Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 febbraio 2010

Il razzismo istituzionale e l'asilo pubblico per i soli bambini cristiani

Giuseppe Civati e Ernesto Maria Ruffini

L'Unità, 25 febbraio 2010
In provincia di Mantova, a Goito, il consiglio comunale, a maggioranza di centrodestra e capeggiato da un sindaco di area Udc, ha approvato un regolamento che prevede l’accesso all’asilo pubblico comunale ai soli bambini che provengono da famiglie che accettano «l’ispirazione cristiana della vita». La giustificazione sarebbe quella per cui «pur essendo l'asilo pubblico, da sempre viene gestito secondo criteri che si ispirano al cristianesimo». A questo punto è il caso di fornire a quegli amministratori locali delle brevi istruzioni per l’uso della cosa pubblica. Primo: la nostra Costituzione vieta ogni discriminazione fondata su motivi religiosi (art. 3) e garantisce a tutti, senza alcuna distinzione, l’accesso alla scuola pubblica (artt. 33 e 34). La scuola infatti, come ci rammentano gli stessi Costituenti, dovrebbe rappresentare una «aperta palestra di tutte le idee» (Preti), in cui si dovrebbe «entrare con animo tranquillo», perché dovrebbe rappresentare un «asilo di tutte le coscienze e …. di tutti i cittadini» (Marchesi) e dovrebbe essere laica e «al di sopra d’ogni confessione» (Nenni). Secondo: se non bastasse la Costituzione, rammentiamo ai consiglieri comunali di Goito che il Testo unico sull’immigrazione definisce discriminatorio ogni comportamento che comporti «una distinzione, esclusione o preferenza basata sulle … convinzioni e le pratiche religiose» (art. 43 D.lgs. n. 286/1998) e che il d.l. n. 122/1993 (legge Mancino) punisce con la reclusione fino a tre anni chi «commette atti di discriminazione per motivi … religiosi» (art. 1). Terzo: la Convenzione europea sui diritti dell’uomo vieta qualsiasi forma di discriminazione fondata sula religione e impone agli Stati di rispettare la diversità culturale e religiosa delle persone (artt. 21 e 22). Quarto: quali sarebbero i criteri cristiani cui sarebbe ispirata la gestione dell’asilo comunale di Goito? Ma il Vangelo non dovrebbe invitare tutti all’accoglienza e alla condivisione? Nel Vangelo, a proposito di bambini, perché di bambini che dovrebbero andare all’asilo stiamo parlando, non c’è forse scritto che «chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me»? (Mt. 18,5). Adesso un consiglio agli altri, esponenti politici (più o meno) democratici: smettiamola di credere che si tratti di uscite innocue e insignificanti. Per dirla con Bobbio, siamo di fronte a forme di razzismo istituzionale e non è il caso si sottovalutarle, ma di segnalarle e di pretendere il rispetto dei valori sui quali la nostra comunità si fonda. In nome del rispetto che dobbiamo nei confronti chi è diverso da noi e verso noi stessi.



Il  Pd avvia una petizione: "Sabato in lOO piazze raccoglieremo le firme per evitare discriminazioni contro gli alunni figli di immigrati
"No  al  tetto  del  30% per gli  studenti  nati  in  Italia"
La Repubblica, 25-02-2010 

LAURA MARI

CENTO piazze per escludere i bambini figli di immigrati ma nati a Roma, dal tetto del trenta per cento che limita il numero degli alunni stra¬nieri che possono iscriversi a scuola. Ad organizzare i banchetti per la raccolta firme, il Pd romano che sabato, negli stessi spazi in cui si distribuiranno i volantini per sostenere la candida-tura di  Emma Bonino alle elezioni regionali, avvieranno la cam-pagna "Tutti giù dal tetto". «Lo scopo — spiega Marco Miccoli del  Pd — è chiedere all'assessore capitolino alla Scuola Laura Marsilio di non applicare le indi¬cazioni della circolare del ministro Gelmini agli alunni stranieri

che, pur essendo figli di immigrati sono in realtà italiani a tut¬ti gli effetti in quanto nati a Ro¬ma». Bambini che, per il  solo fat¬to di avere un colore della pelle diverso o un cognome "poco italiano", ogni volta che dovranno iscriversi a scuola, al primo anno dell'asilo, in prima elementare o in prima media, saranno trattati come alunni stranieri e, quindi, costretti a cambiare istituto o compagni di classe nel caso in cui in quella scuola sia già stato raggiunto il limite del  30  per cen¬to di studenti stranieri.
«Una vera e propria follia, che la  dice lunga sul livello di integra¬zione in questo Paese — dice il consigliere comunale Pd, Paolo Masini — e in una città dove i bambini nati a Roma, vissuti nei rioni e nelle periferie della Capi-

tale e profondamente radicati nel territorio, corrono il rischio di essere spostati da una scuola al-l'altra in quanto "colpevoli" di essere figli di immigrati». Proprio per cercare di porre un argine al¬la deriva della circolare ministe¬riale sul tetto del 30 per cento, che includerebbe appunto anche gli alunni di seconda genera¬zione, di fatto italiani al cento per cento (pur non avendo però il diritto alla cittadinanza) il Pd romano ha deciso di avviare la rac¬colta firme. «Si tratta solo di una prima iniziativa—spiega Marco Miccoli del Pd — perché le iscri¬zioni ai cicli scolastici si chiuderanno il 28 febbraio e quindi, per un'eventuale deroga per i bam¬bini stranieri nati a Roma, è ne¬cessario un intervento urgente». Oltre alla petizione che verrà

avviata sabato nei banchetti del Pd, da alcuni giorni su Facebook è attivo il gruppo "Fuori dal tetto della Gelmini gli stranieri nati in Italia", a cui hanno già aderito ol-tre 500 persone. «La nostra è una battaglia di civiltà e per l'inclu-sione, perché quei bambini sono italiani atutti gli effetti» ribadisce il consigliere Pd Paolo Masini. E nei giorni scorsi i genitori degli alunni della scuola Carlo Pisacane di Tor Pignattara hanno scrit¬ta una lettera aperta chiedendo «se è giusto e onesto che a set¬tembre la stessa scuola non pos¬sa accogliere 38 alunni che sono nati a Roma, che qui hanno fre¬quentato la scuola dell'infanzia e che parlano italiano, ma che per la circolare ministeriale sul tetto del 30 per cento saranno discri¬minati perché i loro genitori sono immigrati.








L'appello della famiglia: così evitiamo il tetto agli stranieri

"Io, bambino egiziano a Roma cambio nome per restare a scuola"

la Repubblica, 25-02-2010

LAURA MARI

ROMA  — «Mi chiamo Ahmad JamalL.F.S.e i miei genitori sono  di origine egiziana. Io, però, sono nato a Roma, e lì vivo e studio. Ma per poter restare con i miei compagni di classe e non dover cambiare scuola, mia madre ha avviato le prati¬che per cambiare, o meglio, accorciare il mio cognome. Come se l'integrazione e il mio essere italiano al cento per cento dipendessero solo da come mi chiamo». A rendere noto il contenuto della lettera scritta da un alunno della quinta elementare di una scuola della periferia di Roma, è il consigliere comunale Pd Paolo Masini, a cui nei giorni scorsi è arrivato l'appello del giovane studente. «Il ragazzo — spiega Paolo Masini — ha chiesto di non rendere pubbli¬co il nome della scuola per evi-

tare di essere identificabile e subire  ulteriori discriminazio¬ni oltre a quelle legate alla cir-colare del ministro dell'Istru-zione Maria Stella Gelmini che stabilisce il tetto del 30% di alunni stranieri nelle scuole, anche per quelli nati in Italia». L'anno prossimo  Ahmad, 10 anni, dovrà iscriversi in prima media, ma  a causa del tetto po¬trebbe essere costretto a cam¬biare istituto. Anche se è  nato a Roma e, quindi, si sente italia¬no anche se non ha la cittadi¬nanza. «Così i genitori hanno avviato le pratiche per accor¬ciare il cognome —  dice il  con¬sigliere  Pd Paolo Masini — ed è amaro constatare che a Roma gli immigrati sono costretti a comportarsi come gli italiani che trent'anni fa si trasferiro¬no inAustralia e, per  non esse¬re discriminati, "americaniz¬zarono" il loro cognome».




Al  Pdl  è duello Berlusconi-Fini

E premier  lancia i "promotori della libertà ". L'ex leader di An: basta con ipotentati

la Repubblica, 25-02-2010

FRANCESCO BEI

ROMA — Un altro botta e rispo¬sta, in una settimana che  li ha già visti contrapposti sul problema della corruzione. Stavolta il tema della discordia è l'immigrazione, su  cui Gianfranco Fini  ha da tem¬po assunto una posizione contro-corrente rispetto al "main-stream" del  Pdl. Ma anche l'orga¬nizzazione del  Pdl  li  vede lanciar¬si frecciatine, proprio nel giorno in cui Berlusconi presenta i suoi «promotori della libertà» insieme a Michela Vittoria Brambilla. Un po' venditori porta a porta del verbo,unpo'Testimoni  di Geova, «un esercito del bene contro l'e¬sercito del  male della sinistra».
A lanciare il sasso è Berlusconi che, allarmato per  la competizio¬ne al Nord  con  la Lega, rispolvera un vecchio slogan usato in ogni campagna elettorale: «La sinistra vuole l'invasione degli immigrati perché pensa che con  loro si pos¬sano  cambiare i pesi del  voto».Un voto  che  «finora ha visto gli italia¬ni premiare i moderati». Insom¬ma, la tesi è che gli immigrati se venisse loro concesso il diritto di voto, voterebbero tutti il centro-sinistra. Non  passa  una  manciata di minuti — il tempo che le agen¬zie di stampa rilancino le parole pronunciate dal premier al tem¬pio di Adriano — che arriva la ri-sposta di  Fini da Bruxelles. Intan¬to parlare di questo tema  in cam¬pagna elettorale «è mondante». Ma il presidente della Camera non ha difficoltà ad ammettere,

con  un  filo di ironia, il suo dissenso dalla linea del Cavaliere: «È  no  -torio che la mia opinione non coincide al cento per cento con quella del presidente del Consi¬glio». Fini ricorda quindi che si tratta di  un  «problemaeuropeo»e la sfida è «stabilire che cosa signi¬fica integrazione, non solo in ter¬mini di doveri ma anche di quali diritti la nostra società è disposta a riconoscere agli immigrati
Lo zoom torna a Roma, dentro al tempio di Adriano. Dove  il pre¬mier battezza la sua nuova guar¬dia pretoriana. Di fronte ai coor¬dinatori del Pdl, seduti in prima fila, il premier chiarisce che «i promotori della libertà risponde¬ranno direttamente a me e saran¬no coordinati dalla Brambilla». Non è un "Predellino bis", ma lo spirito che anima il Cavaliere ci si avvicina molto. Cosi come l'in¬soddisfazione per come è andato strutturandosi il suo partito, an¬che se non si tratta di sostituire i tre coordinatori «nè per il futuro immediato né per quello avanza¬to». E tuttavia non è un caso se la "mission" che Berlusconi affida ai suoi «promotori» è «fare in mo¬do che il Pdl diventi ciò che tutti abbiamo voluto che fosse, un grande partito capace di inter-pretare i bisogni della nostra gen¬te». Segno che a tutt'oggi il Pdl non lo è ancora diventato. Parole che vengono accolte con grande freddezza tra i parlamentari del Pdl (specialmente tra i forzisti, che hanno l'orticaria ogni volta che vedono la Brambilla vicino al

capo), ma che suscitano un'en-nesima presa di distanza da parte di Fini. Questa volta il  presidente della Camera non  parla in pubbli-co, preferisce sfogarsi durante il pranzo con gli eurodeputati  Pdl: «Sono pienamente cosciente di essere minoritario, ma chiedo un luogo dove si faccia sintesi politi¬ca. Mica ne veniamo fuori con i promotori della Libertà e la Brambilla». Quanto all'immigra-zione, «nel Pdl si deve discutere sulle idee. Perché — si chiede Fi-ni riferendosi a Berlusconi — dobbiamo seguire la Lega sul-l'immigrazione? Perché bisogna sempre tirare la palla fuori dal campo?».
Un botta e risposta polemico c'è anche tra Berlusconi e Casini. «Tornò in Parlamento nel '93 — attacca il premier — perché fu presentato da Forza Italia e sol¬tanto qualche giorno dopo decise di fare un proprio gruppo». In¬somma, un traditore o giù di lì. Casini gli risponde per le rime: «Lui è deluso da  me ma io non so¬no deluso da lui perché non mi aspettavo niente» Quanto all'e¬sercito del «bene» evocato dal Ca¬valiere, il leader dell'Udc si mette a ridere: ««Sì, c'è' bisogno tanto di bene! Ce' tanto bisogno di un esercito del bene».
Domani Berlusconi aprirà a Torino la campagna del centro destra delle regionali. Lalocation è quella del Lingotto, dove Veltro¬ni lanciò nel 2007 la sua candida¬tura a leader del Pd.








Summit
L'EVENTOsull' immigrazione

NUOVO OGGI ROMA E PROVINCIA, 25-02-2010
L'assessore alle Politiche sociali e delle sicurezze della Regione Lazio, Luigina Di Liegro, ha incontrato ieri per la prima volta i componenti dell'Osservatorio regionale contro il Razzismo e la Discriminazione, previsto dalla legge regionale sull'immigrazione n. 10 del 2008 e istituito il 22 ottobre scorso.
I 5 componenti, sono stati nominati con decreto del Vicepresidente Montino il 25 gennaio scorso, su proposta dell'assessore Di Liegro e scelti tra esperti di comprovata professionalità nel settore della lotta al razzismo e alle discriminazioni. Il coordinatore sarà Aly Baba Faye (Senegal), sociologo ed esperto di immigrazione; gli altri membri sono: Cesaria Charito Basa (Filippine), ricercatrice ed esperta di
gender, immigrazione e sviluppo; Jamil Ahamede Awan (India), operatore della Caritas Diocesana di Roma e mediatore linguistico presso la commissio¬ne Centrale per il Riconoscimento dei Rifugiati del Ministero dell'Interno; Aziz Darif (Marocco), presi¬dente della Consulta comunale in rappresentanza delle comunità immigrate, e Maria Rosa Jìjon (Ecuador), mediatrice culturale e fondatrice della rete 62 seconde generazioni d'immigrati in Ita¬lia. L'Osservatorio regionale sarà composto da 11 membri, gli altri 6 componenti saranno eletti tra le reti territoriali, in rappresentanza degli immigrati delle diverse province della regione (due per la pro¬vincia di Roma e uno per ognuna delle altre). Al ter¬mine di questa prima riunione operativa, i membri dell'osservatorio e l'assessore si sono recati presso la sede della Regione Lazio, al dibattito "Diritti in cammino", organizzato dalla consigliera regionale Anna Evelina Pizzo e realizzato con le associazioni del settore, per tracciare il bilancio dell'attuazione della legge regionale n. 10 sull'immigrazione, ap¬provata nel luglio 2008. Al dibattito hanno parteci¬pato, tra gli altri, Luigi Nieri, assessore al Bilancio, Programmazione economico-finanziaria e Alessan¬dra Tibaldi, assessore al Lavoro, pari opportunità e politiche giovanili, la consigliera Pizzo, promotrice della legge n. 10".
Ritaglio  stampa  ad  uso esclusivo  del  destinatario, non  riproducibile.
Politica regionale e candidati



Proposta della Sbai (PdL) Un patentino per gli imam, basta predicatori fai-da-te

Libero 25-02-2010
ANDREA MORIGI

Ora basta con i propagandi¬sti della guerra santa e i predicatori musulmani fai-da-te.
Ci vuole «un albo nazionale na¬zionale degli imam a cui dovrà essere obbligatoriamente iscritto chiunque voglia fare l'imam in Italia», spiega Souad Sbai, la parlamentare marocchina del PdL, che ha presentato ieri un progetto di legge che prevede anche l'istituzione di un registro pubblico delle moschee in Italia.
Sono troppi ormai gli episodi che indicano una minaccia proveniente  proprio dalla  miriade di luoghi di culto non regolamentati e spuntati come funghi da un capo all'altro della Penisola. Fra tutti, spicca l'attentato kamikaze del 13 ottobre scorso a Milano, compiuto da Mohammed Game, il terrorista libico che frequentava il centro cul¬turale islamico milanese di viale Jenner.  Ma  le cronache avevano già testimoniato l'espulsione, da parte del ministro dell'Interno Roberto Maroni, di alcuni immigrati  residenti in Friuli-Venezia Giulia accusati di progettare un attentato contro la diga di Redona a Tramonti, dopo il sequestro di video che inci-tavano alla  jihad.
I sospetti non si limitano alle frange violente, spiega la Sbai. Vuole venire a capo anche della filiera internazionale che assicura milio¬ni di euro per  la costruzione di moschee, da Torino fino a Colle Val d'Elsa, nel Senese. Le istituzioni re-ligiose dovranno presentare un bi-lancio annuale, soddisfare ai requisiti stabiliti dalle amministrazioni locali sul rapporto fra le dimensioni dell'edificio e il numero di fedeli che lo frequenta, oltre che rispettare le normative urbanistiche.
Ci hanno già pensato in Francia, con  un censimento di tutte le orga-nizzazioni che gestiscono il culto islamico. La Spagna e il Portogallo, così  come la Svezia e l'Austria si so¬no già dotati di regole condivise sul riconoscimento e la formazione degli imam, per evitare sorprese sgradite.

E ora, in Marocco, è pronta una riforma per la selezione dei futuri imam che «oltre ad aver memoriz¬zato il Corano abbiano titoli di stu¬dio adeguati e sappiano come dif-fondere l'islam moderato nella so¬cietà» e che, secondo Aki-Adnkronos, sarà competenza esclusiva del ministro degli Affari religiosi. Così, una sorveglianza sulle guide del culto impedirà la diffusione di fat-wa estremiste come è avvenuto in passato.
Stavolta è l'Italia a doversi met-tere al passo con le esperienze più avanzate, almeno per allineare le due sponde del Mediterraneo sui medesimi criteri di disciplina e di trasparenza.
«Abbiamo bisogno di imam in possesso almeno di una laurea di primo livello conseguita in una del¬le facoltà di studi orientali presenti nel nostro Paese», annuncia la Sbai illustrando il suo progetto che pre-vede ancora altri passaggi. Intanto, bando alle prediche in arabo: «È necessario che conoscano la lingua italiana e che facciano sermoni nella nostra lingua». Inoltre, «è necessario che gli imam si sottopongano a una selezione da parte della moschea di Roma, che è la più grande in Italia e l'unica ricono-sciuta dallo Stato». Purché, precisa la deputata, il percorso di studi «così come i test a cui dovrebbero sot¬toporsi in moschea, siano a carico dei diretti interessati e mai dello Stato».
Non si tratta tanto di ostacoli e di misure di sicurezza, quanto piuttosto del tentativo di istituzionalizzare «un interlocutore islamico» per lo Stato. Per questo serve «l'iscrizione per tutti a un albo apposito la cui costituzione è allo studio del nuovo Comitato per l'Islam italia-no del Viminale che ne valuterà l'idoneità». Non va sottovalutata l'eventualità che qualcuno si spac-ci per moderato, facendo il doppio gioco, concesso dalla taqyya, la pratica della dissimulazione. Aiuteranno allo scopo alcune misure contro i furbi e gli infiltrati: chi non si dimostra affidabile, può essere cancellato dall'elenco. Tanto per mettersi al riparo da incidenti come la strage di Fort  Hood, negli Stati Uniti. Ni dal   Hasan, il militare che nel novembre scorso uccise tredici commilitoni, era in contatto con Al Qaeda, ma l'intelligence america¬na, che lo sapeva, aveva trascurato di lanciare l'allarme.



Immigrati e partito, Fini strappa: «lo non la penso come Silvio»

Il presidente della Camera scettico sul ruolo della Brambilla: «Non è così che si cambia» E alla Camera la maggioranza mette sotto accusa gli ex An Bongiorno e Granata

il Giornale, 25-02-2010

Vittorio Macioce
Berlusconi e Fini fanno di tutto per  non litigare, solo  che  in-torno al oro c'è un  rumore  di  col¬pi bassi e stoccate.
Quando gli applausi dell'op-posizione sono arrivati giù, co¬me uno scroscio d'acqua, qual¬cuno a Montecitorio ha comin¬ciato a pensare male. Giulia Bongiorno e Fabio Granata lì a strin-gere mani  del Pd,  di qualche casiniano, di quasi tutti i dipietristi, mentre gli altri, i colleghi della maggioranza, li guardavano con un punto interrogativo sul volto: sorpresa, stupore, scon¬certo. Il problema non è la legge. La scelta di interdire la propa¬ganda elettorale a mafiosi e affi¬ni trova tutti d'accordo. I voti che arrivano da Cosa Nostra non so¬no mai gratis. Le insidie sono na-scoste in quella norma che pre¬vede di punire anche 0 candida¬to. Il motivo è semplice. Se un sorvegliato speciale si sveglia la mattina e dice di votare Bersani o Berlusconi sono guai. Rischia-no di non potersi difendere. È  la loro parola contro quella del ma-fioso. Isabella  Bertolini, deputa¬ta del Pdl, si chiede: «Come si fa poi  a lasciare tutto questo potere

a un sorvegliato speciale?». La norma alla Camera è passata, ma morirà al Senato. Nel Pdl molti pensano che sia  una trap-pola contro Berlusconi. Ci sarà sempre - dicono - uno Spatuzza pronto a giurare che i boss della mafia fanno campagna elettora¬le per il Cavaliere.
Questo è  il clima che si respira a Montecitorio. Bongiorno e Granata sono accusati dai colle¬ghi della maggioranza di gioca¬re  per l'opposizione. Questa norma - sostengono i parlamentari del  Pdl - è un dispetto, una provo¬cazione, anche perché scritta in questo modo non passerà mai al Senato. Neppure l'opposizio-ne può lasciare il destino di un politico in balìa delle dicerie de¬gli untori. E ancora una volta si torna a parlare, apertamente, di fuoco amico nel Pdl. Bongiorno e Granata non sono i fedelissimi di Fini?
È come un rubinetto che per¬de, una goccia giornaliera che se-gna un distacco, una distanza, un confine. Qui c'è Fini, lì Berlu¬sconi. Niente drammi, piccoli strappi, come una maglia sfilac¬ciata che comunque non  si lace¬ra. Il divorzio? Chiacchiere che mettono in giro le malelingue. Come ricorda Fini agli europar-

lamentari: «Se volevo fare una corrente mi tenevo An. Voglio fa¬re il  Pdl che ancora non c'è. Non ho problemi sulla leadership di Berlusconi a cui voglio bene e non voglio una  resa di conti ne¬anche in futuro. Sono piena¬mente cosciente di essere mino-ritario, non piango sui numeri, ma chiedo un luogo dove si fac¬cia sintesi politica».
Si  va avanti così  nel  Pdl, sedot¬ti da questo strabismo di Vene-re. Quello che resta sono le paro-le incrociate. Uno dice bianco e l'altro dice nero. È un sottìle stillicidio. Berlusconi fa campagna elettorale, parla ai «promotori della libertà»: «La sinistra vuole spalancare le porte ai cittadini stranieri». Fini del voto se ne fre¬ga. Sta a Bruxelles e davanti al Parlamento europeo marca le differenze: «La mia opinione non coincide al cento per cento con quella del presidente del Consiglio e questo è notorio». Gli uomini dell'uno e dell'altro non ce la fanno a sentirsi inquili¬ni della stessa casa. Quello che dà fastidio ai berlusconiani è l'atteggiamento da «professorini» dei finiani. Il premier si spende in prima persona, tutti i giorni, per vincere le regionali. È  lui che si sta muovendo per le elezioni.

Fini e i suoi uomini vanno avan¬ti, invece, con questo atteggia¬mento di distacco, quasi aristo¬cratico, di chi non si sporca e guardalapolitica dal  colle. Tutto così, un ping-pong di parole. E l'orizzonte è pieno di sospetti. I berlusconiani si lamentano che a livello locale i finiani stanno cannibalizzando ogni cosa. Si parla dei club post aennini e di quelli postforzisti. Farefuturo di¬ce: «Non siamo una corrente, ma sale in una minestra sciapa». E la Brambilla spedisce in tutte le province i «promotori della li-bertà». I finiani gridano: è un par¬tito parallelo.
La questione, insomma, non è solo politica, ma comincia a es¬sere di pelle, fastidio, antipatia. Come si viene fuori da tutto que¬sto? Sostiene Fini: «Non certo con i promotori della libertà o con la Brambilla». Serve una nuova fase. Servono le riforme. Certo, anche la giustizia. Anche un provvedimento come il legit¬timo impedimento («occorre un provvedimento a tutela del premier»), meno traumatico ri¬spetto al processo breve. Le buo¬ne intenzioni per non litigare ci sono. Ma sul domani non si fan¬no scommesse. Neppure Fini le fa: «Il mio futuro? Dico ciò che penso, poi si vedrà».





Imprenditore ospita i rom nel giardino dell’azienda: «Ero povero come loro»
Tonin, 100 dipendenti, da 1o anni ospita quattro famiglie nomadi affianco al suo capannone: vivevo in una baracca

Martino Galliolo

Corriere della Sera, 25 febbraio 2010
SAN GIORGIO IN BOSCO (Padova) - L'imprenditore «zingaro». E cacciatore di storie. Da dieci anni ospita quattro famiglie di rom all'esterno del suo capannone: ha comprato le roulotte e ha dato loro la residenza, così i bambini possono andare a scuola. Ma c'è molto di più da raccontare. E' una storia che comincia nel Veneto contadino, quando al posto dei capannoni c'era solo terra. E di un camion in cui si cucinavano gli spaghetti in corsa pur di arrivare in tempo all'apertura dei mercati. Oltre il muro di Berlino, a Est. Nel palazzo-capannone, sede dell'azienda con le pareti vetrate, si apre un porta nel corridoio e senza filtri si entra nel laboratorio delle decorazioni. C'è un mobile bianco in legno massiccio, placcato con fogli dorati: «Questo va in Russia».

Incontriamo Gianni Tonin nel cuore del suo impero a San Giorgio in Bosco dove il mobilificio sforna mobili di design da quando ha inventato il marchio di famiglia. Un suo tavolo, per dire, è finito in una delle edizioni del Grande fratello. Lui, nell'impeccabile gessato, entra in fabbrica e prende un caffè con gli operai dalla macchinetta. Intasca un numero di telefono ricevuto da una decoratrice romena, che gli chiede: «Gianni chiami tu?». All'esterno, oltre i capannoni hi-tech ultimati quattro anni fa, lasciati i suv aziendali nel piazzale, c'è un altro capannone dove risiedono - regolarmente iscritte all'anagrafe - quattro famiglie rom. Sono originari della Romania e sono diventati negli anni italiani a tutti gli effetti. Vivono in un camper e altre roulotte: ci sono dei servizi igienici, la corrente e l'antenna Tv. Hanno scelto di restare erranti per tutta la vita. Il riscaldamento lo forniscono le bombole del gas e il conto lo salda «Toni ».

E' il soprannome dell'imprenditore diventato re degli zingari in casa propria. Ed è lì nell'accampamento con il falò ai piedi dei capannoni, che c'è il cuore del suo regno. Si siede nel camper a bere un caffè e ad ascoltare le storie accendendosi l'ennesima sigaretta. Accade in un Veneto dove in quasi tutti i comuni vige il divieto di stazionamento e ci sono sbarre nei parcheggi. Con un ghigno, Gianni Tonin ricorda quando ha pagato tutte le multe e ospitato nel piazzale le quattro famiglie: «Così imparano a mandarli via». «Ogni giorno c'era un polverone di denunce e io sono un maestro dei "disastri" - racconta con ironica schiettezza -Ho fatto prendere a tutti e sei la residenza, così ho risolto il problema e i bambini possono andare a scuola: ogni settimana ciascuno riceve ottanta euro, hanno la corrente il bagno esterno e il riscaldamento». E perché lo fa? «Se lo domandano in molti: io voglio sentire le storie del mondo. E visto che posso, faccio qualcosa». Dà un'altra possibilità. E' nella carovana, oltre la soglia del suo ufficio, che ricorda come è nato tutto. Risale a quando c'erano solo i campi dove adesso sorge la zona industriale. Tonin all'epoca, non era «nemmeno un contadino». «Con i miei genitori vivevamo in una baracca "abusiva", perché chiamarla casa… Era in mezzo alle terre dei contadini, rubavo le uova e le galline per mangiare. L'acqua la bollivamo per berla, la prendevamoa valle dopo che era passata dai maiali: perché non ci volevano dare niente nelle fattorie».

Il re del mobile si stiracchia sulla poltrona di design, distende le gambe e si scioglie un poco a ritrovarsi bambino. «Io e i miei ridevamo e cantavamo sempre, avevamo la fede: poveri i ricchi!». Racconta e arriva fino all'incidente che lo ha fatto diventare imprenditore quando, a vent'anni, faceva il camionista. In un viaggio gli capitò di restare intrappolato sotto la motrice del camion mentre si scapicollava per le strade della Polonia, Cecoslovacchia (allora) e Romania. Ai tempi del muro di Berlino. «Ero specializzato nel cucinare gli spaghetti in camion mentre correvamo: il ritardo al mercato ci sarebbe costato una penale - dice sorridendo - Passavamo le frontiere dell'Urss in silenzio tra carri armati e mitra, i militari guardavano sotto il camion con gli specchi: avevamo sempre un po' di burro di contrabbando». E via con le discese in folle per lanciare il camion oltre i cento all'ora. Una di quelle volte, il suo amico si scontrò vicino a un ponte. Lui dormiva in cuccetta: «Mi sono ritrovato con il letto incastrato sotto la motrice che sprofondava nel fango, l'olio del motore mi bruciava il petto e il peso mi stritolava: mi hanno salvato dei camionisti di passaggio che erano di Tombolo (Padova)».

Dopo essere tornato dalla Romania in treno con sette vertebre fuori posto, ha iniziato a vendere scarpiere a domicilio. Da qui nasce l'impero Tonin. Prima ne ha assunto uno, poi due fino ad oggi con oltre cento di dipendenti: italiani, turchi, romeni, brasiliani. Il capomastro è il primo romeno che Tonin ha aiutato e ce ne sono stati molti altri. Ancora, perché? «Mi ricordo la fame dei popoli che ho incontrato nei miei viaggi - racconta - Una ventina di anni fa sono tornato in Romania e in un bar di notte - va a nozze con le periferie - a Baia Mare ho conosciuto Beni, uno di lì, che parla italiano e con lui ho ricostruito un villaggio di zingari». É fatto così. Un giorno poco prima di Natale gli hanno raccontato di romeni che vivevano in un bosco, fuori San Giorgio, nel suo paese. Non poteva lasciarsi sfuggire quel mistero. «Sono arrivato in Bmw con cappello e cappotto nero: pensavano fossi un poliziotto invece li ho invitati tutti a casa per il pranzo di Natale - ride senza prendere fiato - E’ stato il più bel pranzo di Natale che ricordi ». Gianni Tonin ha molte altre storie da raccontare. Storie. Dell'imprenditore che sogna di tornare zingaro almeno per una volta, ancora a bordo della sua carovana.

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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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