stata trovata e va
su tutte le furie. Convoca la direttrice del comprensorio, Simonetta Murri e le spiega che “è responsabile di una gravissima irregolarità”. Prende carta e penna e scrive di suo pugno una lettera in cui si leggono frasi come questa: “Si sottolinea che il personale (della scuola, ndr.) non può cedere il proprio pasto senza incorrere in un danno erariale per il comune di Fossalta di Piave”. Insomma, per l'amministratore Sensini, le maestre che si privano del pasto
per far mangiare una bambina di quattro anni, sono paragonabili a dei ladri che sottraggono al Comune beni di pubblica utilità. La direttrice sottoscrive la decisione, e a sua volta stila un ordine di servizio il cui senso è: “Se questo atteggiamento si ripeterà le responsabili saranno denunciate al p rov ve d i t o ra t o ”. Con questa procedura le maestre rischiano provvedimenti disciplinari e la sospensione dall'insegnamento. E infatti non vogliono parlare. Maria
viene informata che deve presentarsi a prendere Speranza alle 12.00 e non più alle 16.00. La bimba è costretta a saltare il tempo pieno e a separarsi dai suoi compagni di scuola. Maria fa quel che le è stato detto e, due giorni fa, la bimba scoppia a piangere in classe quando la madre la prende per portarla a casa. Ieri i genitori hanno chiesto un incontro alla direttrice dell'istituto per pregarla di risolvere la situazione. MA L'INTERESSATA spiega a “Il Fatto”: “Purtroppo condivido il richiamo che ci ha fatto il sindaco”. Le domandi come giudichi la sua lettera e lei ti risponde: “L'ho trovata ironica. E utile”. Ma
in che senso? La Murri fa un esempio: “Se lei ha una casa del comune non la può subaffittare a dei terzi, capisce? E' un reato. Se lei ha diritto ad un pasto della mensa non lo può dare a chi passa”. Provi a suggerire alla direttrice che la bambina non è una persona “che passa”. La Murri non accetta l'idea:
“Ma vede, questo è un principio: quella soluzione era grave e dannosa. Se tutti volessero il pasto gratis noi cosa potremmo fare? ”. Le chiedi se abbia ricevuto altre richieste: “Per ora no. Ma non potrebbero arrivare in tanti, siamo in tempi di crisi”. Provi a domandare se pensa che il fatto che la bimba sia extracomunitaria abbia prodotto la decisione dell'amministratore: “Penso proprio di no. Anzi, questa vicenda è la migliore garanzia della buona fede del sindaco: la bimba viene trattata come verrebbe trattato qualsiasi italiano”. Resti ancora incredulo, e cerchi il sindaco Sensini, classe 1951. Lo cerchi quattro
volte, in comune, ti dicono che arriva alle 17.00. Ma lui non risponde e non richiama. Peccato. In fondo, questa è una storia semplice, una piccola storia di ordinaria ferocia. Ma la parola fine – per fortuna - non è stata ancora scritta.



Gli islamici potrebbero prevalere La scelta è del popolo, non nostra

Se l’Occidente appoggia i regimi rischia di condurre all’estremismo di IAN BURUMA
Corriere della Sera 4 febbraio 2011
N e gli anni Ottanta, quando il regime comunista in Polonia si vedeva costretto ad affrontare il crescente malcontento delle masse, il portavoce ufficiale del governo, Jerzy Urban, fece notare a un giornalista straniero che il Paese aveva solo due alternative, il comunismo o l'egemonia della Chiesa cattolica. «O noi» , disse, «o la Madonna Nera di Czestochowa» . Simili avvertimenti sono stati ripetuti in varie occasioni dagli autocrati del Medio Oriente, non da ultimo dallo stesso Hosni Mubarak in Egitto: l’unica alternativa allo Stato laico sono gli islamisti, vale a dire o Mubarak o la Fratellanza musulmana. Il messaggio dev'essere sembrato assai convincente ai governi occidentali, specie gli Stati Uniti, che hanno continuato a sostenere Mubarak e gli altri «alleati» arabi con aiuti finanziari e militari. Per i fautori della diffusione della democrazia nel mondo, questo atteggiamento pone uno scomodo dilemma. L'Islam, e sono in molti a pensarlo, è una minaccia alla democrazia. Si dice da più parti che l'Occidente sia «in guerra con l'Islam» , per citare l'attivista somala Ayaan Hirsi Ali. Ma davanti al rischio che i partiti islamici possano vincere le elezioni, dovremmo forse rinunciare alla democrazia? Fu questa la linea seguita dalla politica francese dopo che il Fronte di salvezza islamico vinse il primo turno delle elezioni in Algeria nel 1991. L’anno dopo, la Francia appoggiò il colpo militare. Identica la politica degli Stati Uniti quando Hamas vinse le elezioni palestinesi nel 2006. Hamas non è stato riconosciuto. Gli americani hanno appoggiato i governi autoritari in Egitto, Arabia Saudita e in Asia Centrale, perché l'alternativa è sempre parsa molto peggiore. Da questa difficile scelta spunta un altro dilemma. La repressione spietata ben di rado conduce alla moderazione. Più è brutale il giro di vite imposto ai partiti religiosi negli Stati autoritari laici, più si radicalizza la loro politica. Osama Bin Laden non avrebbe mai trovato tante reclute zelanti per i suoi massacri se i regimi in Egitto, Arabia Saudita e Algeria fossero stati meno oppressivi e meno corrotti. La politica della religione, o la politica basata su una fede religiosa, non è immancabilmente violenta, nemmeno nel mondo islamico. Né sono i musulmani gli unici a ribellarsi contro i regimi laici in nome della fede. L'affermazione di Urban contiene un nocciolo di verità: la Chiesa cattolica ha svolto un ruolo di spicco nella ribellione contro il comunismo. E lo stesso è vero dei buddhisti in Birmania contro la giunta militare. Le organizzazioni religiose sanno mobilitare il popolo, incitandolo alla sollevazione contro governi corrotti e oppressivi. Le ribellioni sono morali, oltre che politiche. È vero, tuttavia, che quando le istituzioni religiose si impadroniscono del potere politico, non sono mai democratiche. E non possono esserlo, poiché l’autorità religiosa impone l’obbedienza al potere divino, che per definizione non accetta la sfida della ragione. Quando l’ayatollah Ruhollah Khomeini e i suoi seguaci dirottarono la rivoluzione iraniana del 1979, la democrazia divenne impossibile: il mullah si era trasformato in dittatore. Ma ciò non significa che i partiti politici, i cui programmi si ispirano a precetti religiosi, non possano essere democratici. I cristiano democratici non mettono a rischio le democrazie europee. Il «Partito turco della giustizia e dello sviluppo» , fondato dai riformatori islamici, non è contrario ai principi democratici (c'è da chiedersi, piuttosto, se sia liberale). Anzi, uno degli aspetti più interessanti delle sollevazioni in Tunisia e in Egitto è il ruolo defilato svolto dagli islamisti. In Tunisia, il partito islamico fuorilegge Ennahda (Rinascita) era assente. In Egitto, i Fratelli musulmani, che sebbene messi al bando rappresentano una forza non indifferente in termini di sostegno popolare, sono rimasti per lo più sullo sfondo. Non esiste un protagonista, in nessuno dei due Paesi, lontanamente paragonabile a Khomeini. Non si è levata una sola parola della truce retorica jihadista. Ciò che sembra aver spinto milioni di persone nelle strade è un senso comune di frustrazione economica, di indignazione per la corruzione statale, e di umiliazione per l’oppressione subita. Tali sentimenti possono accentuare lo zelo religioso, o addirittura spingere ad azioni di spaventosa violenza in nome della fede. Un simile esito appare ancora possibile, specie se la rivolta fallisce e innesca una repressione ancor più aspra. Ma anche nel migliore dei casi, se fossero indette libere elezioni, forse dopo un governo ad interim guidato da figure quali Mohammed ElBaradei, i partiti islamici potrebbero assumere un ruolo di spicco. La Fratellanza musulmana in Egitto, seppur fuorilegge, costituisce una formidabile organizzazione. Ci sono buone ragioni per sentirsi preoccupati, non tanto per le scarse propensioni democratiche degli islamisti, quanto piuttosto per le loro tendenze illiberali. Alcune forme di governo autoritario possono lasciar spazio a una certa misura di liberalismo, e risultano sicuramente più vivibili del populismo democratico illiberale. Ma sembra poco probabile che l'attuale rivoluzione partorisca un autoritarismo liberale, e pertanto le conseguenze di una mancata elezione, o di una repressione violenta, oppure dell'instaurarsi di un nuovo regime dittatoriale sono tutte opzioni peggiori dell'idea di tentare la strada della democrazia. L'Egitto non è l'Iran né l'Algeria. E abbiamo visto cosa succede quando le aspirazioni democratiche vengono frustrate per paura dell’estremismo religioso. Nel 1992 il colpo di Stato militare annientò gli islamisti in Algeria, molti dei quali— è vero — non erano né liberali, né convinti democratici, ma la guerra civile che ne è seguita ha fatto oltre duecentomila vittime. I manifestanti al Cairo, Alessandria e Suez non sembrano essersi abbandonati né alla violenza, né al fanatismo religioso. Gli scontri peggiori si sono avuti solo quando i sostenitori di Mubarak hanno attaccato la folla. È impossibile valutare con certezza l'esito della situazione. Forse i Fratelli musulmani potrebbero vincere le elezioni. O forse no. Ma spetta agli egiziani scegliere. Negar loro questa libertà rischia di far precipitare la situazione e di condurre proprio a quell’estremismo religioso che sono in tanti, giustamente, a temere. (Traduzione di Rita Baldassarre)


Su diritti civili è guerriglia

NON SOLO PACS. L'area di minoranza guidata dal senatore-chirurgo prepa¬ra la sorpresina: quattro ordini del giorno da presentare in sede plenaria: «Coppie di fatto e biotestamento sembrano inesistenti per noi. Così salta tutto».
il Riformista 4 febbraio 2011
ETTORE COLOMBO
? C'è il Mezzogiorno, non foss'altro perché l'Assemblea nazionale del Pd si doveva tenere a Napoli, mentre invece si aprirà oggi a Roma, alla Nuova Fiera (un fuori-Roma, di fatto) perché a Napoli, causa caos-primarie, proprio non era il caso. C'è la Pubblica amministrazione. Che va riformata, si capisce, ma «bene». C'è la sicurezza. «Che per noi vuol dire libertà», puntualizza l'onorevole Emanuele Fiano, responsabile del Forum in materia, nel Pd. Ci sono le politiche sociali, dette anche welfare, Forum tematico retto da Beppe Fioroni e da un'altra cattolica, Cecilia Cannassi, che presenterà sorprese, nel senso che recepirà le (cattolicissime) proposte del Forum delle Famiglie. Ci sono, anche, la Sanità e la Cultura. Insomma, il «progetto per l'Italia» del Pd è bello che pronto, formato trittico, considerando che le altre proposte (il 20-20-20 in tema fiscale, la riforma della legge elettorale, gli immigrati,etc.) erano già sta¬te squadernate alle assemblee di Roma 1 e Varese: «Oggi si completa il processo di studio, discussione e approvazione del proprio progetto per la riscossa dell'Italia», spiega fiero Maurizio Migliavacca, coordinatore nazionale della Segreteria.
Tutto bene, dunque? Mica tanto. I diritti civili, che all'inizio c'erano e facevano pure tema a sé, sono improvvisamente scomparsi, dall'agenda programmatica, dal «progetto per l'Italia». Sia sotto forma di riconoscimento dei diritti inerenti alle coppie di fatto (se ne parlerà, pare, in una sotto-sessione dell'Assemblea, quella dedicata al Welfare, quella cioè diretta da Fioroni: facile prevedere che non riscuoteranno successi) sia (anzi: a maggior ragione) sotto forma di testamento biologico e diritti del malato nel fine-vita. L'area Marino - quella che fa capo, cioè, al senatore-chirurgo Ignazio Marino - non ci sta, però, e prepara, per oggi, una sorpresina che potrebbe creare qualche problema, se non una vera rivolta, dentro il ventre molle dell'Assemblea. Una serie di ordini del giorno (quattro, per la precisione) che verranno presentati in sede plenaria, dopo l'apertura dei lavori che terrà la presidente Rosy Bindi, dopo la relazione introduttiva del segretario, la discussione nei gruppi di lavoro tematici (venerdì) e prima della discussione plenaria (che si terrà sabato mattina) e delle conclusioni finali di Bersani.
Michele Meta, braccio destro di Marino, è furibondo: «Bersani si era impegnato davanti a tutti e in particolare con noi, nell'ultima direzione, a far entrare questi temi dentro il programma del Pd. Inoltre, è pazzesco anche solo pensare di poter tracciare un profilo programmatico del nostro partito e scrivere che sarà questa la base del programma con cui ci vogliamo candidare a governare l'Italia derubricando due questioni centrali come i diritti delle coppie di fatto e il testamento biologico a temi non essenziali, inesistenti, nell'agenda fondante del Pd! Senza dire del fatto che, sul fine vita, il prossimo 21 febbraio la Camera sarà chiamata a votare e il Pd che fa, ci arriva senza una posizione? A questo punto, salta ogni accordo. Ci presenteremo in plenaria con degli ordini del giorno su questi temi (coppie di fatto e testamento biologico, ndr) e su altri (nomine nella Sanità e nucleare, ndr) e vedremo chi prende più voti. Ma scommetto ci saranno molte sorprese: tutti dovranno dire la loro». Invece, a sentire fonti della maggioranza, oggi non succederà proprio un bel nulla. «Con un Paese sull'orlo del baratro, un Premier in via di incriminazione e una maggioranza in crisi sul federalismo -spiegano esponenti di AreaDem (Franceschini) come di MoDem (Veltroni) - siamo tutti uniti».
Insomma, Hannibal ad portas: non ci si può dividere, le divergenze che pur ci sono (caso Napoli, primarie, patrimoniale, alleanze, etc.) verranno sottaciute, Veltroni non affonderà, Fioroni neppure. Già, vale anche un altro brocardo, però: pacta sunt servanda. Per Meta e Marino sono stati violati. Un terzetto, quello che presiede l'Assemblea (Bindi, Sereni, Scalfarotti)) ha lavorato, nell'ultimo mese, a una mediazione. Si partiva, in teoria, dal documento preparato dal responsabile Diritti civili Ettore Martinelli (il Riformista ne ha dato conto la settimana scorsa): coppie di fatto e bio-testamento, nella versione preparata da Martinelli, c'erano eccome. Oggi, invece,non ci sono più. Scomparsi, via. La presidente Bindi ci oppone un cortese rifiuto, alla richiesta di delucidazioni, ma c'è chi dice di averla sentita affermare, nel corso di quelle riunioni, che «i diritti civili non fanno l'identità del Pd». Marina Sereni spiega «Non c'è alcun problema né mistero. La Bindi, nel saluto introduttivo, dirà che daremo vita a un gruppo di lavoro che approfondirà tali temi, sotto il capitolo diritti umani». Amen? Mica tanto: dipende da quanto Marino, i suoi e altri laici piddini vorranno dire e fare, oggi.



IL MONDO assiste a un avvenimento inedito e sorprendente: un'onda umana che travolge il mondo arabo per denunciare le condizioni di vita, ma anche per reclamare la fine delle dittature, la libertà e la democrazia.
Marc Lazar
la Repubblica 4 febbraio 2011
Questo processo, il cui esito finale resta molto incerto, è cominciato dalla Tunisia, prosegue in Egitto e ora sembra toccare la Giordania, lo Yemen, perfino la Siria. L'impatto è tale che la stessa Cina capitalista-comunista ne teme gli effetti, al punto di aver censurato la parola «Egitto» sui motori di ricerca di numerosi siti. Dopo un momento di stupore e imbarazzo, gli Stati Uniti hanno chiaramente espresso il loro sostegno ai manifestanti e il presidente Obama è stato il primo a dichiarare, il 2 febbraio, che auspica l'inizio di una transizione, e questo significa che i giorni del presidente Mubarak sono contati. Nelle ore successive, le cancellerie di Inghilterra, Francia e Germania hanno seguito l'esempio dell'inquilino della Casa Bianca. Ma questo non è bastato a dissipare il malessere che si è instaurato da alcune settimane.
Nel momento in cui la piazza araba, tanto temuta in passato per la sua furia e le sue simpatie per l'islamismo, questa volta è decisa ad affrancarsi, l'Europa tace o parla con infinita prudenza. Certo, cornea volersi riscattare dal silenzio quasi assordante mantenuto sugli eventi tunisini, David Cameron, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy hanno pubblicato il 29 gennaio una dichiarazione congiunta per chiedere al presidente Mubarak di avviare delle riforme. Certo, Catherine Ashton, alto rappresentante dell'Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ed Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio europeo, hanno avuto parole concilianti per criticare le violenze e invocare il dialogo. Certo, il 31 gennaio il Consiglio degli affari esteri, che riunisce i mnistri degli Esteri dei 27 Stati membri,haevocatoquesti problemi. Ma insomma, in fin dei conti è ben poco. Perché tanta timidezza quando le folle arabe guardano all'Europa almeno quanto agli Stati Uniti?
Innanzitutto c'è da dire che l'Unione europea, nonostante qualche progresso, continua a incontrare grandissime difficoltà a definire una politica estera comune e a parlare con una voce sola e autorevole. Bisogna aggiungere poi che i principali paesi europei sono impantanati nei loro problemi. Il Regno Unito cerca di uscire dalla sua difficile situazione economica. La Germania, al contrario, approfittando di una crescita più importante del previsto, afferma la propria potenza riscoperta. In Francia, politici e opinionisti sono già ipnotizzati dalle presidenziali del 2012. L'Italia è ossessionata dagli scandali di Silvio Berlusconi. Il governo spagnolo e quello greco sono impegnati aportare avanti politiche di austerity e profondono tutti i loro sforzi per cercare di convincere i rispettivi cittadini della correttezza delle loro scelte. Il risultato è che questi ultimi quattro paesi, molto presenti nel bacino mediterraneo e nel mondo arabo per evidenti ragioni storiche, geopolitiche, economiche e culturali, si fanno notare per la loro discrezione. E d'altronde, molti dirigenti, ma anche molti commentatori e intellettuali, guardano con timore alle evoluzioni, per non dire le rivoluzioni, in corso nel mondo arabo, per timore che alla fine siano gli islamisti a trarne profitto: di conseguenza, tendono a preferire un certo statu quo.
Infine, l'opinione pubblica europea sembra essere poco sensibile a quello che succede sull'altra sponda del Mediterraneo, chiaro rivelatore di un malessere più profondo, e non meno inquietante. Più o meno coscienti del loro attuale declino sul palcoscenico mondiale, spaventati dalla globalizzazione, disorientati dalle trasformazioni dell'economia e della società, disgustati dalla politica, molti europei cedono alle sirene populiste, di destra e di sinistra, preferiscono ripiegarsi sulle proprie faccende e si mostrano indifferenti nei riguardi del resto del mondo. Questa Europa dubita dei suoi stessi fondamenti, perfino delle forme democratiche che ha contribuito a inventare. Proprio nel momento in cuile masse arabe, a quanto sembra, si impadroniscono di questa idea e fanno di tutto per realizzarla. Paradosso dei paradossi!
L'Europa è condannata, una volta di più, a guardare gli Stati Uniti agire, dando sfoggio della sua impotenza? Non è affatto scontato, e sarà interessante, a tale proposito, vedere che cosa uscirà fuori dal vertice europeo di venerdì a Bruxelles. Perché l'Europa conta, per le popolazioni che sfilano nelle strade di Tunisia e d'Egitto. E dispone di atout incontestabili. Innanzitutto perché ci sono fortissimi legami, per quanto spesso e volentieri tormentati, con il mondo arabo. In secondo luogo perché l'Europa è depositaria di valori fondamentali — libertà, democrazia, diritti dell'uomo, della donna e del cittadino — rivendicati ormai ovunque. Infine perché ha messo a punto una forma originale, per quanto complessa, di governance, una tecnica di cooperazione sofisticata e una pratica inedita di sovranità condivisa e autolimitata, tutte cose che, senza volerle erigere ad esempio, possono svolgere la funzione di punti di riferimento, o servire da fonte di ispirazione per dei paesi arabi che forse stanno abbozzando, sotto i nostri occhi e in diretta sui nostri schermi televisivi, una transizione democratica disseminata di insidie. Se l'Europa riuscisse a far sentire un messaggio chiaro, renderebbe un servizio importante al mondo arabo in ebollizione, e contribuirebbe a facilitare l'integrazione di quegli immigrati originari di quei paesi, che manifestano nelle capitali europee per sostenere i loro compatrioti, dimostrando di aver subito l'influsso positivo dei nostri regimi democratici, tanto imperfetti e tanto spesso denigrati.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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