Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

12 settembre 2012

Il loro naufragio i nostri silenzi
La guerra agli scafisti non basta, dall’Europa soluzioni concrete
Laura Boldrini *portavoce Unhcr
l'Unità, 12-09-2012
Le morti in mare dei migranti sono una delle più gravi tragedie dei nostri tempi. E meritano una risposta ampia e articolata che coinvolga tutta l’Europa. Invece il dibattito politico su questi argomenti è sempre stato miope e di corto respiro.
LE MORTI IN MARE DI INTERE FAMIGLIE, DI GIOVANI E così come per chi vuole dare al proprio figlio un futuro migliore è come morire due volte.
Questi lutti non sono una questione di fatalità o un fatto ineluttabile. Si muore perché le imbarcazioni sono fatiscenti, perché i soccorsi tardano oppure perché ci sono persone che si girano dall’altra parte ignorando l’urlo di disperazione. Certo, un maggior coordinamento tra chi opera in mare servirebbe a ridurre i rischi. Ma, volendo allargare doverosamente la lente, si muore anche perché non si cercano soluzioni concrete per limitare il ripetersi di tali eventi. I governi non pongono questo tema tra quelli prioritari e di conseguenza viene a mancare quell’impegno necessario per mettere in campo misure alternative.
Il dibattito pubblico su questo tema è stato spesso miope e di corto respiro. Anni fa ci dissero che i respingimenti indiscriminati in alto mare messi in atto dall’Italia salvavano vite umane, omettendo di aggiungere cosa accadeva a quelle centinaia di persone riportate in Libia. Anche le ricette che circolano oggi continuano a focalizzarsi sulle misure di contrasto come unico antidoto ai naufragi, perdendo di vista il contesto globale in cui le migrazioni si sviluppano e le cause che sono alla base dello spostamento: guerre, violazioni dei diritti umani, insicurezza, mancanza di sviluppo, povertà.
Basta arrestare le bande criminali che organizzano il traffico dei migranti per evitare che migliaia di persone finiscano negli abissi? La risposta purtroppo è no, poiché non è questa la radice del problema. I trafficanti, che pure hanno enormi responsabilità e vanno perseguiti, esistono perché c’è una forte domanda di persone che spesso non hanno scelta. Se un migrante in cerca di lavoro potesse fare domanda per accedere a quote messe a disposizione dai vari paesi europei non giocherebbe alla roulette russa nel Mediterraneo. Se un rifugiato eritreo o somalo che arriva in Libia sapesse di poter essere trasferito in Italia, Francia o qualsiasi altro paese sicuro attraverso vie legali non si affiderebbe ai trafficanti indebitandosi e rischiando la vita. Aspetterebbe il suo turno.
E invece nonostante le sollecitazioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati agli Stati membri dell’Unione europea, lo scorso anno sono stati principalmente Stati Uniti, Canada e Australia a dare la possibilità a 80mila rifugiati di essere trasferiti regolarmente sui loro territori attraverso il programma specifico di reinsediamento.
E non è vero che l’Europa è la destinazione ambita da tutti, come spesso si sente dire da politici e giornalisti inclini alla suggestione dell’invasione. Com’è noto molti migranti stanno lasciando il vecchio continente verso i nuovi mercati dei Paesi emergenti. Allo stesso tempo, per i rifugiati sono le cifre a parlare: oltre l’ottanta per cento di loro si sposta nei paesi confinanti, nel sud del mondo. Nel solo campo di Dadaab in Kenya vivono da oltre venti anni circa 500mila rifugiati somali. Nei ventisette paesi dell’Unione Europea lo scorso anno hanno fatto domanda d’asilo 277mila persone. E basta guardare a quanto sta accadendo in Siria per avere l’ennesima conferma: oltre 250mila siriani sono scappati in Turchia, Giordania, Libano e Iraq mentre nei primi sei mesi del 2012 nei paesi dell’Unione Europea sono stati settemila i siriani a inoltrare una domande d’asilo. Molti di loro avranno dovuto rischiare la vita su una carretta del mare.
Limitare le morti nel Mediterraneo dunque è una questione di ampia portata che merita una risposta articolata che vada ben oltre l’arresto dei presunti scafisti e i confini nazionali italiani. E che non può più attendere.



Lampedusa, i superstiti accusano "Abbandonati dagli scafisti"
Cambia la versione dei nordafricani sopravvissuti a sei giorni dal loro salvataggio. Forse non si è trattato di naufragio ma c'è stato un atto volontario di abbandonarli in mare. E intanto continuano le ricerche della carretta del mare che sarebbe colata a picco poco distante dalle Pelagie. Le autorità consolari tunisine, arrivate a Lampedusa per seguire la vicenda, avrebbero un elenco coi nomi di 36 connazionali che risultano "dispersi"
la Repubblica, 12-09-2012
Sono passati 6 giorni dal salvataggio di 56 migranti recuperati dalla Capitaneria sull'isolotto di Lampione (Lampedusa). Nonostante i pesanti dubbi sul racconto fornito dagli extracomunitari, che hanno riferito di essere naufragati insieme ad altri 79 compagni di viaggio, le ricerche dei dispersi - finora in mare sono stati trovati solo due corpi - continuano. E la Guardia costiera sta proseguendo nel pattugliamento di un vasto tratto di mare impiegando 5 motovedette, un aereo e un elicottero.
A far dubitare che un naufragio sia mai avvenuto, oltre al mancato ritrovamento dell'imbarcazione, è anche il racconto che alcuni due dei 56 soccorsi, ora ospiti del Cpsa di Lampedusa, hanno fatto, per telefono ai familiari in Tunisia. Ai parenti i due nordafricani hanno dato un'altra versione che conferma i sospetti degli inquirenti: sarebbero stati scaricati dagli scafisti, poi allontanatisi, vicino Lampione. Nel tratto di mare percorso a nuoto fino all'isolotto due tunisini - un ragazzo e una ragazza - sarebbero annegati. Agli investigatori, però i sopravvissuti continuano a parlare di naufragio: tanto che le autorità consolari tunisine, arrivate a Lampedusa per seguire la vicenda, avrebbero un elenco coi nomi di 36 connazionali che risultano "dispersi".
Dopo la visita ieri di una delegazione diplomatica, guidata dall'ambasciatore in Italia, stamani altri due sottosegretari del governo di Tunisi, Khaled Ben Mbarak e Samir Ben Amir, hanno incontrato il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini. Il sindaco ha auspicato una maggiore
collaborazione tra il governo tunisino e quello italiano "per impedire il ripetersi di queste tragedie in mare".



Costi da rateizzare per gli immigrati
il sole, 12-09-2012
Una platea potenziale di 380mila immigrati e di altrettanti datori di lavoro interessati: questo l'ordine di grandezza della «regolarizzazione» che si aprirà sabato per concludersi il 15 ottobre. Niente click day, niente roulette del "chi primo arriva" conquista il posto ed esce dalla clandestinità. Una procedura più civile delle precedenti, non c'è che dire. Ma anche assai più cara.
Prima 1.000 euro una tantum a fondo perduto, dato che se il tutto non va a buon fine non sono recuperabili. Poi la dichiarazione (congiunta) di aver pagato allo straniero almeno la retribuzione minima: in caso contrario andrà integrata. Infine i contributi Inps e le ritenute fiscali relativi per almeno sei mesi.
Il tutto, conti alla mano, è un bel salasso, perché si passa da un minimo di 1.700 euro per una colf a 20 ore alla settimana a un massimo che sfiora i 9mila per un muratore. E sempre contando che la "busta paga" fosse già adeguata. Un salasso che arriverà praticamente in una botta sola, considerato che i contributi andranno pagati entro la convocazione per il contratto di soggiorno e le ritenute fiscali entro il 16 di novembre. A questo rischiano di aggiungersi anche le sanzioni, se prevarrà la tesi manifestata ieri dall'Inps (si veda il servizio a pagina 25) e non quella contraria delle Entrate.
Sanare il lavoro nero e far emergere i clandestini è un'opportunità, oltre che un dovere. Ma, dato anche il periodo, non si può pensare di rateizzare le migliaia di euro rendendo più sopportabile l'onere? Se non si "spalma" un po' l'esborso, imprese e famiglie potrebbero non aderire per mancanza di fondi. Oppure mettere gli immigrati nella condizione di "contribuire" per avere permesso di soggiorno e posto di lavoro.



Torna la prima dei bambini stranieri
la Stampa, 12-09-2012
MICHELE BRAMBILLA
C'è anche qualche storia che finisce bene: la scuola più multietnica d’Italia, la statale «Lombardo Radice» di Milano, da oggi ha nuovamente la sua prima elementare. L’anno scorso era stata cancellata perché aveva «troppi stranieri». Un provvedimento che condannava di fatto la scuola, considerata un modello ben riuscito di integrazione, alla chiusura fra cinque anni.
Invece questa mattina all’ingresso di via Pier Alessandro Paravia 83 - quartiere San Siro - si presenteranno, per il loro primo giorno di scuola, ventun bambini di sei anni. Diciotto di loro sono stranieri.
Una quota in linea con la tradizione della «Lombardo Radice», che due anni fa aveva 93 alunni stranieri (di ventisette nazionalità diverse) su un totale di 97; e l’anno scorso 80 su 93. Quest’anno, se i conti non sono sbagliati, gli stranieri saranno l’83 per cento.
Ma che cosa vuol dire, poi, stranieri? Dei diciotto bambini «non cittadini italiani» (e tutti non comunitari) della prima elementare, quattordici sono nati in Italia; e tutti hanno comunque fatto le scuole dell’infanzia a Milano.
Per noi sono dei piccoli milanesi», dice il vicesindaco Maria Grazia Guida, che questa mattina sarà in via Paravia con il presidente della commissione scuola del Consiglio comunale, Elisabetta Strada; con il consigliere provinciale del Pd Diana De Marchi e con il presidente del comitato dei genitori Domenico Morfino. Tutte persone che si sono date da fare, in quest’ultimo anno, per mantenere in vita la scuola.
Ma perché era stata chiusa? Perché c’era una norma del ministro Gelmini ora abrogata da Profumo - che fissava un tetto massimo di presenza di bambini stranieri per classe: trenta per cento. «Non era una norma del tutto campata per aria, il trenta per cento è una quota indicata dai maggiori esperti di integrazione», dice Diana De Marchi del Pd: «Ma abbiamo cercato di far capire che bisognava interpretare caso per caso. Quando i bambini sono nati in Italia e in Italia hanno fatto le scuole materne, le difficoltà di integrazione linguistica sono minori».
Insomma si è capito che la legge è fatta per l’uomo e non viceversa, e «si è data più importanza alla biografia dei bambini, cioè al luogo di nascita e alle scuole fatte, mentre l’anno scorso si erano solo guardati i cognomi», dice ancora Diana De Marchi. Per molte famiglie la chiusura era stata un brutto colpo. La scuola è praticamente l’unica presenza dello Stato in questa parte povera del quartiere ricco di San Siro; e frequentarla, per i bambini ma anche per i loro genitori, era la migliore possibilità per integrarsi. Papà e mamme avevano anche provato, invano, a far ricorso in tribunale; i bambini avevano scritto al presidente Napolitano. Alla fine, la battaglia è stata vinta.
Anche se ora va proseguita. «Il Comune», dice il vicesindaco Guida, «sosterrà la didattica per venire incontro a eventuali difficoltà, e avvieremo iniziative per collaborare con la scuola elementare vicina di via Giusti». Che è la scuola dove molti genitori italiani mandano i loro figli per timore della eccessiva «multietnicità» di quella di via Paravia. Così si sono creati due mondi: quasi tutti italiani in via Giusti, quasi tutti stranieri in via Paravia. «Adesso», dice ancora Maria Grazia Guida, «coinvolgeremo i genitori italiani di via Giusti, l’obiettivo è che dall’anno prossimo gli studenti siano distribuiti in modo più equilibrato fra le due scuole. Il mondo sta andando incontro a grandi trasformazioni e come dice il cardinale Scola dobbiamo capire che le diversità arricchiscono».
Mancherà, questa mattina all’apertura, la seconda elementare. Ma è la conseguenza di quello che ormai, in via Paravia, è solo un brutto ricordo.



Protesta al centro d'accoglienza:In cinquecento si barricano dentro
I richiedenti asilo hanno bloccato l'accesso a operatori della Domus Caritatis. Incontro con rappresentante questura
Corriere della sera, 12-09-2012
Veronica Altimari
ROMA - Si sono barricati dentro, gli oltre 500 richiedenti asilo ospiti del centro d'accoglienza di Via Standerini, in zona Prenestina. Bloccando così l'accesso agli operatori e gestori della Domus Caritatis. Una protesta che nasce con l'intenzione di sollevare pubblicamente le loro condizioni di vita, la cattiva gestione della struttura, ma anche perchè stufi di non ottenere la risposta che da mesi aspettano: «Che fine hanno fatto i nostri documenti?». Martedì mattina, un rappresentante della questura di Roma e della Onlus, hanno incontrato gli ospiti della struttura ed alcuni rappresentanti delle associazioni che appoggiano la loro contestazione.
IN ATTESA DI DOCUMENTI - Come racconta l'associazione antirazzista “3 febbraio”, i ragazzi sono tutti di provenienza del nord africa, molti sono arrivati dalla Libia. Da quasi un anno, per alcuni di loro, questo centro di accoglienza, che dovrebbe essere provvisorio in attesa del rilascio dello status di rifugiato politico, è diventato una “prigione”. «Tanti sono qui già dallo scorso gennaio – spiega Barbara dell'associazione “3 febbraio” – e per alcuni l'attesa di conoscere il proprio destino sta diventando snervante». Soprattutto per chi, non avendo superato il primo colloquio con la commissione, si proietta lo spettro del rimpatrio. Oltre a questo, l'incontro di martedì servirà anche a dare spiegazioni sulla tipologia di documentazione provvisoria che viene rilasciata a loro dagli avvocati della Domus Caritatis: «Molti cedolini che vengono consegnati a questi ragazzi sono privi di alcuni bolli governativi – continua Barbara – quindi, malgrado siano regolari perchè in attesa del permesso umanitario, molte volte vengono fermati e portati in questura».
CONDIZIONI DI VITA – Spesso costretti a vivere ammassati perchè in troppi rispetto alla capacità del campo. In locali sporchi e fatiscenti. Mancano prodotti di igiene personale e il cibo è di cattiva qualità. Queste alcune delle condizioni che denunciano i ragazzi. Ma il fatto scatenate della loro rabbia è un'altro: «Qualche giorno fa sono arrivati circa cinquanta persone sbarcate a Lampedusa – racconta Barbara – e sono state costrette a dormire per terra perchè mancavano i materassi». Una situazione che sta diventando quindi insostenibile. «Non è così solo a Roma – conclude Barbara – tra loro i ragazzi parlano anche con amici che si trovano in altre città. Ci auguriamo che questa protesta pacifica possa allargarsi quindi anche altrove». Da tempo, i rifugiati ospiti in diversi centri della Capitale, insieme all'associazione “3 febbraio” lavorano ad una petizione da presentare al Governo italiano, con la quale si vuole chiedere maggiore attenzione su chi, scappando spesso dalla guerra, si allontana dal proprio paese d'origine per affrontare questo genere di realtà.



Belviso e il piano nomadi di Roma: «Case popolari ai Rom? Se le scordino»
Il vicesindaco: «Nessuna intenzione di creare corsie preferenziali per dare a loro abitazioni»
Il Messaggero, 12-09-2012
ROMA - «Una soluzione alternativa ai campi non c'è. Inoltre non c'è alcuna intenzione di creare corsie preferenziali per dare case ai rom, discriminando i cittadini italiani nelle liste. Se le possono scordare».Lo ha detto il vicesindaco di Roma Sveva Belviso parlando del piano nomadi e della recente sentenza del Tar, a margine di una cerimonia in ricordo delle vittime dell'attentato alle Torri Gemelle dell'11 settembre 2001 a New York.
«Sul tema dei nomadi è stato fatto tanto in questi anni: è stato chiuso Casilino 900, quella che era una vergogna d'Europa, poi La Martora, Baiardo e altre tantissime realtà grandi. Sempre è stato proposto un trasferimento in un campo autorizzato - ha aggiunto -, proponendo un miglioramento delle condizioni di vita di queste persone. Il nostro obiettivo è quello di ridare dignità e sicurezza ai quartieri». A chi le chiedeva un commento sulla proliferazione, dopo lo smantellamento dei grandi campi rom, di microinsiediamenti abusivi Belviso ha risposto: «Questo non è accaduto nelle aree che abbiamo restituito alla cittadinanza. È naturale che alcune persone non hanno accettato di vivere all'interno di campi autorizzati, proprio per evitare di essere controllate».



Da rifugiato a fotografo della povertà L'incredibile storia del piccolo Keita
Ha vissuto per mesi a Termini con altri senza fissa dimora, fotografando i momenti di miseria e solitudine ma anche quelli di fratellanza e forza. Oggi il giovane Keita Mohammed studia per conseguire il diploma ed espone le sue foto alla Camera. Ecco la sua straordinaria avventura di LUCA ATTANASIO
la Repubblica, 12-09-2012
ROMA - Poco meno di 8000: tanti sono i minori stranieri abbandonati a sè stessi che vivono in Italia. Una moltitudine silenziosa ma diffusa su tutto il territorio, composta in gran parte da afghani, africani sub-sahariani, marocchini, egiziani, albanesi. Il 90% di questi piccoli rifugiati sono maschi adolescenti, ma ci sono anche bambini di sei o sette anni. Di molti - 1800, per l'esattezza - non si sa niente, per le autorità sono irreperibili.
Le loro vicende, quando si riescono a raccogliere, hanno però dell'incredibile. C’è chi è arrivato a piedi dalla Moldavia, chi si è ricavato uno spazio accanto al vano motore di un camion dalla Grecia a Brindisi, chi ha investito tutti i risparmi della famiglia per passare l'Asia Minore, la Turchia, la Grecia, ogni singolo stato dell'ex Jugoslavia. Ognuno ha vicende drammatiche da dimenticare, ma anche storie meravigliose da raccontare.
È il caso di Keita Mohammed. Ad appena 14 anni, la famiglia massacrata dai ribelli in Costa d'Avorio durante la guerra civile, il ragazzo rimane solo e capisce che se vuol salvarsi la vita deve scappare. Porta con sé qualche cianfrusaglia, una macchinetta fotografica usa e getta e parte senza una meta precisa. "Avevo deciso di fuggire dal mio Paese - racconta calmo a chi lo intervista  - ma non pensavo di andare in Europa. Mi sono unito a un gruppo di ragazzini e siamo arrivati in Guinea Conakry".
Da lì continua da solo attraversando il Mali prima e affrontando il Sahara poi. Giunto in Algeria e infine in Libia, viene pescato dalla polizia e sbattuto in carcere a Tripoli, "ma dopo cinque mesi sono riuscito a scappare", dice. Con i soldi ricavati nei lavoretti precedenti alla prigione libica, Keita si imbarca per la Sicilia. Ma lo scafista sbaglia rotta e la barca si ritrova a Malta. Trascorre un anno buttato in un centro di accoglienza che è peggio di un carcere. Quando riesce a uscire, si organizza con una trentina di africani, riparte su un barcone e arriva in Sicilia.
"Noi l'abbiamo trovato con la nostra unità di strada alla stazione Termini - dice Marco Cappuccino di Civico Zero 1, il centro diurno di Save the Children 2 che opera a Roma - un ragazzino in mezzo a uomini adulti. Stava lì da più tre mesi, la stazione era diventata la sua casa, i senza dimora la sua famiglia". È qui che Keita comincia a scattare centinaia di foto ai coinquilini e che matura la sua vocazione. "Con le mie fotografie voglio denunciare la sofferenza di tanti migranti ma anche italiani che vivono ai margini e che senza la comprensione di qualcuno sono persi", racconta.
Con "J'habite a' Termini", una foto con una borsa sistemata su un immenso fagotto e un cartone - tutti i suoi averi - conquista l'attenzione di Diana Balmori, un urban designer che la espone a New York. "Dopo un tirocinio superato brillantemente - spiega Dina Stancati, il tutor che lo segue al centro di accoglienza Enea dove Keita vive - ora lavora come facchino in un albergo e studia per prendere il diploma di III media. La sua passione, però, resta sempre la fotografia".
E tutto il suo tempo libero, infatti, Keita lo passa a scattare foto o nella camera oscura di Civico Zero. Con la sua mostra "Piedi, scarpe, bagagli", alla sua terza edizione, dopo aver esposto alla Camera alla presenza del Ministro Riccardi, Keita sarà ospite di Dario Franceschini l'8 settembre alla Festa Nazionale dell'Unità di Reggio Emilia.

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links