Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

5 agosto 2010

PICCOLA POSTA
di Adriano Sofri
il Foglio 5 agosto 2010
L'ottima   rassegna stampa quotidiana sull'immigrazione curata dall'associazione A buon diritto citava ieri un articolo di Lorenzo Mascheroni sul Giornale intitolato "Fra 10 anni i ventenni saranno tutti stranieri", Il titolo, per invogliare, imbrogliava. Nel testo si leggeva comunque che "tra dieci anni la percentuale dei ventenni stranieri andrà dal 50 al 70 per cento". L'articolo se ne serviva per prendersela con la demagogia della sinistra-intesa da Fini in qua. Ma che bisogni pensarci su è un Fatto. Quelli come me possono anche alzare le spalle: pensateci voi, io non ci sarò. Ma non si tratta di un problema cui pensare fra dieci anni. E' affare di oggi, e anche di ieri, del resto. Ci sono due risposte, schematizzando. Una spera di sventare quello sviluppo, arrestando o invertendo la tendenza immigratoria e demografica in cor¬so. E' come immaginare di far risalire il Po verso il Monviso, non è escluso che un risucchio della Padania ci riesca. Un'altra cerca di rendere i ventenni del 2020, che hanno dieci anni oggi, meno "estranei alla nostra cultura, mentalità, storia", e la "nostra mentalità, cultura e storia" meno estranea alla loro. Quanto al possessivo "nostra", bisognerà che strada facendo.- la stiamo già facendo, la strada¬si allarghi un po'. Non è facile? Infatti.



Assessore Puglia Fratoianni, in Cie di Bari situazione al limite

Bari, 4 ago. (Adnkronos) - ''Situazione al limite della vivibilita' e della dignita' umana: lo afferma l'assessore alle politiche per l'immigrazione della Regione Puglia Nicola Fratoianni che oggi ha visitato per due ore le strutture del Cie (il Centro per l'identificazione ed espulsione) di Bari-Palese.
''Il centro e' composto da otto moduli. Li ho visitati tutti - ha aggiunto Fratoianni - e molti li ho trovati inagibili. Stanzoni con problemi igienici funzionali, con assenza di arredi, anche i piu' elementari, come i tavoli e le sedie. E certo queste condizioni non possono essere ricondotte ai danneggiamenti dell'altra notte, bensi' ad una cronica mancanza di investimenti da parte del ministero degli interni".
"Gli ospiti 'detenuti' devono consumare il loro pasto seduti per terra. Ho trovato - ha continuato l'assessore - un degrado insopportabile in queste strutture nelle quali la vita e' ben peggiore di quella delle carceri. Ho chiacchierato e incontrato molte delle 134 persone presenti al momento all'interno del Cie (la capienza massima e' di 196 persone ndr), la maggior parte delle quali mi ha raccontato di condizioni inaccettabili per qualsiasi essere umano, di un malessere non solo fisico e logistico ma anche psicologico".



In Italia gli specializzati restano un'eccezione

il Sole 24 Ore 5 agosto 2010
Una speciale carta soggiorno su cui sarà apposta la scritta "scientifique", per la Francia di Sarkozy. Dalla Germania invece è il ministro dell'Economia Rainer Bruederle che prende l'iniziativa. Lo slogan in Europa sembra: immigrati sì, ma di qualità. E in Italia?
Sul tema dell'immigrazione altamente qualificata si discute almeno dai tempi in cui Giuliano Amato era ministro dell'Interno. Nel 2001, in realtà, fu fatto un decreto nel quale era previsto l'ingresso di 3mila informatici indiani, ma non se ne seppe più nulla. E ancora oggi non c'è quella corsia davvero sprint a cui si è fatto spesso riferimento, in Italia e in Europa.
Le cifre sui nostri immigrati altamente qualificati restano bassissime. Questo, d'altra parte, riflette anche la nostra domanda d'immigrazione, che più che rivolgersi agli specializzati, in questi anni ha guardato soprattutto alla mano d'opera a basso costo. Basta vedere qualche ricerca sul settore per scoprire quanti immigrati specializzati, in Italia, si trovano a ricoprire lavori dequalificanti.
L'immigrazione altamente qualificata oggi in Italia si ferma a un migliaio di persone - spiega Giovanni Papperini presidente del Comitato italiano immigrazione altamente qualificata (Ciiaq). Ed è forse anche per questo che non suscita grande interesse. Ma se le cifre restano basse è anche perché le procedure frenano aziende, università, centri di ricerca. «Noi guardiamo - spiega Papperini – ai dirigenti, quel personale davvero altamente qualificato e specializzato, che viene chiamato dall'estero all'Italia per svolgere ruoli di gestione aziendale, di direzione, di alto valore professionale. Persone che devono restare un anno o due e poi via. Ma questo tipo di personale si trova in grandissima difficoltà per le lungaggini burocratiche».
Ma dirigenti, scienziati, ingegneri o ricercatori a parte, in realtà, in Italia, sotto la parola immigrati altamente qualificati c'è un mondo.
«Non c'è neppure una definizione univoca della qualifica alta, possiamo dire che gli infermieri sono altamente qualificati?», chiede Ugo Melchionda, Labour Migration Expert, dell'Oim.
E basta dare un occhiata all'articolo 27 del testo unico sull'immigrazione per scoprire che il contenitore e la lista è effettivamente varia. Si tratta di lettori universitari; professori universitari destinati a svolgere in Italia un incarico accademico; traduttori e interpreti; persone che, autorizzate a soggiornare per motivi di formazione professionale, svolgono periodi temporanei di addestramento presso datori di lavoro italiani effettuando anche prestazioni che rientrano nell'ambito del lavoro subordinato; ma anche lavoratori occupati presso circhi o spettacoli viaggianti all'estero; personale artistico e tecnico per spettacoli lirici, teatrali, concertistici o di balletto; ballerini, artisti e musicisti da impiegare; giornalisti; sportivi professionisti e via dicendo.
Per tutti costoro, grazie a un programma di incontri bilaterali con le rappresentanze dei paesi esteri, voluto dall'allora ministro Amato, si è avviato un cammino che si è poi concretizzato con la messa appunto di un sistema informativo ad hoc.
Agli immigrati non servirebbe più aspettare i flussi stagionali. Dovrebbe bastare la richiesta dell'azienda, come specifica proprio l'articolo 27. Ma le disposizioni si applicano solo ai datori di lavoro che hanno sottoscritto con il ministero dell'Interno, sentito il ministero del Lavoro, della salute e delle politiche sociali, un apposito protocollo di intesa, con cui i medesimi datori di lavoro garantiscono la capacità economica richiesta e l'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro di categoria. E i problemi restano.



La ripresa bussa alle porte dell'immigrato qualificato
il Sole 24 Ore 5 agosto 2010
Beda Romano
Al momento dell'allargamento, nel 2004, la Germania fu tra i pochi paesi a imporre un blocco alla libera circolazione dei lavoratori nell'Unio¬ne. Dimostrò allora un criticabile protezionismo. Oggi la situazione si è ribaltata: a sorpresa la classe politica a Berlino vuole aprire le frontiere alla manodopera qualificata, allentando nor-me stringenti, e magari esortando le imprese a offrire pacchetti economici particolarmente attraenti. L'idea, che giunge sulla scia di una parziale revisione della scelta presa sei anni fa, è ancora tutta da concretizzare, ma cer¬to ha colto un problema che ri¬guarda tutti i paesi europei, anche l'Italia.
Secondo il centro-studi IW di Colonia, da qui al 2014 l'industria tedesca, oggi in forte ripresa, farà i conti con una mancanza di tecnici, ingegneri e scienziati, circa 22omila in tutto. La questione preoccupa un establishment economico tutto votato all'export di beni d'investimento sempre più sofisticati. Le ragioni di questa penuria sono almeno due. Da un lato, c'è un crescente disallinea¬mento tra le necessità dell'economia e le materie in cui si sono specializzati i nuovi laureati. Dall'altro, il progressivo invecchiamento della popolazione comporterà il ritiro dalla vita attiva di molti lavoratori qualificati.
Di qui il desiderio del ministro dell'Economia Rainer Bruderle di aprire le frontiere a nuovi e mo¬derni Gastarbeiter, in ricordo dei lavoratori-ospiti che fecero la fortuna della Germania nel do¬poguerra. In un paese dove la disoccupazione riguarda più di tre milioni di persone, la scelta è coraggiosa, ma realistica. È la con-ferma di come la globalizzazione abbia diverse facce. I paesi emergenti non sono soltanto grandi acquirenti di automobili o di prèt-à-porter. In alcuni settori le loro università sono all'avanguardia: ormai la ricerca agricola è brasiliana, l'informatica indiana, la matematica coreana.
Se l'Europa vuole rimanere competitiva, non può limitarsi a ridurre i costi di produzione o a investire in ricerca e sviluppo; deve anche vincere le reticenze protezioniste e dare accoglienza alla manodopera più qualificata.
Altri paesi lo stanno fa-cendo da tempo. Il Canada potrebbe accogliere quest'anno tra i 240 e i 265mila nuovi immigrati, di cui 50mila lavoratori specia¬lizzati. In Gran Bretagna il 30% dei medici ha radici straniere. La stessa Dani¬marca ha creato un sistema di immigrazione a punti: nel 2002 il piccolo paese scandinavo attirò dall'este¬ro 185 ingegneri, saliti a oltre 2.200 nel 2009.
Una politica attiva a favo-re dell'immigrazione di nuovi professionisti è ormai diventata indispensabi¬le. La Germania nel 2000 lanciò un programma di green cards tutto rivolto ai tecnici informatici. Il piano ha avuto un successo limita¬to: appena 33mila ingegneri hanno deciso di trasferirsi in terra tedesca. Per ammissione delle stesse autorità, le regole si sono rivelate troppo ferree, la burocrazia troppo invasiva, il tedesco troppo difficile da impa-rare. A dieci anni di distanza, la Germania ci vuole riprovare, consapevole di come la competitività di un paese non si misuri solo dal prezzo di vendita dei suoi prodotti.
1 immigrazione
Peraltro, non serve soltanto a risolvere urgenti carenze profes-sionali. In molti casi può iniettare nell'economia straordinarie dosi di dinamismo. Quasi due secoli fa viaggiando in America Alexis de Tocqueville notò come i francesi della Louisiana, rappresentanti di un vecchio impero prossimo al declino, gli sembrarono poco intraprendenti rispet¬to ai coloni americani provenienti dal Nord e «divorati dal desiderio di ricchezza». Forse lo stesso esempio americano può servire di lezione in questo caso.



Andi per ora resta a Roma ma è tentata dall'America

il Sole 24 Ore 5 agosto 2010
Karima Moual
Andi Shiraz è nata in Pakistan e ha ancora la cittadinanza pakistana. È specializzata a New York in informatica e giornalismo. Ha lavorato per  le mag¬giori aziende americane. In Italia, per lavorare e vivere, percorre ogni giorno una strada a ostacoli.
«Quando avevo 2 anni -racconta - la mia famiglia si è spostata. Siamo andati a vive¬re a Dubai, negli Emirati Arabi. Sono cresciuta a Dubai, quando avevo 18 anni  ho fini¬to la scuola secondaria e so¬no andata all'università a New York. Dopo qualche anno mi sono specializzata in informatica e giornalismo». Dall'America all'Italia. «Ho incontrato l'Italia quan¬do, durante il quarto anno alla New York University, ho fatto un programma di "Study Abroad". A Firenze, per tre mesi. E come tanti, mi sono innamorata dell'Italia. Da quel momento ho deciso di tornare, prima o poi, per lavorare e vivere stabilmen-te da voi».
«Finiti gli studi ho comun-que lavorato quattro anni a New York. Casa al West Village, sede di lavoro a Soho, grande stipendi. Ero "technologist" e "technology project manager" per una società che faceva consulenza informatica per le grandi aziende americane e internazionale come Ford e Armani.
Però non ho dimenticato il sogno. E nel 2002 ho dato le dimissioni (come diceva la mia famiglia, lasciando "the American dream"): sono venuta a Firenze, senza cono-scere nessuno con un per-messo di studio.
Dopo sei mesi e tante difficoltà ho trovato un lavoro in un agenzia immobiliare nel sud della Toscana.
Dopo un anno (e tanta, tanta difficoltà), sono riuscita ad avere un permesso di soggiorno per lavoro autonomo.
Con questo permesso final-mente ho avuto un po' di libertà per cercare un lavoro che fosse al livello della mia preparazione professionale.
Mi sono trasferita prima a Pisa per lavorare per un azienda globale che fa il "software" per il mondo finanzia¬rio. Poi mi sono spostata a Roma per lavorare come consulente per la Fao. Era il 2005.
Da quel momento ancora tanti lavori: contratti di consulenza per la Fao e am-basciata canadese a Roma, insegnamento presso un programma universitario americano: «Intercultural communication» e «Travelwriting».
Parlo inglese come madre-lingua, italiano, francese, urdu (la lingua di Pakistan), hindi e un po' di arabo.
Ho ancora tanti collegamenti in America. Tanti ex colleghi che conoscono il mio lavoro e mi chiedono se vorrei tornare. Io amo vivere a Roma e amo vivere in Italia. Ma i tanti problemi con la burocrazia dell'immigrazione mi fanno infuriare.
Sono qua, pronta ad essere una persona che contribuisce a questo paese. Che contribuisce molto. Sia perché pago le tasse, sia perché porto il mio lavoro e la mia passione, seguo le cose politiche, mi informo sui problemi. Ma l'Italia non mi vede. O, quando mi vede, mi tratta come un persona senza vi¬sto, una persona che può essere un mendicante, un problema, un "immigrante". Solo un "immigrante". Mi fa incavolare che ogni volta che si parla di immigranti, quasi sempre si parla dei clandestini e di esempi negativi. E ogni volta che devo affrontare le procedure per rimanere qui legalmente, deve essere una lotta incredibile, una guerra ad ogni passo, pieno di burocrazia, di leggi contraddittorie, di ostacoli».
Andi Shiraz per ora resta in Italia. «Io non rinuncio». Ma a volte la tentazione di tornare a New York si fa forte.



Lady Gaga, un tatuaggio pro immigrati e contro le discriminazioni in Arizona

il Messaggero 4 agosto 2010
Simona Orlando
ROMA (3 agosto) - Da qualche mese i Rage Against The Machine protestano contro la legge anti-immigrazione SB1070 dell’Arizona in quanto lesiva dei diritti umani. Secondo loro, dietro le parole “sicurezza” e “legalità”, utili a far leva sulle paure dei cittadini e ad accaparrarsi il consenso dell’opinione pubblica, si nasconderebbero gli istinti razziali della amministrazione locale, la stessa che ha presentato una mozione affinché il Martin Luther King Day non sia più considerata una festa nazionale, la stessa che attraverso lo sceriffo Arpaio ha portato in carcere Salvador Reza, leader del movimento Puente che lotta per i diritti umani degli immigrati, senza che questo abbia commesso alcun reato (Reza è poi stato liberato appunto perché non sussisteva il motivo dell’arresto).
La rock band si è coalizzata con altri artisti (Sonic Youth, Massive Attack, Kanye West, Nine Inch Nails, Gogol Bordello, Maroon 5, Juanes, Ben Harper, Ry Cooder, Joe Satriani, Tenacious D, Michael Moore, Taboo dei Black Eyed Peas etc...) e insieme hanno deciso di boicottare lo stato evitando di esibirsi in concerto sul territorio.
Hanno tentato di arruolare nella squadra anche Lady Gaga, la quale si è rifiutata di far saltare lo show di Phoenix in programma lo scorso 31 luglio. All’attenzione della diva di “Poker face” sono state dirette due lettere da parte di rappresentanti del movimento Puente che la invitavano a rivedere la sua posizione. Vickter Medina si è rivolto a Ms. Stefani Joanne Angelina Germanotta: “La nostra situazione brucia. La nostra gente viene attaccata per il colore della sua pelle. Le famiglie sono state divise, viviamo nel terrore, la polizia locale ci maltratta. La lista delle atrocità continua... Vorrei che lei guardasse con gli occhi di un transgender, un gay, una drag queen, una lesbica, o di un qualsiasi suo fan che respira quest’aria di odio. Queste persone sanno che lei riconosce loro dignità. Quando ascoltano una delle sue canzoni dimenticano cosa sia la paura”. L’altro, Amelec Jaalam Diaz, ha scritto: “Mi sono dichiarato gay e privo di documenti e ciò mi ha reso vulnerabile, ma l’ho fatto volontariamente, per ottenere un cambiamento sociale. Lo faccio per noi, per tutte le minoranze. So che non si può vivere di sola speranza, ma senza di essa la vita non vale la pena di essere vissuta. Così lei, lei, lei... lei deve dare speranza... Io sono uno dei suoi piccoli mostri e apprezzo la sua celebrazione di ciò che il resto della società considera “vergognoso”. Entrambi l’hanno supplicata di unirsi alla battaglia, di dare un segno forte di sdegno.
Lady Gaga ha invece fatto regolarmente il suo concerto, ma si è presentata sul palco col tatuaggio “Stop SB1070” sull’avambraccio sinistro e ha speso molto del suo tempo a cercare di sensibilizzare il pubblico sulla questione. Ha esordito: «Non ero affatto una persona coraggiosa, ma voi mi avete reso tale. Voglio che cancelliate le vostre insicurezze. Voglio che rifiutiate ogni persona, cosa o legge, che non sentite vi appartenga». Poi ha chiarito la sua posizione riguardo l’invito declinato al boicottaggio: «Ho ricevuto una telefonata da un paio di grandi del rock ‘n’ roll, pop stars e rappers. Mi hanno detto: “Ci piacerebbe che boicottassi l’Arizona a causa della SB 1070”. Ho risposto: “Credete davvero che noi fottute sceme popstar possiamo far crollare l’economia dell’Arizona? Vi dico io cosa fare sulla SB1070. Dobbiamo essere attivi. Dobbiamo protestare attivamente. L’essenza di “Monster Ball” è protestare attivamente contro il pregiudizio, l’ingiustizia e le stronzate che impone la nostra società... perché voi siete superstar, non importa chi siete o da dove venite, siete nati così. Non cancellerò il mio spettacolo. Griderò più forte, vi sosterrò, ci sosterremo a vicenda, e protesteremo contro questo stato. Non abbiate paura, perché se non fosse per voi immigrati, questo paese non sarebbe nulla. Lo dico dal profondo della mia anima».
E ancora, seduta al pianoforte, ha dedicato la canzone “You and I” a un immigrato incontrato il giorno stesso: «Ho conosciuto un ragazzo che sta soffrendo a causa di questa legge. Mi ha detto che è stata perquisita la sua casa a causa di un biglietto del parcheggio o qualcosa del genere. Bè? Allora? E’ una persona normale, come noi. Alla fine hanno preso suo fratello, che ora è in Messico... Tutto ciò è davvero disgustoso. E’ importante che la gente capisca che si tratta di uno stato di emergenza».
In attesa di un verdetto definitivo sulla SB1070 il giudice della Corte Federale dell’Arizona Susan Bolton ne ha bloccato le parti più controverse, quelle cioè che autorizzano la polizia a controllare i documenti di chiunque e ad arrestarlo, basandosi su un semplice sospetto di clandestinità. E’ una piccola vittoria dell’amministrazione Obama che considera la legge discriminatoria e incostituzionale poiché la politica estera è materia esclusiva del Governo Centrale e e non dei singoli stati.
L’appello a non abbassare la guardia e ad unirsi alla protesta continuerà a convocare star internazionali, anzi ha già incassato la solidarietà di Shakira che in occasione della sua visita in Arizona ha dichiarato: «Sarà un disastro per le famiglie di origine ispanica. Basta il colore della pelle per essere arrestati. Io stessa potrei essere arrestata, oggi, visto che non ho nessun documento, neppure la patente». E Lady Gaga sul numero di settembre di Vanity Fair, tra dichiarazioni scottanti e provocatorie quali l’uso occasionale di cocaina e l’astinenza dal sesso per non danneggiare la creatività, spenderà ancora parole contro la SB1070, trasformandola in un’altra crociata personale contro la discriminazione.



Immigrati: Ue, in 2009 più domande d'asilo ma crollo ingressi irregolari

Bruxelles, 3 ago. (Labitalia) - Nel 2009 si è registrato un aumento dell'8% delle domande d'asilo e del 23,3% delle domande d'asilo multiple, ma anche un drastico crollo del 50% del numero degli ingressi irregolari registrati nell'Ue. E' quanto è emerso dal rapporto dell'Unione Europea pubblicato oggi sull'attività annuale del database biometrico europeo Eurodac, che aiuta a determinare quale stato membro sia responsabile per esaminare le richieste di asilo.
Secondo le norme dell'Unione, infatti, è di competenza del primo paese di ingresso in Ue, ma date le complesse dinamiche dell'immigrazione clandestina spesso difficile stabilire quale sia."Il rapporto pubblicato oggi mostra il contributo effettivo di questo database Ue di impronte digitali nel gestire le richieste di asilo, aiutando a stabilire quale stato membro le debba esaminare attraverso la registrazione e il confronto delle impronte digitali deirichiedenti e degli immigrati irregolari, prevedendo l'invio di richieste multiple", ha affermato la commissaria Ue agli Affari interni Cecilia Malmstroem.



L'America rivendichi il diritto alla sacralità di Ground Zero

il Giornale 5 agosto 2010
Ida Magli
Sembra un po' strano, almeno a prima vista, che tocchi all'Europa cominciare un nuovo ciclo storico: difendere l'America dai suoi stessi errori. Eppure questo momento è arrivato. Ci siamo accorti del-le debolezze, e delle conseguenti gravissime ripercussioni negative, del sistema americano di gestione delle «differenze» - differenze etniche, religiose, culturali - perché dalla fine della Seconda guerra mondiale le abbiamo adottate anche noi, e la legislazione europea, con le sue norme antirazzismo, antixenofobia, ne è piena.
Fino a qualche anno fa, quasi tutti abbiamo pensato, soprattutto in Italia, che i gravi problemi che ci siamo trovati ad affrontare tutti i giorni per rispettare questa legislazione, copiata dall'America, fossero dovuti al fatto che siamo troppi in un territorio immensamente più piccolo di quello americano, ma soprattutto che è colpa nostra se siamo insofferenti davanti alla pressione di religioni e di costumi diversi dai nostri. Siccome tuttavia non è nello spirito delle nazioni europee fermarsi alle situazioni empiriche, la filosofia, la psicologia, l'antropologia hanno già da parecchio tempo ricominciato a riflettere in profondità sui significati delle diverse civiltà, sugli itinerari della storia, su che cosa conti davvero per gli uomini, per il loro «essere nel mondo», di là da un tranquillo tran tran quotidiano. È questa co-scienza che finalmente sta dando di nuovo valore di vita ai popoli d'Europa, schiacciati dal lungo periodo di smarrimento del secondo dopoguerra, ed è questa coscienza che adesso può e deve parlare anche all'America per esortarla ad alzare alta la voce contro qualsiasi tentativo di sopraffare e cancellare la memoria dell'attacco e dei morti a Ground Zero.
Sono morti che appartengono a tutto l'Occidente, a tutto il mondo civile, e dunque all'Europa, all'Italia soprattutto, culla dei maggiori giuristi, di coloro che per primi hanno elaborato le norme del diritto anche nei confronti dei nemici, sia in pace sia in guerra.
L'attacco alle Torri Gemelle ha segnato l'irruzione in questa civiltà di una mentalità, di un mondo che le è alieno e, per quanto dispiaccia dirlo, quest'assoluta differenza culturale si dimostra anche nell'aver ideato di costruire una moschea in un luogo che i musulmani dovrebbero essere i primi a rispettare. Il fatto stesso di voler collocare proprio lì un edificio simbolo della loro presenza testimonia, più che della loro insensibilità nei confronti del dolore dell'America, di un'implicita ma ben chiara volontà di predominio e di vittoria.
In quale altro modo, del resto, interpretare questa pretesa? È in base a questa più che evidente constatazione  che
gli americani devono rivendicare il loro diritto alla «sacralità» di Ground Zero, e naturalmente di tutto lo spazio che lo circonda, in base alle regole non scritte del Sacro che vigono da sempre, in ogni tempo e in ogni cultura. Si tratta di regole, del resto, che i musulmani, fedelissimi ai precetti della purità e della contaminazione, conoscono molto bene.
L'Italia però ha qualcos'altro da aggiungere, nell' esortare gli americani a non cedere: gli italiani sono andati fin dall'inizio a fianco degli americani a combattere contro il terrorismo, colpiti forse più che gli altri popoli d'Europa dall'orrore di un assalto così prodito¬rio contro civili innocenti. Molti italiani sono ancora presenti in tante zone di questa guerra così difficile e penosa, e molti dei nostri ragazzi vi sono morti. Noi non permetteremo che la loro memoria sia offesa, per nessun motivo, e non permetteremo neanche all'America di dimenticarsi che ha il dovere di difenderla.



Non decolla la carta blu Ue
il Sole 24 Ore 5 agorto 2010
Angela Manganaro
Durante il viaggio in India di una settimana fa, il premier britannico David Cameron ha promesso un dialogo diretto con New Delhi sulle politiche per l'immigrazione e i tetti ai lavoratori extra-Ue. Nelle stesse ore una fonte di Downing Street a Londra assicurava: «Vogliamo lavorare con l'India e gli altri paesi per essere certi che i lavoratori altamente qualificati continuino ad arrivare in Gran Bretagna. Dialogheremo con tutti i paesi per implementare il tetto degli ingressi».
La rassicurazione non era superflua: negli ultimi tre anni la Gran Bretagna ha reso più diffici¬le l'ingresso dei lavoratori extracomunitari (i permessi di soggiorno sono passati dai 106 mila del 2008 ai 142mila del 2009), ora discute sul numero chiuso promesso dal governo conservatore in carica da maggio fra cori di approvazione e voci di preoccupazione. Come quelle della business community che non vede di buon occhio la stretta anche nelle università, tradizionale punto di partenza per giovani asiatici e africani in cerca di un futuro qualificato nel Regno Unito. I controlli negli atenei britannici partono dalla constatazione che molti giovani abbandonano presto le aule per un lavoro qualsiasi: i modi per preservare e attirare competenze e talenti stranieri sono ora da definire ma comunque non includono la blue card, il visto veloce regolato dalla diretti-va Ue 50 del 25 maggio 2009 che va recepita e arricchita dagli stati membri entro il 2011.
Come Danimarca e Irlanda, la Gran Bretagna si è chiamata fuori dall'obbligo di applicare la carta
blu, versione europea della green card americana che permette a ingegneri, fisici, manager, ricercatori di rimanere in un paese Ue quattro anni (il permesso è rinnovabile) e acquistare la cittadinanza dopo cinque.
A più di un anno dall'approva-zione, la direttiva fa acqua: è stata recepita in parte dalla Spagna e male dalla Francia e non è entrata nel gergo e negli uffici immigrazione europei. Colpa come al solito del mix di mancato coordinamento fra stati e paura di danni alla sovranità nazionale in una materia sensibilissima dove leader e governi si giocano faccia e voti.
Tutto ciò - segnala una recente analisi dell'istituto tedesco per gli affari interni e internazionali - nonostante i lavoratori qualificati non siano percepiti come un problema dell'integrazione e i dati Ocse confermino le valutazioni positive sull'immigrazione qualificata, mai intaccati dalla crisi finanziaria internazionale.
La Francia del presidente Nicolas Sarkozy, ora in calo nei sondaggi e all'attacco di rom e criminali di origini straniere a cui vuol togliere la cittadinanza, ha bloccato poche settimane il rilascio di carte blu perché - ha spiegato candidamente un ambasciatore - non si sa come rispondere alle richieste   di  lavoro   che   arrivano dall'estero. Ma qualcosa si è fatto. Come eredità della commissione Attali, pool di 41 esperti francesi e non che due anni fa aveva concluso «l'economia francese cresce solo con più immigrati», Parigi facilita l'arrivo del personale straniero con laurea e master. In Francia come in Italia trasferire dipendenti stranieri non è facile, ma nel 2008 è diventato operativo un nuovo tipo di permesso di soggiorno (Contrat compétences et talents, Contratto competenze e talenti): dà la possibilità agli stranieri che vogliono creare una nuova impresa in Francia di ottenere un primo permesso di soggiorno di tre anni che si può subito estendere al coniuge. La burocrazia francese si mette poi a disposizione delle aziende che hanno bisogno di assumere personale qualificato dall'estero con colloqui personali e riservati attraverso il sito www.immigration-profession-nelle.gouv.fr.
Nella Spagna afflitta dalla crisi è stato il sindacato (la Confederación Sindicai de Comisiones Obreras) a rivolgersi alla Corte suprema per chiedere l'abolizione dell'accordo del 16 febbraio 2007, che ha istituito un organismo ad hoc per concedere le autorizzazioni di personale extracomunitario qualificato dentro le grandi imprese.
Lo scorso 14 maggio i sindacati hanno ottenuto solo l'abolizione di un punto dell'accordo, giudicato una sorta di escamotage per far entrare persone senza le caratteristiche richieste. I giudici spagnoli hanno però sottolineato che i sindacalisti non avrebbero dovuto mettere in discussione l'intero accordo.









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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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