Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

17 giugno 2010

Quegli stranieri che tifano Azzurri
Corriere della Sera 17 giugno 2010
Con il Brasile, l’Italia è la squadra che raccoglie più simpatie neutrali
C’è chi, a Johannesburg, si ritrova trentasei bionde olandesi in minigonna; e chi, qui a Città del Capo, si becca due ore di pioggia e vento. Vita da stadio: bello comunque. I sudafricani si stanno divertendo e li capisco. Una nazione in movimento sa che questa è una tappa importante. Tutti dietro i bafana bafana, neri e bianchi, bandiere al vento e vuvuzela pronte. Li ho visti: è vero. La titanica Fifa (208 membri), che tutto vede e molto incassa, gongola. È l'organizzazione mondiale più autorevole ed efficiente. Se l'Onu (192 membri) fosse altrettanto rispettata, il mondo girerebbe meglio. Il calcio tiene insieme Israele e la Palestina, Cina e Taiwan: ci provi, la politica. Italia e Paraguay, Brasile e Corea del Nord, Giappone e Camerun: le combinazioni sembrano state decise da un bambino puntando il dito sul mappamondo. Ma funziona.
A Green Point Stadium osservavo i ragazzi vestiti d’azzurro correre alla fine di un continente. Credo non pensassero solo ai venti milioni d'italiani che li stavano guardando; ma anche a queste città che intravedono, agli avversari che sorridono e picchiano, alle luci identiche che illuminano la sere del pallone. Strano star lì tra altri tifosi dell'Italia che non parlavano italiano. Frotte di nipotine d'immigrati; e un gran numero di stranieri affascinati dalla squadra che— col Brasile— raccoglie più simpatie neutrali. Anch'io, con loro, ho suonato la vuvuzela: soffiare è un modo patriottico per riscaldarsi. Il mondo del calcio, invece, poco ci ama e meno ci considera. La mancanza di grandi nomi raffredda gli sponsor. L'assenza degli azzurri nei campionati d'altri Paesi ci inserisce nella categoria — quasi coloniale— dei pesi massimi: siamo importatori netti (come l'Inghilterra e la Germania), mentre i convocati delle cinque nazionali africane — con l'eccezione di quella di casa — giocano tutti all’estero, meno cinque. La vittoria imprevista del 2006 indispettisce i commentatori che— senza poterlo dire— pensano che quel titolo mondiale valga il titolo europeo della Grecia due anni prima: uno scherzo del destino e un miracolo della difesa, una pratica sportiva ontologicamente antipatica. Il business del calcio vive sui gol e chi li impedisce non collabora.
Ma è forse questo che cerchiamo (Lippi, di sicuro). La sensazione d'essere incompresi, soli e lontani, in questi stadi alla fine del mondo. Dietro la porta di Buffon, lunedì sera, c'era solo l'Antartide; di fronte a lui un continente immenso per cui il pallone è un'illusione di equità. Uguale per tutti, potrebbe riservare sorprese. Guardate correre i calciatori africani e capirete che è solo una questione di tempo. Quando i piedi obbediranno perfettamente ai muscoli, il calcio finirà come il basket. Uno sport dove l'Europa pallida— se continuerà a fare del suo pallore una strategia — sarà comprimaria. Ma c'è tempo. Intanto c'è un'intera nazione davanti a una birra e a un televisore, che sogna a colori e vuol dimenticare i suoi guai. In questo i sudafricani ci somigliamo. Forza Azzurri, avanti bafana bafana: abbiamo tutti bisogno di sorrisi e buone notizie.
L'inferno dei rifugiati, bimbi seviziati
la Repubblica 17 giugno 2010
ANDIJAN—Il 90% delle migliaia di rifugiati fuggiti da¬gli scontri nel sud del Kirghizistan sono bambini, don-ne e anziani. Lo denuncia l'Unicef. Alta la tensione do¬po i violenti scontri che hanno causato almeno 179 morti. Oltre alla devastazione delle città, la Croce Ros¬sana segnalato stupri e aggressioni nella località di Osh.


La voce dei rifugiati e di chi li accoglie
Sette - Corriere della Sera 17 giugno 2010
E.P.
Domenica è la giornata mondiale del rifugiato, che l'Unhcr celebrerà a Roma domani con "Home - un luogo sicuro da cui ricominciare", evento a cui parteciperanno, tra gli altri, gli scrittori Andrea Camilleri. Fabio Geda ed Enaiatollah Akbari. E sono le storie delle vittime delle guerre e delle crisi umanitarie che Laura Boldrini, portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i rifugiati, racconta nel suo primo libro, Tutti indietro (Rizzoli), i cui proventi verranno interamente destinati a borse di studio per ragazzi afgani arrivati in Italia senza genitori.
Qual è stato l'impulso che l'ha spinta a scrivere questo libro, dopo oltre 20 anni di lavoro alle Nazioni Unite?
«La scelta dell'Italia d'intraprendere la via dei respingimenti in mare. Senza pensare che su quelle barche ci sono uomini e donne che hanno diritto a chiedere asilo politico per poter ricominciare una nuova vita. E che invece vengono presentate solo come una minaccia alla sicurezza pubblica, quindi da rimandare indietro, senza distinzioni. Un paradosso, se si pensa che sono loro a sfuggire agli orrori delle guerre. Ma c'è dell'altro». Ovvero? «Ho voluto fare vedere quell'Italia contemporanea che senza accorgersene fa integrazione ogni giorno e considera spontaneamente immigrati e rifugiati come i nuovi italiani. E non finisce nei tg, perché oggi a suscitare interesse mediatico sono solo gli atteggiamenti di chiusura e discriminazione». Lei come spiega questi atteggiamenti? «Tanti sono accecati dalla paura. Lo sarei anche io se dovessi valutare il fenomeno dell'immigrazione da quello che dicono i politici o si vede in tv». C'è un modo per vincere la diffidenza? «La conoscenza diretta. Mio padre, conservatore e pieno di pregiudizi verso gli stranieri, è stato accudito in un periodo di convalescenza da Fatima. una signora marocchina. L'ha messa alla prova in tutti i modi ma ora è la persona di cui si fida di più».                               


Immigrati in Sicilia, quando vince l'integrazione

Avvenire 17 giugno 2010
Cuore del Mediterraneo, porta d'Europa, la Sicilia riveste da oltre 15 anni un ruolo strategico nell'esodo che sta spostando milioni di persone dall'Africa e dall'Asia. La demografia parla chiaro, a fronte di 600mila siciliani che mancano all'appello perché emigrati all'estero, oggi l'isola accoglie 120mila immigrati regolari che lavorano nei campi, nel commercio, nell'industria e nelle famiglie e sono ormai insostituibili.
Il punto sull'immigrazione in Sicilia è stato organizzato dalla Caritas italiana che ha voluto organizzare a Valderice, nel Trapanese, il forum nazionale Migramed, cui hanno aderito 100 delegati di 38 diocesi in rappresentanza delle 16 regioni ecclesiastiche italiane. Ieri la delegazione regionale della Caritas Siciliana, guidata dal direttore della Caritas diocesana di Trapani don Sergio Librizzi, ha focalizzato le tre grandi questioni aperte di quest'isola frontiera con il Sud del mondo, vale a dire gli sbarchi, i richiedenti asilo e la tratta. Perché le «carrette del mare» sono sparite da Lampedusa e dai teleschermi grazie ai respingimenti e all'accordo con i libici, ma gli sbarchi continuano, pur in tono minore, nel Ragusano e nel Siracusano. Tocca al vescovo di Trapani Francesco Micciché tracciare il quadro dell'azione pastorale della Chiesa siciliana, che ha dato vita a un coordinamento regionale migrazione con 14 diocesi sulle 18 presenti sull'isola. E ricordare che l'accoglienza e la relazione con l'altro "sono un dovere non solo del cristiano, ma della persona umana che voglia essere definita tale". Il vescovo ha ribadito in particolare la propria contrarietà ai respingimenti attuati dal governo italiano. "Serve altro, nell'opera che abbiamo attuato in questi anni ci siamo ispirati all'accoglienza, ma con il fine della promozione per giungere a un'autentica integrazione del migrante." E le statistiche pre¬miano questa vista lunga. Oggi in Sicilia per la prima volta le donne hanno superato gli uomini - 52,5% contro 47,5 -segno di un'integrazione sempre più diffusa. La presenza è spalmata su tutta la regione, la più grande d'Italia, e sono 24mila i minori stranieri pre¬senti nelle province siciliane, 5mila dei quali nati qui nel
2008. Punti di non ritorno. "A Mazara - spiega don Librizzi - siamo alla terza generazione. La Sicilia ha cambiato volto nel 2003, con le ondate di sbarchi e la sanatoria della Bossi-Fini, e nel 2008, quando con l'ingresso nell'Ue i romeni hanno superato i tunisini e oggi sono la prima etnia della regione". Lavorano in agricoltura, edilizia e le donne come badanti. Gli sbarchi ridotti hanno portato il numero di domande di richiedenti asilo a nemmeno 1800 a metà del 2010. "Ma la commissione per i rifugiati di Trapani, - sostiene il suo presidente Francesco Tortrici - che ha competenza anche per Enna e Agrigento, quindi per Lampedusa, nel 2008 e 2009 aveva accolto la metà delle domande, tra asilo e permessi umanitari". Quindi i passeggeri delle carrette avevano diritti reali. Pesa come un macigno la questione della sorte dei potenziali rifugiati africani imprigionati sul suolo libico, sfruttati e imprigionati quando non portati a morire in mezzo al deserto nell'indifferenza generale. Il tema verrà sollevato stamane, alla presenza dell'arcivescovo di Palermo Romeo e dal vescovo di Mazara Mogavero, dagli e-sponenti delle Caritas nordafricane e mediorientali. Quanto alla tratta, quel che resta degli sbarchi porta soprattutto donne destinate alla prostituzione indoor. Lo dimostra la recente ricerca sul campo del consorzio di cooperative sociali messinese Ecosmed. Prostituzione diversa dalle altre regioni, caratterizzata dal pendolarismo ed esercitata al chiuso, lontano dalle associazioni di soccorso. Anche qui vincono numericamente le romene, che stanno soppiantando le nigeriane.



In Sudafrica Centri di accoglienza per tifosi musulmani

La Stampa 17 giugno 2010
Saranno almeno 130 mila i mu¬sulmani che arriveranno in Sudafri¬ca per assistere alle partite dei Mon¬diali, ai quali partecipano numerose nazioni con popolazione ampia¬mente islamica, come la Nigeria, l'Algeria, il Ghana e la Costa d'Avo¬rio. La comunità musulmana suda¬fricana ha attrezzato un centro di accoglienza, punti di informazione e locali per la preghiera vicino agli stadi. A Città del Capo i musulmani locali accoglieranno i loro correligiosi algerini, che si preparano al match con l'Inghilterra. «Pensiamo che la Coppa del Mondo sia casa nostra - dice Fatima Allie, una degli organizzatori -. Per questo vogliamo mostrare la nostra ospitalità e far vedere al mondo che siamo una comunità tranquilla e pacifica, e che le storie di violenza e crimine sono esagerate». A pochi minuti di strada dallo stadio di Città del Ca¬po si trova il quartiere di Bo Kaap, uno dei più antichi della metropoli. In cima a una collina, il quartiere è da sempre associato con la comuni¬tà islamica. Nel museo locale è sta-ta aperta una mostra sulla storia dell'Islam in Sudafrica, con notizie pratiche sui posti dove mangiare e pregare rispettando i precetti del Corano. Iniziative simili sono state prese nelle principali città. «Abbia¬mo preso tutto in considerazione -spiega Gasant Emeran, insegnante in pensione e consulente del mu-seo - anche un eventuale funerale».

CENTOMILA PROFUGHI KIRGHISI E ADESSO È EMERGENZA UMANITARIA

Corriere della Sera 17 giugno 2010
Il governo del Kirghizistan sostiene di essere riuscito a ristabilire l’ordine nelle città del sud dove gli scontri interetnici hanno provocato negli ultimi giorni centinaia di morti. E quindi afferma di non avere più bisogno di un intervento delle forze di pace internazionali richieste a Mosca in precedenza.
Ci sono però molti dubbi sullo stato reale delle cose, viste le notizie che arrivano da Osh, la città dove i kirghisi si sono scatenati nella caccia all’uomo contro la minoranza uzbeka. Anche le truppe arrivate dalla capitale sono accusate di furti e omicidi dagli uzbeki in fuga. Inoltre sta emergendo con sempre maggiore chiarezza il ruolo che personaggi legati al traffico della droga potrebbero aver giocato nella vicenda. Secondo fonti governative alle quali anche le Nazioni Unite sembrano dare credito, gli scontri fra le due etnie potrebbero essere stati innescati da gruppi di professionisti armati emascherati. Tutto questo a meno di una settimana dall’uccisione di uno dei signori della droga, Aibek Mirsidikov, che sarebbe legato al clan del deposto presidente Kurmanbek Bakiyev. Sembra quindi in corso una guerra per il controllo della via della droga che dall’Afghanistan arriva in Kirghizistan attraverso il Tagikistan. A fine mese si dovrebbe tenere inoltre un referendum costituzionale e il governo afferma che i disordini sono stati organizzati per destabilizzare il Paese in vista dell’importante scadenza. Così le due questioni aperte, droga e referendum, fanno temere che la tregua di queste ultime ore possa essere del tutto temporanea.
La Russia, questa volta con il tacito consenso degli Stati Uniti, si dice comunque pronta a guidare una forza di pace. Ma intanto quello che la comunità internazionale deve affrontare è l’emergenza umanitaria. Centomila profughi si trovano in condizioni precarie al di la della frontiera uzbeka emolti altri sono accampati in territorio kirghiso. I pochi uzbeki rimasti a Osh e sopravvissuti al pogrom rischiano ora di morire di fame.
Reato di clandestinità colpisce i poveri
Mons. Vegliò a messa Sant'Egidio per giornata dei rifugiati
Virgilio, 17-06-2010
Città del Vaticano, (Apcom) - Il presidente del pontificio Consiglio per la Pastorale dei migranti e degli itineranti, monsignor Antonio Maria Vegliò, critica l'introduzione del reato di clandestinità, sottolineando che la norma colpisce gli immigrati che aspirano a "sfamarsi delle briciole che cadono dalla mensa eccessivamente imbandita dei padroni del mondo".
"Dobbiamo dire con tristezza, purtroppo, che anche nella società che si affaccia al terzo millennio esistono enormi disparità: milioni di persone, nei Paesi in via di sviluppo, ripetono la storia evangelica del povero Lazzaro, aspirando a sfamarsi delle briciole che cadono dalla mensa eccessivamente imbandita dei padroni del mondo. Anzi, non capita raramente che incorrano nel 'reato di clandestinità' se per caso riescono ad entrare nella casa del ricco senza essere stati invitati", afferma il presule nell'omelia della veglia di preghiera per la giornata mondiale dei rifugiati organizzata dalla comunità di Sant'Egidio a Santa Maria in Trastevere.
"Qui subentra il discorso dell'immigrazione irregolare, che ha mietuto tante vittime - e ancora continua a colpire - tra coloro che sono annegati tentando di attraversare il mare su improvvisate carrette, o sono morti di stenti affrontando il deserto senza opportune precauzioni, o hanno perso la vita stritolati dalle ruote degli automezzi nei quali hanno cercato un nascondiglio per passare la frontiera", dice ancora Vegliò. "Qui, poi, metto il dito nella piaga, affrontando un discorso tanto più scottante nei casi in cui questa immigrazione si trasforma in traffico e sfruttamento quasi schiavistico di 'carne umana'".



Sos: barcone di immigrati chiede aiuto con telefono satellitare

PALERMO - Un barcone con alcune decine di immigrati a bordo in navigazione nel Canale di Sicilia, ha lanciato un Sos con un telefono satellitare.
La segnalazione è stata effettuata dai parenti degli migrati, che stavano a bordo dell'imbarcazione, residenti in Italia, che a loro volta hanno ricevuto telefonate con richiesta di soccorso.
La guardia costiera di Lampedusa, ieri sera ha inviato una motovedetta e un elicottero per perlustrare un'ampia zona di mare.
Il numero del satellite è lo stesso utilizzato lo scorso 6 giugno, quando un sos di speranza partì dal porto di Zuwara, ai confini con la Tunisia, il barcone, però, fu intercettato da una motovedetta libica e riportato indietro.



Immigrati sempre più "italiani" per titolo di studio e lavoro nero

Indagine Censis sui 5 milioni di stranieri nel nostro Paese: il 77% ha un posto regolare. Prevale il tempo indeterminato, i settori privilegiati sono la ristorazione, l'edilizia e l'assistenza domiciliare. Un terzo non arriva a 800 euro al mese
la Repubblica.it, 17-06-2010
ROMA - I numeri degli immigrati in Italia ricalcano quelli del resto della popolazione. Un dato in chiaroscuro, visto che nella popolazione straniera, a parità di preparazione, si replicano anomalie nostrane, come quella del lavoro nero. Lo rivela un'indagine svolta da Censis, Ismu e Iprs per il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, secondo la quale il 77% degli immigrati maggiorenni ha un lavoro regolare, più di due terzi sono impiegati nel settore terziario, nell'ambito dei servizi (40,7%) e del commercio (22,5%). L'indagine, basata su un campione di circa 16 mila persone, evidenzia anche come, a fronte di un grado di scolarizzazione molto simile a quello della popolazione italiana, gli stranieri trovino grandi difficoltà nell'entrare nel mondo del lavoro intellettuale. E il 32% degli intervistati ammette di aver lavorato in nero. Nonostante simili barriere, la comunità degli stranieri in Italia è cresciuta del 47,2% negli ultimi quattro anni: oggi sfiora i 5 milioni.
Lavoro intellettuale il meno diffuso. I mestieri più ricorrenti sono: addetto alla ristorazione e alle attività alberghiere (16%), assistente domiciliare (10%, il 19% considerando solo le donne), operaio generico nei servizi (9%), nell'industria (8,3%, ma 11,5% tra gli uomini) e nell'edilizia (8%, ma 15,3% tra gli uomini). Le figure meno diffuse sono quelle più qualificate: le professioni intellettuali (2,4%), gli operai specializzati (2,2%), i medici e paramedici (1,7%), i titolari di impresa (0,5%)
e i tecnici specializzati (0,2%).
Prevale il tempo indeterminato. Dal punto di vista della condizione lavorativa, prevalgono gli occupati a tempo indeterminato (sono il 49,2% del totale), il 24,8% ha un impiego a tempo determinato, il 9,7% svolge un lavoro autonomo o ha un'attività imprenditoriale. La metà degli immigrati che lavorano in Italia dichiara di percepire una retribuzione netta mensile compresa tra 800 e 1.200 euro, il 28% ha un salario inferiore, compreso tra 500 e 800 euro, il 3% guadagna meno di 500 euro. Solo il 13,3% ha una retribuzione netta mensile che va da 1.200 a 1.500 euro, e appena l'1,2% guadagna più di 2.000 euro.
Immigrati, popolazione in aumento. Gli immigrati in Italia sono poco meno di 5 milioni, un numero aumentato negli ultimi quattro anni di quasi 1,6 milioni (+47,2%), con un forte incremento sia dei residenti (+56,5%), sia dei regolari che non risultano ancora iscritti in anagrafe (+48,7%). Gli irregolari sono invece 560 mila, pari all'11,3% degli stranieri presenti sul nostro territorio. Vivono nel nostro paese in media da 7 anni, hanno titoli di studio paragonabili a quelli della popolazione italiana (il 40,6% è diplomato o laureato, rispetto al 44,9% degli italiani), nel 32% dei casi hanno sperimentato in passato forme di lavoro irregolare (dato che sale al 40% al sud).



Italiano, permesso, soggiorno, stranieri di Fiorella Farinelli
Il business e il busillis del permesso a punti

Sbilanciamoci.info, 16/06/2010
Mentre alcune scuole private partono a caccia dei nuovi allievi di italiano "lingua 2", lo stato non fa niente per permettere agli stranieri di conquistarsi i preziosi punti
Proposte indecenti. Qualche giorno fa un’associazione di volontariato si è vista recapitare la cortese lettera di una scuola privata che informa che dal prossimo anno attiverà corsi di italiano lingua 2 per stranieri. Pubblicità? Non proprio. La scuola chiede all’associazione, che è impegnata nel sostegno ai migranti, di procurarle degli allievi: e per ogni iscritto procurato promette un utile, pari al 20% della tariffa di iscrizione. C’è dunque chi si sta organizzando per poter trarre dei vantaggi dall’”accordo di integrazione”che, dal prossimo gennaio, dovrà essere stipulato da ogni migrante che chieda per la prima volta il permesso di soggiorno. E a farlo, c’è da scommetterci, non sarà solo qualche scuola privata. Di varchi per apprestare business di varia natura ce ne sono in effetti parecchi in quel “permesso a punti” che impicca la conferma del permesso di soggiorno alla dimostrazione, entro due anni, di conoscere la nostra Costituzione e di aver superato una prova formale di apprendimento della lingua italiana. Il patto che si richiede – patto pesante perché ne va della possibilità di restare in Italia - è di quelli che un tempo si chiamavano leonini. Da un lato uno stato che impone degli obblighi e ne elenca puntigliosamente tipi e scadenze , ma che da parte sua invece non si obbliga affatto a renderne davvero possibile l’adempimento. Dall’altro il singolo migrante – tutti, dai 16 ai 65 anni – che , in assenza di precisi impegni dello stato, non potrà neppure contestarne il non adempimento e basare su questo la giustificazione di un eventuale non raggiungimento entro i tempi prescritti di ciò che ha sottoscritto. Nel testo del Regolamento varato recentemente dal consiglio dei ministri ( che attende, per diventare attuativo, il parere della Conferenza stato-regioni e di altri organi ) non sta scritto nero su bianco, e neppure in grigio, che verrà assicurata un’offerta formativa pari alla domanda, accessibile per localizzazione e per tempi di funzionamento, e magari anche gratuita. C’è solo il riferimento a possibili iniziative “nei limiti delle risorse finanziarie disponibili a legislazione vigente” in raccordo con le regioni e gli enti locali. Che non è detto abbiano risorse economiche e organizzative sufficienti, o che vogliano usarle per questo, o che non abbiano motivi di contrarietà. Nel merito, e per il fatto di vedersi continuamente scaricare addosso oneri e responsabilità mentre gli vengono tagliate a tutto spiano le risorse per i servizi sociali locali.
Il solo obbligo che lo stato si assume in proprio riguarda la cosiddetta formazione civica, con una scelta di modi e tempi che obbedisce più alla pulsione muscolare per cui nei migranti devono essere inculcati immediatamente il rispetto e l’obbedienza che a una sensata e generosa interpretazione di un’educazione alla cittadinanza che deve misurarsi con tanti fattori avversi: innanzitutto il diniego a riconoscere come cittadini perfino i figli nati qui da genitori stranieri. A gestirla saranno soggetti impropri, gli sportelli unici per l’immigrazione inopinatamente trasformati in agenzie formative; i cosidetti corsi saranno da un minimo di 5 a un massimo di 10 ore; i tempi, entro un mese dalla data del permesso di soggiorno, quindi quando è presumibile che le competenze linguistiche siano ancora minime, e dunque massime le difficoltà di comunicazione su argomenti tutt’altro che banali, la Costituzione, il sistema fiscale, l’istruzione, la sanità. E inoltre chi e con quali criteri valuterà se il risultato di questa “formazione” sarà stato sufficiente, o buono, o ottimo, e dunque se , secondo il prontuario governativo, varrà 6 punti piuttosto che 9 o 12? Non occorre essere malpensanti per prevedere che, se ne deriverà un qualche apprendimento , riguarderà sopratutto quel tratto caratterizzante della nostra “vita civile” che consiste nella immancabile distanza tra norme e fatti, nell’impatto diretto con la cultura sociale dell’ arrangiarsi, nell’obbligo di conoscere e magari dare soldi a chi può e ha l’interesse di procurare una soluzione. Tutti apprendimenti, peraltro, che costituiscono il bagaglio d’ingresso dei tanti migranti alle prese con i decreti sui flussi, le ipocrisie della regolarizzazione, la pesantezza dei nostri apparati burocratici.
Ma è soprattutto sulla conoscenza certificata dell’italiano che la genericità di impegni appare intenzionalmente colpevole, e foriera di affari più o meno legali sulle spalle dei migranti. Quanti saranno quelli che, nei due anni sempre complicati del primo inserimento, con lavori e residenze lontane dai contesti urbani, gli orari difficili delle badanti, della stagionalità in agricoltura, del facchinaggio e quant’altro, non avranno tempo, mezzi di trasporto, testa e concentrazione per frequentare regolarmente i corsi disponibili e per sostenere le prove di italiano A1, A2, B1 del framework europeo: che valgono 10, 14, 20, 24, 28 punti dei 30 che bisogna accumulare nel biennio? In un paese dove possono essere venduti e comprati diplomi, lauree, specializzazioni e perfino contratti di lavoro è improbabile che possano mancare i venditori di qualcosa che può valere molto di più. E quindi anche i compratori. E, come sempre, gli intermediari.
Il regolamento, tuttavia, fa riferimento anche alle scuole pubbliche per adulti che, con le scuole del privato sociale sono state finora la più importante opportunità di corsi gratuiti di italiano (circa 150.000 iscritti l’ anno), anche perché con le loro 500 sedi sono molto diffuse nel territorio e molto più visibili e accessibili di altre agenzie formative. Peccato che dal prossimo anno, in base a un regolamento anch’esso in via di attuazione , queste scuole potranno attivare solo corsi finalizzati al conseguimento di titoli di studio formali – dalla licenza elementare e media ai diplomi – e non dovranno accettare iscritti già in possesso di quei titoli. Mentre sono tantissimi, tra gli stranieri, probabilmente più di un terzo, quelli che hanno diplomi e lauree, sebbene raramente riconosciuti ai fini lavorativi. Strada sbarrata, dunque (ma Gelmini l’ha spiegato a Maroni?) , per quei 4, 5, 10 punti previsti dal prontuario approvato dal consiglio dei ministri. A meno che qualcuno, magari nell’opposizione, finalmente se ne accorga e riesca a riaprire i tavoli del negoziato. Già oggi, comunque, a regolamento non ancora attuato, in molte scuole pubbliche per adulti stanno diminuendo le iscrizioni degli stranieri ai corsi brevi di italiano lingua 2 che in più casi negli ultimi anni si sono conclusi con prove e certificazioni formali dello stesso tipo richiesto dal permesso a punti. Nella scuola si sa che, causa tagli, non verrà assegnato l’organico necessario, e d’altra parte non sono più i tempi in cui si sapevano costruire dal basso le alleanze che servono. Quanto alle scuole del privato sociale, che pure in parecchie grandi città intercettano parti consistenti della domanda e a cui non mancano gli insegnanti volontari, non dispongono però né di tutti gli spazi che occorrerebbero per attivare le aule, né delle risorse necessarie a sostenere i costi delle certificazioni formali (fino a 40 euro a testa) richiesti dalle università per stranieri di Siena e Perugia che predispongono i testi delle prove secondo il framework europeo, fanno la correzione e la valutazione, rilasciano i titoli. Senza contare che l’italiano lingua 2 per il permesso a punti, per quanto decisivo, non potrà diventare la priorità unica e assoluta. Sono tantissimi gli immigrati stranieri da tempo in Italia – quindi non interessati dal nuovo dispositivo del permesso a punti - che hanno anche loro bisogno di migliorare le loro competenze linguistiche e che non possono essere ricacciati nelle scuole private a pagamento. Nessuno sa, del resto, quanti saranno i migranti che ricadranno nella nuova normativa. Non ci sono previsioni né simulazioni nel regolamento sull’accordo di integrazione, altra prova lampante dell’approssimazione e della miseria politica del nuovo dispositivo.
Ma non basta. Mentre, sul versante politico, non si va al momento oltre il gioco delle dichiarazioni contrapposte tra un centrosinistra che, quando se ne ricorda, stigmatizza come unicamente vessatorio il permesso a punti e un centrodestra che – parole di Sacconi e Maroni – gli attribuisce il significato di una svolta decisiva, e di alta qualità morale, nelle politiche per l’immigrazione, pochi sembrano attenti a quanto disposto nel comma 7, articolo 2 del regolamento. “Non si fa luogo alla stipula dell’accordo e, se stipulato, questo si intende risolto, qualora lo straniero sia affetto da patologie e o da disabilità tali da limitarne gravemente l’autosufficienza o da determinare gravi difficoltà di apprendimento linguistico e culturale”. Fuori i malati, dunque, i disabili, e quelli che hanno problemi di apprendimento. Chi discriminerà tra i sommersi e i salvati ? Chi attesterà, e in base a quali criteri, l’impossibilità di imparare? Quanto manca ai tempi peggiori di Ellis Island? E’ anche così che va in pezzi la civiltà di un paese.



Tolto sostegno a bimbo down a Pordenone

Denuncia Pd, colpa della nuova normativa regionale sul welfare
ANSA, 16-06-2010
TRIESTE,- A un bambino down e' stata tolta l'assistenza, in quanto figlio di una famiglia immigrata residente in FVG da meno di tre anni.
La vicenda, raccontata dalla madre del bambino, approdera' in Consiglio regionale con un'interrogazione del consigliere Paolo Pupulin (Pd), che accusa il presidente della Regione, Renzo Tondo (Pdl), di ''comportamento ignavo''. Al bimbo e' stata negata l'assistenza in base alle norme sull'accesso al welfare approvate nell'ultima legge Finanziaria regionale, definita incostituzionale dalla Consulta. (ANSA).






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Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
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