Morire nel Mediterraneo

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

Testo di denuncia sui respingimenti

Alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di
R O M A

ATTO DI DENUNCIA

I sottoscritti Rita BERNARDINI, nata a Roma, il 27/12/1952, Donatella PORETTI, nata ad Arezzo il 14/02/1968 e Marco PERDUCA, nato a Firenze il 20/04/1967, anche nella loro qualità di deputati e senatori radicali eletti nelle liste del Partito Democratico, tutti elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. Alessandro Gerardi, sito in Ciampino (RM), Viale del Lavoro n. 31, come da nomina in calce al presente atto,
p r e m e s s o
1.    Il giorno 7 maggio 2009, tre imbarcazioni cariche di migranti sono state soccorse da tre motovedette della guardia costiera e della Guardia di Finanza italiana nelle acque del canale di Sicilia, cinquanta miglia a sud di Lampedusa, in acque comprese nella immensa zona di salvataggio (zona SAR) di Malta.
2.    A bordo delle predette imbarcazioni, che avevano lanciato il segnale di SOS perché in evidente stato di difficoltà, vi erano 227 migranti, tra cui 40 donne ed alcuni probabilmente minorenni, tutti partiti dalle coste della Libia pur non avendo nessuno di essi la cittadinanza libica.
3.    Dopo averli soccorsi, il Governo italiano ha deciso di ricondurre tutti i migranti nel luogo da dove erano salpati; il che è avvenuto nonostante la maggioranza dei profughi soccorsi in mare provenisse da Paesi in guerra fuggendo da fame, miseria e persecuzioni e fosse quindi in pieno diritto di avanzare richiesta di asilo una volta accolta a bordo delle navi italiane o comunque giunta sulle coste italiane.
4.    Il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ha dato la sua autorizzazione a questa operazione e, in una nota diffusa lo stesso giorno, ha dichiarato che quanto successo “rappresenta una svolta storica nel contrasto all’immigrazione clandestina. Da oggi in poi, in qualunque acqua si trovino, i barconi saranno rispediti in Libia da dove sono partiti”.
5.    La decisione del Ministro dell’Interno e del Governo italiano di riportare nel porto di Tripoli i migranti soccorsi al largo di Lampedusa da tre vedette italiane, ha destato forti preoccupazioni da parte non solo di tutte le Organizzazioni non-governative nazionali ed internazionali attive sul fronte dei diritti umani, ma anche da parte dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (UNCHR) il quale, in un comunicato, nell’esprimere grave preoccupazione per la decisione del Governo italiano di riammettere in Libia gli immigrati fermati dai mezzi italiani nelle acque internazionali, ha detto che ciò è avvenuto “senza trasparenza e senza un’adeguata valutazione delle possibili necessità di protezione internazionale degli extracomunitari presenti nelle tre imbarcazioni”. 
Già in passato l’Alto Commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati ebbe modo di dichiarare come “lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare, in territori nei quali la loro vita e la loro libertà sarebbero minacciate, dovrebbe essere vietato”.
La questione più importante – rileva l’UNCHR – è quella di evitare concretamente (cioè in tutti gli Stati comunitari) che il richiedente asilo venga inviato fuori dello spazio regolato da Dublino II, senza che la sua richiesta sia stata esaminata.
Secondo l’art. 33 della Convenzione di Ginevra, infatti, nessuno può essere espulso o respinto verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.
6.    In una nota diffusa in data 7 maggio anche l’Ufficio italiano dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Acnur, ha affermato che il respingimento dei 227 migranti ricondotti in Libia, in modo per nulla trasparente e senza un’adeguata valutazione delle loro possibili necessità di protezione internazionale, “mostra un radicale mutamento delle politiche migratorie del governo italiano e rappresenta fonte di grave preoccupazione”.
7.    Anche il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, ha ribadito che “respingere gli immigrati clandestini direttamente in Libia è un’iniziativa che mina la possibilità per ogni essere umano di fuggire da repressione e violenza, ricorrendo al diritto d’asilo” (cfr. La Repubblica del 11/05/2009).
8.    Analoghe espressioni di sorpresa ed esplicita critica alla decisione del Governo italiano – che dopo il primo respingimento effettuato il 7 maggio scorso ha confermato la propria decisione con un nuovo respingimento, effettuato nei giorni successivi, di altre 162 persone – sono state avanzate da molte autorevoli fonti del mondo cattolico, come il Dicastero vaticano per la pastorale dei migranti ed il Servizio informazioni della chiesa italiana, i quali hanno dichiarato che “qualsiasi respingimento in mare lede il diritto di asilo […] è una vergogna che siano state respinte persone che hanno già subito delle persecuzioni nei rispettivi paesi”.
9.    Il respingimento verso le coste libiche dei tre barconi carichi di profughi è stato criticato anche dal Presidente della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini, il quale ha dichiarato che “se da un lato è vero che il diritto internazionale consente il respingimento dell’immigrato che tenta di entrare clandestinamente nel nostro Paese, dall’altro è giusto verificare la sussistenza dei requisiti per chiedere l’asilo prima di riaccompagnare il clandestino nel luogo da cui proviene” (cfr. La Repubblica del 11/05/2009).
10.     Sui profili di illegalità della decisione di riammettere/respingere in Libia i 227 profughi soccorsi in acque internazionali si osserva quanto segue:
A) La Convenzione on Marittime Search and Rescue (Sar) del 1979 impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare, senza distinguere a seconda della nazionalità o dello status giuridico, stabilendo altresì, oltre l’obbligo della prima assistenza, anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un “luogo sicuro”.
In sostanza le norme del diritto internazionale e marittimo impongono allo Stato soccorritore, subito dopo l’espletamento delle operazioni di salvataggio, di condurre i migranti in un “porto sicuro” che non è necessariamente quello più vicino o quello di provenienza.
La doverosa cooperazione dello Stato italiano coinvolto nell’operazione di soccorso in mare, avrebbe dovuto comprendere l’obbligo per il Governo di sbarcare i profughi in un “luogo sicuro”, ciò a prescindere dal potere che l’Esecutivo possiede di adottare verso i clandestini (successivamente ed  in tutta sicurezza) i provvedimenti di espulsione o di respingimento previsti dalla legge.
Solo quando la persona salvata è condotta in un “luogo sicuro” cessano gli obblighi internazionali e nazionali relativamente alle operazioni di salvataggio, che pertanto non si esauriscono con le prime cure mediche o con la soddisfazione degli altri più immediati bisogni (alimentazione etc..).
Peraltro, con l’entrata in vigore (luglio 2006) degli emendamenti alla Convenzione Sar 1979 e alla Convenzione Solas 1974 (e successivi protocolli) e con le successive linee guida, viene fatta maggiore chiarezza sul concetto di luogo sicuro (“place of safety”)  e sul fatto che la nave soccorritrice è un luogo puramente provvisorio di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide col momento terminale delle operazioni di soccorso.
Lungi dall’essere trasportati in un “luogo sicuro”, come imposto dalle norme di diritto internazionale e consuetudinario, i 227 migranti sono stati ricondotti in Libia, Paese che non presenta le garanzie minime per la protezione e nel quale i profughi vengono notoriamente sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
Ed invero secondo le testimonianze dei sopravvissuti sembra che i migranti fossero già stati torturati e maltrattati nei mesi trascorsi in Libia, come troppo spesso accade, prima di poter tentare la fuga. Tutto lascia quindi ritenere che bisogna aspettarsi il peggio anche con riguardo alla sorte che attende queste persone una volte tornate in Libia (notizie successivamente giunte alla stampa riferiscono di condizioni di estremo disagio, di persone, comprese quaranta donne, tre delle quali in stato di gravidanza, abbandonate prive di cibo sulle banchine. Le stesse fonti parlano di due donne morte subito dopo il rientro/sbarco in Libia).
In conformità all’art. II-19-2 della Carta europea dei diritti fondamentali, “nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato dove esiste un serio rischio che egli venga sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti”.  
Decidendo di respingere collettivamente i 227 migranti soccorsi in acque internazionali verso la Libia, paese che non ha firmato la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, l’Italia si è assunta il rischio di non rispettare le prescrizioni sia di queste disposizioni, che della Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali, nonché l’insieme dei testi internazionali di difesa dei diritti umani.
La Libia è stata infatti più volte segnalata per essersi resa responsabile di gravi violazioni dei diritti umani (cfr. il Rapporto di Amnesty International intitolato “Time to make human rights a reality”).
Tutte le testimonianze concordano nel dire che il Governo di Tripoli utilizza la pratica di “rafles de migrants” che si trovano sul suo territorio per chiuderli in campi di detenzione militare particolarmente inumani. Le condizioni carcerarie sono particolarmente insostenibili, vengono riportate un gran numero di sevizie di ogni genere, e ogni tentativo di evasione o di ribellione viene risolto con esecuzioni sommarie.
Nel suo rapporto, Amnesty International rende conto di gravi violazioni dei diritti umani da parte dello Stato libico, in particolare nei confronti di immigrati e richiedenti asilo, i quali sono vittime di detenzioni arbitrarie, di processi inesistenti o iniqui, di uccisioni, di sparizioni o torture nei campi di detenzione. Numerosi immigrati nigeriani o eritrei assicurano di essere stati detenuti in condizioni inumane, comprendenti tra l’altro privazioni d’acqua, di cibo e di cure, il tutto per poi essere privati dei loro beni e dei loro documenti ed espulsi verso i rispettivi paesi di origine.
Secondo l’organizzazione internazionale Human Rights Watch, “i richiedenti asilo e i migranti che vivono o transitano in Libia, soprattutto se vengono dall’Africa sub sahariana, subiscono violenze da parte della polizia, detenzioni arbitrarie e condizioni di detenzione deplorevoli. I respingimenti e le espulsioni verso Paesi come la Somalia e l’Eritrea, dove gli espulsi corrono seri rischi, sono frequenti” (comunicato HRW, 7 dicembre 2004).
Negli ultimi tempi, anche per effetto del riavvicinamento politico-diplomatico con l’Europa, la Libia ha avviato una strategia di contenimento dei flussi di profughi estremamente rigorosa che viene attuata nel più completo dispregio di ogni elementare garanzia dei diritti fondamentali della persona e soprattutto che non tiene conto minimamente dei pericoli cui i singoli profughi possono essere esposti nei Paesi dove vengono rinviati.
Contrariamente alle rassicurazioni fornite dal Governo italiano al momento degli accordi con la Libia stipulati ad agosto 2008, la maggior parte dei profughi riportati a Tripoli vengono trattenuti dalle autorità di quel Paese nel campo di detenzione di Al Gatrun, situato in pieno deserto, e poi rispedite nei relativi Paesi di origine non già in aereo ma con mezzi di fortuna che attraversano il deserto libico fino al confine nigeriano. Una traversata infernale di circa dieci giorni, senza soste ed in condizioni estreme, tra dune, montagne, violenze e dolore; una traversata che, ogni mese, provoca centinaia di morti.
Esiste anche un rapporto riservato della Commissione europea sui campi di detenzione in Libia che conferma violazioni di diritti umani e condizioni inumane di trattamento dei migranti.
L’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani (C.E.D.U.), che sancisce il diritto a non subire torture o trattamenti disumani o degradanti, è stata ampiamente interpretato dalla Corte europea dei diritti umani come limite all’espulsione e/o respingimento dello straniero ogni qual volta ciò possa esporlo al rischio grave di subire un tale trattamento o tortura (cfr. Cruz Varas and others, 20 marzo 1991, ricorso n. 15576/89). Si tratta quindi di una fattispecie diversa da quella contemplata dalla Convenzione di Ginevra o dalla Costituzione, volta a comprendere ipotesi non rientranti né nell’una né nell’altra e tuttavia tale da impedire il respingimento di uno straniero che incorra in un tale rischio.
Si consideri che le norme della C.E.D.U. sono direttamente applicabili nell’ordinamento giuridico italiano.
Pertanto, respingendo in modo sommario centinaia di persone, molte delle quali bisognose di protezione internazionale, il Ministro degli Interni ed il Governo italiano si sono assunti la co-responsabilità per le violazioni dei diritti fondamentali di cui queste persone potrebbero rimanere vittima una volta sbarcate in Libia ed estradate nei rispettivi Paesi di provenienza.
B) In data 14 aprile 2005 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione di condanna dell’Italia con la quale il nostro Governo e tutti gli Stati membri sono stati invitati “ad astenersi dall’effettuare espulsioni collettive di richiedenti asilo e di “migranti irregolari” verso la Libia o altri Paesi e ad assicurare l’esame individuale delle domande di asilo nonché il rispetto del principio di “né refoulement” (non respingimento)”.
Il problema dell’illegittimità della prassi dei respingimenti collettivi in Libia dei profughi è stata sollevata nel recente passato anche dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (ricorso n. 11593/05, Salem Mohamed + 78 c/o Italia), la quale ha puntualmente ingiunto al Governo italiano di non procedere alla espulsione dei profughi/ricorrenti verso le coste libiche stante il rischio concreto per la loro incolumità personale.
C) Nel caso di specie, inoltre, non è stato rispettato il principio di non respingimento, così come previsto dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e dall’art. 33 del Trattato Europeo (“nessuno degli Stati firmatari espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso le frontiere di un territorio dove la sua vita o la sua libertà sono minacciate a causa della sua razza, della sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un gruppo sociale o alle sue opinioni politiche”).
Come noto, infatti, sulla base del principio di non respingimento (non-refoulement) è vietato sia ricondurre verso il Paese di origine un asilante che si trovi già sul territorio del paese d’asilo prima che la sua domanda sia valutata, sia impedire a quello stesso richiedente asilo di raggiungere il territorio dello Stato dove intende sottoporre la sua domanda di protezione internazionale (cosiddetta rejection at the border).
Il predetto principio è universalmente ritenuto inderogabile in quanto considerato dalla dottrina parte integrante del diritto internazionale consuetudinario.
La disciplina dei respingimenti degli stranieri prima che questi riescano a sbarcare sulle coste italiane è particolarmente delicata perché l’esecuzione di tali provvedimenti incide inevitabilmente sulla libertà personale ed espone l’interessato a rischi per la sua stessa vita. Ciò è talmente vero che il nostro ordinamento, anche in adempimento di obblighi internazionali assunti dal nostro Paese, pone una serie di divieti espliciti di espulsione a tutela dei diritti fondamentali persino degli immigrati irregolari presenti sul nostro territorio (si pensi al divieto di espulsione degli stranieri che possono essere oggetto di persecuzione nel loro Paese o al divieto di espulsione delle donne in stato di gravidanza e degli stranieri minori degli anni 18 etc..).
Secondo la Convenzione di Ginevra, gli Stati contraenti non possono espellere un rifugiato che si trovi regolarmente nel loro territorio se non per ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico (art. 32 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati). La tutela della vita del rifugiato, infatti, preclude il suo allontanamento o rinvio verso le frontiere dei territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbe minacciata a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un certo gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.
Ebbene, tale limite, oltre che per l’espulsione, vale anche per il respingimento, avendo il rifugiato diritto di ingresso almeno al fine di presentare domanda di rifugio e di farsi rappresentare a questo scopo davanti a un’autorità competente o davanti ad una o più persone designate appositamente da tale autorità. Inoltre gli Stati devono accordare al richiedente asilo un lasso di tempo ragionevole per permettergli di cercare di farsi ammettere regolarmente in un altro Paese.
Nel caso di specie tutto questa procedura non è stata attivata in quanto il Governo italiano ha deciso di respingere indistintamente tutti i profughi presenti sulle imbarcazioni verso le coste libiche, senza consentire ai medesimi di avanzare domanda di protezione internazionale.
Alla luce di quanto esposto ai punti a), b) e c), la gestione del Ministero dell’Interno dell’operazione di salvataggio e del successivo respingimento in Libia delle tre imbarcazioni soccorse 50 miglia a sud di Lampedusa in data 07/05/2009, ha portato a un complesso di pratiche illegali e a-legali che ha avuto come conseguenza l’effetto di “riammettere” (secondo il linguaggio ministeriale, ma in realtà “deportare”) in Libia, attraverso una forma di respingimento sostanzialmente collettivo, 227 migranti (rectius: potenziali richiedenti asilo), in una situazione in cui non vi è alcuna garanzia che gli stessi non saranno sottoposti a trattamenti inumani e/o degradanti una volta giunti sulle coste libiche ovvero estradati verso altri Stati con modalità tali da mettere a rischio la loro incolumità personale.
Per quanto sopra esposto, apparendo tale prassi palesemente illegale ed arbitraria, i sottoscritti

C H I E D O N O
che la S.V. voglia compiere le opportune indagini preliminari per accertare se dai fatti denunciati emergono ipotesi di reato.
In particolare chiedono che la S.V.:
1) provveda a verificare la sorte dei 227 migranti “riammessi” in Libia e se gli stessi siano stati successivamente regolarmente rimpatriati nei rispettivi Paesi di origine, senza subire vessazioni o trattamenti disumani o degradanti;
2) valuti se sussistono ipotesi di reato nel caso vengano accertati eventi di morte o di sparizione o altri gravi eventi di danno casualmente collegati al respingimento dei profughi in Libia;
3) valuti, in ogni caso, se la pratica del respingimento forzato in Libia di centinaia di profughi - in fuga da Paesi in guerra e da persecuzioni e, quindi, potenziali richiedenti asilo – compiuta con le modalità meglio descritte in premessa, integri ipotesi di reato;
4) voglia eventualmente trasmettere – qualora ne ricorressero i presupposti – il presente esposto, con le pertinenti richieste, al Collegio di cui all’art. 7 della Legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1, affinché effettui le dovute indagini preliminari per un più compiuto accertamento dei fatti sopra descritti, al fine di verificare la sussistenza di eventuali ipotesi di reati commessi, nell’esercizio delle funzioni ministeriali, dal Ministro dell’Interno o da altri esponenti del Governo, attivando la procedura di cui all’art. 96 della Costituzione.
*****   ***   *****
I sottoscritti in qualità di denuncianti si riservano di integrare la prova orale e documentale e nominano difensore di fiducia l’avv. Alessandro Gerardi, del Foro di Velletri (RM), con studio in Ciampino (RM), Viale del Lavoro n. 31, presso il quale eleggono domicilio ai fini del presente procedimento e al quale conferiscono delega per il deposito del presente atto presso le Autorità competenti.
Gli esponenti chiedono di essere informati della eventuale richiesta di archiviazione degli atti a norma dell’art. 408 c.p.p.
Roma lì,  12.05.2009
Rita BERNARDINI
Donatella PORETTI
Marco PERDUCA
(Le firme sono vere e autentiche)
(avv. Alessandro GERARDI)



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