Morire nel Mediterraneo

 

dal 1 gennaio    2014        2500   

                         2013          1050

                  2012        409

 

                2011     2160

 

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"Ogni faccia è un miracolo. E' unica. Non potrai mai trovare due facce assolutamente identiche. Non hanno importanza bellezza o bruttezza: sono cose relative. Ogni faccia è simbolo della vita, e ogni vita merita rispetto. Nessuno ha diritto di umiliare un'altra persona. Ciascuno ha diritto alla sua dignità. Con il rispetto di ciascuno si rende omaggio alla vita in tutto ciò che ha di bello, di meraviglioso, di diverso e di inatteso. Si dà testimonianza del rispetto per se stessi trattando gli altri con dignità. "

Tahar BenJelloun, 1998



Relizzazione tecnica Emiliano Nieri

13 maggio 2014

A fondo il barcone con donne e bambini
In 200 recuperati in mare. Renzi: l’Ue non può salvare le banche e tollerare queste morti
Corriere della sera, 13-05-14
Andrea Pasqualetto
CATANIA — Altro barcone, altro naufragio, altra grande tragedia del mare. A bordo c’erano centinaia di migranti (c’è chi dice 400, ma la Marina ha smentito parlando di oltre duecento persone) salpati dalla Libia e naufragati dopo quarantuno miglia. Ne mancavano più del doppio a Lampedusa, primo approdo del loro sogno. Molti sono annegati (certamente 14, alle 22 di ieri sera) e fra gli annegati ci sono donne e bambini. Molti sono stati salvati, pare oltre duecento, grazie all’allarme lanciato da un rimorchiatore in servizio nelle piattaforme petrolifere di quello specchio di mare in acque internazionali. Sul posto sono intervenute le unità navali di «Mare Nostrum», la fregata Grecale e il pattugliatore Sirio dove i naufraghi sono stati trasbordati con le vittime per essere portati a terra, in Sicilia, dove sono attesi per questa mattina.
«Non c’era solo questo barcone sullo stesso posto, ne abbiamo soccorsi altri tre — ricordavano ieri sera dalla Marina militare —. Uno con circa 200 migranti, gli altri con 100 e 95. Abbiamo sul posto un’altra nave della Marina militare e le vedette». E dalla Libia rimbalza la notizia che sempre ieri le loro autorità hanno intercettato e salvato altri 340 migranti che avevano appena tolto gli ormeggi da un molo vicino alla cittadina costiera di Sabratha: «L’acqua stava entrando nella loro imbarcazione e presto sarebbero finiti in acqua». Li hanno riportati in Libia, in una scuola di Zawiya, a ovest di Tripoli. C’erano anche 40 donne e 13 bambini, quasi tutti sudanesi ed eritrei. Quell’Africa subsahariana dalla quale erano partiti molti dei naufraghi che sono affondati fra le acque delle piattaforme petrolifere.
Insomma, i numeri sono crescenti e hanno riportato alla mente la catastrofe del 3 ottobre 2013, quando al largo di Lampedusa morirono più di 366 persone. La tragedia di ieri ha rilanciato lo scontro politico a livello continentale. Con il ministro dell’Interno Angelino Alfano che dall’Italia ha ribadito la sua linea: «L’Europa non ci sta aiutando a soccorrere queste persone, si faccia carico di accogliere i vivi. Quelli a quali l’Italia riconoscerà il diritto d’asilo saranno mandati in Europa, se ci vogliono andare. L’Italia non può diventare la prigione dei rifugiati politici». Punta il dito contro l’Europa anche il premier Renzi: «Ci lascia soli, ma non può salvare gli Stati, le banche e poi lasciare morire le madri con i bambini».Il presidente del parlamento europeo Martin Schulz si è detto «scioccato dalla tragedia: l’Europa deve urgentemente prendersi le sue responsabilità».
Ma a chi è chiamato a soccorrere questo popolo di disperati che fugge da guerre e carestie, non si accontenta più delle parole. «Basta lacrime, basta annunci, basta perdere tempo. Ora ci vogliono i fatti — ha detto con forza Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana —. Bisogna aprire al più presto un corridoio umanitario». Mentre il sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini, ha scosso ancora una volta la testa: «Il diritto d’asilo va chiesto a terra e non rischiando la vita». Nei giorni scorsi l’intelligence libico aveva allertato il Viminale sulla partenza di sempre più imbarcazioni dalla costa africana: i trafficanti di morte sanno infatti che poco più in là le navi italiane arrivano a soccorrere i migranti.
E mentre infuria la polemica, fra le onde del Canale di Sicilia stanno navigando verso l’Italia i duecento profughi scampati alla morte. Non si conoscono ancora le cause dell’ennesima strage del mare ma una cosa è certa: «Quella barca era una carretta, la solita grande, pericolante carretta», assicurano dalla Marina che si trova ad affrontare un’emergenza senza precedenti. «Qui è un inferno, bisogna esserci per capire — sospirava ieri un maresciallo elicotterista, Vincenzo Romano, impegnato a salvare vite fra quelle acque —. È un inferno di proporzione enormi che solo chi fa il nostro lavoro può capire. Basta incrociare gli occhi di questa povera gente per capire cos’hanno visto».



NAUFRAGIO NEL MEDITERRANEO
il manifesto, 13-05-14
Leo Lancari
La paura è che ci si possa trovare di fronte a un’altra tragedia come quella che accadde a Lampedusa il 3 ottobre scorso, quando in un naufragio morirono più di 300 immigrati. Un barcone con circa 400 migranti a bordo si è rovesciato ieri al largo delle coste libiche, 100 miglia a sud dell’isola di Lampedusa. Ancora non si conoscono le cause che hanno provocato questa ennesimo naufragio, ma all’improvviso l’imbarcazione, forse sbilanciata dal peso di quanti si trovavano a bordo, si è capo­volta rovesciando in mare il suo carico di disperazione. I militari dell’operazione Mare nostrum, intervenuti sul posto insieme a due motovedette della Capitaneria di porto, ieri sera avevano tratto in salvo 240 superstiti e recuperati 14 cadaveri, ma all’appello mancherebbero almeno 150 persone. «Ci sono molti morti vicino alla Libia, le nostre navi sono lì per recuperare morti e soccorrere i vivi: l’Europa non ci sta aiutando», ha detto il ministro degli Interni Angelino Alfano per il quale «l’Italia non può diventare la prigione dei rifugiati politici». Per una volta, però, l’Europa sembra aprirsi alle richieste di collaborazione che arrivano da Roma. Il presidente del parlamento europeo e candidato alla guida della commissione europea Martin Schultz si è detto «scioccato» dall’ennesima sciagura. «Non posiamo continuare a guardare dall’altro lato — ha aggiunto — lasciando l’Italia, la Spagna, la Grecia o Malta affrontare da sole queste situazioni drammatiche». E così la pensa anche la commissaria Cecilia Malmstrom che ha chiesto agli stati membri di «dimostrare solidarietà» e proposto di affrontare l’emergenza immigrazione al prossimo consiglio Interni.
Era scontato che l’arrivo della bella stagione avrebbe portato con sé un aumento delle partenze dalle coste libiche di barconi stracolmi di persone, aumentando così anche il rischio del ripetersi di tragedie. Solo due giorni fa, sempre al largo della Libia, il naufragio di un altro barcone ha provocato almeno 40 morti nell’indifferenza di Tripoli che invece, come ai tempi di Gheddafi, è tornata a minacciare l’Unione europea usando i migranti come arma di pressione.
Anche il barcone naufragato ieri è partito dalla Libia, riuscendo però a percorrere solo poche miglia. L’imbarcazione è stata avvistata quando ancora era in grado di navigare da un aereo Atr della Guardia costiera che stava pattugliando il canale di Sici­lia e che, capite le precarie condizioni in cui si trovava l’imbarcazione, ha dato subito l’allarme. Sul posto è stata dirottata una nave mercantile che è intervenuta al momento del naufragio, avvenuto non distante da una piattaforma petrolifera situata al largo della Libia. Nel frattempo sono scattati i soccorsi, con la fregata Grecale e il pattugliatore Sirio che hanno fatto rotta «alla massima velocità» verso il punto in cui il barcone si era rovesciato insieme a due motovedette della Guardia costiera.
In sette mesi, da quando è stata avviata nell’ottobre 2012, Mare nostrum ha permesso di salvare più di 30 mila migranti, ma a questo punto appare chiaro che da sola non può più bastare. per questo da tempo Roma chiede a Bruxelles un maggior impegno, soprattutto nell’accoglienza dei profughi. «Quelli a cui l’Italia riconoscerà il diritto d’asilo andranno in Europa se ci vor­ranno andare»,che hanno diritto d’asilo, » ha detto ieri Alfano tornando a insistere per una modifica del regolamento di Dublino. Un punto su cui per la prima volta si è detta possibilista anche la Malmstrom. «Se ogni Stato si occupasse di ricol­locare anche solo qualche migliaia di persone — ha detto il commissario — questo farebbe un’enorme differenza per centinaia di migliaia di persone che hanno bisogno e ridurrebbe significativamente la pressione dei flussi migratori nel Mediterraneo». E all’Europa fa appello anche il presidente della commissione Diritti umani del Senato Luigi Manconi, per il quale è sempre più urgente che «l’Unione europea, d’accordo con le organizzazioni internazionali, istituisca presidi nei Paesi di transito dei profughi per accogliere le richieste di asilo e garantire il trasferimento con mezzi legali e sicuri al Paese di destinazione in Europa».



Inferno in mare, strage di migranti
La Stampa, 13-05-14
L. Anello
Affonda un barcone a 50 miglia dalla Libia: 14 morti, 200 dispersi e 200 naufraghi salvati dalle navi italiane
«L’inferno, qui c’è l’inferno». La voce arriva dallo specchio di mare a cento miglia a sud di Lampedusa, insieme alle grida, ai pianti, ai lamenti. Quattordici i morti recuperati nell’ennesima tragedia dell’immigrazione, 200 i sopravvissuti, ma all’appello ieri sera ne mancavano altrettanti, perché sul barcone naufragato – raccontano i superstiti inzuppati d’acqua – erano in quattrocento. Laggiù un brulicare di corpi: uomini, donne, bambini portati a forza di braccia sulle quattro motovedette accorse da Lampedusa, insieme con la nave San Giusto della Marina militare e con i mercantili dirottati nella zona. Un allarme partito da un rimorchiatore al servizio di alcune piattaforme petrolifere che si trovano a 50 miglia dalle coste della Libia e al doppio di distanza da Lampedusa.
Ed è una scena che si ripete, dopo che sabato era affondata un'altra carretta al largo della costa africana, trascinando con sé quaranta corpi, mentre a Trapani e a Porto Bmpedocle arrivavano 890 profughi soccorsi a più riprese nel Canale di Sicilia. I mezzi dell'operazione «Mare Nostrum», varata per soccorrere già in mare le imbarcazioni di migranti in difficoltà, sono impegnati senza pause. Non c'è il tempo di recuperare un gommone mezzo affondato che subito arriva un altro allarme.
Ieri sera, mentre ancora si faceva la conta dei morti e dei vivi del naufragio, è scattato un nuovo Sos da un barcone con altri centinaia di migranti a bordo, forse 250. Così le quattro motovedette della guardia costiera di Lampedusa si sono precipitate a tirarli su, mentre la nave San Giusto restava li, a decidere se. rientrare sulle coste siciliane o se aspettare che si compissero nuovi avvistamenti e nuovi destini. Fino a tarda sera, infatti, incerta perfino la destinazione e i tempi di sbarco dei sopravvissuti e dei cadaveri, tanto è trincea in queste ore il Mediterraneo. Probabilmente Augusta, probabilmente domattina. Ma non si esclude la scelta di Porto Empedocle, che già domenica ha accolto 467 migranti tra cui 53 donne e 19 bambini. «I viaggi della speranza vanno prevenuti, il diritto di asilo va chiesto a terra e non rischiando la vita. L'unica cosa da fare è Papertura di canali umanitari controllati: se non è possibile dalla Libia, al- lora 1 o si faccia dall'Egitto», dice il sindaco dell'isola Giusi Nicolini, mentre Save the Children sottolinea che la situazione di accoglienza in Sicilia «versa in condizioni inaccettabili» e invita il Governo ad attuare urgentemente «un piano di accoglienza nazionale in grado di rispondere ai bisogni essenziali di tutti i migranti in arrivo e, in particolare, dei più vulnerabili, tra i quali i minori non accompagnati e i nuclei familiari con bambini».
Già, Lampedusa. Il centro è chiuso ma non per questo l'isola smette di essere investita dalle tragedie del Mediterraneo. E non soltanto perché ne è diventata icona, rappresentazione simbolica dopo che il 3 ottobre dell'anno scorso il suo splendido mare diventò la tomba di 366 migranti. Ma anche perché sta in mezzo ai due mondi. L'altro giorno i profughi raccolti nel Canale di Sicilia e diretti a Porto Empedocle sono stati fatti scendere per pochi minuti nel porto e fatti risalire sulla nave di linea. «Un trasbordo che ha provocato un forte ritardo nell'orario di partenza e un'enorme perdita per i pescatori dell'isola che continuamente vedono svalutato il pregiato pescato», denuncia Askavusa, il collettivo di giovani in prima fila a denunciare «l'affare immigrazione che scarica su una piccola comunità problematiche internazionali e la disperazione di migliaia di persone».
Anche loro chiedono corridoi umanitari. Mentre, cento miglia più a sud, si continua a morire.



Lampedusa, cimitero d'acqua un altro naufragio: 200 dispersi
Alfano: Italia lasciata sola dall'Europa. Bruxelles: condividere le responsabilità
il Mattino, 13-05-14
Gigi Di Fiore
È un film già visto. Scene di una tragedia, che si ripete nelle acque del canale di Sicilia. Come il 6 ottobre scorso, come tante altre volte prima. Un nuovo naufragio di un vecchio barcone che straboccava di immigrati. Forse, abordo, ce ne erano almeno 400. Disperati, ammassati l'uno attaccato all'altro. Alle nove di sera, erano stati già recuperati 14 cadaveri. Ma il capitano Stefano Frumento, comandante della fregata «Grecale», racconta: «Abbiamo rilevato altri tre corpi, ma il conteggio di quelli finora tirati a bordo è di 14 cadaveri. Non sappiamo con certezza quanti fossero a bordo, ma i superstiti dicono fossero centinaia"
In 200 vengono salvati dalla fregata «Grecale» e dal pattugliatore «Sirio» della Marina militare, impegnate nell'operazione Mare nostrum con due motovedette della Capitaneria di porto e una della Guardia di finanza. Sono le tredici, quando parte il primo allarme. Un Atr della Guardia costiera raccoglie l'sos partita dall'imbarcazione. Si trova a cento miglia a sud di Lampedusa, 50 dalle coste libiche. Dunque, piü vicina alla Libia e non distante da una piattaforma petrolífera sul mare, dove un rimorchiatore cerca di trainarla. Come accadde nel naufragio di ottobre, il barcone si rovescia per il peso eccessivo. Uno addosso all'altro, gran parte dei migranti non sanno nuotare ed è un'altra la tragedia. Si alza anche un elicottero
dalla «Grecale», vengono allertate le navi mercantili che navigano in zona, per aiutare i soccorsi.
Usano cosi, ormai, gli scafisti: caricano fino all'inverosimile le loro carrette, i disperati salgono a bordo perché sanno che altrimenti dovranno aspettare il prossimo viaggio, non si sa quando, non si sa come. Ogni passeggero significa seimila euro di guadagno per i clan libico-tunisini criminali. Tanto, o con segnalazioni radar, o per avvertimenti telefonici di provenienza diversa, arriveranno i soccorsi della Marina militare italiana. Lo aveva descritto in Parlamento qualche giorno fa anche Giovanni Pinto, direttore dell'Immigrazione del ministero dell'interno: gli scafisti lasciano i barconi, trainati da una nave madre fino a poco prima, a ridosso delle acque territoriali italiane sicuri dei soccorsi.
Circa 200 migranti vengono salvati e portati a bordo delle navi «Sirio» e «Grecale», dove vengono seguitele abituali procedure. L'assistenza medica, la fornitura di cibo e acqua, vestiti per chi è infreddolito. Poi, superato lo choc, saranno sentiti per sapere anche quanti erano sul barcone delia morte. Il procuratore capo di Agrigento, Renato Di Natale, già annuncia che sarà avviata un'inchiesta sul naufragio. L'incognita, fino a sera, sono gli eventuali dispersi. Sono morti presunti. C'è chi ha ipotizzato 200 persone da trovare ancora. La polemica esplode subito. Si punta il dito sull'operazione Mare nostrum: c'è chi, come Ferdinando Casini dell'udc chiede di rivederla; chi, come Salvini della Lega e La Russa di Fratelli d'Italia, di abolirla. Ma il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, non ci sta e replica: «Ci sono tanti morti vicino alla Libia, le nostre navi sono li a recuperare i morti e a soccorrere i vivi. L'Europa non ci aiuta a soccorrere queste persone».
All'Europa, il ministro lancia poi un messaggio: anche dopo l'eventuale concessione dell'asilo politico, i rifugiati saranno lasciati liberi di andare in qualsiasi paese europeo vogliano. Spiega infatti Alfano: «L'ltalia non può diventare la prigione dei rifugiati politici. E a quelli che in Italia ci attaccano perché facciamo il soccorso ed evitiamo i morti, noi chiediamo di mettersi una mano sulla coscienza».
«L'Europa deve urgentemente prendersi le sue responsabilità per mettere fine a questa catastrofe - ha detto ieri sera il presidente del parlamento europeo, Martin Schulz - Non possiamo continuare a girarei dall'altro lato lasciando Italia, Spagna, Greccia o Malta ad affrontare da sole queste situazioni drammatiche.



“Decine di ragazzi annegati in mare” L’orrore negli occhi dei soccorritori
la Repubblica, 13-05-14
Alessandra Ziniti
?PARTENZE a raffica, un gommone dietro l’altro, dalla spiaggia di Al Zwara. Una rapida corsa verso grossi pescherecci sempre più fatiscenti che li aspettano al largo, nella notte. Poi, sotto le mazzate dei trafficanti di uomini, il trasbordo sulle imbarcazioni, verso il destino. Il mare si stava già alzando l’altra notte quando dalla costa libica sono partite almeno quattro imbarcazioni: alle prime due è andato tutto liscio, dopo mezza giornata di navigazione è scattato il salvataggio da parte dei marinai dell’operazione Mare nostrum; la terza è stata soccorsa dalla marina libica mentre cominciava ad imbarcare acqua.
Migranti fermati ieri sulle coste libiche prima di un tentativo di imbarco verso l’Italia
QUALCHE ora prima che la quarta si capovolgesse su un fianco poco dopo essere stata avvistata da un Atr in giro di perlustrazione che le aveva affiancato un rimorchiatore di una piattaforma petrolifera.
A Pozzallo erano in tanti a sperare che i loro amici e familiari, partiti con loro sui gommoni e finiti su un’altra imbarcazione, arrivassero nel centro di prima accoglienza. E invece sono arrivate le terribili notizie di questa nuova tragedia del mare che avrebbe fatto tra le sue vittime decine di bambini e ragazzini tra i 14 e i 17 anni, eritrei e somali per lo più, che viaggiano da soli «perché si sa che ora ci sono meno rischi, dopo uno o due giorni di navigazione le navi ci vengono a salvare e poi è facile raggiungere i parenti in Europa », dice uno dei giovani somali salvati dalle navi della Marina militare.
Che cosa, intorno alle 13, abbia provocato il ribaltamento del barcone a 50 miglia dalle coste libiche non è ancora chiaro. Lo scafo non è affondato, tanto che nel pomeriggio di ieri alcuni dei soccorritori sono riusciti a salire a bordo e a salvare decine di persone che si trovavano ancora terrorizzate sotto coperta o aggrappate ai corrimano o, ancora, in mare ma in grado di rimanere a galla. I tanti (e sono la maggioranza di chi parte) che non sapevano nuotare sarebbero invece andati subito a fondo. Da qui l’altissimo numero di dispersi, circa duecento, se è vero (come sembra dalle prime testimonianze dei migranti sotto shock) che a bordo erano in più di 400.
«Quando siamo arrivati sul luogo del naufragio – racconta il co- mandante della nave Grecale della Marina militare Stefano Frumento – 14 salme erano già state recuperate dai marinai del rimorchiatore e dei due mercantili che sono stati chiamati a dare una mano e i nostri uomini ne hanno avvistate altre 3 che siamo riusciti a prendere a bordo». Cinque ore prima dell’incidente, intorno alle 6 del mattino, 15 miglia più vicino alla costa libica, l’ultima delle quattro imbarcazioni partite una dietro l’altra aveva cominciato ad imbarcare acqua. Dato l’allarme, è intervenuta una nave della Marina libica che è riuscita ad evitare un’altra strage. A bordo erano in 340. Ora sono tutti in una prigione libica.
Nel centro di prima accoglienza di Pozzallo, molti dei profughi che avevano condiviso con quelli che probabilmente sono morti giorni e giorni di attesa in un capannone prima di ottenere finalmente il via libera per il viaggio, non si danno pace. Uno di loro, un giovane siriano che con il video girato a bordo ha consentito agli uomini della squadra mobile di Ragusa di individuare ed arrestare gli scafisti, racconta: «Abbiamo pagato 6000 dollari a testa per questo viaggio. Ci hanno preso a bastonate in Libia mentre salivamo a bordo, non ci hanno dato mai cibo, solo qualche sorso d’acqua. Eravamo troppi, tutti ammassati gli uni sugli altri. E appena ti muovevi ti picchiavano. Ma almeno noi ce l’abbiamo fatta».



Alfano: la Ue non ci sta aiutando Renzi: salva le banche non i bimbi
?Il ministro dell'Interno ai partner europei «Lasceremo entrare tutti nei vostri Paesi»  ?La commissaria Malmstrõm ringrazia l'Italia. Bruxelles convoca i 28 governi
Il Messaggero, 13-05-14
David Carretta
BRUXELLES Di fronte alla reazione dell'Unione Europea alla nuova tragedia sulle coste di Lampedusa, l'Italia sembra pronta a aprire un nuovo conflitto con i paesi del Nord, analogo a quello provocato nel 2011 quando consenti ai migranti provenienti dalla Tunisia di attraversare la frontiera con la Francia. «L'Europa non ci sta aiutando a soccorrere queste persone», ha denunciato ieri il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, annunciando che «quelli ai quali l'Italia riconosce il diritto di asilo saranno mandati in Europa se ci vogliono andare» anche se le regole europee non lo consentono.
IL PREMIER
La concessione dei permessi di soggiorno temporaneo nel 2011 provoco uno scontro con la Francia, che portò alla chiusura temporanea delle frontiere e fece tremare le regole di Schengen. Ma secondo Alfano, «l'Italia non può diventare la prigione dei rifugiati politici». È l'Ue che deve «farsi carico di accogliere i vivi».
«Ha ragione Alfano, l'Europa ci lascia soli» ma «non può salvare gli Stati, le banche e poi lasciare morire le madri con i bambini», rincara Matteo Renzi sul dramma dell'immigrazione. «Le istituzioni europee - aggiunge - non devono girarsi dall'altra parte». I responsabili europei si sono detti «scioccati» per quanto accaduto sulle coste di Lampedusa, ma ogni dibattito formale sull'emergenza migranti è rinviato a giugno. «Ogni volta che un barcone affonda, sono i nostri valori fondamentali ad annegare», ha spiegato il presidente dell'Europarlamento, Martin Schulz. «L'Europa deve urgentemente prendersi le sue responsabilità per mettere fine a questa catastrofe». Secondo Schulz, «non possiamo continuare a girarci dall'altro lato lasciando l'Italia, la Spagna, la Grecia o Malta ad affrontare da sole queste situazioni drammatiche». La commissaria all'immigrazione, Cecília Malmström, ha ringraziato le «autorità italiane per l'enorme sforzo» intrapreso con l'operazione Mare Nostrum per «salvare decine di migliaia di vite umane». Secondo Malmström, «è tempo per gli Stati membri di trasformare le loro parole in azione». Ma il calendario delle riunioni tra governi e la pausa dovuta alle elezioni europee impedisce una discussione immediata. Il prossimo consiglio Affari Interni è previsto solo per il 5 giugno.
MOGHERINI
Per ora, «la priorità da parte italiana è di salvare vite umane e combattere il traffico di esseri umani», ha spiegato il ministro degli Esteri, Federica Mogherini. Ma «è come svuotare il mare con un cucchiaino. Abbiamo bisogno di un sistema sostenibile nel medio e lungo termine sia nel salvataggio in mare che nell'accoglienza», ha detto Mogherini, riconoscendo che ci sono «sicuramente» delle carenze da parte dell'Ue. «Cercheremo di fare tutto il possi- bile affmche al Consiglio di giugno ci siano passi avanti nella condivisione» dei migranti, ha annunciato Mogherini. Il tema dovrebbe essere discusso anche dai capi di Stato e di governo nel loro Venice del 26 e 27 giugno. Ma le possibility che i paesi nordici accettino una condivisione del carico dei migranti sono basse.
Lo stesso Schulz ritiene che la Germania - il suo paese - faccia abbastanza, perché ha accolto migliaia di migranti siriani. Lampedusa è una «vera tragedia», ha detto il ministro degli Esteri svedese, Carl Bidlt.
Anche la richiesta dei governo Renzi di spostare la sede dell'agenzia per il controllo delle frontiere Frontex dalla Polonia all'italia rischia di rimanere inascoltata.



Strage di migranti, Renzi contro l’Europa
la Repubblica, 13-05-14
Alessandra Ziniti
Duecento dispersi nel naufragio a 50 chilometri dalla Libia. A bordo del barcone 400 immigrati, recuparati i primi 17 corpi: la Ue salva le banche e lascia morire i bambini. Alfano non possiamo diventare la prigione dei rifugiati
IL BARCONE si è piegato su un fianco mentre un rimorchiatore che lavorava con una delle piattaforme petrolifere del Canale di Sicilia lo seguiva per segnalarne la posizione al radar. Erano riusciti a “bucare” la barriera dei mezzi dell’operazione Mare nostrum i circa 400 migranti che, stipati fino all’inverosimile, viaggiavano sull’imbarcazione che si è rovesciata a 50 miglia dalla costa libica, 100 a sud di Lampedusa: 17 corpi recuperati, 215 superstiti e 200 dispersi per quello che, dai naufragi del 3 e del 27 ottobre ottobre scorso a Lampedusa, è la più grande tragedia da quando è iniziata l’operazione Mare nostrum. Probabilmente con vittime giovanissime se, come è stato nelle ultime barche soccorse nel weekend, i minorenni a bordo erano più della metà.
«Ci sono tanti morti vicino alla Libia. Le nostre navi sono lì a recuperare i morti e a soccorrere i vivi. E mentre salviamo le vite siamo soli. L’Europa si faccia almeno carico dei vivi. O ci aiuta a presidiare la frontiera o faremo valere il principio che il diritto d’asilo riconosciuto dall’Italia si possa esercitare in tutta Europa. L’Italia non può diventare la prigione dei rifugiati». È un duro atto d’accusa quello del ministro dell’Interno Angelino Alfano davanti al quale il commissario Ue Cecilia Malstrom si dice scioccata e chiede «a tutti gli Stati membri di discutere nel prossimo Consiglio Interni come si può contribuire». Non risparmia accuse la Malstrom: «È chiaro che la responsabilità è di tutti gli Stati membri dell’Ue, serve solidarietà concreta per ridurre il rischio che tali tragedie si ripetano». E il presidente del Parlamento europeo Martin Schultz ammette: «Non possiamo continuare a girarci dall’altra parte, gli altri paesi non possono lasciare sola l’Italia».
Non usa mezzi termini il premier Matteo Renzi: «Dobbiamo dire all’Europa che non può salvare le banche e non salvare donne e bambini, devono venire a darci una mano. Tutte le istituzioni europee non possono girarsi dall’altra parte». «Inaccettabile strage di innocenti», dice il ministro degli Esteri Federica Mogherini, «sicuramente ci sono state mancanze dell’Ue, noi sappiamo che dobbiamo continuare a salvare vite, Mare Nostrum serve a questo ma è come svuotare il mare con un cucchiaino».
Mentre Ignazio La Russa (Fratelli d’Italia) invoca respingimenti in mare «anche con la forza» e il leghista Borghezio spara la proposta-choc di giustiziare gli scafisti.
Invoca infine aiuto il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini: «Il diritto di asilo va chiesto a terra e non rischiando la vita. Non possiamo continuare cosi».



La Fortezza Europa fa acqua I morti, i soldi, le statistiche
L’Italia ha già speso oltre 1,6 miliardi in poliiche anti-clandestini, l’Europa punta sulla difesa tecnologica (radar, droni). Intanto i morti da “barcone” sono 20 mila
il Fatto, 13-95-14
Giulia Merlo e Marco Palombi
Immigrazione vuol dire tutto e niente: dentro ci sono le vite delle persone, la politica, gli affari e quasi tutto quello che s’agita nel pianeta. I migranti d’altronde, secondo la Caritas, nel mondo sono oltre 220 milioni, un miliardo se si calcola gli spostamenti dentro lo stesso paese. Nel dibattito pubblico in Italia e in Europa l’immigrazione significa soprattutto le politiche di contrasto all’immigrazione: i numeri che seguono dovrebbero rendere chiaro che non funzionano nemmeno per gli scopi per cui sono state create.
I MORTI. Il sito “Fortress Europe” da anni censisce il numero di persone morte nel Mediterraneo tentando di arrivare in Europa: dal 1988 a domenica scorsa erano “almeno 19.603 persone” (quelle registrate in qualche modo sui media, di molti però non si ha alcuna notizia). Di queste 7.111 sono morte nel Canale di Sicilia, altre 229 navigando dall’Algeria alla Sardegna.
GLI SBARCHI. Dopo un paio d’anni con pochissimi arrivi, il picco di sbarchi sulle coste italiane è stato registrato nel 2011, quando furono 62mila. Il dato è di nuovo calato nel 2012 (13mila) per poi tornare a salire l’anno scorso: sono state 42.925 le persone che hanno affrontato il Mediterraneo trovando rifugio in Italia. Va sottolineato che la stragrande maggioranza dell’immigrazione irregolare sul nostro territorio arriva però, meno avventurosamente, col visto turistico e finisce per rimanere quando scade.
IN CERCA DI ASILO. L’andamento dei richiedenti asilo segue con una certa regolarità quello degli sbarchi. Dopo un 2010 con sole 10 mila domande, nel 2011 s’è registrato un picco di richieste, 40mila. Il numero è sceso nel 2012 (17mila). Il dato però è tornato a salire nel 2013, con circa 28 mila domande di protezione internazionale.
GLI STRANIERI IN ITALIA. Continua a crescere il numero di stranieri regolari residenti in Italia. Secondo l’Istat, nel 2012 erano 4milioni 370mila gli immigrati in Italia, l’anno dopo 4 milioni 900 mila. Ovviamente più alte sono le stime se si considerano anche gli stranieri irregolari: nel 2013 si ritiene che in Italia vivano circa 5,7 milioni di stranieri, il 9,4% della popolazione.
I “CLANDESTINI” SCO P E RTI . Stranamente, nonostante i governi facciano a gara per presentarsi come strenui nemici della “clandestinità”, il numero di immigrati irregolari rintracciati sul territorio italiano è andato diminuendo negli anni: secondo i dati Idos, nel 2010 erano stati quasi 47mila i clandestini intercettati dalle forze dell’ordine, numero diminuito fino a 29 mila unità l’anno nel biennio successivo per arrivare nel 2013 a 23.945 irregolari scoperti.
LE ESPULSIONI. Tra il 1998 e il 2012 su 169.071 persone transitate nei Centri di identificazione ed espulsione (Cie), quelle effettivamente rimpatriate sono state soltanto 78.045, vale a dire il 46,2%. Basti dire che le varie sanatorie nello stesso periodo hanno regolarizzato oltre un milione di immigrati irregolari.
UN FIUME DI SOLDI. Un miliardo e 668 milioni di euro tra il 2005 e il 2012. Questo il costo per l’Italia delle politiche anti-immigrazione calcolato da uno studio dell’associazione Lunaria: 1,38 miliardi sono soldi nostri, 281 milioni della Ue. Alla cifra - che comprende anche il sistema dei Cie - vanno aggiunti i soldi per Frontex e Eurosur, programmi Ue che hanno bilanci autonomi.
FRONTEX. È l’Agenzia europea che deve “proteggere” le frontiere Ue e ha sede a Varsavia. Ha a disposizione 26 elicotteri, 22 aerei leggeri, 113 navi e 476 sofisticate apparecchiature tecniche: il suo bilancio 2013 ammontava a circa 86 milioni di euro, dal 2005 - anno in cui fu creata - è costata oltre 600 milioni. Frontex tenta di chiudere il Mediterraneo con radar, droni e sistemi di controllo satellitari: le grandi industrie del settore difesa sono i suoi maggiori fornitori.
EUROSUR. Il “Sistema europeo di sorveglianza” è stato creato lo scorso ottobre dopo la morte di oltre trecento migranti nel mare di Lampedusa: operativo dal 2 dicembre, consiste soprattutto nel coordinamento tra le autorità nazionali per condividere le informazioni. Lo stanziamento è di 340 milioni da qui al 2020.
MARE NOSTRUM. È la missione “umanitaria” avviata dal governo Letta dopo la tragedia di ottobre. Un’intera squadra della Marina - con aerei ed elicotteri da combattimento in appoggio - pattuglia il mare e cerca di bloccare i barconi dei clandestini. Finora, dice il ministero della Difesa, ha salvato circa ventimila migranti, portandoli in salvo sulle coste italiane: costa all’ingrosso 12 milioni di euro al mese. Nel 2014 l’Italia ha stanziato pure oltre 8 milioni per due programmi di addestramento/pattugliamento anti-immigrazione direttamente in Libia.



Cifre da capogiro: in cinque giorni soccorsi oltre quattromila disperati
Gli interventi della Marina militare mentre i centri di accoglienza nei porti siciliani sono al collasso
il Mattino, 13-05-14
g.d.f.
I numeri sono da moltiplicazione provocata dal bel tempo degli ultimi giorni. Ancora disperazione e fughe da sangue, violenze e fame. Ancora eritrei, somali, siriani e nigeriani. Da domenica a venerdi della scorsa settimana, la Marina militare ha soccorso e sbarcato nei cinque diversi porti siciliani ben 4362 migranti.
Cifre alte, fino alle ultime ore con una sola vittima: un ventenne eritreo trovato morto su un barcone, dove era con altri 289 migranti. Gli scafistí libici avevano sfondato il cranio. Usano cosi;, colpire in parti delicate i recalcitranti che, per essere maltrattati come bestie, pagano anche: tremila euro è il biglietto illegale a transito per ogni passeggero disperato.
Barconi o gommoni malandati che lasciano la Libia, con gli scafisti legati alle organizzazioni criminali locali, diretti al largo delle coste siciliane. Qui, attraverso radar o avvertiti per telefono da organizzazioni umanitarie, o da familiari dei migranti, le navi militari soccorrono le imbarcazioni. Da quando è chiuso il centro di prima accoglienza di Lampedusa, gli immigrati vengono sbarcati in 5 porti: Trapani, Pozzallo, Porto Empedocle, Catania, Augusta. La destinazione sono i centri di prima accoglienza, quelli anche temporanei dove l'insofferenza gioca a volte brutti scherzi, prima del trasferimento nei centri permanenti. La scorsa settimana, in una rissa al centro di Pian del lago a Caltanissetta sono stati coinvolti Cittadini pakistani e afgani, con un ferito.
Le strutture provvisorie sono 115, con la possibilita di ospitare 5500 persone. Pozzallo è ormai diventata la nuova Lampedusa, dove scoppia il centro di prima accoglienza. La Sicilia è il cuscinetto degli arrivi, il primo impatto dei migranti con l'ltalia. La porta del Mediterraneo, che l'Europa sembra aver finora abbandonato a se stessa. Tra i 4362 migranti soccorsi la scorsa settimana, c ' erano come sempre tantissime donne incinte e minori. C'era anche un neonato, che la mamma ha preferito esporre al rischio di una pericolosa traversata invece di lasciarlo in balia di un futuro di guerre e miseria. Tra i 400 siriani sbarcati a Trapani ieri, c' erano 4 donne incinte e decine di minori. Tra loro, una ventina avevano tre anni. Spesso le famiglie affidano agli altri compagni di viaggio i loro figli, senza accompagnarli. È la fuga che mette nei conto i rischi e confida in Dio.
Tra i migranti, soprattutto eritrei, sono tantissimi i Cristiani copti. Viaggiano con un crocifisso appeso al collo. Tanti, tra i cadaveri che furono sbarcati a Lampedusa dopo il naufragio del 3 ottobre scorso, stringevano le due mani al crocifisso. I conflitti africani spingono i viaggi. Quando, come in questi giorni, cominciano le belle giornate, i viaggi aumentano. È un business, spesso sul sangue dei disperati, in mano alle cosiddette «bande dei pescatori», le organizzazioni criminali di cui fanno parte personaggi originari anche di Sfax e Tunisi. Centro neuralgico per le partenze è il porto libico di Al Zwarha, con alternative nell'isola Farwa, o nei litorali sabbiosi di Hakl Shair, Aliahfal, Al Mankoub, non a caso tutti vicini al confine tunisino. È la Libia del do- po-Gheddafi, ponte di smistamento senza scrupoli per i migranti. Alme¬no cinque sono i clan libici collegati alle «bande di pescatori». Sulla pelle dei migranti, loro fanno affari.



Subito corridoi umanitari per i minori non accompagnati
Diritti umani . Cambiare le leggi, italiane ed europee, ma soprattutto garantire un’accoglienza salubre e protetta
il manifesto, 13-05-14
Raffaele K. Salinari
Solo l’estrema disperazione può spingere dei genitori ad affidare a dei trafficanti di esseri umani senza scrupoli i propri figli, sapendo che lì da dove vengono per loro non c’è futuro ma che dove vanno forse non arriveranno mai. Eppure spinti da una volontà di vita e di libertà, oramai sono migliaia i minori stranieri non accompagnati, «Msna», così si chiamano in gergo giu­ridico i bambini migranti senza un adulto che li accompagni, ad intraprendere un’avventura rischiosissima pur di far brillare ancora nei loro occhi la scintilla della speranza di un domani migliore, fatto di accoglienza e diritti. Ieri, ma non è né la prima né certamente l’ultima volta, erano in maggioranza ragazzini gli immigrati somali sbarcati a Porto Empedocle. Su un totale di 97 persone, 61 erano minori stranieri non accompagnati. Ma, a farci capire, se fosse ancora possibile vedere con gli occhi ciò che ci sta sotto gli occhi, la portata epocale delle ingiustizie che vivono ogni giorno queste popolazioni, sull’imbarcazione c’erano anche 16 donne, comprese 5 incinte di cui una al nono ed una all’ottavo mese.
Di fronte a questa ordinaria normalità dovuta alla globalizzazione ineguale che stiamo vivendo, e molti subendo, la politica, specie quella italiana, in occasione delle imminenti elezioni europee, si deve interrogare sul suo ruolo e sulle possibili soluzioni che possono essere riassunte in alcuni punti ben precisi. A livello europeo, in vista del semestre italiano: rico­noscimento del fenomeno dei minori migranti quale assoluta priorità per tutta l’Unione Europea che deve essere affrontato sulla base del principio chiave di una loro effettiva ed efficace protezione, indipendentemente dal Paese di arrivo. Per farlo effettivamente bisogna modificare il cosiddetto «Sistema Dublino» che scarica sul primo Stato membro di arrivo tutto l’onere non solo dell’accoglienza ma della verifica dello status di rifugiato o richiedente asilo. Questa necessaria revisione dovrebbe portare in primis ad aprire veri e propri corridoi umanitari per per­mettere ai minori in fuga un approdo sicuro; in seconda battuta armonizzare il sistema di accoglienza in Unione Europea così da mettere fine alla circolazione irregolare di minori a rischio di sfruttamento ed al respingimento di madri con bimbi alle frontiere.
A livello Italiano è necessario velocizzare la messa a punto di una banca dati per la mappatura delle disponibilità in tempo reale dell’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati su tutto il territorio nazionale, così da evitare blocchi e sovraesposizione al fenomeno di talune regioni soltanto. Per questo la banca dati deve essere sostenuta dalla garanzia, in tempi brevi per i comuni ospitanti, dell’accesso sicuro alle coperture finanziarie di cui al Fondo Nazionale per l’Accoglienza dei Minori Stranieri così da sbloccare il sovraffollamento dei migranti in poche regioni, ormai al collasso. Per tutto questo serve un Piano Nazionale e procedure organiche a livello Paese per l’accoglienza dei minori migranti, che adottino parametri atti a garantire la tutela del «superiore interesse del fanciullo» come dice l’Onu, in tutte le fasi di accoglienza, assicu­rando in questo modo la concreta attuazione alla Risoluzione del parlamento Ue del 12 settembre 2013, in particolare per quanto attiene alle procedure di accoglienza dei Msna e per le procedure di determinazione della minore età.
Ma, al di là delle leggi da sistematizzare o da far applicare, l’esperienza ci dice che è fondamentale riconoscere l’importanza strategica delle prime 48 ore di accoglienza garantendo al minore sin da subito una sistemazione in luogo salubre e protetto. Questo implica una qualità dell’accoglienza sin dalle prime ore dallo sbarco, con una forte rassicurazione circa la loro posi­zione legale e sociale in Italia, che li aiuti a sentirsi accolti e ascoltati così da evitare il rischio di decisioni affret­tate che portino ad autolesionismi o alla fuga. Questo significa garantire a ciascun minore la pronta nomina di un Tutore che lo assicuri sull’effettiva pieno godimento dei diritti riconosciuti dalla normativa. Tutto questo si può e si deve fare, senza aspettare che altri morti misurino la già scarsa tenuta di quella amorfa cosa che chiamiamo valori occidentali.



Amina tiene a galla il suo neonato «Non so come, ma siamo vivi»
Aggrappata a un legno ha visto annegare i compagni
Corriere della sera, 13-05-14
Felice Cavallaro  
PORTO EMPEDOCLE (Agrigento) —Ha visto annegare i suoi compagni di viaggio, ma ha visto rinascere il suo bebé di appena quattro mesi, Amina, una giovanissima somala salvata da una delle due motovedette della capitaneria di Lampedusa arrivate nel gorgo del Mediterraneo con la task-force sanitaria dell'Ordine di Malta.
Compresa la giovanissima Antonella Godino, 26 anni, appena laureata in medicina a Palermo, da tempo volontaria, da due mesi in servizio, ieri sera sfinita ma felice al telefono: «Perche Amina, come altri 44 naufraghi salvati dagli uomini della nostra motovedetta e trasbordati sulle fregate della Marina, ha rischiato di non farcela. Era assiderata, irrigidita, aggrappata a un pezzo di legno, le onde sul mento e un pargolo da lei tenuto non so come sul filo dell'acqua... Ma, dopo quattro ore e tre flebo, è tornato il colorito ed è riuscita ad allattare il suo bimbo. Una scena meravigliosa. La vita che vince su tutto...».
È il racconto di un'emozione grande, confidata da Antonella con la convinzione che resterà una delle più grandi della sua vita, come ha ripetuto alla sala regia del Cisom, a Roma, al direttore dell'Ordine, Mauro Casighini: «Quando ci siamo ritrovati quel fagottino fra le mani ho temuto di non riuscire a recuperare il battito.
Asciugato, avvolto in una termocoperta, raccolto nel locale più caldo dell'imbarcazione, accanto alla sala macchine, ho capito di non avere nulla per sfamarlo. Perché si parte con acqua, aranciate, biscotti, cibo, ma non abbiamo latte per neonati...».
E invece la disperazione di queste colonne di migranti che attraversano il deserto e stazionano in Libia prima di salpare con malandate carrette coinvolge sempre più minori, sempre più bimbi, come ha visto con i suoi occhi Antonella Godino: «Abbiamo recuperato almeno sei, sette bimbi. E il più piccolo è il bebé di Amina che dopo quattro ore di pianti  riposava sereno. Ma c'è voluto il miracolo della natura». La dottoressa inneggia alla natura, ma stavolta alla natura ha dato una spinta lei. Perché se non fosse riuscita a rianimare l'esile madre, tirata su dal mare e sdraiata senza forze sulla fiancata della motovedetta, sarebbe stato un problema ancor più grave salvare il piccolo.
Lo confermava mentre il comandante della motovedetta, alle sette di ieri sera, scattato l'allarme per un altro barcone con 300 migranti alla deriva, si affiancava alle fregate della Marina, la Gregale e la Sirio, per trasbordare i superstiti e correre verso il nuovo inferno. Con la Godino che stringeva a sé il bimbo prima di consegnarlo ai marinai, abbracciando
Amina, riconoscente, finalmente un sorriso per ringraziare la dottoressa che forse non rivedrà mai più, a sua volta colpita dalle poche parole sussurrate: «Mi chiedo solo come sono viva, non so nemmeno dirti da dove arrivo, si, dalla Somalia, ma è tutto alle mie spalle, il villaggio, il deserto, il viaggio, la fatica...».
Pochi minuti e anche le altre donne visitate da Antonella Godino sono salite sulle unità della Marina. Tutte con i loro piedi. Dopo 1'apprensione per i problemi cardiaci, per gli occhi spenti, le bocche rose dall'arsura, serrate come quelle dei naufraghi che la morte s'era portata via. Un pericolo scampato per Amina e il bebé anche grazie alle motovedette partite da Lampedusa, veloci e «inaffondabili», come le chiamano, la Cp 302 e la Cp 301. Sulla prima la Godino. Sull'altra un infermiere dell'Ordine di Malta. In contatto con un collega a bordo di una motovedetta della Guardia di Finanza, i due medici di turno sulla San Giorgio e il dottore sulla Dattilo della Guardia costiera. Ecco la task-force di cui é fiero Casighini, commosso al telefono quando Antonella gli descriveva l'allattamento del bebé: «È come una "natività" che ci riscatta dal tormento di naufragi come quello dei 3 ottobre a Lampedusa».



Dal deserto al Nord Europa
Gli “sbarcati”, chi sono e dove vanno
il Fatto, 13-05-14
g.me. e m.pa.
Arrivano. Sbarcano. Finiscono in qualche centro di prima accoglienza. Questo si sa dai giornali, si vede nei telegiornali. Poi più niente. Chi sono “quelli dei barconi”? Che fanno dopo? Intanto, fa sempre bene ricordarlo, “solo una modesta frazione degli immigrati arriva dal mare” (Maurizio Ambrosini, “lavoce. info”). Negli ultimi tre anni sono stati meno di 120mila, quest’anno - a tutto aprile - erano 20.500. La maggior parte di questi ha diritto a chiedere asilo, non è un migrante per motivi economici: “La maggior parte non sono irregolari, ma profughi con diritto d’asilo che scappano da territori di guerra, come la Siria e il Sudan”, spiega Antonio Ricci del Centro Studi Idos, che elabora ogni anno il Dossier statistico immigrazione.
Lo “sbarcato”, peraltro, non ha intenzione di fermarsi. Ancora Ricci: “La maggior parte sono solo in transito: curdi e siriani, per dire, sono una minoranza consistente in Germania e in Svezia, arrivano qui ma poi cercano di spostarsi a nord”. Lo testimoniano i numeri delle richieste di asilo: nel 2013 in Italia se ne sono registrate 27.800, in Germania 109mila, in Francia 60mila, in Svezia 54mila e 14mila persino in Polonia.
LA RISPOSTA delle autorità italiane, di fronte a questo scenario, è fermare e rinchiudere il maggior numero di migranti: per questo - quando allo straniero non sia riconosciuto lo status di rifugiato - vengono usati i 13 Cie (1.900 posti in tutto) e nel resto dei casi i Centri d’accoglienza e quelli per richiedenti asilo (spesso nelle stesse strutture), che vantano circa quattromila posti disponibili. Lì dentro si può restare per mesi, fino a sei secondo la legge.
QUANDO POI, alla fine del calvario, arriva la preziosa “protezione internazionale”, ne inizia un altro. La Convenzione di Dublino, infatti, obbliga lo straniero a presentare domanda di asilo nel primo paese sicuro, l’Italia nel nostro caso: peccato che i paesi del Nord Europa - come detto, la meta finale - non accettino il permesso italiano come un titolo a muoversi liberamente nell’Ue. È il fenomeno dei cosiddetti “dublinati”, intercettati e respinti all’interno dell’area Schengen.
Il fenomeno non è destinato a finire: “In estate - ci dice Ricci - è prevedibile che il flusso di migranti aumenti ancora con numeri anche superiori a quelli del 2013”. La maggior parte dei migranti verrà dalla Siria, causa guerra civile, ma non risponderanno certo allo stereotipo del disperato da barcone: “Scordiamoci l’immagine del profugo bisognoso di tutto. I siriani che arrivano appartengono al ceto medio, hanno denaro e conti bancari e sono in contatto con connazionali e parenti che, nella maggior parte dei casi, risiedono in Svezia. Nessuno di questi migranti vuole fermarsi, tutti cercano di spostarsi nel Nord Europa, dove hanno una rete di aiuti, sperano di sbloccare i loro risparmi e di rifarsi una vita”.



Vite randage nei Cie siciliani
Lo scrittore Alagie, il miliziano Lamenç storie incrociate dei perseguitati d’Africa
Il Fatto, 13-05-14
Veronica Tomassini
Siracusa. Apro la lettera, è per me. Leggo: “Il mio nome è Alagie Jinkang. Sono di nazionalità Gambiana, della tribù Mandinka”. Penso a Lamen, l’africano di Rosarno, lo stagionale bastonato dai capò. Fuggiva dal Gambia, miliziano renitente, il governo di Yahya Jammeh ci va giù pesante con i dissidenti. Ma Alagie? È un giornalista, scrive, è un professore. Lamen pensava di aver visto tutto dell’Italia, una cremagliera in mezzo a un fondo, un pendio aspro e maleodorante, un misero braciere che ardeva inutilmente nel buio, un furgone in un’alba calabrese. Alagie non è mai stato a Rosarno, il giro delle campagne non lo conosce nemmeno. Di Lamen si sono perse le tracce piuttosto, si spostava con un grosso sacco sulle spalle, sembrava un piccolo orso. Alagie invece fa ancora il giornalista, scrive nella lettera, utilizzando uno strano carattere. Vive in un cps siciliano, non ha smesso di fare il giornalista. Ha raccontato una storia. C’è una miniera, spiega, lungo il fiume africano vicino un villaggio rurale chiamato Badari, dove estraggono oro e diamanti per il dittatore Jammeh. Continua a scrivere, anche adesso da profugo delle carrette, la criticità del sistema governativo gambiano, la corruzione del sistema governativo gambiano. Pende una taglia sulla sua testa, ovvio. Dunque: Alagie fa il suo lavoro, insegna in un college e nel frattempo scrive i suoi pezzi. Finché si caccia in un brutto guaio, è il 2007. Scopre l’affaire della miniera e altre cose.
Lamen e Alagie non si sono mai conosciuti. Mentre Lamen stringeva la mascella, rifiutando gli ordini dei suoi superiori, il miliziano Lamen; Alagiè durante un esame nella “Bansang Senior Secondary School” enuncia – cito letteralmente - tre potenti passaggi, che diventeranno la sua condanna a morte. “Ho vividamente spiegato quanto fosse alto lo sfruttamento e la corruzione del governo sotto la dittatura di Jammeh, - leggo ancora nella lettera - ma così facendo mi etichettarono come un pessimo insegnante per la loro scuola. I diplomatici mi hanno chiesto di smettere di esprimermi contro il governo, però nessuno poteva fermarmi”.
LAMEN FUGGE IN ITALIA, il Niger, le camionette, il deserto, le dune, il cimitero di ossa sotto la sabbia, i campi in Libia, il viaggio in barcone. Diventa uno stagionale, l’africano con un piccolo orso sulle spalle. Alagie, professore, laurea in scienze politiche, specialistica in studi islamici, giornalismo e lingua inglese, finisce in una delle tante sigle della costrizione, Cpt, cpo, cps, eccetera. Ma è vivo, ringrazia il governo italiano perché è salvo. Nella lettera leggo la storia di un professore, finito in carcere, ai lavori forzati, fuggito tre volte, ripescato tre volte, torturato tre volte. Il Senegal, la Nigeria, la Libia, i capo-villaggi , strani faccendieri, mediatori e così via. Forse il professore Alagie e il miliziano Lamen sono partiti con il medesimo barcone, non si sono mai incontrati.
Alagie mi ha scritto una lettera ed è una specie di autocertificazione sulla questione identità. “Sarei un professore, mia cara”; le sue idee sono ideologie vorrei replicare, incantata. A nome di molti, non ultimo Celestine Emmanuel, nigeriano, scrittore di novelle e racconti morali, come il fortunato “The trials of Adanna”. Libero pensatore. Dissidente. Sbarco del 2006, Portopalo. Aveva una piccola sacca: dentro teneva un romanzo di Baricco, “Oceanomare, edizione italiana. Celestine ora fa il panettiere, l’ultima cosa che ha scritto ha il titolo: “Benvenuti all’inferno”. Troppo generico, inferno è qualsiasi cosa. Celestine, senza presunzione, afferma che non teme alcuna priorità, dal Niger alla Libia e anche dopo, e ripete: Welcome to hell.


 

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