Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

09 gennaio 2012

Il misterioso caso dei tunisini scomparsi
l'Unità, 08-01-2012
Italia-razzismo
Questo è “il misterioso caso dei tunisini scomparsi”. Che, poi, dietro ci sia una indecifrabile bizzarria della cronaca o una strage efferata, un imbroglio amministrativo o una scelta consapevole, una storia di estrema marginalità sociale o una complicata macchinazione diplomatica o, infine, una suggestiva leggenda metropolitana: tutto ciò è ancora da accertare.
Ma il dato di partenza è incontestabile: da mesi un numero rilevante di tunisini, sbarcati a Lampedusa dopo le rivolte popolari del febbraio del 2011, si è come volatilizzato nel nostro paese, non ha più dato notizie di sé, non è stato più  segnalato e identificato, non ha più rapporti con i familiari rimasti in patria. Dove sono finiti, quei tunisini? Una domanda a cui vuole dare una risposta Rebecca Kraiem. La donna, rifugiata in Italia da 23 anni e dirigente dell’associazione tunisina “Giuseppe Verdi”, è alla ricerca dei suoi connazionali dallo scorso marzo. Gira l’Italia in lungo e in largo, dal Consolato di Palermo all’Ambasciata di Roma fino ad alcuni centri di identificazione e di espulsione. Ma questo suo lungo girovagare non ha prodotto ancora risultati significativi, non avendo trovato alcun supporto presso gli organismi di rappresentanza del governo tunisino in Italia.
Ma in Tunisia di questa vicenda si parla e non solo all’interno delle mura domestiche o nelle sedi politiche. Il 29 dicembre il giornale “Assabah” ha pubblicato un articolo che riporta i nomi di cento cittadini di cui non si ha più notizia; e una ricostruzione assai vaga della presunta dinamica che avrebbe portato gli scomparsi, dopo aver toccato il suolo italiano, a essere respinti e, infine, messi a morte nel tratto di mare tra l’Italia e l’Africa. Questo articolo, pur privo di riscontri oggettivi, ha avuto un effetto devastante sui familiari che continuano ad attendere invano informazioni capaci di smentire una versione così tragica del destino dei loro cari.
Ed è qui il cuore nero di questa vicenda. L’assoluta assenza di informazioni, da parte delle istituzioni italiane e, ancor prima e ancor più, da parte di quelle tunisine.
In quel paese, dopo le rivolte dei mesi scorsi, l’assetto politico è mutato e si è insediata l’Assemblea Costituente. Ma, all’interno delle ambasciate e dei consolati, non si è realizzato un corrispondente cambiamento ed è rimasta pressoché inalterata a tutti i livelli la composizione del personale, costituito da sostenitori del precedente regime. Questi ultimi restano attivamente ostili sia a quanti hanno partecipato alle manifestazioni di piazza, sia a quanti dalla Tunisia sono fuggiti. In un primo momento il Governo Italiano ha concesso una protezione temporanea ai tunisini sbarcati in Italia entro il 5 aprile 2011, rinnovandola dopo sei mesi. Ma tutti coloro che sono arrivati dopo quella data hanno validi motivi per temere il rimpatrio. Infatti la Tunisia non è più considerata un paese dove vengono conculcati i diritti umani e, dunque, dal quale si possa fuggire per ottenere altrove protezione. Tutto ciò potrebbe avvalorare l’ipotesi che i tunisini “spariti” siano trattenuti in alcuni Cie in Italia ma, dal momento che potrebbero aver fornito generalità fittizie (per paura di essere identificati come tunisini e quindi rimpatriati), rintracciarli è diventata un’impresa davvero ardua. Questa ipotesi ha trovato riscontro, seppure parziale, nell’ultimo viaggio di Rebecca Kraiem a Torino. Qui, all’interno del Cie di Corso Brunelleschi, due tunisini hanno riconosciuto, in una foto mostrata loro, un connazionale scomparso che, circa cinque mesi fa, sarebbe passato per quel centro e, poi, sarebbe stato trasferito a Palermo. Sarà pure una traccia minima, ma vale la pena approfondirla: è in gioco la sorte di decine e decine di esseri umani. Chi scrive ha provveduto a informare dettagliatamente il ministro dell’Interno di questa vicenda così inquietante e, insieme, così evanescente. Non è affare che riguardi solo la Tunisia.

 

Salta il click day: meno chance per colf e badanti
il sole, 09-01-2012
Francesca Barbieri
Nessun click day in vista per consentire l'assunzione di colf, badanti e lavoratori subordinati extracomunitari. Non ha infatti visto la luce il decreto flussi 2011, perché il mercato è avaro di opportunità e «ci sono 280mila immigrati in Italia che hanno perso il posto a causa della crisi economica - ha detto Natale Forlani, direttore generale dell'Immigrazione al ministero del Lavoro -: dobbiamo pensare alla loro ricollocazione prima che a nuovi ingressi». Stop al click day, i nuovi immigrati arriveranno solo attraverso “ingressi qualificati”: liste di disponibilità stilate in alcuni Paesi con i quali l'Italia ha o sta concludendo accordi diplomatici. Mentre a breve dovrebbe essere fissato il contingente per gli ingressi stagionali (80mila negli anni passati). Del resto, come sottolinea l'ultimo rapporto della Fondazione Ismu, le vicende del 2011 ci consegnano una certezza: il carattere non programmabile di buona parte degli ingressi.
«La recessione - si legge nel rapporto -, per le sue dimensioni globali, ha reso particolarmente incerte le prospettive in ordine all'andamento e alla direzionalità dei flussi migratori».
Il tasso di disoccupazione degli stranieri in Italia è dell'11,1% - oltre tre punti in più rispetto alla media degli italiani -, valore che si infiamma nelle regioni del Nord-Ovest a quota 12,3%. Secondo un'elaborazione della Fondazione Leone Moressa su dati Istat, dal primo semestre 2008 allo stesso periodo del 2011, il numero di disoccupati stranieri è aumentato di 126mila persone. «Ciò significa - spiega la ricercatrice Valeria Benvenuti - che su 100 disoccupati in più complessivamente creati dalla crisi, quasi 40 sono di origine straniera: al Centro si sfiora quota 50%, mentre al Nord si scende al 38% e il Meridione è su livelli ancora più bassi, al 23 per cento».
Lo "status" da disoccupato si conserva tra gli stranieri meno a lungo rispetto agli italiani: poco più di un anno (13,2 mesi) contro quasi due anni (21,8 mesi). Le ragioni? «Gli immigrati - risponde Benvenuti - sentono forte l'urgenza di trovare un nuovo impiego per non perdere il diritto al permesso di soggiorno, per questo si accontentano anche di lavori meno tutelati e con basse retribuzioni». Anche se nei sogni c'è il posto fisso, full-time, possibilmente vicino a casa. L'86,1% vorrebbe, infatti, trovare un lavoro come dipendente, meglio se a tempo indeterminato (97,4%). Alla stessa formula punta la maggior parte degli italiani (94,2%), che però non esclude a priori la possibilità di avviare una propria attività autonoma (il 25,5% è indifferente all'una o all'altra alternativa).
Gli stranieri disoccupati si accontenterebbero di una busta paga che non supera i 900 euro mensili, oltre 70 euro in meno rispetto a quello che sperano di guadagnare gli italiani con un nuovo lavoro. «Proprio perché si adattano a lavori meno qualificati e a stipendi più bassi - osserva Benvenuti - gli stranieri sono meno disponibili a spostarsi: il 21,3% non si muoverebbe dal comune di residenza, o al massimo andrebbe in un altro paese vicino (66,4 per cento)».
Il canale preferito dagli stranieri per cercare un lavoro è rappresentato dalle reti amicali: l'85,3% si rivolge a parenti, amici o conoscenti per aver il contatto con imprese che abbiano bisogno di nuova manodopera. Come seconda strada, passano al setaccio gli annunci di lavoro sui giornali (56,9%) e inviano curricula alle aziende (56,7%). Appena il 28,3% si rivolge ad agenzie per il lavoro o utilizza il canale Internet.
«Le modalità di ricerca del lavoro - conclude Benvenuti - differiscono da quelle degli italiani: sebbene le reti parentali o amicali rimangano il canale privilegiato, gli italiani preferiscono inviare curricula e fanno maggiore ricorso al web, mentre ricorrono in misura minore alle agenzie interinali, appena nel 17 per cento dei casi».


 

Occupati più italiani meno stranieri
La Stampa, 09-01-2012
Luca Ricolfi
Forse non l’abbiamo ancora notato, ma nei dati su occupazione e disoccupazione comunicati pochi giorni fa dall’Istat c’è una grossa novità. Per capirla, tuttavia, dobbiamo fare un piccolo ripasso della crisi italiana.
Sul piano economico, le cose sono cominciate ad andare male nel 3? trimestre del 2007, con la crisi dei mutui subprime americani. Sul piano dell’occupazione, invece, la svolta negativa è intervenuta circa un anno dopo, verso la fine del 2008. In due soli anni, fra il 3? trimestre del 2008 e il 3? trimestre del 2010, sono andati in fumo circa 750 mila posti di lavoro (cui andrebbero aggiunti quelli rimasti solo nominalmente in piedi, grazie alla cassa integrazione).
Contrariamente a quello che molti credono, però, la crisi ha colpito più duramente gli italiani che gli stranieri. Nel «biennio nero» 2008-2009 gli italiani hanno perso circa un milione di posti di lavoro, mentre gli stranieri ne hanno guadagnati quasi 300 mila. In un certo senso si potrebbe persino dire che la recessione ha colpito solo gli italiani, visto che anche dopo lo scoppio della crisi l’occupazione degli stranieri non ha mai cessato di crescere, portandosi da 1 milione e 590 mila unità (inizio crisi, 3? trimestre 2007) a 2 milioni e 276 mila unità (ultimi dati Istat, 3? trimestre 2011).
Iniziata nel 3? trimestre del 2008, la distruzione di posti di lavoro occupati da italiani è proseguita ininterrottamente per 12 trimestri, ovvero per 3 anni pieni. Ed eccoci alla novità di cui abbiamo detto all’inizio: nell’ultima indagine Istat, relativa al terzo trimestre del 2011, per la prima volta da 3 anni l’andamento tendenziale dell’occupazione degli italiani ha riconquistato il segno «più». Nel 3? trimestre del 2011 (ultimo dato disponibile) il numero di italiani occupati, infatti, è aumentato di 39 mila unità rispetto a un anno prima, interrompendo una serie di variazioni negative che durava dalla seconda metà del 2008.
Ma come dobbiamo leggere questo dato? Dobbiamo leggerlo come un segnale positivo, di progressiva uscita dalla crisi?
Temo di no, ma per spiegare perché dobbiamo tornare sull’andamento rispettivo dell’occupazione straniera e italiana in questi anni, distinguendo più accuratamente le varie fasi della crisi. L’occupazione straniera è sempre cresciuta da quando esistono dati attendibili (2004) fino a oggi. L’occupazione italiana, invece, dopo essere cresciuta anch’essa negli anni pre-crisi, dalla seconda metà del 2008 (fallimento di Lehman Brothers) ha sempre perso colpi, anche se con un ritmo diverso nelle varie fasi della crisi. Fra il 3? trimestre del 2008 e il 3? trimestre del 2009 il numero di occupati italiano è diminuito a un ritmo via via più rapido. A partire dalla fine del 2009, invece, il ritmo di caduta è progressivamente rallentato, fino all’inversione di tendenza segnalata dall’ultima indagine Istat: nel 3? trimestre del 2011, per la prima volta da 3 anni e mezzo, al consueto aumento dei posti di lavoro occupati dagli stranieri (+120 mila) si affianca un sia pur modesto aumento di posti di lavoro occupati dagli italiani (+39 mila). Per parte loro, gli stranieri nel corso del 2011, pur continuando a conquistare posti, hanno visto assottigliarsi progressivamente i loro incrementi occupazionali: 276 mila unità nel primo trimestre dell’anno (rispetto a un anno prima), 168 mila nel secondo, 120 mila nel terzo.
Che cosa sta succedendo, dunque? Probabilmente sta accadendo qualcosa di inedito nei rapporti fra italiani e stranieri sul mercato del lavoro: dopo anni di crisi, gli italiani hanno cominciato a rendersi che non possono permettersi il lusso di andare in pensione in anticipo, accettare solo lavori qualificati, o vivere di rendita in attesa di tempi migliori. Certo non siamo ancora alla concorrenza diretta e generalizzata per i medesimi posti, ma pare abbastanza verosimile che molti italiani stiano reagendo alla crisi sia diminuendo la domanda di lavoro straniero (ad esempio licenziando colf e badanti, o diminuendone gli orari) sia cercando essi stessi di conquistare o non abbandonare posti di lavoro. Un processo di cui è forse un indizio il fatto che, negli anni della crisi, il tasso di occupazione degli anziani anziché diminuire sia aumentato, passando dal 33% al 38%.
L’impressione, insomma, è che nel mercato del lavoro le cose stiano cambiando molto rapidamente. Gli ultimi dati disponibili su base mensile (novembre) segnalano che la crisi, che nella prima parte del 2011 aveva concesso una tregua, sta tornando a distruggere posti di lavoro (-67 mila rispetto a novembre 2010). Nello stesso tempo, l’andamento rispettivo dell’occupazione italiana e straniera suggerisce che gli italiani non siano più intenzionati a stare alla finestra (non se lo possono più permettere!), e che probabilmente la fin qui inarrestabile conquista di posti di lavoro da parte degli stranieri è destinata a rallentare sensibilmente, se non a interrompersi.


Il Ministero dell’interno stanzia risorse per promuovere l’iniziativa imprenditoriale dei titolari di protezione internazionale.
Pubblicati gli avvisi per due progetti del Fondo europeo per i rifugiati.
Immigrazione Oggi, 09-01-2012
Il Ministero dell’interno ha pubblicato due nuovi avvisi pubblici per la selezione dei progetti del Fondo europeo per i rifugiati 2008-2013 (annualità 2011 e 2012) con l’obiettivo di promuovere l’iniziativa imprenditoriale tra i titolari di protezione internazionale.
Ai fini dell’attuazione del Programma annuale 2011 e 2012 – si legge in una nota del Viminale – con decreto prot. n. 9877 del 29 dicembre 2011, l’Autorità responsabile del Fondo – Direttore centrale dei servizi civili per l’immigrazione e l’asilo – ha adottato due avvisi pubblici per la selezione di progetti a valere sulle seguenti azioni:
- interventi finalizzati a promuovere l’iniziativa imprenditoriale di titolari di protezione internazionale (non appartenenti a categorie vulnerabili);
- interventi finalizzati a promuovere l’iniziativa imprenditoriale di titolari di protezione internazionale appartenenti alle categorie vulnerabili, con particolare attenzione alle donne.
I soggetti proponenti potranno presentare le proposte progettuali usando la procedura telematica predisposta dal Ministero, sul sito https://www.fondisolid.interno.it, a partire dal 15 gennaio 2012 e fino alle ore 18.00 del 28 febbraio 2012.



Immigrati occupano il centro storico insulti al sindaco di Mazara del Vallo
Cristaldi: "Stiamo tentando di sottrarre questa parte del centro storico agli spacciatori di droga ed ai piccoli criminali. Sono stato costretto a richiedere l'intervento della polizia"
la Repubblica, 09-01-2012
Immigrati occupano il centro storico insulti al sindaco di Mazara del Vallo Nicola Cristaldi
''Le forze dell'ordine in questi ultimi tempi hanno fatto un buon lavoro, encomiabile, ma insufficiente al raggiungimento del pieno risultato. Faccio appello alle forze dell'ordine perche' vengano potenziati ed intensificati i controlli ed i servizi nel centro storico, dove in alcune zone esistono vere e proprie isole in cui piccoli criminali tentano di trasformare quel territorio in terra di nessuno dove persino lo Stato deve ritenersi invasore e, quindi, non gradito''. E la denuncia del sindaco di Mazara del Vallo Nicola Cristaldi, rimasto vittima di aggressioni verbali da parte di alcuni immigrati, che occupavano piazzetta Bagno, che hanno piu' volte invitato il sindaco e i visitatori che stavano con lui a lasciare quel territorio.
''Sono stato oggetto di volgarita' e di invettive - afferma il sindaco di Mazara del Vallo - solo perche' stiamo tentando di sottrarre questa parte del centro storico agli spacciatori di droga ed ai piccoli criminali. Sono stato costretto a richiedere l'intervento della Polizia anche per tranquilizzare i numerosi cittadini che non ne possono piu' dell'occupazione degli spazi da parte dei delinquenti che, di fatto, costringono le persone a stare in casa avendo paura di attraversare quei luoghi in ore serali''. Da tempo, spiega Cristaldi, e' stato chiamato dai residenti di quella parte del centro storico, ''soprattutto immigrati onesti'', perche' si attivasse ''al fine di restituire serenita' e tranquilita' in una zona dove l'Amministrazione comunale ha speso somme ingenti e dove sono stati realizzati servizi inestistenti
da diversi decenni''. L'obiettivo e' far partire il progetto per la videosorveglianza: ''Ma al tempo stesso ritengo necessario un immediato intervento per restituire il centro storico nella sua totalita' ai cittadini onesti di qualunque colore, di qualunque religione e di qualunque cultura. Nei prossimi giorni incontrero' il prefetto per affrontare la questione sino in fondo''



Immigrati: peschereccio con 90 persone in difficoltà a largo di Crotone
CN 24, 09-01-2012
Un peschereccio con a bordo una novantina di immigrati è in difficoltà per il mare molto mosso a circa 30 miglia da Crotone. Il comandante dell'imbarcazione ha chiesto l'intervento della Capitaneria di porto di Crotone intorno alle 10 attraverso la radio di bordo. La Capitaneria ha immediatamente attivato i soccorsi, disponendo la partenza di un rimorchiatore e, da Roccella Jonica, di una motovedetta della Guardia costiera. Il peschereccio è stato nel frattempo raggiunto da un mercantile cinese che si trovava nella zona. Non si sa se tra gli immigrati ci siano anche donne e bambini e quali siano le loro condizioni di salute. I soccorsi dovrebbero arrivare entro un'ora.



Una petizione contro il leghista che vorrebbe i “forni” contro gli immigrati
Mauro Aicardi, consigliere comunale leghista di Albenga (Savona), ha recentemente scritto su facebook che per gli immigrati servirebbero i “forni”. La Lega Nord di Albenga ha ovviamente minimizzato l’accaduto, ma è nata subito una petizione dal basso per chiedere le dimissioni del consigliere.
Articolo tre, 08-01-2012
- D.C. – 8 gennaio 2012- Mauro Aicardi non è un cittadino come gli altri, è il consigliere comunale della Lega Nord ad Albenga, paese in Liguria nella provincia di Savona. Nessuno parlerebbe di lui se Aicardi, forse in un giorno di noia o di nervosismo, non avesse scritto sulla propria pagina facebook: “per gli immigrati ci vogliono i forni”. Si proprio così, avete sentito bene, una frase agghiacciante che sarebbe grave anche se pronunciata da un semplice cittadino, figuriamoci da un politico.
“Per noi il caso è chiuso sin dal momento in cui il Consigliere Aicardi ha chiesto scusa e ha chiarito la sua posizione, specificando a chiare lettere che ciò non rappresentava né il suo pensiero né tantomeno quello del suo partito di riferimento”, si è affrettata a chiarire la Lega Nord di Albenga cercando di buttare acqua sul fuoco delle polemiche che sono divampate intorno alla disgraziata uscita del consigliere. Dopo la Lega Nord di Albenga, ci ha pensato anche Sergio Savorè, Capogruppo Lega Nord in Consiglio Comunale ad Albenga, a difendere a spada tratta il compagno di partito: “Conosco bene Mauro con lui ho condiviso numerose battaglie politiche, e so che è una persona sanguigna, poco avvezza alle limitazioni del politicamente corretto e talvolta colorita nelle espressioni. Non è un violento né un razzista, e mi pare che la esagerata gogna mediatica cui è stato sottoposto in questi giorni sia strumentale ed eccessiva, specialmente se si considera che ha immediatamente provveduto a rimuovere il commento e già fatto pubblicamente ammenda”.
Fin qui tutto bene, a parte che invocare i forni crematori non sembra proprio un bel modo per dimostrare di non essere razzisti e violenti. A questo punto lasciano però ancora più sbalorditi le parole di Savorè, secondo cui sarebbe stata appunto creata una “gogna mediatica” contro il povero Aicardi; evidentemente per il Capogruppo della Lega Nord ad Albenga inneggiare alle pratiche naziste non è poi così grave, anzi, ci sarebbe di peggio: “Trovo però singolare che ad attaccare il Consigliere Aicardi per un commento su Internet sia il FLI di Albenga, il cui coordinatore, proprio su Facebook qualche settimana fa, augurava all’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi la stessa sorte di morte violenta riservata a dittatori sanguinari come Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi o di terroristi come Osama Bin Laden; lo stesso che, sempre su Facebook, invitava pubblicamente a Berlusconi di ‘darsi fuoco’, in barba all’Articolo 342 del Codice Penale relativo all’oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario. Si direbbe che, in questo caso, valga la citazione evangelica ‘chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Questo l’allucinante commento di Savorè, che è riuscito persino, bontà sua, a utilizzare le dichiarazioni di Aicardi come ariete per attaccare. In Italia nel 2012 a molti sembra semplicemente incredibile che un politico possa anche solo tentare di giustificare qualcuno che abbia inneggiato ai forni crematori, ma tant’è, la Lega del resto ci ha abituato a uscite di questo tipo.
Se la  Lega ovviamente ha  tutto l’interesse che la vicenda venga insabbiata e chiusa, non così  per fortuna si può però dire della società civile e del popolo di internet, che è letteralmente insorto contro l’uscita dell’improvvido consigliere chiedendone a gran voce le dimissioni. Per andare contro Aicardi è stata persino creata una petizione online lanciata da Aleksandra Matikj: “Per gli immigrati ‘servono i forni. Ne è convinto Mauro Aicardi. Oltre che una gravissima offesa per noi Immigrati liguri che studiamo e lavoriamo onestamente in Liguria e in Italia contribuendo così ad una cultura multietnica ed europea e di reciproco Rispetto, questa frase del Consigliere comunale leghista di Albenga esprime un esplicito e profondo disprezzo e l’istigazione razziale nei nostri confronti, per questo motivo chiediamo le sue immediate dimmisioni”.
Si è unito alle proteste anche il Pd di Albenga, che ha affidato a una nota scritta la sua indignazione contro Aicardi: “Poiché il consigliere Mauro Aicardi ritiene non degne di attenzione le richieste avanzate da Fli in merito alle sue dichiarazione sulla necessità di utilizzare i forni crematori per gli immigrati irregolari, anche noi della segreteria del Partito Democratico di Albenga ribadiamo a gran voce la richiesta delle sue dimissioni. E sicuramente non verremo tacciati di rinnegare i nostri principi fondativi, perché il Partito Democratico si è sempre contraddistinto per i suoi valori antifascisti. Per questo anche il Gruppo Consigliare del Pd si riserverà nelle sedi opportune di proporre una mozione di sfiducia verso il consigliere”.
Non c’è che dire sembra l’ennesima storia vergognosa di xenofobia e razzismo che vede come protagonisti attivi dei membri anche importanti della Lega Nord. Il fatto però ancora più grave e drammatico è che il Carroccio sembra sempre prendere le distanza da tali uscite in modo un pò troppo timido, quasi obtorto collo, e questo dato già di per sè increscioso viene aggravato dalla recidività. Aicardi forse, se avesse davvero compreso il significato delle sue parole e avesse voluto realmente fare ammenda, avrebbe potuto dimettersi dalla sua carica immediatamente. Per certe cose le scuse non bastano, e per questo Aleksandra Matikj andrà avanti con la sua petizione per chiederne le dimissioni e, se non bastasse, denunciarlo per discriminazione verso gli immigrati. Di più, se il Sindaco di Albenga, la leghista Rosalia Guarnieri, dovesse mantenere Aicardi al suo posto, gli organizzatori della petizione potrebbero chiedere anche le dimissioni del Primo cittadino.


 

La Primavera araba e noi. Sentieri lunghi, scontri e incontri
Il Riformista, 08-01-2012
Peppe Provenzano
Il Sessantotto non fu solo il ‘68, si sa, ma già un po’ il ’67 e il ’69 soprattutto. E se il ’48 fu proprio un Quarantotto, il ’49 non lo sarebbe stato meno. E come poteva allora il 2011 arabo compiersi nell’anno appena scorso? L’esercito siriano spara ancora sulla folla e continuano le violenze nello Yemen, le milizie gheddafiste resistono al governo transitorio della Libia e in Egitto il travagliato processo democratico dei militari, pure in questo tempo di elezioni, si macchia nelle galere o nelle piazze del sangue del popolo – delle donne, specialmente.
Persino in Tunisia, dove tutto cominciò col rogo umano a Sidi Bouzid in quello scampolo finale del 2010, protagonisti e studiosi meno improvvisati avvertono che se date e anniversari sono simboli importanti e necessari – il 14 gennaio della cacciata del dittatore, a cui già intitolano piazze e che ci s’appresta celebrare – la Primavera non può durare un solo anno, non dura tutto l’anno, in altre stagioni bisogna attendere i frutti, molte volte ancora sarà sfiorito e rifiorito il gelsomino.
 Sorprendente, l’anno vecchio. Prepotente, la voglia di giustizia e libertà sulla sponda sud del mare nostro, ci colse di sorpresa. Ci mancavano gli “antefatti”, quelli che Francesca M. Corrao – nel lungo capitolo che apre il recente volume da lei curato, Le rivoluzioni arabe. La transizione mediterranea, Mondadori Università – ricostruisce in due secoli di storia politica e processi culturali e sociali. Eminente arabista, andata e venuta dal Nord Africa e dal Medio Oriente, e specialmente dall’Egitto (che molto ritorna nelle pagine del libro), in decenni di studio e passione, offre uno sguardo sui rivolgimenti politici, i mutamenti nelle strutture sociali, i processi (talvolta effimeri) di modernizzazione, oltre il velo di un orientalismo mitico troppo usato o la coltre fumosa con cui recentemente abbiamo avvolto un mondo vario nell’immaginario “popolo islamico”, «dai contorni poco definiti, ma vagamente tendenti al fanatismo». Saltano molti meccanismi di «invenzione dell’altro»: quelli perfezionati nel chiacchiericcio occidentale sulla donna araba, a cui è dedicato un capitolo decisivo, che arriva al ruolo delle donne «con o senza velo» negli eventi rivoluzionari svolgendo il filo di una riflessione complessa sulla condizione femminile; o quelli ridotti alla logica più spietata e disumana che l’Europa per nostra mano ha messo in campo a Lampedusa, tutta un’estate in cui abbiamo volto in inferno la loro primavera. Al di là del crimine, qui peserà l’errore politico d’aver lacerato le «trame mediterranee», una storia lunga di scontro e incontro con «l’altro»: quelle percorse nel libro, quelle che hanno ammantato il “Sogno mediterraneo”, la curiosa intraprendenza e l’intelligente lungimiranza di Ludovico Corrao, tragicamente scomparso nell’agosto siciliano di questo terribile anno vecchio – a cui il libro della figlia è inevitabilmente dedicato.
Il pregio migliore dei saggi raccolti – oltre al valore squisitamente “didattico” dell’insieme (utile la lunga cronologia finale che risale al Settecento e ricchi i riferimenti bibliografici) – è di aver mantenuto la promessa introduttiva di sfatare i troppi luoghi comuni. L’approfondimento politico sui tre paesi – Tunisia, Egitto e Siria – che per diverse ragioni svolgono un ruolo cruciale ed egemone nell’area, è preceduto da una messa a fuoco degli elementi «che hanno svolto un ruolo cruciale prima e durante le rivoluzioni»: il processo di emancipazione femminile, la democratizzazione della società civile, i media arabi e i new media. Nella «crescita culturale, tecnologica e demografica» vanno dunque ricercati i fili conduttori alla crescita economica e alla consapevolezza delle disuguaglianze, e finalmente al rivolgimento politico. Il carattere generazionale che ha guidato i movimenti di protesta in tutta l’area, benché non si presti a eccessive semplificazioni, ci dice «cosa si muove in queste società in rapida crescita che, pur sviluppandosi autonomamente, interagiscono con noi»: la «forza demografica che manca alla sponda nord» e che «contribuirà in modo decisivo a delineare il futuro del Mediterraneo».
Le parole dei poeti (e letterati, artisti, registi, filosofi, intellettuali), spesso tradotti e frequentati dalla Corrao, impreziosiscono un volume che suggerisce «sentieri nuovi» alla riflessione: il racconto e l’analisi geopolitica, socio-economica e strategica, talvolta rischiano di perdere di vista «l’humanitas e le ragioni profonde» che possono dar conto della «valanga di collera crescente» e «voce ai protagonisti che dietro le quinte hanno promosso il progresso di questi paesi e infine hanno dato anima e corpo alle rivoluzioni».
La suggestione di questi due secoli di storia, aneliti di libertà e repressioni politiche o religiose, si faceva immagine per le strade di Tunisi. Un gioco a nascondersi e a specchiarsi con «l’altro», un groviglio di rimandi e coincidenze – le più banali e inquietanti: Primavera araba e crisi dell’Europa, spread in Piazza Affari e sangue a Piazza Tahrir – mi ha condotto per rue de Russie, oltre le balle di filo spinato che circondano l’ambasciata d’Italia, alle porte aperte del palazzo di fronte, sotto l’insegna “Imprimerie Finzi”.
«All’inizio del Novecento qui era una palude, mio nonno ci veniva a caccia». Non dice, Elia Finzi, il vecchio patriarca della comunità degli italiani in Tunisia, stampatore da cinque generazioni ed editore (la cui attività ora è proseguita, più industrialmente, dal figlio Claudio), quanto dev’essere costato al nonno Vittorio e al padre Giuseppe lasciare la prima sede della stamperia del 1829, il palazzo Gnecco nel cuore della Medina, per «la città nuova, che gli italiani contribuirono a costruire», per questo edificio che vide la prima linotype del Maghreb e che ora è la sede del Corriere di Tunisi. Il vecchio Elia, ottantasette anni, lo dirige con tenacia e ci accoglie nel suo studio rialzato. «Quel palazzo nella Medina era luogo di esuli politici, mazziniani e liberali, fuggiti dall’Italia prima del 1848». Giulio Finzi fu uno dei primi ad arrivare, carbonaro livornese scappato ai fallimenti dei moti del ‘20 e ‘21. «Vi si costituì la Giovane Italia e ci passò anche Garibaldi, costretto poi a fuggire per aver insidiato tutte le belle signore dell’alta borghesia tunisina».
Elia parla con voce roca, fioca, in un bellissimo italiano depurato da ogni inflessione che lo rende un po’ straniero. «La storia della mia famiglia la trova sui libri», taglia corto. Grandi idealisti, laici e democratici, «veri eredi della Rivoluzione francese», animatori della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo, «cittadini del mondo» che hanno attraversato tutte le vicende politiche italiane e tunisine degli ultimi due secoli: il Risorgimento e il regime beylicale, il Fascismo e il protettorato francese, la Repubblica e l’indipendenza tunisina, Bourghiba e Ben Alì, Craxi e Berlusconi. «Non è stato certo facile. Durante la guerra, noi eravamo nemici di tutti». Sulla storia che ripercorriamo, avverte l’uomo cresciuto a pane e tolleranza, non ha non ha giudizi da esprimere, «solo opinioni». Così sulla Primavera, sui Gelsomini: «esattamente un anno fa, in quei giorni, mi trovavo tra la vita e la morte, in un letto d’ospedale». Da lì, dettava editoriali incoraggianti alla Rivoluzione per il suo giornale e diceva al figlio, pur nell’incertezza e crisi di liquidità, di trovare il modo di «continuare a pagare gli operai», gli oltre cento tunisini che lavorano nella loro impresa. «Certo che si può essere imprenditori di sinistra», sorride. Parla di pane e lavoro, pance troppo piene e pance vuote: «non è solo la libertà, è anche la giustizia sociale. Qui era una pentola a pressione. Era evidente che sarebbe esplosa. L’Europa era distratta».
È più di un’ora che siamo nella stanza. Alle pareti le sue foto con Pertini e con Napolitano. «E quindi se n’è andato davvero, quello là?», e quasi non ci crede. «Come finirà qui, chi puo’ saperlo? Chi poteva immaginare che dopo il 1789 sarebbe arrivato il terrore…». Non gli manca certo l’entusiasmo, eppure frena i nostri, per prudenza. Sale lenta per le scale, con sobria eleganza d’abito e d’occhiali scuri, la signora Lea. Interviene decisa nella discussione, e ci invita risoluta a non fare troppe domande: «basta andare davanti a una qualsiasi Moschea». È francese, la signora Finzi, e si capisce. Ha origini genovesi, «e chi non ha origini italiane»? Torniamo a parlare d’emigrazione. Allora riprendo le suggestioni, azzardo il parallelismo – quasi personale, stavolta – tra quel suo avo e i compatrioti fuggiti per la lotta nel Risorgimento italiano ed europeo, Primavera dei popoli, accolti in Tunisia dove hanno prosperato, e quei ragazzi tunisini e arabi che, nei giorni della loro Primavera, rinchiudevamo a Lampedusa o a Manduria. «Loro ci hanno aperto le porte. Noi invece le sbarriamo». E com’è che in Tunisia non se ne parla? «Tra la gente del popolo, la tragedia si sente». Mi invita a sporgermi dalla finestra. Di fronte, è l’ambasciata. «Lo vedi il filo spinato? Tutti i giorni venivano le madri a gridare, a chiedere dei loro figli».
S’è fatto tardi, ora. Elia forse s’è stancato. «Spiace, alla mia età, non poter seguire la situazione a lungo, in pieno». Nella stanza, è il piccolo Claudio, figlio di Emanuela e di Michele, osservatore internazionale per il processo costituente. Il suo primo anno, appena compiuto, lo ha trascorso in Tunisia. Piange forte e si dimena, non sente ragioni. S’è stancato pure lui. Elia lo guarda, azzurro negli occhi. «Hai ragione tu».



In 300 con Don Armando per la cittadinanza ai figli degli immigrati
Forza Nuova attacca il parroco: "Trovata propagandistica"
La Nazione, 08-01-2012
Lari (Pisa), 8 gennaio 2012 - Trecento persone hanno partecipato al sit in di solidarietà stamani in favore di don Armando Zappolini, parroco di Perignano, nel comune di Lari (Pisa), il sacerdote attaccato da Forza nuova che ha ideato il presepe antirazzista a sostegno di 'L'Italia sono anch'io', campagna di raccolta firme per una legge di iniziativa popolare per concedere la cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia.
Durante il periodo natalizio Forza Nuova, sul proprio blog, aveva chiesto alle autorità ecclesiastiche di ''richiamare don Armando al rispetto dell'istituzione che rappresenta facendo cessare tali trovate propagandistiche''. Nel giorno dell' Epifania, poi, esponenti di Forza Nuova, come rivendicato sempre sul proprio blog, hanno appeso uno striscione davanti alla chiesa con scritto ''non contro gli immigrati, ma contro l' immigrazione'', rimosso stamani dalle forze dell'ordine.
''Lo striscione appeso da Forza Nuova è una minaccia reiterata messa in pratica da un movimento fascista, ma oggi siamo tutti Zappolini'', ha detto l'assessore della Provincia di Pisa Gabriele Santoni, promotore del presidio di questa mattina davanti alla chiesa. Fino a ieri le firme raccolte per la campagna 'L'Italia sono anch'io' erano state oltre 400, aumentate notevolmente con le iniziative di stamani. ''Questa iniziativa nasce perché abbiamo dato importanza alle parole - ha detto don Zappolini -. Le parole sono importanti e certe parole di leghisti e fascisti contro gli immigrati o quelle dei mafiosi contro chi si mette di traverso rispetto ai loro affari non sono più sopportabili. Credo che la risposta più bella che possiamo dare all'odio e alle minacce sia quella di partecipare alla petizione che proseguirà fino a marzo con l'obiettivo di raggiungere quota 50 mila firme''.



Ma quante tasse pagano gli immigrati?
Linkiesta, 09-01-2012
A cura di Carlo Manzo e Paolo Stefanini
Ha collaborato Christiana Antoniou
Stranieri di nascita ma italiani di contribuzione. Ormai il 4,1% del gettito complessivo è originato da lavoratori immigrati, che sborsano di Irpef quasi 6 miliardi di euro (2.810 euro a testa). Nella classifica regionale, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia sono le regioni in cui il peso della contribuzione straniera sul totale è più grande in percentuale
Le conclusioni dello studio della Fondazione Leone Moressa
Gli stranieri che lavorano in Italia sono tenuti a pagare le tasse, ma i loro bassi livelli di reddito – quasi esclusivamente da lavoro dipendente – comportano un esborso a testa di poco meno di 3mila euro all’anno (contro i 4.865 euro di media dei contribuenti nati in Italia). Valori che aumentano nelle aree del Nord dove la presenza e la penetrazione degli stranieri nel mercato del lavoro è più radicata. È ovvio che se il sistema riuscisse a eliminare le sacche di lavoro nero che colpiscono anche i lavoratori stranieri, l’apporto degli immigrati alla finanza pubblica sarebbe certamente maggiore, contribuendo a un’integrazione che passa anche per il pagamento delle tasse.
Gli stranieri sborsano di Irpef quasi 6 miliardi di euro, versando al fisco 2.810 euro a testa. Sono 2,1 milioni e contribuiscono per il 4,1% del gettito complessivo nazionale. Ma tra tutti quelli che presentano la dichiarazione dei redditi, quelli che poi in realtà pagano l’Irpef sono il 64,9%. Nella classifica regionale, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia sono le aree in cui è maggiore il peso della contribuzione straniera sul totale dell’Irpef pagato.
I contribuenti. In Italia i contribuenti nati all’estero che nel 2010 hanno pagato l’Irpef (ossia hanno avuto un’imposta netta positiva) sono stati oltre 2,1 milioni. La maggior parte di essi sono concentrati in Lombardia (20,9%), in Veneto (12%) e in Emilia Romagna (11,2%). Se si analizza il peso degli stranieri che hanno pagato l’imposta netta rispetto al totale dei contribuenti che hanno pagato l’Irpef, si nota come Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia siano le due regioni che mostrano la maggiore incidenza: in entrambe le aree su 10 soggetti che pagano le imposte sui redditi, uno è straniero. Subito dopo si trovano regioni quali il Veneto (9%), l’Emilia Romagna (8,7%) e la Liguria (8,2%). Più si scende verso Sud, minore è l’incidenza dei contribuenti stranieri.
Irpef pagata. Complessivamente i contribuenti nati all’estero pagano come imposta netta un ammontare pari a quasi 6 miliardi di euro e contribuiscono al gettito Irpef complessivo per il 4,1%. A livello regionale, la Lombardia è quella che concentra il maggior valore assoluto di imposte pagate dagli stranieri: oltre 1,5 miliardi, seguito dal Lazio (712 milioni) e dal Veneto (624 milioni). Se a livello nazionale gli stranieri contribuiscono per il 4,1% del gettito complessivo Irpef, in Friuli Venezia Giulia e in Trentino Alto Adige la percentuale arriva, rispettivamente, al 7,1% e al 6,3%. Anche in questo caso nelle aree meridionali tale peso diminuisce. Se si rapporta l’ammontare complessivo dell’imposta netta rispetto al numero di contribuenti che è tenuto a pagarla, si perviene a determinare l’imposta netta media. I nati all’estero hanno pagato nel 2009 mediamente una cifra di 2.810 euro per contribuente, contro i 4.865 euro dei contribuenti nati in Italia. Gli stranieri che vivono in Lombardia e nel Lazio sono quelli che sborsano la cifra maggiore: si tratta, rispettivamente, di 3.600 e 3.410 euro.
Quanti in effetti pagano l’imposta netta. Un indicatore interessante da analizzare è il confronto tra italiani e stranieri rispetto al rapporto tra il numero di contribuenti che pagano l’imposta netta e il numero di contribuenti totali che fanno la dichiarazione dei redditi. Questo indicatore permette di capire quanti contribuenti pagano effettivamente l’Irpef e quanti invece ne sono esentati a causa delle diverse e molteplici detrazioni. Per quanto riguarda i contribuenti nati all’estero la percentuale di coloro che pagano l’Irpef è del 64,9%, contro il 75,5% degli italiani. Questo significa che gli stranieri beneficiano, più degli italiani, di detrazioni fiscali a causa principalmente del basso importo dei redditi stessi.



A Roma il Capodanno cinese sarà dedicato a Zeng e alla piccola Joy barbaramente uccisi in una rapina.
Confermate per il 14 gennaio le celebrazioni dell’Anno del Drago in piazza del Popolo. La manifestazione organizzata dal Comune di Roma e dall’Ambasciata cinese.
Immigrazione Oggi, 09-01-2012
Confermati per sabato prossimo, 14 gennaio, i festeggiamenti a Roma per il Capodanno cinese. La cerimonia, spiegano esponenti della comunità, sarà dedicata a Zeng Zhou e sua figlia Joy barbaramente uccisi a seguito di una rapina. Il programma prevede una grande festa in piazza del Popolo nella quale confluiranno migliaia di cinesi con draghi di carta e vestiti colorati.
“Dopo il duplice omicidio di Tor Pignattara siamo ancora più motivati a fare una grande festa anche come atto di ringraziamento per la comunità italiana che ci è stata vicina in questa tragedia – spiega Yenyen Yang, capo ufficio stampa dell’Ambasciata cinese a Roma – abbiamo sentito la solidarietà di tutti in questi giorni di grande tristezza”. Anche il sindaco Alemanno sarà in piazza, il 14 gennaio, per dare il via alla festa che è ormai una tradizione della capitale e che quest’anno ribadirà, con più forza, la vicinanza dei due popoli.



Mega rissa tra immigrati al Centro profughi in via Arzana
Fabrizio Santori, Presidente della Commissione Sicurezza Urbana di Roma Capitale: “Trovare subito luogo alternativo per chiudere centro"
Abitare a Roma, 08-01-2012
"Nella notte una mega rissa si è consumata all’interno e nei pressi del centro di accoglienza per profughi minori non accompagnati di Via Arzana al quartiere Spallette in Municipio XV e che ha portato al fermo di cinque persone, all’intervento di cinque volanti e al danneggiamento delle strutture che ospitano i minori nord africani", così dichiara in una nota Fabrizio Santori, Presidente della Commissione Sicurezza Urbana di Roma Capitale.
“Il fatto che due dei cinque responsabili della rissa siano stati accompagnati al CIE di Ponte Galeria per documenti di soggiorno presumibilmente scaduti – insiste Santori – dimostra che diversi ospiti di questi centri non sono titolati a permanere in queste strutture. L’unico operatore presente nella struttura a quanto raccontano i residenti è addirittura fuggito. Ci chiediamo come si possa pensare di garantire sicurezza e pace sociale in questi quadranti se neanche abbiamo sotto specifico controllo i flussi e le effettive identità di chi ospitiamo, tra l’altro con enorme sperpero di denaro pubblico”.
“L’appello lanciato dal Sindaco per mezzo di una lettera a non poter ospitare i profughi dell’emergenza nord africana è caduta completamente nel vuoto, un Sindaco inascoltato visto che numerose sono le strutture di questo genere che sono state attivate su Roma. La maggior parte di queste sono gestite dall’Arci Confraternita, di cui anche la Domus Caritatis, ente che gestisce la struttura di Via Arzana, è una dipanazione organizzativa. Ad oggi la situazione di queste strutture rischia di andare fuori controllo e in tal senso Roma Capitale non si può non ritenere responsabile, considerata la gestione del Dipartimento Politiche Sociali e il fatto che tali contesti non siano minimamente inquadrati nell’ambito di una competenza di sicurezza urbana”.
“Ora auspichiamo la chiusura di questo centro attraverso l’identificazione di un sito alternativo più compatibile con le peculiarità di questo genere di strutture, attraverso un modello di controllo e verifica più efficiente ed efficace. Non vogliamo ritrovarci in futuro a commentare qualche evento mediatico di cronaca nera legato a questi ambiti”, conclude la nota di Santori.
 


Rosarno, 2 anni fa la rivolta dei migranti
Il parroco: manca ancora l'assistenza
Avvenire, 07-01-2012
Tutto partì con un colpo di fucile ad aria compressa sparato contro un gruppo di ivoriani che percorrevano la Statale 18 in direzione Gioia Tauro. Poi fu la rivolta, anzi, "la rivolta di Rosarno", sette giorni nei quali quella porzione di territorio della provincia di Reggio Calabria catalizzò l'attenzione dei media nazionali e internazionali. Domani ricorre il secondo anniversario della rivolta, data che ormai viene ricordata con manifestazioni, dibattiti e servizi giornalistici. Due anni passati a interrogarsi sui perché di quello scontro violento tra la comunità nera della Piana di Gioia Tauro e una parte dei cittadini rosarnesi, un periodo in cui poco o nulla sembra cambiato per i migliaia di migranti stagionali che ogni anno arrivano a Rosarno, Gioia Tauro, Rizziconi e qualche altro piccolo centro per la raccolta degli agrumi.
Da quel colpo di fucile a aria compressa la comunità africana di Rosarno iniziò a protestare, occupò strade e marciò dai ghetti dell'ex Rognetta e dell'ex Opera Sila verso la vie cittadine e il palazzo municipale. Una protesta a tratti veemente, contrassegnata dalla risposta anche violenta da parte di alcuni cittadini di Rosarno. La città in quella settimana fu presidiata dalle forze dell'ordine, impegnate in un compito difficile, quello di tenere lontano le due comunità, per evitare che la rabbia di pochi potesse fare rompere del tutto un equilibrio fragile costruito in anni di convivenza, tutto sommato pacifica. Ci sono fotografie di quella settimana che rimarranno per sempre manifesto della rivolta. Le migliaia di cittadini africani armati di bastoni a presidiare i ghetti di Rognetta, a Rosarno, e dell'Opera Sila, sulla Statale 18 che collega Rosarno a Gioia Tauro; i raid notturni alla ricerca dei migranti fuggiti nelle campagne e feriti a bastonate; il presidio di molti rosarnesi al quadrivio Spartimento, a poche centinaia di metri dall'ex Opera Sila; infine, gli arresti e lo sgombero dai ghetti di migliaia di africani dirottati verso Crotone e la Puglia.
IL PARROCO: POCO È CAMBIATO
A due anni dagli scontri tra la popolazione di Rosarno, in Calabria, e gli operai stagionali immigrati, durante i quali rimasero ferite 53 persone, secondo don Pino Varrà, parroco di San Giovanni Battista a Rosarno, la situazione non è migliorata. "Purtroppo - ha detto il sacerdote alla Radio Vaticana -, da parte delle autorità e degli enti non è cambiato molto. A parte il villaggio di container nella zona industriale, non c'è altra assistenza concreta". Il vero problema, spiega, è per chi non ha il permesso di soggiorno e non può quindi usufruire dei servizi messi in piedi dall'amministrazione comunicale: "Non possono, ad esempio, avere questi moduli abitativi, non possono usufruire di tanti servizi e, se continuerà questa crisi agrumaria, non saremo neanche più pronti per affrontare una nuova emergenza".
IL VESCOVO DI ROSSANO CALABRO: BASTA CON IL CAPORALATO
"Basta con il caporalato". A dirlo è stato l'arcivescovo di Rossano-Cariati, mons. Santo Marcianò, che stamani ha visitato una baraccopoli dove vivevano 30 immigrati che è stata sgomberata oggi. "In sinergia con le istituzioni - ha detto Marcianò - intendo risolvere i problemi che stanno alla base della situazione di degrado in cui vivono tanti giovani provenienti da altri Paesi, a cominciare da quello del caporalato. Un fenomeno che porta allo sfruttamento dei migranti con la conseguenza che questi sono poi costretti a vivere in vecchie baracche fatiscenti perchè non hanno alternativa". I 30 immigrati che vivevano nella baracca, una piccola parte delle migliaia di migranti che ogni hanno arrivano nella zona di Corigliano per lavorare nei campi alla raccolta dei mandarini, intanto, saranno trasferiti entro oggi in un locale della Caritas a Corigliano.




 

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