Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

24 maggio 2011

 

Se antisemitismo fa rima con islamofobia 
Luigi Manconi Tobia Zevi
Corriere della Sera 24 maggio 2011
La provvisoria vittoria dell’America di Obama su Al Qaeda, celebrata nell’immenso cantiere di Ground zero, non può cancellare i molti detriti di quella tragedia tuttora presenti nelle società occidentali. Anche sotto la forma antica dell’ansia da complotto e del sospetto verso i possibili autori. A partire dalla fobia antisemita: gli ebrei si sarebbero tenuti lontani dalle Torri gemelle in quel fatidico undici settembre, perché informati dell’attacco, se non coinvolti in esso. Da quel giorno, poi, l’islamofobia si è nutrita della minaccia del terrorismo, della confusione tra straniero e musulmano, della presunta inadattabilità (meglio: inconciliabilità) dell’Islam rispetto ai costumi occidentali. Quella data fornisce dunque una suggestione importante: anti-semitismo e anti-islamismo, diversi per storia e contenuto, hanno molti punti di contatto. Un sentimento che ha attraversato tragicamente la storia europea e un’ostilità che negli ultimi anni ha preso quota con particolare veemenza e capacità di diffusione. Secondo una ricerca recente, commissionata dal comitato torinese «Passatopresente» (discussa, lunedì 16 maggio alla Camera dei Deputati, tra gli altri Gianfranco Fini e Adriano Prosperi), la sovrapposizione tra i due fenomeni all’interno della società italiana risulta tanto intensa da apparire sorprendente. Sono le stesse persone a provare avversione, più o meno accentuata, verso ebrei e musulmani, una maggioranza di intervistati che si riconosce in alcuni connotati specifici (etnocentrismo, autoritarismo, sfiducia). L’islamofobia sembra oggi più capillare e radicata dell’antisemitismo, sempre più concentrato su Israele e sul conflitto israelo-palestinese che non sugli stereotipi classici dell’antigiudaismo europeo e cristiano. Le due pulsioni sono trasversali agli orientamenti politici: anche a sinistra è fortissima la diffidenza nei confronti dei musulmani, mentre a destra non manca una fetta consistente che si dichiara favorevole allo stato d’Israele, ma che rivela tracce preoccupanti di antisemitismo.
Si evidenziano, inoltre, alcuni meccanismi comuni. Sia l’Islam sia l’ebraismo godono di una simpatia maggiore rispetto ai singoli membri delle due comunità, il che contraddice l’ipotesi ottimista per la quale il pregiudizio va sradicato moltiplicando le occasioni di incontro. Non sempre è così. Peraltro, la parte più consistente del campione intervistato è persino favorevole alla costruzione delle moschee, bersaglio di molta agitazione xenofoba. La maggioranza degli italiani ritiene che le due tradizioni siano state importanti nella costruzione dell’identità europea, ma crede che i due gruppi siano tendenzialmente chiusi (pertanto disponibili al complotto) e conservatori, poco affidabili sul piano della lealtà nazionale, sfruttatori della loro condizione di vittime, e ne teme la dimensione non stanziale.
Tutto ciò induce a una breve considerazione politica. La destra, che tende a blandire l’ostilità nei confronti di stranieri e musulmani, si trova oggi a dover “sorvegliare” un sentimento talmente diffuso da rivelarsi non più solamente incivile, ma addirittura pericoloso, nel momento in cui l’afflusso straordinario di persone dal Nord Africa deve essere comunque gestito. Ma anche la sinistra deve fare i conti con quel fenomeno: sebbene l’insieme degli elettori la consideri meno affidabile nell’affrontare il tema dell’immigrazione, la maggioranza di chi sceglie quella parte politica coltiva un pregiudizio radicato nei confronti dei musulmani (e, per altro verso, di Israele). Un bel grattacapo per tutti. 
 
 
 
Per la Lega «stonano», ma le kebaberie a Milano sono già 350...
Italia-razzismo 24maggio2011
Il kebab nasce in Turchia e nei paesi arabi, e si diffonde a macchia d’olio in tutto il mondo, grazie all’apertura di punti di ristoro e ristoranti “etnici”. Anche da noi, di recente, si è aggiunto il Kebab al tradizionale menù. Oggi troviamo moltissimi locali che offrono solo questa specialità, quasi tutti gestiti da immigrati. Dopo le prime diffidenze, il prodotto ha incontrato i gusti degli italiani. Dapprima si è fatto largo nelle grandi città, poi, col tempo, anche nei piccoli centri è stato un proliferare di catene che offrono il Kebab come alternativa a panini, piadine e pizze. 
Gli italiani frequentano sempre più spesso i ristoranti e i fast food che offrono cucina “etnica”. Basti pensare che a Milano la Camera di commercio stima che siano 350 le kebaberie, che si spendano circa 80 milioni di euro all’anno nei ristoranti “etnici” e che un milanese su 3 frequenti locali stranieri 10 volte all’anno. Anche l’aumento record dei prodotti etnici negli scaffali dei supermercati è un indicatore dell’apprezzamento da parte del consumatore di alternative alimentari rispetto alla dieta mediterranea. Il dibattito è semmai sulle modalità relative all’apertura di una nuova attività: se, cioè, scegliere la gestione autonoma di un locale, oppure ricorrere a un franchising. 
E a pensare che proprio in Lombardia, addirittura i kebab (come i phone center, i ristoranti cinesi, i sexy shop) sono già diventati oggetto di polemica politica a opera della Lega e addirittura di un’apposita normativa regionale sul commercio, in quanto considerati «generi di attività commerciali che stonano pesantemente all’interno di un millenario borgo storico, come è tipico della realtà lombarda» (dichiarazioni del presidente della commissione cultura del Consiglio regionale).
 
 
 
S.O.S. minori non accompagnati
Roberto Lunghini
West 23 maggio 2011
L’afflusso di immigrati in Italia a seguito delle rivolte nel vicino Nord Africa ha riportato sotto la luce dei riflettori un problema tanto taciuto quanto delicato. Quello dei minori stranieri non accompagnati. Per cercare di far fronte a questa emergenza, la Protezione civile ha diffuso le procedure straordinarie da mettere in atto per la loro accoglienza. Per prima cosa le Autorità di pubblica sicurezza devono procedere alla loro identificazione e, dopo averne accertato la minore età, devono provvedere a segnalarne la presenza al Soggetto attuatore, al Comitato per i minori stranieri, al Tribunale per i minorenni e al Giudice tutelare. Nel caso in cui non ci siano posti disponibili nei centri di accoglienza del distretto di appartenenza, si deve ricorrere alle cosiddette “strutture ponte”, dislocate su tutto il territorio nazionale, che si faranno carico in una prima fase della loro assistenza. Così da garantire, seppur temporaneamente ma tempestivamente, una sistemazione a questa speciale e vulnerabile categoria di immigrati. Visto che, anche se sono entrati illegalmente nel Paese, oltre a non poter essere espulsi, sono titolari di tutti i diritti garantiti dalla Convenzione Onu (New York, 1989).
 
 
 
Il 2010 un anno nero per i lavoratori immigrati: diminuisce l’occupazione, aumentano disoccupazione e disparità di trattamento retributivo.
Presentato ieri il rapporto Istat “La situazione del paese 2010”: particolarmente grave la situazione delle donne straniere e nel Mezzogiorno.
ImmigrazioneOggi 24 maggio 2011
Diminuisce l’occupazione, aumenta la disoccupazione e si incrementano anche le disparità di trattamento retributivo. È quanto emerge dal rapporto Istat La situazione del paese nel 2010 in cui si evidenzia come i lavoratori stranieri siano tra le principali vittime delle crisi economica.
Secondo il rapporto, il tasso di occupazione degli stranieri è sceso dal 64,5 per cento del 2009 al 63,1 per cento del 2010: “un calo più che doppio in confronto a quello degli italiani”. Nello stesso periodo, il tasso di disoccupazione è passato dall’11,2 all’11,6 per cento: su cento disoccupati in più nel 2010 rispetto a un anno prima, circa un quinto erano stranieri, percentuale che sale a oltre un terzo fra le donne.
Passando alla crescita dell’occupazione straniera (+183 mila unità rispetto al 2009), questa ha riguardato in più della metà dei casi le professioni non qualificate: dal manovale edile all’addetto nelle imprese di pulizie, dal collaboratore domestico al bracciante agricolo, dall’assistente familiare al portantino nei servizi sanitari. Nel 2010, secondo i dati Istat, sono 880 mila gli stranieri che hanno un livello di istruzione e un profilo culturale più elevato rispetto a quello richiesto dal lavoro svolto. Essi rappresentano il 42,3 per cento degli occupati, una quota più che doppia di quella degli italiani con le stesse caratteristiche.
Note negative emergono anche riguardo ai redditi percepiti. Secondo l’Istat, a parità di professione, la retribuzione mensile netta degli immigrati è stata del 24 per cento inferiore a quella degli italiani (rispettivamente 973 e 1.286 euro). Un differenziale che aumenta fino al 30 per cento per le donne (788 e 1.131). In confronto al 2009, si legge nel focus, “lo svantaggio degli stranieri è divenuto più ampio sia per gli occupati a tempo pieno sia per quelli a orario ridotto”. Inoltre, per effetto della diversa struttura produttiva, “le disuguaglianze retributive tendono a differenziarsi a livello territoriale passando da circa il 22 per cento nel Nord a poco meno del 34 del Mezzogiorno”.
 
 
 
Firenze cresce con gli immigrati nel 2025 saremo 390.000
la Repubblica 24 maggio 2011
Sforeranno le 390.000 unità, saremo una città più multietnica e meno anziana. Fotografia della Firenze del 2025. La scatta l'Ufficio comunale di statistica che proietta dati e flussi demografici di oggi sulla città che ci aspetta tra 15 anni. Ebbene non mancano curiosità e sorprese.
La prima è che la popolazione è destinata a crescere e a ringiovanirsi, seppure parzialmente, grazie all'immigrazione. Se oggi la popolazione residente a Firenze si attesta a 372.826 persone di cui 51.007 sono straniere  -  i dati sono aggiornati ad aprile  -  nel 2025 i residenti in città saranno 390.673 (+6,8%). Nell'area fiorentina, che comprende le cittadine dell'hinterland, l'aumento della popolazione sarà ancora più marcato e si passerà dagli attuali 629.850 residenti a 700.472 (+11,2%).
A Firenze aumenteranno i residenti di tutte le fasce d'età. Ma è interessante notare come un parziale svecchiamento sarà garantito dal fatto che la crescita più modesta avverrà nella fascia degli anziani ultra sessantacinquenni (+2,9%, da 94.826 a 97.547) mentre salirà dell'8,2% la fascia degli adulti tra 15 e 64 anni perché approderanno a questa età i figli del baby boom, mentre i giovani tra 0 e 14 anni aumenteranno del 7,8%. Ci sarà una maggiore richiesta di lavoro, sperando che anche l'offerta cresca: la popolazione attiva aumenterà infatti del 14,4%.
E' dunque la spinta dell'immigrazione a disegnare una Firenze futura più popolata e giovane. Dall'inizio dell'anno al 30 aprile 2011 i residenti stranieri a Firenze sono cresciuti di altre mille unità e se l'età media dei residenti maschi italiani è 46 anni, quella dei maschi stranieri è di 32 anni. Le femmine italiane hanno in media 51 anni, le straniere 35. Le più giovani cittadine di Firenze sono le egiziane: in media appena 23 anni. I maschi stranieri più giovani sono invece i cinesi (29 anni in media) e i più vecchi i cittadini dello Sri Lanka, che però hanno in media appena 33 anni. Il divario è notevolissimo e curioso con le femmine straniere meno giovani che come età media superano addirittura quella dei maschi italiani e raggiungono quota 47 anni. Sono le ucraine. Una popolazione di "anziane" e affidabili badanti.
 
 
 
Il tema «immigrazione» nelle minacce elettorali dei politici della destra
Italia-Razzismo  20 maggio 2011
In periodo di elezioni il tema immigrazione furoreggia. Pare infatti, a detta degli avversari del candidato sindaco di Milano Giuliano Pisapia, che lo stesso candidato voglia «costruire nuove moschee» oppure «creare una grande moschea con tanto di minareto e centro islamico». Insomma, c’è il rischio che se vince Pisapia, si creino veri e propri covi di terroristi. Luoghi di chiamata alle armi e non di preghiera. Infatti è da escludere che in posti come questi si possano radunare i fedeli, quelli pregano negli sgabuzzini dei negozi di connazionali, nei garage dei quartieri periferici, in miserabili spazi in angoli oscuri di palazzi fatiscenti. Ma perché mai i «terroristi» musulmani dovrebbero utilizzare come punti di incontro, per mettere in atto strategie contro l’Occidente, posti accessibili, ordinati, puliti, in piena luce dove è più facile individuare (e magari controllare) chi vi accede? Mistero della Fede!
Ma dietro alla paura del terrorismo c’è la paura del diverso, di chi è titolare di una cultura vissuta come minacciosa perché non occidentale. Ricompare un elemento di fobia dell’Islam che ha il suo fondamento nella concezione di quella religione come un blocco monolitico che non si adatta alla realtà in cui vive. E la negazione pubblica di nuovi spazi per il culto va nella direzione di confermare quel pregiudizio.
Una ricerca su islamofobia e antisemitismo, a cura dell’associazione Passatopresente, segnala come una percentuale molto elevata del campione intervistato abbia espresso diffidenza e ostilità verso l’Islam, considerata cultura statica e scarsamente articolata al suo interno. Secondo la ricerca esiste un’ampia sovrapposizione tra le due aree di fobia (verso l’Islam e gli ebrei). Come a dire che il pregiudizio ha più di una radice in comune.
 
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