Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

10 giugno 2011

Gli immigrati danno più di quanto ricevono

Vladimiro Polchi
Corriere della Sera 09 giugno 2011
ROMA - Danno molto più di quanto ricevono. Sono gli immigrati iscritti all'Inps. Quanto versano in contributi? Tanto: circa 7,5 miliardi di euro nel 2008. Nell'insieme, sono 2.727.254 i lavoratori stranieri assicurati, pari a oltre un ottavo (12,9%) di tutti gli iscritti all'Inps (21.108.368). 
I numeri. A fotografare il pianeta immigrazione è il IV Rapporto sui lavoratori di origine immigrata negli archivi Inps, curato dai redattori del Dossier Caritas/Migrantes 1 e presentato oggi, 9 giugno, a Roma. I lavoratori immigrati assicurati sono così ripartiti: lavoratori dipendenti da aziende (63,2%); lavoratori domestici (17,6%); operai agricoli (8,5%); lavoratori autonomi (10,8%). Tradotto: ogni 10 lavoratori immigrati, 9 sono impiegati nel lavoro dipendente e uno solo svolge attività autonoma. 
Il lavoro domestico. Nel settore familiare, il supporto dei lavoratori immigrati, soprattutto donne consenta alla rete pubblica  -  in un Paese con almeno 2,6 milioni di persone non autosufficienti e una popolazione composta per oltre un quinto da ultrasessantacinquenni  -  un risparmio quantificato dal ministero del Lavoro in 6 miliardi di euro. 
L'agricoltura. Anche in agricoltura la presenza immigrata, che incide per oltre un quinto sul totale degli addetti, è sempre più rilevante sia tra gli stagionali che tra gli operai a tempo indeterminato, specialmente nell'allevamento, nella floricultura e nelle serre. "In prospettiva  -  scrivono i ricercatori della Caritas  -  questo apporto dei migranti andrà valorizzato anche per favorire il ricambio generazionale dei coltivatori diretti, tra i quali più di un decimo ha superato i 65 anni".
Le casse dell'Inps. All'ingente versamento di contributi previdenziali da parte degli immigrati (circa 7,5 miliardi di euro nel 2008), corrisponde una loro scarsa presenza tra i beneficiari di prestazioni pensionistiche: all'inizio del 2010 sono stimabili in appena 110mila i pensionati stranieri e quelli entrati in età pensionabile nel corso dell'anno incidono appena per il 2,2% sul totale dei residenti. Considerata l'età media nettamente più bassa di quella degli italiani (31,1 anni contro 43,5), questo andamento è destinato a durare per diversi anni.
La crisi. Funzionali a sostenere l'andamento del mercato, ma molto esposti alle sue variazioni, i lavoratori immigrati non sono stati risparmiati dalla recente crisi economia, specialmente se addetti al settore industriale e "hanno pagato il prezzo di una ulteriore canalizzazione verso le mansioni di più basso profilo, con effetti anche sul livello reddituale, che per diverse categorie già risultava inferiore alla soglia di povertà".
 
 
Immigrazione, UNHCR: da Libia in Europa solo 2 per cento su 900mila
Sante Mapelli Morro
Mainfatti 10 giugno 2011
Da quando nel mondo arabo sono iniziate le rivolte popolari, l'emergenza immigrazione è un po' sulla bocca di tutti, soprattutto di una parte della politica. Ma l'UNHCR sembra ridimensionare un po' il problema, che a quanto pare non è poi così insormontabile.
Da quando nel mondo arabo sono iniziate le rivolte popolari, in Europa l'emergenza immigrazione sembra essere diventata, soprattutto per una parte della politica, uno dei problemi principali da risolvere. L'Italia, per esempio, ha più volte fatto appello all'Unione europea per avere degli aiuti economici per fronteggiare tale emergenza, ma l'UNHCR (Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati) sembra ridimensionare un po' un problema che sembra insormontabile. Parlando della Libia, l'UNHCR sottolinea come su 900.000 persone che sono fuggite a causa dei bombardamenti della NATO sul Paese (che paradossalmente avrebbero il solo compito di proteggere la popolazione civile, stando alla risoluzione ONU che ha permesso l'intervento), solo il 2% sono poi arrivate in Europa. "La stragrande maggioranza provenivano da Paesi terzi, lavoravano da immigrati", spiega infatti Antonio Guterres, capo dell'UNHCR, evidenziando quindi come queste persone siano poi tornate nei loro paesi d'origine.
 
 
Cgil Brescia fa causa al Viminale su sanatoria
Agi 9 giugno 2011
Un ricorso contro il Viminale e la Prefettura di Brescia sara' depositato domani al Tribunale del Lavoro da Cgil di Brescia, Fondazione Piccini e Associazione Studi Giuridici sull'immigrazione per la questione della doppia circolare emanata dagli Interni in merito al recepimento (poi smentito) della normativa europea riguardante la sanatoria. "La situazione paradossale venutasi a creare a seguito dell'ultimo pasticcio del ministero dell'Interno - si legge in una nota della Cgil - che prima ha emesso una circolare (3958 del 24 maggio) nella quale si definiva non ostativo il rilascio del permesso di soggiorno per i lavoratori stranieri che non avevano ottemperato a un decreto di espulsione e avevano fatto richiesta di sanatoria nel 2009 e poi ha emesso un'altra circolare (4027 del 26 maggio) che ha sospeso la prima. Dopo le note pronunce della Corte di Giustizia e del Consiglio di Stato siamo di fronte a una ingiustizia, con il risultato che oltre 800 lavoratori nella sola Brescia (e molte migliaia in tutta Italia) che avrebbero diritto in base alla legge, di lavorare regolarmente sono condannati ad una condizione di clandestinita' a causa dell'inerzia del ministero". E ancora: "Questa detenzione di fatto dello straniero all'interno delle prigione della clandestinita' rileva anche sotto il profilo della discriminazione in quanto preclude quella parita' di trattamento che l'ordinamento invece garantisce al lavoratore regolarmente soggiornante, e deve essere immediatamente rimossa dal giudice. Il ricorso ricostruisce la vicenda fin dalla sanatoria del settembre 2009 per colf e badanti, richiama i provvedimenti che gia' nel 2010 hanno creato confusione (tra cui la contestata circolare Manganelli), l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di adeguarsi al diritto comunitario e le ultime decisioni del maggio scorso. Il ricorso chiede di accertare, dichiarare e cessare il carattere discriminatorio della condotta tenuta dal Ministero dell'Interno e dai suoi organi periferici; di ordinare alla prefettura di Brescia di revocare i provvedimenti di rigetto delle domande di emersione; di condannare le amministrazioni convenute a risarcire ai ricorrenti e agli stranieri che si trovino in analoga posizione la somma di 400 euro mensili dalla data di emanazione della pronuncia della Corte di giustizia (28.04.2011) fino alla cessazione del comportamento discriminatorio; di ordinare la pubblicazione della sentenza su un quotidiano a tiratura nazionale. A distanza di oltre due settimane dalla circolare di sospensione e' ancora tutto fermo, e stiamo parlando di una vicenda iniziata con la sanatoria del settembre 2009 - afferma il segretario della Camera del Lavoro di Brescia Damiano Galletti -. Da qui la decisione di intervenire, oltre che con altre iniziative di mobilitazione e sensibilizzazione, anche con lo strumento del ricorso in tribunale, una modalita' peraltro simile a quella che abbiamo avuto nella vicenda dei Soli delle Alpi nella scuola di Adro. Il Governo che dice di contrastare la clandestinita' tiene invece volutamente senza permesso decine di migliaia di persone che in Italia vivono e lavorano".
 
 
 
«Lampedusa è ok. E non fa più notizia...»
Paolo Giordano
il Giornale 10 giugno 2011 
«Tanti più progetti realizzi, meno parole devi spendere». Il prefetto Franco Gabrielli, 51 anni, non parla a caso neanche qui a Lampedusa dove ormai per strada si incontrano meno immigrati clandestini che in centro a Milano. Parla pochissimo sempre. E da quando è al posto di Guido Bertolaso al vertice della Protezione civile (a novembre dell’anno scorso), la stampa ha rapidamente preso atto del cambio di marcia. E, non potendo più grufolare tra i sospetti e le dichiarazioni bomba, tanti giornali hanno fatto la scelta più banale smettendo semplicemente di scrivere della Protezione Civile. Il solito errore da matita faziosa. Che noia.
Prefetto, non si stupisca, è sempre così.
«C’è una incredibile tendenza a criminalizzare. Oltre ad avere rammarico per quanto sta toccando Bertolaso, confermo che i grandi risultati di questi mesi sono merito anche suo».
La «macchina sbarchi» sembra reggere. Anche il sindaco di Lampedusa si preoccupa più per le ricadute sul turismo della pessima informazione che dell’effettivo numero di arrivi.
«Qui non c’è da fare agiografia, bastano i fatti».
Dicono che la politica sia assente.
«Purtroppo a molti interessa più il solito slogan “piove governo ladro” piuttosto che valutare la realtà. E la realtà è che, nonostante la clamorosa emergenza, il governo ha dato una risposta concreta. E il sistema ha funzionato».
La svolta?
«L’accordo di Maroni con il governo provvisorio tunisino. Molti naturalmente se ne sono dimenticati, ma se la situazione regge, è merito di quell’accordo di inizio aprile. Fino a quel momento, in poco più di due mesi e mezzo, erano arrivati a Lampedusa circa 25mila tunisini. Da allora, solo poche centinaia».
Lei a Lampedusa ha seguito la manifestazione «Sùsiti», organizzata da Claudio Baglioni: con partite di calcio della Nazionale cantanti e concerti per richiamare l’attenzione sull’isola.
«Molto bravo. Ce ne fossero di artisti come Baglioni desiderosi di impegnarsi in questo modo».
Lei oltretutto è appassionato di musica italiana.
«Nel mio ufficio la radio è sempre accesa. E l’esempio di Baglioni dimostra che non sono solo canzonette». 
A un testimone oculare, Lampedusa sembra reagire bene. Ora però si dirà che il problema è di qualche immigrato tunisino che, di fronte all’obbligo di tornare in patria, ingoia lamette o tenta il suicidio.
«I tunisini non sono di solito autolesionisti. Queste sono forme estreme di reazione. Purtroppo è una delle tante drammatiche regole del gioco in giganteschi rivolgimenti come questi».
L’Italia come li sta affrontando?
«Direi bene».
Anche lei sembra aver reagito bene alla nomina a numero uno di una Protezione civile che allora era sotto assedio.
«E sono ancora fortemente preoccupato da questa situazione. Ma, se errori ci sono stati nella gestione precedente, sono stati assolutamente marginali».
Bertolaso?
«Non dimentichiamo che la sua è una vicenda ancora da definire».
Il caso G8 alla Maddalena?
«Non c’è nessun nostro funzionario indagato. Se la Protezione civile fosse un’associazione a delinquere, sarebbe un po’ diverso, non crede? La Protezione civile è troppo importante per essere strumentalizzata».
Faccia un esempio.
«Quando fu inquisito, alcuni giornali titolarono su Balducci come “numero due della Protezione civile”. Un errore marchiano».
Bertolaso ha attraversato una parabola deforme: prima esaltato poi massacrato.
«Io sono qui su sua indicazione. E sento una profonda continuità con le cose positive della sua gestione. Anche se di strada ce n’è ancora da fare, e tanta».
I cosiddetti grandi eventi?
«Se per grandi eventi si intendono occasioni come il funerale del Papa, sono d’accordo che a occuparsene sia anche la Protezione civile. Se si tratta dei Mondiali di nuoto o del G8 alla Maddalena, allora sono in dissenso. Ma bisogna ricordare che tutto ciò non è avvenuto perché l’ha deciso Bertolaso. È avvenuto in applicazione di una legge dello Stato che hanno utilizzato sia governi di centrodestra che di centrosinistra. Se non piacciono, le leggi possono essere cambiate».
C’è polemica sulla vendita dei beni acquistati per i grandi eventi.
«Nessuna polemica. Esistono i bandi di gara. Si tratta di beni che giacevano nei nostri magazzini e la cui giacenza rischiava di ridurne il valore. Non c’entrano i beni del G8 a L’Aquila».
Eccolo qui, il terremoto. Si dice che la situazione sia colpevolmente trascurata.
«La Protezione adesso non ha titolo a parlarne, visto che c’è il commissario straordinario che è il presidente della Regione. Ma mi sento di dire che l’impegno della presidenza del Consiglio su questo argomento sia inattaccabile. Oltretutto il sottosegretario Gianni Letta, che è abruzzese, è costantemente informato e si capisce benissimo che è proteso alla soluzione migliore e più rapida del problema».
E Berlusconi?
«L’ho visto alla celebrazione del 2 giugno. E quando c’è bisogno, ci sentiamo. È molto presente».
 
 
 
Ue responsabile morti in mare
euronews 10 giugno 2011
Thomas Hammarberg,il commissario peri diritti umani del Consiglio d’Europa, rivolge all’Europaaccuse durissime per i molti migranti che muoiono nelle acquedel Mediterraneo.‘I governi e le istituzioni europee hannoresponsabilita’ molto piu’ grandi di quelle che hanno finoradimostrato di volersi assumere in questa crisi’scrive Hammerbergin un commento reso noto oggi. Secondo il commissario,‘c’e‘un’impellente necessita’ di aumentare in maniera esponenziale’la sorveglianza lungo le coste.
 
 
 
Le Ong: «Diritti umani, governo all’anno zero»
Terranews 10 giugno 2011
Dina Galano
IL RAPPORTO. Il Comitato che riunisce oltre 80 organizzazioni pubblica il primo monitoraggio sull’attuazione delle 92 raccomandazioni Onu. «A un anno di distanza, sono rimaste lettera morta».
Tra i motivi della negata estradizione di Battisti figura anche l’assenza, in Italia, di meccanismi di tutela dei diritti umani previsti dagli accordi internazionali. Può credersi o meno, ma anche rispetto al Brasile il nostro Paese sconta il deficit di garanzie richiesto dalle sedi Onu. L’Italia viene bacchettata a Ginevra e oltre 80 Ong e associazioni, riunite nel Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani, scelgono di fare quel che il governo tarda. Punto di partenza: le 92 raccomandazioni che il Consiglio diritti umani dell’Onu ha inviato all’Italia il 9 giugno 2010. A un anno di distanza, il bilancio dell’attuazione di quei rilievi è decisamente negativo. Le associazioni del Comitato hanno tradotto documenti ufficiali, ordinato l’elenco degli obblighi internazionali, hanno ricordato gli impegni presi dai ministri e monitorato lo stato dei diritti umani nel nostro Paese.
 
 
 
Immigrati, ritorno alle "radici"
Il 10 giugno inizia una trasmissione su Rai3. In quattro documentari, altrettanti immigrati tornano a casa, raccontando se stessi e il proprio Paese. Nel progetto, anche Wwf e Oxfam
Famiglia cristiana 10 giugno 2011
È un viaggio nel mondo dell’immigrazione, ma in direzione contraria, alle radici di una vita: di Rosita, boliviana, studentessa a Bergamo e protagonista della prima puntata; poi di Mohamed, marocchino, sindacalista a Bologna; di Nela, bosniaca, attrice a Roma; di Magatte, senegalese, musicista a Torino. 
Sono stranieri giunti in Italia tanti anni fa, che ora tornano a far visita a casa, nel Maghreb, in America Latina, in Europa orientale, in Africa nera. “Radici”, il nuovo programma di Rai3 che andrà in onda per quattro venerdì a partire dal 10 giugno (in seconda serata, dalle 23,30 circa), è un viaggio di questi immigrati attraverso le loro origini, la loro vicenda umana personale e familiare, ma anche un viaggio nei rispettivi Paesi e nelle società e culture che costituiscono la loro identità profonda.
Si tratta di quattro documentari di un’ora circa, nei quali il giornalista televisivo Davide Demichelis (che è anche l’ideatore del programma) farà da guida e da interlocutore ai veri protagonisti: Rosita, Mohamed, Nela e Magatte. Demichelis mette loro in mano il microfono per farci scoprire quelle “radici”, talvolta esotiche e lontane. Il racconto che ne esce è un continuo oscillare tra la storia culturale, politica e sociale del proprio Paese e la “piccola storia” personale fatta di famiglia e amici, luoghi ed emozioni.
«Attenzione, però», spiega il giornalista, «non è un trattato sull’immigrazione né un documentario di antropologia. È semplicemente un viaggio fatto insieme a questi protagonisti, che cerca di rispondere a tante domande che probabilmente ci facciamo tutti i giorni, quando abbiamo a che fare – sempre più spesso – con gli immigrati nel nostro Paese. “Da dove vengono gli stranieri che mi vivono accanto? Cosa si mangia, da loro? Che clima c’è? Quali storie, curiosità, costumi, modi di vita ci sono nelle loro terre d’origine?”. Ecco, i documentari che presentiamo cercano di rispondervi, dando la parola ad alcune delle tante “facce da straniero” con le quali condividiamo il pianerottolo, l’autobus, il posto di lavoro. E di cui spesso non sappiamo nulla. Raccontati da loro, in prima persona, quei luoghi e quelle storie sono davvero avvincenti».
Demichelis con un'altro dei protagonisti di "Radici": Rosita Carmina Ruiz, in Bolivia (foto: Alessandro Rocca).
- “Radici” parla di immigrazione, ma in modo piuttosto originale, con questa sorta di percorso a ritroso. Come è nata l’idea?
«L’idea ce l’avevo in testa da molto tempo, ma non c’erano le risorse per realizzarla. Per anni è rimasto un sogno nel cassetto. Poi, ne ho parlato a Wwf e Oxfam. Se ne sono entusiasmati e hanno presentato un progetto alla Direzione della Cooperazione Italiana, che l’ha finanziato, nell’ambito dell’educazione allo sviluppo. Ed eccoci qui. “Radici” è nato così».
- Perché hai scelto questo “taglio”?
«Di solito parliamo sempre delle emergenze legate all’immigrazione e al Sud del mondo, dei barconi che affondano e delle piaghe dei Paesi poveri. Questa volta abbiamo voluto dare la parola a immigrati “normali”, che vivono e lavorano nel nostro Paese. In realtà, i numeri che contano dell’emigrazione non sono quelli degli stranieri che arrivano a Lampedusa. In Italia abbiamo 4 milioni e mezzo di immigrati regolari. Finalmente diamo un volto a questa “maggioranza silenziosa” degli stranieri in Italia».
- Secondo te, qual è l’elemento che può catturare il telespettatore?
«La forza del programma consiste nel fatto che i protagonisti, Mohamed, Nela, Magatte, Rosa ci raccontano il loro Paese in italiano e da italiani, perché da anni vivono tra noi. Conoscono la nostra cultura e sanno spiegarci quella loro. Io faccio da interlocutore e da filo conduttore delle puntate: ho le curiosità dell’italiano medio, e loro sono la boliviana, il marocchino, la bosniaca, il senegale medio».
- Con quali criteri hai scelto i protagonisti?
«Di avere situazioni normali, di persone normali. Avevo anche pensato di cercare storie di immigrati di successo – ce ne sono molte – ma alla fine abbiamo preferito storie di immigrati che potrebbero vivere alla porta accanto alla nostra. Mohamed oggi è un sindacalista della Cgil. Rosa fa la colf, Magatte vive di corsi e concerti della sua musica, Nela fa l’attrice. Situazioni più o meno agiate, ma di persone integrate».
- Giri il mondo da molti anni, sei andato nei luoghi più remoti del pianeta per il “Pianeta delle meraviglie”, “Timbuctu”, “Alle falde del Kilimangiaro”, e tanti altri reportage. Nel corso delle riprese hai avuto qualche sorpresa?
 «Sì. Per il fatto di entrare molto più addentro nella vita quotidiana delle famiglie. In passato mi era capitato, ma occasionalmente e per brevi periodi. Qui ho avuto a che fare con le dinamiche familiari, abbiamo mangiato e dormito nelle case dei nostri protagonisti. È stato un percorso di scoperta anche per me. Un’esperienza del genere ti fa capire molto di più. Spero che nei documentari traspaia questo elemento avvincente e sorprendente».
- “Radici” aiuta a vincere la paura dello straniero? 
«Credo che possa senz’altro aiutare a superare diffidenze e timori che ci portiamo dentro. Sapere che in Bolivia si usano i computer o che in Marocco si va anche a sciare, ci aiuta a familiarizzare con realtà che conosciamo poco. Chi ci seguirà scoprirà che anche in quei Paesi lontani si vive, si lavora, si ama, si soffre. Proprio come da noi».
 
 
 
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