Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

Menù

 

"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Studenti italiani non italiani

Maurizio Ambrosini
Con l’inizio dell’anno scolastico, due notizie hanno riacceso il dibattito sull’integrazione dei ragazzi di origine immigrata nella scuola italiana. La prima si riferisce alla scuola Carlo Pisacane di Roma, dove i figli di genitori stranieri hanno raggiunto percentuali altissime (si è parlato del 97%). L’altra è un annuncio del ministro Gelmini: gli alunni di origine immigrata nelle classi scolastiche non potranno superare la quota del 30%.

Inquadriamo anzitutto il problema. I minori di origine immigrata oggi residenti in Italia sono più di 760.000, dei quali però 450.000 sono nati nel nostro paese (e in vari altri paesi godrebbero dalla nascita della cittadinanza). Tra i minori stranieri scolarizzati, le proporzioni si invertono (circa i due terzi sono nati all’estero), anche se nel tempo le cose cambieranno  per la naturale evoluzione demografica della popolazione immigrata. Il fenomeno in ogni caso è in rapida crescita e presenta marcate concentrazioni territoriali.  Le regioni con le maggiori concentrazioni di istituzioni scolastiche che superano il 20% di alunni “stranieri” sono Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto. Tra le regioni del Sud solo in Sicilia si individuano alcune scuole  in condizioni analoghe.  Più specificamente, la Lombardia è la regione d’Italia con il più alto numero di istituti (più di 200) che hanno almeno il 20% di iscritti di cittadinanza non italiana. Nell’ anno scolastico 2007-08, in questa regione le scuole  con una percentuale di alunni non italiani pari  o superiori al 25% sono il 9,3% del totale. (Dati USR Lombardia-MIUR)1. Le scuole ad elevata concentrazione di alunni di origine immigrata stanno indubbiamente aumentando in diverse città, e il caso di Roma non è che la punta estrema di un processo in via di diffusione.
Le vistose concentrazioni in certe scuole e classi non sono tuttavia un dato per così dire “naturale”. Solo in parte derivano da fenomeni di ghettizzazione urbana, che in Italia rimangono ancora limitati. Spesso derivano piuttosto da scelte organizzative che addensano in alcuni plessi e classi gli alunni di origine straniera. Il fatto stesso che alcune scuole abbiano investito maggiormente nella didattica interculturale non di rado diventa un pretesto per convogliare verso di esse gli alunni immigrati, “sgravando” le altre. Il volontarismo e l’attivazione locale hanno come contraltare il disimpegno e la resistenza passiva di altre istituzioni scolastiche. Un impegno per l’integrazione scolastica dovrebbe cominciare con il superamento di queste segregazioni di fatto, non giustificate da ragioni di concentrazione urbana. Da questo punto di vista, l’annuncio del ministro Gelmini può essere sviluppato in due modi: o come impegno a vincolare tutte le scuole del territorio ad accogliere gli alunni stranieri, e tutti i plessi e le classi all’interno delle scuole, evitando la formazione di ghetti solo apparentemente “spontanei”; oppure come un rilancio della mozione a suo tempo proposta dal capogruppo della Lega Nord alla Camera, lì approvata e poi fatta propria dal Governo, mirante a  istituire le cosiddette “classi-ponte” per gli alunni immigrati. Di fatto, il Ministero non ha fornito finora maggiori precisazioni al riguardo.
Vorrei ricordare qui  tre aspetti della questione. Il primo riguarda l’effettiva natura e consistenza del problema: di chi stiamo parlando? Se si tratta di minori nati all’estero e appena arrivati, esiste un problema di apprendimento linguistico che va affrontato. Se invece, come avverrà sempre più nei prossimi anni, si tratta di bambini nati e cresciuti in Italia, il problema si ridimensiona di molto, e spesso non esiste affatto. Mettere insieme questi due gruppi di minori significa ingigantire ansie e paure, spaventare le famiglie italiane, spingerle ad evitare il “contagio” di compagni avvertiti come un fardello per l’apprendimento. Significa alimentare forme di razzismo ammantato di razionalità e di giustificazioni inossidabili, in nome della protezione dei propri figli.
Secondo aspetto: in Italia esistevano e ancora esistono forme di didattica integrativa e insegnanti dedicati all’accompagnamento dei minori immigrati neo-arrivati, come pure alla promozione di esperienze di didattica interculturale a beneficio di tutti. Il problema è che le risorse per queste attività sono state tagliate, già ai tempi del ministro Moratti, mentre il numero degli alunni interessati cresceva. In provincia di Milano una dozzina di anni fa si contava un insegnante dedicato ogni 50 alunni di origine immigrata, oggi ne rimane uno ogni 500. Così si crea un’emergenza annunciata.
Terzo punto: il problema è stato già affrontato da altri paesi prima di noi. Nessuno, negli ultimi decenni ha imboccato la strada delle classi separate. Si danno invece molte esperienze di didattica speciale, volta ad un rapido superamento delle carenze linguistiche. In questi casi (per es., in Australia o nel Regno Unito), i bambini sono inseriti nelle classi normali, ma inizialmente ricevono una formazione intensiva in lingua inglese, in gruppi separati e con insegnanti specializzati, mentre stanno in classe e lavorano con i compagni per altre materie come l’educazione fisica, l’educazione artistica, le attività manuali. Dopo qualche settimana, cominciano a diminuire le ore “speciali” e aumentano quelle “normali”, fino a giungere ad una completa integrazione.
Un altro possibile approccio è quello francese, che tiene conto della concentrazione urbana dei bambini immigrati, così come di altre componenti sociali svantaggiate, aumentando il personale educativo e le risorse a disposizione delle scuole dei cosiddetti “quartieri sensibili”. All’investimento educativo si aggiunge un’attenzione più complessiva alla riqualificazione e allo sviluppo dei quartieri difficili, con la destinazione di risorse per l’animazione economica, sociale e culturale dei territori, in cui le scuole svolgono una funzione importante.
Prima di imboccare strade ambigue e pericolose, sarebbe bene cercare di ispirarsi ai migliori esempi stranieri. Per evitare di dover fare i conti domani con seri problemi di conflittualità etnica. Non è in gioco soltanto il futuro degli alunni immigrati, ma di tutti noi.


Maurizio Ambrosini,
università di Milano
direttore della rivista “Mondi migranti”

Share/Save/Bookmark
 


 

Perchè Italia-Razzismo 


SPORTELLO LEGALE PER RIFUGIATI E RICHIEDENTI ASILO

 

 


 

SOS diritti.
Sportello legale a cura dell'Arci.

Ospiteremo qui, ogni settimana, casi, vertenze, questioni ancora aperte o che hanno trovato una soluzione. Chiunque volesse porre quesiti su singole situazioni o tematiche generali, relative alle norme e alle politiche in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza nonché all'accesso al sistema di welfare locale da parte di stranieri, può farlo scrivendo a: immigrazione@arci.it o telefonando al numero verde 800905570
leggi tutto>

Mappamondo
>Parole
>Numeri

Microfono,
la notizia che non c'è.

leggi tutto>

Nero lavoro nero.
leggi tutto>

Leggi razziali.
leggi tutto>

Extra-
comunicare

leggi tutto>

All'ultimo
stadio

leggi tutto>

L'ombelico-
del mondo

Contatti


Links