Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

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                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

05 ottobre 2011

INCHIESTA Gli immigrati? Sono un business Per l'Italia è un salasso: ci costano un miliardo
il Giornale, 05-10-2011
Stefano Filippi
Ora Lampedusa è deserta. Ma l'Italia è stata costretta ad aumentare le tasse sulla benzina per aiutare 22.268 stranieri. Ai Comuni coinvoltila Protezione Civile versa 46 euro per ogni ospite. Il nostro Paese ha dovuto sopportare da solo l’enorme peso dell’emergenza dopo lo scoppio delle rivolte nelle nazioni islamiche mediterranee
Lampedusa è deserta, svuotata. Spariti i turisti, che quest’estate comunque non erano accorsi in massa. Niente più clandestini sbarcati dalle carrette del mare, smistati sul continente dopo aver incendiato il centro di raccolta a colpi di molotov artigianali, fabbricate con gli aiuti alimentari ricevuti dalla Protezione civile: bottigliette di plastica vuotate dall’acqua e riempite di zucchero e olio d’oliva, inneschi infiammabili. Con loro, si è anche dissolta gran parte della truppa di accompagnamento. Giornalisti, fotografi, volontari e funzionari della Protezione civile, personale delle Onlus, forze di polizia. In mancanza dei vacanzieri, sono stati loro a riempire ristoranti e stanze d’albergo lampedusani.
IL BILANCIO
È tempo di bilanci per l’isola. E un dato giganteggia su tutto: gli sbarchi dal Nordafrica sono costati circa un miliardo di euro all’Italia, che ha sopportato da sola l’enorme peso dell’emergenza dopo lo scoppio delle rivolte nelle nazioni islamiche mediterranee. È un’operazione umanitaria di dimensioni difficilmente immaginabili. I numeri non esauriscono la complessità degli interventi, le responsabilità assunte dal governo centrale e dagli enti locali, l’immane sforzo organizzativo sostenuto dal Paese per dare a decine di migliaia di disperati cibo, vestiti, farmaci, un tetto. Per non lasciare i profughi in mare, come fanno Malta e Grecia. Per non cannoneggiare i barconi, come fa la Spagna.
QUANTI SONO
Secondo fonti del governo, dal 1° gennaio al 20 settembre sono sbarcate a Lampedusa 58.274 persone: una media di 1.500 ogni settimana. Il 20 settembre scorso, vigilia della drammatica insurrezione incendiaria, sull’isola erano presenti 1.219 migranti mentre altri 1.681 erano ospitati nel centro di accoglienza di Mineo (Catania) che un tempo alloggiava le famiglie dei militari americani di stanza alla base aerea di Sigonella e oggi è diventato l’imbuto che convoglia i richiedenti asilo.
Dopo la sommossa, la situazione è drasticamente mutata. Nella settimana degli scontri sono sbarcati soltanto 365 fuggiaschi immediatamente trasferiti assieme alla quasi totalità dei rivoltosi: al 27 settembre a Lampedusa si contavano soltanto 40 irregolari mentre gli sbarchi totali ammontano a 58.639 persone.
CHE ASSISTENZA RICEVONO
Ufficialmente, meno del 40 per cento di questa massa di profughi è rimasta in Italia. La Protezione civile, infatti, al 19 settembre assisteva direttamente 22.268 migranti (il Viminale ne aveva previsti 25mila): degli altri non si sa nulla. Una quota consistente ha sicuramente proseguito la fuga verso la Francia, la Germania e altri Paesi europei, ma un numero imprecisato non ha varcato i nostri confini. Irreperibili, clandestini.
In attesa del rimpatrio, i quasi 22.500 sono stati ripartiti sul territorio nazionale in proporzione al numero di abitanti di ogni regione (tranne l’Abruzzo terremotato). Sono soprattutto maschi adulti di nazionalità tunisina. Essi vengono ospitati dalle regioni, in coordinamento con Protezione civile, province e comuni, in strutture comunitarie pubbliche o private, soprattutto alberghi e vecchi edifici non più destinati a colonia estiva o casa di riposo.
I COSTI DELL’EMERGENZA
Per ognuno dei migranti assistiti, ai sindaci dei comuni ospitanti la Protezione civile versa 46 euro al giorno per vitto, alloggio e prima assistenza sanitaria. La retta raddoppia per i minorenni (3.500 ingressi dal 1° gennaio): può raggiungere anche i 120 euro quotidiani perché vanno affidati a strutture speciali. E siccome in Italia non ci sono posti a sufficienza in questi centri per minori, il ministero del Welfare come soggetto attuatore ha dovuto aprire una serie di comunità temporanee di prima accoglienza dotandosi di immobili, educatori, medici, psicologi, interpreti, mediatori culturali.
Ma questa non è che una parte delle spese sostenute dal nostro bilancio pubblico. Vanno aggiunte quelle per l’ordine pubblico, i voli di rimpatrio, gli agenti di scorta, le spese legali: ogni pratica costa allo stato circa 650 euro. E ancora le spese sanitarie delle Asl, il lavoro della Croce rossa, le centinaia di militari inviati nell’isola.
Tutti impegni ai quali governo ed enti locali non si sono sottratti. Davanti a questo epocale dramma umano, in questi mesi di crisi finanziaria generale, l’Italia ha messo in campo energie sconosciute e preziose: dagli agenti di polizia alla Protezione civile fino al personale delle Aziende sanitarie, che non hanno lesinato in vaccini, profilassi di malattie infettive e ogni altro tipo di cura, indipendentemente dal possesso del permesso temporaneo di soggiorno. Interventi che gravano pesantemente sui conti dello stato senza che dai partner internazionali sia arrivato qualcosa in più che una pacca sulle spalle. L’esecutivo calcola che l’emergenza nordafricana costerà alle casse pubbliche un miliardo di euro. Finanziato, all’italiana, con l’aumento delle accise sulla benzina.



Gli immigrati? Un business Ci sono già costati un miliardo
il Giornale, 05-10-2011
Stefano Filippi

Inizia oggi il viaggio dei Giornale tra le pieghe e gli scandali dei caos immigrazione a Lampedusa. Un viaggio a puntate per ricostruire che cosa c'è dietro gli sbarchi e l'accoglienza. L'emergenza immigrati che per mesi ha tenuto banco sulle prime pagine dei giornali e ha occupato i palinsesti televisivi. Solo nel 2011 sono sbarcati sull'isola siciliana 58.639 profughi, dei quali oltre 22mila sono stati assistiti dallo Stato italiano. Un'operazione umanitaria che è costata alle casse nazionali oltre un miliardo di euro. Non solo i 46 euro versati dalla Protezione civile per vitto, alloggio e prima assistenza di ogni immigrato. A questo vanno aggiunte le rette di 120 euro per ogni minorenne e le spese di ordine pubblico, educatori, psicologi; avvocati; militari. Un gigantesco esborso finanziato in gran parte con l'aumento delle accise sulla benzina. E senza che dall'Europa sia arrivato il benché minimo aiuto finanziario.



Lampedusa, a novembre delegazione Ue
Visiterà l'isola, Agrigento, Porto Empedocle e Palermo
Il Consiglio d’Europa "bacchetta" governo sui migranti
Francesco Parrella
Corriere del Mezzogiorno, 04-10-2011
AGRIGENTO – «L’inarrestabile flusso migratorio che dal Nord d’Africa attraversa il Mediterraneo» - dice Salvatore Iacolino vicepresidente della Commissione per le libertà civili a Strasburgo - , «richiede una valutazione approfondita del Parlamento Europeo che – fa sapere l’ europarlamentare del Pdl - con una propria delegazione si recherà a Lampedusa, Agrigento, Porto Empedocle e Palermo dal 24 al 28 novembre». «Ho chiesto ed ottenuto - aggiunge Iacolino – l’invio di questa delegazione della quale farò parte per attestare alla popolazione di Lampedusa ed alla Sicilia, la solidarietà concreta delle istituzioni europee» «Ascoltando i reali bisogni di chi ha accolto con infinita generosità migranti e profughi approdati in Europa – prosegue - potremmo dare una svolta alla strategia Ue in materia di cooperazione con i Paesi Terzi e alla conseguente Politica di vicinato, definendo accordi quadro in linea con la tutela dei diritti fondamentali dei migranti e le effettive esigenze del mercato del lavoro negli Stati Membri». «La delegazione conclude il parlamentare potrà, altresì, rendersi conto della natura cogente dell’impegno assunto dal presidente Barroso a Palermo il 6 maggio 2011 al riguardo della misure compensative che prontamente occorre completare per ristorare il danno subito dalla Sicilia prioritariamente ai comparti del turismo e della pesca».
INTANTO L’UE «BACCHETTA» IL GOVERNO – Il Consiglio d’Europa «bacchetta» il governo sulla gestione e le misure approntate dall’ Italia per far fronte all’emergenza immigrati provenienti dalla vicina Africa occidentale, e approdati sull’isola di Lampedusa. A finire nel mirino di Strasburgo sono i Cie, che nel rapporto dell’assemblea parlamentare pubblicato lunedì vengono definiti «non adatti ad accogliere immigrati irregolari»; né possono «trasformarsi in centri di detenzione», ha sottolineato il presidente del sottocomitato, l’inglese Christopher Chope. In merito agli scontri sull’isola lo scorso 20 febbraio dopo l’incendio del Cie di via Imbriacola, per l’Ue i fatti verificatisi «non devono stupire»: «probabilmente – tra i migranti, ndr - ha giocato un ruolo anche l’incertezza sul periodo di detenzione», si legge nel rapporto. l’Ue chiede all’Italia inoltre di chiarire il quadro legale che sottostà alla detenzione degli immigrati, e di adottare subito misure specifiche, di cui rendere conto a Strasburgo ogni sei mesi.
LAMPEDUSA «PORTO NON SICURO» - Non mancano critiche alla scelta del governo di dichiarare Lampedusa «porto non sicuro». «Finché il porto di Lampedusa sarà considerato come un porto “non sicuro”, le traversate saranno più lunghe, più pericolose e le operazioni di salvataggio dei guardacoste saranno rallentate dalle maggiori distanze da percorrere partendo dalla Sicilia. Per salvare delle vite, è urgente che Lampedusa possa essere di nuovo in grado di accogliere gli arrivi», il commento di Chope. Anche l’Alto commissariato dell’Onu per i Rifugiati e Save the Children esprimono preoccupazione. Per la sottocommissione dell’ assemblea di Strasburgo inoltre «le autorità dovrebbero riflettere sull’ opportunità di aiutare anche finanziariamente gli abitanti dell’isola cosi come hanno chiesto. Il governo infine è stato invitato ad astenersi dal concludere accordi con Paesi che non sono sicuri e dove i diritti umani fondamentali delle persone non sono rispettati».
RIMPATRI - I 100 migranti che si trovano ancora a bordo della nave Moby Vincent, ormeggiata nel porto di Porto Empedocle, saranno trasferiti a bordo di due pullman nell’aeroporto di Palermo e poi saranno rimpatriati. Sono previsti due ponti aerei: uno nella mattinata, l’altro nel pomeriggio. La nave della compagnia dell’ armatore napoletano Vincenzo Onorato, dopo essere rimasta ormeggiata per quattro giorni nel porto di Palermo, è salpata ieri pomeriggio dal capoluogo siciliano per dirigersi verso Porto Empedocle, dove è arrivata stamattina.

 

Che fine fanno gli immigrati?
Città Nuova , 05-10-2011
Emanuela Megli
A sette chilometri dal capoluogo pugliese, 1500 richiedenti asilo vivono tra l’indifferenza e il silenzio dei media
Qualche giorno fa, con alcuni amici, ho incontrato diversi giovani immigrati a Bari, residenti nel campo del centro di accoglienza CARA, nei pressi di Palese, a pochi chilometri dal centro urbano. Belle facce, sguardi puliti, occhi sinceri. All’inizio spaventati quanto noi dal nostro incontro. Loro intimoriti dall’eventuale ritorsione sulla loro condizione di quanto ci avrebbero raccontato, noi per il bombardamento mediatico negativo che suscita inevitabilmente pregiudizi e cattivi stereotipi nei loro riguardi. Ci siamo chiesti se forse non diventino violenti quando si negano loro il rispetto dei diritti umani e la dignità che meritano come persone.
Un uomo di 35 anni del Bangladesh, immigrato in Libia per povertà ed arrivato a Bari da cinque mesi, è in attesa di sapere se accetteranno la sua richiesta di asilo politico. Altri africani del Ghana, dicono solo che hanno paura di parlare e hanno con sé una borsa della spesa a rotelle con la quale ci spiegano, stanno andando a cercare roba da mangiare e vestiti nei bidoni della spazzatura. Parlano bene l’inglese. A loro, poco dopo, si aggiungono un iraniano con tre amici e un ragazzo della Costa D’Avorio. Questi si fidano di noi e si aprono di più, descrivendoci la vita nel campo. «Un posto orribile - dicono - sporco, con servizi igienici mal funzionanti, cibo scarso e di cattivo gusto. Il paracetamolo è l’unica medicina per ogni malattia». Altri immigrati africani affermano di avere abiti insufficienti : una maglietta, un paio di pantaloni e un paio di scarpe che devono bastare per sei mesi. A detta di tutti loro, ricevono solo una piccola confezione di shampoo per sei mesi, che puntualmente in un mese al massimo è già finito. Non hanno abiti per l’inverno. Qualcuno ci mostra che ha due paia di pantaloni addosso, per paura del freddo.
In questo momento sono liberi di entrare e uscire dal centro. Terminati i sei mesi di ospitalità previsti dalla legge, se non otterranno il permesso di soggiorno, hanno 15 giorni di tempo per cercare un avvocato e farsi difendere in un eventuale ricorso. Ma nessuno ha i soldi per farlo. Trascorse queste due settimane hanno ancora tre mesi per trovare un lavoro e una casa dove dormire perché non possono più restare nel centro di accoglienza. Anche se di fatto molti vi ritornano perché non riescono a sopravvivere da soli. C’è chi risiede nel centro da un anno, ma c'è chi vi abita anche da tre.
Domandano «come si fa a vivere senza cibo, senza un posto dove dormire, senza soldi e senza lavoro?». E aggiungono che in queste condizioni è facile accettare le proposte dalla criminalità del posto. Chiediamo se le organizzazioni di volontariato vanno a visitarli nel campo, per rispondere alle loro necessità. E qui cominciano le discordanze: gli immigrati asseriscono con determinazione che a nessuno è consentito entrare, se non alla polizia e ai militari. L'assessore Fabio e altre associazioni invece smentiscono seccamente e testimoniano una loro presenza. Agli organi di stampa il decreto Maroni continua a negare l'accesso al campo, al punto che qualche mese fa, in occasione dei disordini civili causati dalla loro protesta, i giornalisti hanno manifestato proprio davanti ai cancelli del centro Cara. Quello che stupisce maggiormente, è che a soli sette chilometri dalla città di Bari, ci siano delle persone, con pari dignità della nostra e con diritti disattesi, abbandonati ad un destino sconosciuto, lasciati soli dalle istituzioni e dai civili, senza risposte, senza misure e soluzioni.
Ci raccontano poi che coloro che non ricevono il permesso di soggiorno, cercano di raggiungere il nord Europa nella speranza di rifarsi una vita, ma il più delle volte vengono arrestati come clandestini e quindi rimpatriati. Perché non aiutare questa gente sofferente a ricominciare a vivere? «Mancano le risorse economiche», hanno spesso risposto le istituzioni. Perché allora, non creare un sistema che metta in rete le associazioni di volontariato, le cooperative sociali e tutti gli organismi sociali ed economici che vogliono lavorare per questo scopo? Guardandoli allontanarsi penso che tra queste persone, ci sarei potuta essere anch’io, e che invece, per uno strano scherzo del destino non sono in queste difficoltà. Credo anche che quello che sono oggi costruisce e prepara quello che l’umanità sarà domani.



Spariti cento bimbi africani presa la gang dei trafficanti
Le ipotesi: adozioni illegali e pedofilia, 9 in carcere e 27 indagati
di PAOLA VUOLO
Cento bambini africani spariti nel nulla, probabilmente adottati illegalmente: piccoli dai 2 ai 6 anni finiti nelle mani di un'organizzazióne che gestiva una rete di immigrazione clandestina che in un anno ha incassato 2 milioni di euro. Dei bambini ci sono solo le foto con i nomi finti, e chi indaga non esclude completamente che i piccoli possano essere finiti in un giro di pedofilia o di traffico d'organi, anche se l'adozione fuori legge sembra la pista privilegiata.
L'inchiesta dei carabinieri del Comando provinciale guidato dal colonnello Maurizio Mezzavilla e del Gruppo di Roma agli ordini del colonnello Giuseppe La Gala scatta un anno fa, quando a Milano viene arrestato dalla polizia di frontiera un italo-eritreo, Buldu Tesfai De Martino, che ha documenti falsi.
L'indagine porta fino a Roma, dove l'eritreo si è procurato le carte false pagando ad alcuni connazionali fino a 15.000 euro.
Gli africani vengono messi sotto controllo, i carabinieri di San Pietro e di Porta Cavalleggeri scavano nella vita dell'italo-eritreo, ritenuto il capo della banda, e del suo braccio destro Sayd Amed, detto il dottore, perché aiuta i connazionali che hanno difficoltà a trovare lavoro o un posto dove stare.
Dopo alcuni mesi gli investigatori hanno l'organigramma completo dell'organizzazione, che ha affiliati a Milano, a Civitavecchia, a Napoli, da dove arrivavano i documenti falsi, e a Cosenza. Dalle intercettazioni si scopre che carte d'identità e passaporti fasulli riguardano anche i bambini, che arrivano in Italia e poi spariscono. Roma è un punto di transito, gli africani sono diretti in Inghilterra, in Danimarca, in Svezia e in Canada. Una donna con una bambina di 6 anni, diretta a Londra, è fermata all'aeroporto di Ciampino. Il meccanismo ideato dall'organizzazione e semplice: si contattano gli africani che vogliono espatriare e che hanno bisogno dei documenti falsi per arrivare a Roma. Una volta nella Capitale, gli stranieri vengono ospitati dagli uomini di Tesfai, nascosti in appartamentini nella zona della stazione Termini, devono stare li fino a che non sono pronti i nuovi documenti fasulli per raggiungere gli altri paesi. Centinaia di documenti falsi sono stati sequestrati nel ristorante etiope Adulis di via Milazzo, ritenuto dagli investigatori la base operativa di Tesfai.
Ieri mattina sono scattate perquisizioni a Roma, in due agenzie di viaggio dove l'organizzazine acquistava i biglietti e in un bar nella zona di Termini. Perquisizioni anche in Lombardia, in Campania e in Calabria. Le manette sono scattate per nove componenti della banda (hanno tra i 40 e i 50 anni): oltre a Tesfai e al suo braccio destro, in carcere sono finiti anche gli africani Amanuel Ehprem, Fessahaye Tringale, Jhon Mohamud, Kidane Alem, Kudssan Kahassay, Teweede Beyene e l'italiano Vincenzo Rizzo, che secondo gli inquirenti procurava uomini disposti a sposare, solo sulla carta, le africane che avevano bisogno del certificate di matrimonio per ottenere il permesso di soggiorno. Alcuni di loro si sono sposati anche 4 volte. Nell'inchiesta ci sono altri 27 indagati e 18 denunciati. Giorgio Ciardi, delegate del sindaco Alemanno alla sicurezza si è complimentato con i carabinieri. Ma l'indagine coordinata dal pm Leonardo Frisani punta ora a scoprire dove sono finiti i bambini scomparsi.
Il capo: «Sta arrivando una donna e con lei c'è anche la bambina»
E' stato adottato circa quarant'anni fa da una coppia di napoletani, Buldu Tesfai De Martino, l'uomo ritenuto il capo dell'organizzazione che gestiva il giro di immigrazione clandestina e di adozioni illegali di bambini africani. Tesfai è stato arrestato dai carabinieri per la prima volta nel dicembre scorso, anche in questo caso era stato coin volto in una storia di documenti falsi.
L'uomo, secondo gli investigatori, riusciva a procurare documenti fasulli di grande qualità. Aveva legami con dei falsari napoletani, che riuscivano a procuragli centinaia di passaporti e certificati finti. Ma era la sua organizzazione che poi pensava a rimettere le mani sui documenti.
Tesfai quando si metteva in contatto con i complici usava parole in codice, per dire che bisognava punzonare le foto sui documenti diceva: «Quando arrivate portate i ferri perché dobbiamo procedere», mentre se occorrevano i timbri chiedeva un paio di scarpe.
In alcune intercettazioni, il capo dice ad un altro componente dell'or-ganizzazione che sta arrivando una donna dall'Eritrea, e che con lei, «ci sarà anche la bambina».
 


BOLOGNA, IL CENSIMENTO DELLA DISCORDIA
Sel contro Merola «razzista»
il Giornale, 05-10-2011
? La Strada verso il Nuovo Ulivo è disseminata di ostacoli. A Bologna, infatti, è scontro tra i vendoliani e la giunta guidata dal sindaco Pd Virginio Merola accusata di discriminazione verso i Cittadini extracomunitari. Nel capoluogo emiliano, infatti, per candidarsi al ruolo di rilevatore per il prossimo censimento, è necessaria la nazionalità italiana. «Un enorme pastrocchio» secondo Sei che accusa di «inaccettabile superficialità» Taniministrazione. E la strigliata va a sommarsi alla causa per discriminazione già mossa dall'Associazione per gli studi giuridi sull'immigrazione nei confronti del Comune, che non avrebbe mai risposto alla richiesta di riaprire il bando. Diversamente da quanto accaduto a Genova, Milano, Perugia e Roma, nel capoluogo emiliano, secondo la coordinatrice provinciale di Sel Cathy La Torre, la richiesta non sarebbe stata presa in considerazione.



La contrattazione diventa sempre più multietnica
il sole,05-10-2011
Claudio Tucci
ROMA
Corsi di alfabetizzazione, mense "multietniche", permessi da agganciare alle ferie per raggiungere il Paese d'origine o per rinnovare la carta di soggiorno, diritto alla conservazione del posto per tornare in Patria ad assolvere il servizio militare obbligatorio.
Sono alcune delle normative "di favore" contenute nei contratti integrativi, territoriali e aziendali, riconosciute ai lavoratori immigrati. Una platea di circa 2,3 milioni di persone (dati Inps) a cui, sottolineano dalla Cgil, bisogna aggiungere almeno altri 600/700mila lavoratori "in nero". Per un totale quindi che sfiora i 3 milioni di addetti. Tre i principali comparti che utilizzano manodopera straniera. Quello edile, dove gli immigrati rappresentano circa il 30% del totale della forza lavoro, quello della ristorazione e del turismo (arrivano al 20%) e quello dell'agricoltura, dove i dati ufficiali parlano di circa il 15% dell'intera manodopera. Ed è proprio spulciando tra i contratti territoriali di questi settori che troviamo interi articoli che "adattano" alcuni aspetti del rapporto d'impiego alle esigenze e ai diritti specifici dei lavoratori immigrati. A partire dalle mense. Il contratto integrativo per i lavoratori dipendenti delle imprese artigiane che operano nella provincia di Ravenna per esempio disciplina la (non) partecipazione a mensa dei lavoratori mussulmani durante il periodo del Ramadam. Ebbene: per tutti queste giornate gli viene riconosciuta una indennità sostitutiva di mensa. Inoltre, prevede sempre lo stesso contratto, le imprese del settore possono concedere fino a un massimo di 30 giorni di permesso (non retribuito) da unire alle ferie per consentire ai propri dipendenti immigrati di rientrare (per un periodo congruo) nel Paese di provenienza.
Anche tra i contratti aziendali non mancano le "specificità" riconosciute ai lavoratori stranieri. Il contratto integrativo Ikea del 27 luglio scorso consente la fruizione di un giorno di permesso retribuito per il rinnovo del documento di soggiorno o per il ricongiungimento familiare. Alla Alstom poi è previsto un menù "ad hoc" per gli immigrati: cibi contrari ai precetti religiosi vengono cucinati e serviti separatamente, mentre alla Lucchini Rs di Lovere (Bergamo), società specializzata nella produzione e distribuzione di prodotti di acciaio per l'industria, sono previsti corsi di italiano.
«Ma siamo ancora lontani da un modello contrattuale che superi tutte le discriminazioni oggi esistenti in azienda», sottolinea il responsabile nazionale immigrazione della Cgil, Piero Soldini. Una su tutte: «in molte strutture i lavoratori stranieri guadagnano fino anche al 30% in meno dei colleghi italiani». In più, specie nel settore delle colf e badanti (l'80% è di origine immigrata) molti diritti non sono neanche conosciuti. Per questo la categoria del settore, ha ricordato il segretario confederale, responsabile di immigrazione Cisl, Liliana Ocmin, ha lanciato Cassa Colf, ente bilaterale per colf e badanti, per migliorare le condizioni delle collaboratrici domestiche e dei datori di lavoro. Per Ocmin uno strumento di tutela in più per gli immigrati potrà arrivare dall'applicazione del nuovo articolo otto della manovra di Ferragosto che rinforza i contratti di prossimità: «Sarà l'occasione per studiare tutele specifiche sul fronte della previdenza integrativa e sulle misure per ri-qualificare e ricollocare lavoratori di aziende in crisi, pur nel rispetto di leggi e accordi».
Continuando a spulciare tra i contratti integrativi, spicca come quello degli operai agricoli e florovivaisti della provincia di Potenza si premuri (ma solo per gli assunti a tempo indeterminato) di offrire un "bonus" di 150 ore da utilizzare per corsi di alfabetizzazione in italiano, da promuovere e concordare con scuole e istituzioni locali. Per gli edili della regione Friuli Venezia Giulia il contratto regionale di lavoro del 2007 prevede la consegna (gratuita) di una "brochure" informativa su legislazione e contrattualistica del comparto tradotta in lingua madre. In più assieme all'ente di formazione, Formedil, sono previsti corsi di scolarizzazione per il personale non italiano, da seguire però fuori orario di lavoro e a partecipazione non obbligatoria.
Ma sorprese non mancano anche nei contratti aziendali di realtà più piccole. Alla Cam, Il mondo del bambino (Bergamo), sottolinea Ermanno Cova, segretario Fim-Cisl Lombardia, il contratto integrativo prevede che i lavoratori extracomunitari possano assentarsi una volta ogni due anni (e due dipendenti alla volta) per recarsi nel Paese d'origine. Altra novità infine da segnalare per i lavoratori immigrati è contenuta nel contratto collettivo nazionale del legno. Si prevede la conservazione del posto di lavoro per chi deve ancora assolvere gli obblighi di leva militare nei rispettivi Paesi. Bisognerà però comprovare il richiamo alle armi con «apposita documentazione». Al termine del servizio di leva poi il lavoratore dovrà consegnare al datore di lavoro il certificato di congedo. Attenzione a rispettare la norma. Se non lo si fa, scatta la risoluzione automatica del rapporto di lavoro.

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