Emergenza Nord Africa

 

Rubrica Italia-razzismo 
Il provvedimento Emergenza Nord Africa, entrato in vigore nel mese di aprile del 2011 terminerà il 28 febbraio 2013, come ha annunciato due giorni fa il Dipartimento libertà civili e immigrazione del ministero dell'Interno, con la circolare numero 1424. Il termine era già stato posticipato di due mesi rispetto alla data prevista inizialmente (31 dicembre 2012). 
Il periodo di proroga doveva servire per concludere la fase dell'emergenza in maniera dignitosa. In quei due mesi, infatti, le persone accolte nei centri di accoglienza dovevano essere avviate a percorsi di integrazione e di "autonomia" attraverso una stabilizzazione della loro condizione di presenza in Italia e attraverso un minimo di sostegno al loro inserimento sociale. Entrambi questi obiettivi si sarebbero dovuti raggiungere già nella primissima fase (e, in effetti, in alcune situazioni è stato fatto, per esempio in Sardegna grazie alla Caritas). Lo si cerca di fare ora precipitosamente e, di conseguenza, con modalità approssimative, se non controproducenti. Prendiamo la misura che prevede un contributo di 500 euro come "buonuscita" dalle strutture di accoglienza. Un'idea in sé positiva, ma che rischia di risolversi in un beneficio di qualche giorno, o di qualche settimana, per persone letteralmente prive di tutto (comprese strutture, servizi, orientamento, conoscenza della lingua, delle norme e dei diritti). Tanto più che l’accordo tra le strutture di accoglienza e la Protezione Civile prevedeva una diaria di 46 euro a persona, comprensiva di vitto, alloggio, avvio alla formazione lavorativa, corsi di lingua e assistenza legale. Tutto ciò si è verificato assai raramente e, come ha detto qualche giorno fa Flavio Zanonato sindaco di Padova e responsabile immigrazione per l’Anci, “l’emergenza si conclude sulla carta ma rimane sul territorio”. 
Ora, quale sarà la sorte degli oltre ventimila profughi formalmente accolti? Se volessero utilizzare quei 500 euro per spostarsi in un altro Paese europeo, incontrerebbero subito una difficoltà: la mancanza del titolo di viaggio (documento equipollente al passaporto). La Questura non nega la concessione di tale documento ma, per chi si trova al riparo della protezione umanitaria (la maggior parte), chiede l’autorizzazione al rilascio da parte del Consolato o dell’Ambasciata. Cosa non facile. A tale difficoltà se ne aggiunga un’altra: il Regolamento di Dublino II. Ciò significa che, anche se una persona fosse in regola con permesso di soggiorno e titolo di viaggio, non avrebbe la certezza di potersi recare, anche solo per una visita ai propri familiari, in un Paese diverso da quello in cui è approdato, in questo caso l’Italia. Ha, quindi, proprio ragione Zanonato: l’emergenza viene proclamata come conclusa, ma i suoi effetti sono ben lontani dall’essere sotto controllo. E si rischia di determinare, per alcune decine di migliaia di persone, una situazione in cui l’emergenza non segnala una fase eccezionale della loro esistenza, bensì il connotato distintivo e incancellabile dell’esistenza stessa.  
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