Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

25 guigno 2010

Amnesty all'Europa: «Non seguite l'Italia sugli accordi con Tripoli»
L'organizzazione umanitaria: «Il rispetto dei diritti deve essere al primo posto Non si possono accettare i respingimenti dei migranti come ha fatto Roma»
l'Unità, 25-06-2010
Umberto de Giovannangeli

ROMA,-Amnesty International all'Unione Europea: nel Trattato con la Libia non fare come l'Italia. L'ufficio europeo di Amnesty ha inviato l'altro ieri una lettera alla Commissione europea in cui chiede che l'Ue e i suoi Stati membri garantiscano che gli accordi bilaterali con la Libia e l'accordo quadro di Tripoli con l'Unione, in fase di negoziato, siano basati sul pieno rispetto dei diritti delle persone in cerca di asilo, dei rifugiati e dei migranti. In una nota da Bruxelles, l'Organizzazione menziona poi in particolare l'accordo bilaterale di Tripoli con l'Italia, ribadendo le sue critiche alla pratica dei respingimenti dei migranti intercettati nelle acque internazionali.
Un rapporto di Amnesty International appena pubblicato dal titolo «La Libia domani: quale speranza per i diritti umani?» mette in luce
che i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti irregolari sono sfruttati e subiscono violenze e abusi, con trattamenti che possono con figurarsi come torture, durante la loro detenzione da parte delle autorità libiche. Secondo il rapporto, diverse migliaia di loro sono detenuti indefinitamente in centri sovraffollati, e molti rischiano costantemente di essere rinviati in Paesi come la Somalia e l'Eritrea, dove potrebbero essere sot-toposti a persecuzioni e torture. «La decisione del governo libico di espellere l'Alto commissario Onu per i rifugiati - afferma Amnesty International in una nota da Bruxelles - ha complicato ulteriormente la vita di 9.000 profughi registrati e di 3.700 richiedenti asilo nel Paese. La Libia non è membro della Convenzione del 1951 sui rifugiati e non ha una legge sui richiedenti asilo, né un sistema di protezione dei profughi.
Ciò significa che Tripoli non riconosce i bisogni delle persone per le quali è necessario ricevere protezione internazionale, e che gli organismi statali considerano i rifugiati e i richiedenti asilo come "migranti economici"».
L'Ue sta cercando di convincere la Libia a cooperare nel controllo dei flussi di migranti verso le coste europee, negoziando un accordo quadro con Tripoli. In questo contesto, rileva Amnesty International, i Paesi Uè dovrebbero includere anche accordi di riammissione per le persone provenienti da paesi terzi che hanno transitato per la Libia. E qui la nota dolentissima. «L'Italia - ricorda il Rapporto - ha già concluso un accordo bilaterale con la Libia per combattere l'immigrazione illegale con il pattugliamento navale congiunto nel Mediterraneo. Nell'ultimo anno - accusa l'Organizzazione - l'Italia ha cominciato a riportare i migranti in Libia dopo aver intercettato le loro barche in acque internazionali, senza controllare se gli individui a bordo avevano bisogno di protezione internazionale o di un'assistenza umanitaria di base». Per Nicolas Beger, direttore dell'ufficio europeo di Amnesty, «è chiaro che la Libia continua a non rispettare il diritto e gli obblighi internazionali, lasciando rifugiati e richiedenti asilo in una situazione terribile di paura e intimidazione. Allo stesso tempo, è inaccettabile - sottolinea Beger - che degli individui siano intercettati in mare da navi libiche fornite da Stati membri dell'Ue, per essere rimandati in Libia. L'Ue e i suoi Stati membri - conclude il direttore dell'ufficio europeo dell'Organizzazione - devono garantire che i diritti umani siano al centro di qualunque accordo con la Libia, e che ogni accordo riconosca esplicitamente i diritti dei migranti». Il Rapporto rileva anche che gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani continuano a essere commesse dalle forze di sicurezza, in particolare dall'Agenzia per la sicurezza interna (Asi) che, sottolinea Amnesty, pare avere poteri incontrastati di arrestare, imprigionare e interrogare persone sospettate di essere dissidenti o di svolgere attività legate al terrorismo. Queste persone possono essere trattenute senza contatti con l'esterno per lunghi periodi di tempo,torturate e private dell'assistenza legale. Sono centinaia le persone che languono nelle prigioni libiche, anche dopo la fine della pena o dopo essere state assolte da un giudice. All'indomani degli attacchi dell'11 settembre 2001 negli Usa, le autorità libiche hanno fatto ricorso all'argomento della «guerra al terrore» per giustificare la detenzione arbitraria di centinaia di persone considerate voci critiche o una minaccia alla sicurezza nazionale.
La pena di morte continua a essere usata in modo massiccio, in particolar modo nei confronti dei cittadini stranieri, e può essere applicata per un'ampia gamma di reati, comprese attività che corrispondono al pacifico esercizio dei diritti alla libertà di espressione e di associazione. Il direttore generale della polizia giudiziaria ha informato Amnesty che, nel maggio 2009, i prigionieri nei bracci della morte erano 506, circa la metà dei quali cittadini stranieri. Migranti, rifugiati e richiedenti asilo, in maggior parte provenienti dall'Africa e in cerca di salvezza in Italia e in altri Paesi dell'Ue, trovano invece arresti, detenzioni a tempo indeterminato e violenze in Libia. «I partner internazionali della Libia non possono ignorare l'agghiacciante situazione dei diritti umani in nome dei loro interessi nazionali -sottolinea Hassiba Hadj Sahraoui, vice direttrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty - come membro della Comunità internazionale, la Libia ha la responsabilità di rispettare gli obblighi in materia di diritti umani e occuparsi delle violazioni anziché nasconderle. La contraddizione di un Paese che contemporaneamente fa parte del Consiglio Onu dei diritti umani e rifiuta le visite dei suoi esperti indipendenti sui diritti umani, è stridente». «Se la Libia vuole essere credibile sul piano internazionale - aggiunge - le autorità devono assicurare che nessuno sia al di sopra della legge e che tutte le persone, comprese le più vulnerabili ed emarginate, vengano protette dalla legge, la repressione del dissenso deve cessare».
L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa lancia l'allarme sull'uso degli accordi di riammissione, come quello firmato tra Italia e Libia, come meccanismo per gestire il flusso di immigrati irregolari. In un rapporto approvato lunedì scorso all'unanimità, l'assemblea chiede agli Stati membri dell'organizzazione, ma anche all'Unione Europa, di negoziare e applicare questi accordi solo con i Paesi che rispettino tutti i diritti umani e abbiano un sistema di richiesta di asilo funzionante. Gli accordi devono inoltre contenere appropriate garanzie per coloro che vengono rinviati in questi Paesi. Nel Rapporto, nella parte esplicativa, che non costituisce un testo vincolante, la parlamentare olandese Tineke Strik, che ha scritto il documento, esprime «forti dubbi sul fatto che l'Italia stia rispettando i suoi doveri prescritti dalle leggi internazionali rinviando migranti in Libia». Di conseguenza chiede al governo di fermare queste operazioni e di esaminare con attenzione l'accordo, anche perché, viene sottolineato, la Libia non è tra i Paesi firmatari della Convenzione di Ginevra che assicura la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.



Parole di carta e nient'altro

Terra, 25-06-2010
Rossella Anitori
A oltre cinque mesi di distanza dalla rivolta dei lavoratori africani di Rosarso, situazioni simili continuano a sopravvivere ovunque; dalla Puglia a Castel Volturno, da Cassibile all'Agro Pontino. E le promesse fatte a chi ha vissuto e continua a vivere quell'inferno, non si sono tradotte in fatti. «Ad oggi non è arrivato nessun segnale dai rappresentanti istituzionali, padronali e sindacali che sul "Mai più Rosarno" hanno promosso la propria immagine pubblica e perseguito i propri interessi» denuncia lAssemblea dei lavoratori africani di Rosarno a Roma e l'Osservatorio antirazzista territoriale Pigneto-Tor Pignattara che ieri, e insieme alle diverse realtà di lavoratori in lotta e alla rete di solidarietà cittadina ha manifestato a piazza Vidoni, sotto la sede di Confagricoltura. «Il 27 aprile - spiegano i manifestanti -, l'assessore allAgricoltura della Provincia di Roma, Aurelio Lo Fazio, ha presentato il protocollo d'intesa siglato tra l'associazione onlus "Progetto Diritti", per conto dei lavoratori africani di Rosarno a Roma, e le associazioni professionali agricole della provincia romana per l'inserimento lavorativo regolare nelle aziende agricole laziali. Entro 40 giorni dalla stipula del protocollo - continuano -, quelli con permesso di soggiorno avrebbero dovuto essere impiegati regolarmente, mentre per chi è in attesa di regolarizzazione si sarebbe dovuto programmare l'inserimento. Ad oggi però, a fronte, però, di un decreto flussi che chiama nelle campagne laziali circa 8mila lavoratori stagionali, ancora non si è mosso nulla di fatto». I lavoratori di Rosarno attendono ancora un contratto per conquistarsi una vita al di fuori della clandestinità e determinare il proprio futuro come lavoratori senza ricadere nelle maglie del caporalato che li vuole illegali e sfruttati. «Quelle promesse - denunciano i manifestanti -non erano una generosa elargizione, ma l'assunzione di responsabilità da parte delle associazioni che rappresentano anche le aziende in cui si realizza lo sfruttamento del lavoro nero nelle campagne».



DIALOGO TRA I DUE MAGNATI SULLA FOX NELL'ORA DI PUNTA
Bloomberg e Murdoch paladini della riforma sull'immigrazione
La Stampa, 25-06-2010
Maurizio Molinari
«Someone has to lead», qualcuno deve guidare: pronunciando all'unisono questa frase dagli schermi di Fox tv, il sindaco di New York Michael Bloomberg e il magnate dei media Rupert Murdoch hanno lanciato una campagna nazionale per spingere il Congresso a varare in fretta una radicale riforma dell'immigrazione. Bloomberg e Murdoch hanno in comune il fatto di essere molto ricchi e altrettanto scontenti della direzione in cui sta andando l'America. E per tentare di invertire la marcia puntano su un tema che rischia di finire dimenticato a causa della crisi economica e della marea nera: la presenza di almeno 12 milioni di lavoratori clandestini.
La riforma dell'irnmigrazione è stata rinviata «a dopo le elezioni di novembre» dal presidente Barack Obama, con il risultato di dare risalto alle iniziative di legislatori locali, in Arizona come nella cittadina di Fremont in Nebraska, che hanno varato provvedimenti tal-
mente duri da essere accusati di incostituzionalità. Bloomberg teme che siano proprio queste istanze ultraconservatrici a prendere il sopravvento e così ha deciso di dare vita a una «coalizione nazionale per la riforma dell'immigrazione», assicurando di «voler fare di questa battaglia il tema centrale del terzo mandato da sindaco».
Il primo a raccogliere l'invito è stato il magnate angloaustraliano, che gli ha chiesto di esporre che cosa ha in mente in un dialogo con lui nell'ora di massimo ascolto della Fox, di sua proprietà. Ne è scaturito un botta e risposta senza precedenti.
Bloomberg ha esordito con un perentorio «qualcuno deve guidare e spiegare alla nazione qual è il nostro interesse» e Murdoch ha rilanciato promettendo di «tenere sotto pressione il Congresso», mobilitando «le risorse che abbiamo per dimostrare al pubblico quali sono i benefici portati dagli immigrati e dai lavori che svolgono».
«Chi afferma che gli immigrati rubano lavoro mente, in realtà creano occupazione», ha aggiunto Bloomberg. Attorno all'intesa con Murdoch, Bloomberg ha raccolto le adesioni di Robert Iger, numero uno di Walt Disney, e di un imprecisato numero di altri «leader della comunità degli affari» che, secondo i dati resi noti dal portavoce Jason Post, sommano una notevole forza d'urto: 650 mila dipendenti e 220 miliardi di dollari di vendite annue.



Pressing a favore della legalizzazione
Big dell'industria con gli immigrati
il Sole, 25-06-2010
Daniela Roveda

La politica dell'immigrazione in America è un «suicidio politico», e per riformarla sono scesi in campo il magnate dei media Rupert Murdoch e il sindaco miliardario di New York Michael Bloomberg, due imprenditori che hanno dimostrato in passato di riuscire a ottenere ciò che vogliono. In aperta sfida al movimento dei Tea Parties e alle iniziative antimmigrazione dell'Arizona, Murdoch e Bloomberg hanno lanciato ieri una coalizione di grossi nomi dell'industria e di sindaci di diverse metropoli americane per fare pressioni sul Parlamento e ottenere una nuova legge che legalizzi i clandestini e riformi un sistema difettoso. L'immigrazione, dicono, è il motore della crescita.
«Qualcuno deve prendersi la briga di spiegare al pubblico e al Parlamento perché l'immigrazione è nell'interesse del nostro paese», ha detto Bloomberg. Quei "qualcuno" sono personaggi come l'amministratore delegato della Walt Disney Bob Iger, Pad di Hewlett Packard Mark Hurd, di Boeing Jim Mc-Nerney, della Marriot International JW Marriot, e i sindaci di Los Angeles, Phoenix, San Antonio e Philadelphia.
La neonata Partnership for a New American Economy conta di pubblicare studi, condurre sondaggi di opinione, organizzare tavole rotonde e lanciare campagne mediatiche per istruire il pubblico, e soprattutto incalzare i recalcitranti parlamentari a prendere in esame un argomento politicamente scottante ma estremamente urgente.
«Abbiamo bisogno di immigranti per rimanere competitivi nel XXI secolo -ha detto Iger della Disney -. Serve gente che sappia dare un contributo alla crescita economica e rafforzare la nostra nazione, che ci porti al successo». Invece, ha detto Bloomberg, l'America istruisce gli studenti stranieri più bravi e più intelligenti, e poi non dà loro nemmeno il permesso di soggiorno. «Abbiamo bisogno di creare migliaia di posti di lavoro, ma non consentiamo agli imprenditori stranieri di abitare qui». La potente associazione di sindaci e businessmen propone un sistema di verifica della legalità de la forza lavoro, multe per le società che assumono clandestini, maggiore facilità nell'ottenere permessi di lavoro per stranieri, e nuove misure per rafforzare i pattugliamenti al confine.
Il messaggio dei promotori, capi di aziende che complessivamente impiegano 650mila persone, è che la questione dell'immigrazione è una priorità economica. «Non esiste un modo migliore per distruggere l'America della politica dell'immigrazione attuale», ha detto Bloomberg.



MIGRANTI INFORMATI

Left, 25-06-2010
Nonostante la politica dei respingimenti, gli irregolari in Italia sono circa 126mila. E per avere o rinnovare un permesso di soggiorno occorrono in media 101 giorni mentre la legge ne prevede 20. Anche per questo motivo Shukri Said, segretaria dell'associazione Migrare, ha presentato a Roma, nella sala Mappamondo della Camera, il nuovo portale www. migrare.ue. Un ulteriore strumento per combattere la clandestinità e promuovere la cultura dell'integrazione attraverso un'informazione corretta: «Un contenitore messo a disposizione della società civile». Ma non solo, il sito si pone l'obiettivo di portare avanti la campagna sul rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno, pretendendo che chi nasce in Italia sia cittadino italiano, che si ponga fine ai respingimenti indiscriminati, che la sanatoria di colf e badanti sia estesa anche ad altre categorie di lavoratori e che agli immigrati sia riconosciuto il diritto di voto amministrativo. Alla conferenza stampa sono intervenuti anche alcuni esponenti politici italiani.
«Perché in Italia c'è un'informazione menzognera che fomenta i sentimenti negativi nei confronti dell'altro, del diverso», ha spiegato la deputata radicale Rita Bernardini. Per il deputato Pd, Jean Leonard Touadì, «il nuovo portale cerca di ribaltare la politica della paura fomentata da mass media e politici».
Il sito dunque, si candida ad accogliere e raccogliere i frutti del dibattito su tutto ciò che riguarda l'immigrazione o che può influire,
anche indirettamente, sul fenomeno.



Idee/Un saggio di Giorgio Israel per liberarsi da uno dei più nefasti pregiudizi della Storia Che portò alle leggi del 1938
Razzismo la trappola scientifica
Il Messaggero, 25-06-2010
Giorgio Israel
È in libreria "Il fascismo e la razza. La scienza italiana e le politiche razziali del regime" di Giorgio Israel (il Mulino, 443 pagine, 29 euro). Israel, docente di Storia della matematica alla Sapienza di Roma, torna ad esplorare razzismo e antisemitismo durante il regime fascista che varò le leggi antiebraiche nel 1938. La tesi sostenuta e documentata con rigore nel libro, è che il razzismo di Stato trovò sostegno in alcune elaborazioni teoriche della scienza italiana, dall'antropologia all'eugenetica, alla demografia. Pubblichiamo uno stralcio del saggio di Giorgio Israel.
LA fisica si è liberata senza problemi dell'idea di flogisto e chi riproponesse oggi il modello tolemaico verrebbe trattato come uno stravagante. Al contrario, chi ripropone il discorso sulla razza gode di una tolleranza sconosciuta in altri contesti. È vero: oggi è meno usuale parlare di razze e di teorie razziali, dopo quel che è accaduto con lo sterminio degli ebrei e con altre orrende stragi razziali, come la tragedia del Rwanda. Inoltre, le ricerche di Luigi Luca Cavalli Sforza hanno confutato il carattere scientifico del concetto di razza. Dovremmo quindi considerarci al riparo sotto ogni profilo: teorico e morale. Purtroppo non è così. Se la parola "razza" è screditata e si fa il possibile per evitare di farne uso, l'ideologia che ne ha ispirato l'introduzione è sempre in agguato ed è pronta a riaffacciarsi. La tentazione di stabilire in termini "scientifici" le differenze mentali, psicologiche, culturali e sociali appare incoercibile, quanto lo è la tentazione razzista — ovvero la tentazione di affermare la superiorità di un gruppo rispetto ad altri - e il ricorso a un'oggettivazione di tipo biologico appare la via più comoda. Queste tendenze si riaffacciano ostinatamente perché nessuna delle confutazioni delle teorie razziali ha centrato la questione più importante, ovvero il fatto che la pretesa scientificità di queste teorie è soltanto uno schermo che serve a nascondere la loro natura puramente ideologica. (...)
Ogni analisi storiografica e concettuale delle concezioni razziali e delle loro applicazioni pratiche è fuorviante se non aggredisce a fondo la "questione scientifica". Quel che si è in prevalenza fatto finora è di ignorare sostanzialmente tale questione, sia considerandola irrilevante (nelle storiografie prevalentemente politiche) sia considerandola "scontata", in quanto appartenente a un altro contesto, quello scientifico per l'appunto, essendo compito dello storico del razzismo occuparsi soltanto delle implicazioni sociali e politiche delle teorie razziali. Occorre invece cessare di dare per acquisito che esista un fondamento scientifico di queste concezioni, o anche soltanto che esse abbiano mai avuto qualcosa a che fare con la conoscenza di fatti reali. Il problema è che ci si deve muovere su un crinale molto sottile che è determinato da un dato oggettivo e da un fattore soggettivo: le teorie razziali sono non scientifiche, secondo un criterio minimale di scientificità, al disotto del quale non ha senso neppure tentare di definire delle caratteristiche specifiche dell'attività scientifica; ma, al contempo sono sentite e presentate come tali da coloro che le coltivano. Pertanto la relazione con la scienza delle teorie razziali è interamente fondata sulla convinzione soggettiva della loro scientificità. Tale colossale manifestazione di illusione e giustificazione da parte dei protagonisti nei confronti di sé stessi e degli altri, deve essere presa sul serio e non bollata come truffa, espressione di pura malafede o paravento dietro cui viene veicolata un'intenzione meramente politica. Se si parte da una premessa del genere si perviene alla conclusione che l'aspetto scientifico è irrilevante e di facciata e si costruisce un'analisi storiografica semplificata fino allo schematismo. Se invece si concede
qualcosa alla loro scientificità oggettiva, si rischia di rendere impossibile la definizione di qualsiasi criterio di demarcazione dell'attività scientifica, sia pur vago e storicamente determinato, e di giustificare le teorie razziali molto di più di quanto sia ragionevole fare. In fondo, sono stati gli stessi protagonisti a incaricarsi di confutare entrambi questi punti di vista. Prendiamo il caso del celebre statistico Giorgio Mortara. Egli fece ricorso al concetto di razza e, come è stato notato, «sotto la sua direzione, il «Giornale degli economisti» pubblicò nel 1927 articoli come quello del demografo Franco Savorgnan, uno dei futuri redattori del Manifesto degli scienziati razzisti, dal significativo titolo La composizione razziale della popolazione americana, nel quale i concetti di razza supe-
riore e inferiore costituiscono la base dell'argomentazione». Tuttavia, come vedremo, quando Mortara dovette compilare la scheda predisposta dal regime fascista per accertare la razza dei professori universitari, vi appose l'osservazione che egli non poteva dichiarare di appartenere a una razza «della quale scientificamente nega l'esistenza». Insomma, sia pure tardivamente e sotto l'effetto dei provvedimenti razziali, Mortara si rese conto dell'inconsistenza scientifica, oltre della pericolosità, dell'indirizzo assunto dalla ricerca demografica.
Gran parte della storiografia è viziata dalla mancata decostruzione del significato ideologico delle concezioni razziali e dal fatto di dare per scontata l'esistenza di una loro relazione con la scienza, invece di riconoscere che questa relazione è piuttosto, ed esclusivamente, una relazione con lo scientismo. Soltanto un approccio di questo genere - libero da soggezioni nei confronti di una scientificità inesistente — può pervenire a interpretazioni fondate e utili a indicare la via per liberarsi dall'eterna riproposizione di uno dei più nefasti pregiudizi della storia.



La storia di Mafuta, dottoressa congolese: «Sevizie e terrore per aver scioperato»

Il Messaggero, 25-06-2010
Francesca Nunberg
ROMA - Se il teatro è un modo per rompere il "complotto del silenzio", loro gridano e cantano. Se la tortura è un argomento tabù e le sue vittime sono invisibili al mondo, lei invece parla. Riprende fiato dopo le prove dello spettacolo e racconta. Dall'inizio, quando giovane dottoressa a Kinshasa lottava per i diritti sindacali dei medici, alla fine, quando si è ritrovata un giorno dell'agosto scorso alla stazione Termini con il vestito che indossava e 10 euro in mano, scesa due ore prima da un aereo su cui era salita ignorandone la destinazione. L'hanno lasciata lì, senza niente, ma ormai era salva.
E' bella Mafuta, dottoressa congolese, 41 anni, che ha ottenuto in Italia lo status di rifugiata. A lei e agli altri 400mila accolti in Europa è dedicata la Giornata intemazionale a sostegno delle vittime di tortura, che si celebra domani, proclamata nel '97 dall'Assemblea generale dell'Onu. Almeno 111, secondo Amnesty International, i paesi del mondo che la praticano. E domani Mafuta va in scena: con altri 13 sopravvissuti, tutti africani, vengono da Camerun, Togo, Guinea, Nigeria, Eritrea, ha seguito per cinque mesi il laboratorio teatrale di riabilitazione psico-sociale del Cir, il Consiglio italiano rifugiati, che domani sera rappresenta al Teatro Argentina (ore 21, ingresso lìbero) "Lampedusa mon amour", liberamente ispirato alle Supplici di Eschilo.
«Ero a capo di un gruppo di giovani medici, chiedevamo aumenti salariali perché con 150 dollari al mese non si può vivere - racconta la donna, simpatizzante del partito di opposizione Force du Futur che lotta per il cambiamento democratico e l'equità sociale - Con i sindacati, finché non abbiamo capito che anche loro erano corrotti, organizzavamo scioperi, partecipavamo agli incontri col governo, col ministero della Sanità, le autorità mi conoscevamo perché ero sempre io a parlare in piazza. Nel gennaio 2009 organizzammo uno sciopero che ebbe una forte partecipazione, e la stessa notte arrivarono a casa mia tre militari, io vivevo con le mie nipoti di 13 e 17 anni, mi bendarono e mi caricarono a forza in macchina. Mi trovai in una cella, il capo aveva una pistola, la posò sul tavolo e mi disse: questo è un avvertimento, smettila, perché la prossima volta sarà peggio».
Mafuta viene costretta a firmare un documento in cui si impegna a non continuare più azioni di contrasto verso il governo. Naturalmente ricomincia. Manifestazioni, scioperi, proteste. «Una sera di aprile mi chiamò una conoscente e mi disse di non dormire a casa. I militari arrivarono e picchiarono le mie nipoti per sapere dov'ero nascosta. Dopo quattro mesi decisi di tornare. Ma tornarono anche loro: arrivarono di notte, mi strapparono i vestiti davanti alle ragazze, di nuovo la benda e mi buttarono in macchina. Il posto era lo stesso, cose terribili che non posso raccontare...».
Nella tragedia, una luce. «Il quarto giorno il gruppo di guardia cambiò, quello che doveva essere il capo mi vide e disse: tu cosa fai qui? Mi spiegò che un giorno, in ospedale, avevo salvato la vita a sua moglie che stava per morire. E che lui avrebbe salvato me. Dopo qualche ora torno, mi diede scarpe e vestiti e mi ritrovai all'aeroporto». Senza sapere dove l'avrebbero portata, Mafuta atterra a Roma e qui viene presa in carico dal Cir, il Consiglio italiano rifugiati che, come spiega Fiorella Rathaus, responsabile dei progetti di accoglienza per le vittime di tortura «segue 610 persone e si occupa di assistenza legale, medica e psicologica, alloggio, istruzione, lavoro, inserimento. Certo resta sempre un gap tra quanti chiedono lo status di rifugiati e lo ottengono, circa il40%  ma anche tra
quanti hanno subito queste terribili violenze e riescono ad essere curati.   
Guarire è    una parola grossa».
Adesso anche se «qui a volte sull'autobus la gente ti guarda come se fossi un mostro», lei che di mostri conosce quelli veri, pensa di voler restare in Italia, aspetta che la laurea presa in Congo venga convalidata, forse dovrà ripetere qualche esame e poi si specializzerà in anestesia e rianimazione. Mafuta vuole fare il medico, deve fare il medico.



Prato: la città vista dai figli degli immigrati, un concorso letterario dedicato alle seconde generazioni.

ImmigrazioneOggi, 25-06-2010
“La città vista e vissuta dai pratesi di seconda generazione”. È questo il concorso letterario per i giovani immigrati della città di Prato promosso da Provincia e Monash University. L’obiettivo del bando è far conoscere al pubblico i valori culturali di cui sono portatori i migranti e accrescere la consapevolezza delle potenzialità e delle ricchezze che possono derivare dallo scambio e dall’integrazione reciproca. Al concorso si può partecipare con un’opera letteraria, di narrativa o di saggistica oppure una poesia o una raccolta di poesie in lingua italiana. Il concorso è rivolto ai giovani (non oltre i 30 anni), che sono nati a Prato o che hanno frequentato a Prato il percorso scolastico. La famiglia di origine non deve essere, in tutto o in parte, di madrelingua italiana. Basta indicare il nome (o anche uno pseudonimo) e la mail. L’iniziativa verrà promossa sia nelle scuole, sia attraverso la collaborazione delle associazioni a cui le comunità straniere fanno riferimento. La Provincia penserà anche all’affissione di 500 manifesti che pubblicizzano il bando in tutto il territorio provinciale.
(Red.)


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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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